[Lab.10] L'ascensore (revisionato)
1L’atrio è in penombra e Franca, ancora abbagliata dal sole di agosto, scorge in ritardo una coppia di conoscenti diretti al bar adiacente. La chiamano, ma lei accenna un sorriso faticoso e procede senza fermarsi fino agli ascensori. Suda, il costume le dà noia, le spalline dell'abito da spiaggia, ampio e stazzonato, calano sulle braccia appesantite dalle borse della spesa.
È in ritardo e hanno gente a cena.
Il mese di ferie per lei si traduce spesso in un tour de force conviviale. Gli inviti li ha fatti Roberto, ma come al solito si attiverà solo nella fase da lei battezzata delle 3A: apparecchio, aperitivi, accoglienza. Sempre brioso e galante con tutte le ospiti, suo marito, ancor più ora, a copertura delle scopate con Stella. Non così ben riuscita, visto che lei se n'è accorta quasi dall’inizio. Lucio, il marito informatico, forse per via degli algoritmi che gli frullano in capo a tempo pieno, pare non farci caso.
L'appartamento, eredità del suocero, si trova in cima a un incongruo grattacielo anni Settanta, obbrobrio paesistico intorno al quale si è sviluppato, negli anni, l'intrico di ville e villette che compone il comprensorio. Splendida peraltro la vista dalla terrazza: costa sinuosa, mare screziato, isole tremolanti all'orizzonte.
Fortuna rara, una delle cabine è già lì, aperta, e ospita un solo passeggero. Franca molla le borse sul pavimento, alza lo sguardo e si sente ancora più conscia del suo aspetto trasandato. Il dottor Sinibaldi in tenuta cittadina – elegante, virile, occhio ceruleo e sorriso smagliante - la saluta compito e prende a spingere i pulsanti dei piani. Abita al quarto, se la caveranno con poche frasi di circostanza.
La cabina sale, ma poco dopo il terzo emette un clangore sdentato e si arresta.
«Che palle...» sbotta Franca.
«L'allarme funziona» rassicura il dottore.
«Non soffro di claustrofobia» e le viene da ridere.
La osserva e ride anche lui: «Touché, me lo stavo chiedendo!»
«No, tranquillo. Ho la spesa da mettere in frigo e fa un gran caldo. Sembro stravolta?»
«Vero, si soffoca. Sì, abbastanza… Ora che ci penso, quando l’ho incontrata era quasi sempre
stracarica. Siete molti in famiglia?»
«No, abbiamo spesso ospiti.» Un po’ seccata, Franca prende il libro appena comprato e si sventola.
Sinibaldi toglie la giacca e torna a scrutarla, l’espressione intenta:
«Non ne sembra contenta, una fatica, in effetti, meglio diradare gli inviti… Altri problemi?
Lavoro, figli?»
Oddio, pensa lei, ci mancava il supporto psicologico nell'ascensore bloccato. Non fa il dentista?
«I soliti: troppi impegni, poco tempo» svicola. Dà un'occhiata al cellulare, pur sapendo che non c'è campo. Il dottore la imita. A intervalli irregolari battono sulle pareti.
«Il portiere sarà in giro, come al solito» dice lui. Franca annuisce; tacciono.
Passa una mezz'ora, il caldo aumenta e l'aria si appesantisce. Meno male che della spesa fanno parte sei bottigliette d'acqua. Lei la offre. Bevono, si bagnano un po' la faccia. Sinibaldi, scusandosi, ha tolto anche la camicia e mostra il torace vigoroso, Franca scansa il tessuto umido dalle cosce: passabili, si rassicura nel mostrarle. Chiamano in coro, più volte.
Sinibaldi sfoglia il libro che lei ha poggiato su una borsa: un'Odissea in edizione scadente.
«Dai recessi del nostro supermercato emergono imprevedibili relitti di promozioni remote, una volta ci ho trovato I viceré di De Roberto.»
«È la traduzione di Pindemonte, l'aveva mia madre. Me ne leggeva qualche brano, da ragazzina, poi sparì. Questa è brutta, ma sono stata contenta di ritrovarla.»
«Musa quell'uom di multiforme ingegno dimmi che molto errò...» declama lui
Farfugliano alcuni versi in greco. Vaghe reminiscenze liceali e merito, per entrambi, della stampa sulle magliette comprate in viaggio: Franca a Santorini, insieme al marito, Giorgio proprio a Itaca, con amici. Si raccontano qualcosa della vacanza.
«E i classici che bisogna aver letto?» chiede lui.
Provano a elencarli: «Ulisse, la Recherche, Moby Dick, L’uomo senza qualità...» si sforzano di raccontare le trame e fanno dei gran pasticci.
«Qui dentro mi sembra comico usare il lei, che ne dice?»
Franca è d’accordo: «I formalismi hanno poco senso in questa situazione. Eliminerei anche “dottore” e “signora”, ma non ricordo come ti chiami.»
Si presentano con i nomi propri, sorridendo; lui fa un piccolo inchino.
«Da qui sotto viene un filo d'aria, magari hanno sbloccato una porta ai piani» dice Giorgio, carponi.
«Non ne posso più di stare in piedi» si lamenta lei, guardando dubbiosa il pavimento.
Con aria decisa sfila il largo vestito, lo spiana a terra e si sdraia.
«Ci stiamo tutti e due, vieni.» Lui si rialza.
«Posso?» e toglie pure i pantaloni, mostrando decorosi boxer azzurri. Si stende al suo fianco e respira a fondo. Dalla fessura arriva davvero un refolo vivificante, sonnecchiano un po’.
Sollevato sul gomito, Giorgio pianta nel suo lo sguardo marino:
«Sei diversa dall’immagine che offri di te al prossimo. In meglio, intendo. Un problema però ce l'hai!» afferma convinto.
«Meno male, grazie! - e, stupita di sé, aggiunge - Sì, le corna...»
Li tirano fuori alle otto passate: Franca con il costume due pezzi, Sinibaldi ancora in boxer. Sul pianerottolo c’è una piccola folla di condomini più o meno noti e naturalmente Roberto. Franca si limita a dirgli che faceva un gran caldo e ha mal di testa.
Nei giorni successivi suo marito la osserva. È scosso, l’interrogativo spiazzante gli si legge in faccia: può aver attratto, lei così banale, il single più fascinoso nel comprensorio? Mezzi nudi per tre ore là dentro... Non gli è sfuggito lo sguardo complice che si sono scambiati al momento della liberazione. Li immagina avvinghiati sul pavimento ogni volta che prende l'ascensore e s'incupisce.
Giorgio ha ascoltato partecipe tutta la storia, interrompendo ogni tanto Franca con qualche domanda discreta, senza esprimere giudizi spregiativi sul marito fedifrago. Poi le ha passato un braccio intorno alle spalle e si è espresso in modo spiritoso sulla possibilità di ricambiarle, quelle corna immeritate. La sua disponibilità risultava palese, dato l'abbigliamento, ma quando lei ha formulato un’altra proposta, si è ritirato con garbo. Chi trova un amico trova un tesoro, è proprio vero.
«Sei davvero una bella persona, etica rigorosa compresa. Ti trovo molto attraente, credimi... - e le ha dato un casto bacio a fior di labbra. - Ok, glielo faremo credere, sarà il nostro segreto!»
Così, quando s’incontrano tra la gente - nell’edificio, nei viali del comprensorio o in spiaggia - conversano cordiali e non mancano di fissarsi un attimo con espressione adatta a generare sospetti. E si divertono entrambi.
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" ...con mano ferma ma lenta sollevò la celata. L'elmo era vuoto." (Calvino)
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