L'occasione perduta

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La mia memoria è sempre stata fumosa, ma di quella sera d’autunno ricordo nitidamente i tuoi occhi celesti. 

Quello sguardo racchiudeva una vita di sbagli, una vita di incomprensioni, una vita d’amore per me. E quel sorriso — sì, quel sorriso — ti accompagnava in quelle ingiuste sofferenze.

Anima candida, sapevo che quel momento sarebbe arrivato. Ci avevo pensato tante volte, per troppi anni. E sapevo che ci sarei arrivato così: senza averci mai provato davvero. Senza averti mai accettata per come sei, con i tuoi limiti. Ero troppo orgoglioso. Non ho mai abbassato lo scudo, neanche quando eri ormai una flebile lucina, sempre più piccola, sempre più debole.

Dovevamo arrivare fino all’ultimo atto perché capissi che potevo fare di più. Molto di più. 

Dovetti uscire da quella stanza d’ospedale per non mostrarti quanto la mia anima fosse devastata. Chiusi la porta e scoppiai a piangere, come da bambino, quando frignavo perché non mi compravi ciò che volevo.

Piegato su me stesso, realizzai che non ci sarebbero state più occasioni per fare ciò che avrei dovuto fare tanti anni prima: raccogliere il testimone e prendermi cura di te. 

Eppure, quando rientrai per l’ultima volta in quella stanza, il tuo sguardo non cambiò. Eri sempre felice, sempre orgogliosa di avermi lì, accanto, nonostante tutto. E questo mi fece ancora più male.

Ci sono amori che trascendono la comprensione, figli di una natura antica e viscerale. Forti come il cordone che ci legava. Un cordone che non si è mai davvero spezzato.

Tu non sei stata all’altezza del tuo ruolo. E io resto un misero egoista pieno di sé. 

Ora ho capito cosa mi hai insegnato.
Fai buon viaggio.

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