[H2022R] Loro

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Carta n4: Fascinazione - Il Doppio - L'Altrove


Quello che ci sembra normale è ciò che accade spesso oppure a molti.
Le chiavi che non troviamo più, gli oggetti che spariscono e poi ricompaiono proprio dove avevamo appena guardato.
Accade a tutti e ci diciamo che è normale, che è colpa della distrazione o dello stress.
Mi sento di affermare, per esperienza personale, che non è sempre così.
A volte è opera Loro.
Loro, che vi spiano giorno dopo giorno in attesa del momento più adatto.
Il momento di aprire la caccia.

Molto di quello che so al riguardo l’ho imparato da Armida anche se, devo ammetterlo, è servito a ben poco e le conseguenze sono state comunque irreparabili.
Lei era un donnone biondo che parlava un italo-vesuviano quasi incomprensibile ma che, avendo cresciuto tre generazioni, ormai era membro effettivo della famiglia. Famiglia con la spocchia dei nobili decaduti, di quelli che vivono in un villone fuori città, ormai ai limiti della fatiscenza, che fanno studiare i figli a casa per non mischiarli con la gentaglia, salvo poi ritrovarsi una come mia sorella Clelia, che scambiava mutande col figlio del meccanico in cambio della revisione al motorino.
Faceva cose strane Armida, come spargere sale quando i miei litigavano o scrutare gocce d’olio in un piatto pieno d’acqua. E se qualcuno chiedeva spiegazioni, lei sbuffava risentita e andava a rintanarsi in cucina.
Armida odiava gli specchi. Ne compresi il motivo quando ormai era troppo tardi. Del resto, a una bambina di sei anni non si possono spiegare troppe cose. L’importante era proteggerla. E lei lo fece con tutte le sue forze, fino all’ultimo.
Ah, se solo avessi capito, se solo avessi creduto…
Tutto ebbe inizio quando mia madre si ammalò, nessuno mi disse di cosa, Armida prese dei teli neri dalla soffitta e con quelli ricoprì la toletta, le  ante dell’armadio e ogni superficie riflettente.
Restò notti intere a vegliarla bagnandole la fronte con una pezza fresca e, quando pensò fosse il momento, fu lei a chiamare il prete, dato che anche mio padre sembrava afflitto dallo stesso male ed erano giorni che non usciva dal letto.
A me e mia sorella non era permesso entrare, solo affacciarci sulla soglia per un saluto.
Una mattina accadde qualcosa che avrei voluto dimenticare.
I teli erano a terra, stracciati come dagli artigli di una belva inferocita, Armida correva da una parte all’altra della stanza con altri teli, ma quelli ogni volta ricadevano giù, quasi ci fosse qualcosa che li respingeva e quando ci vide gridò: «Fora! Jate fora!»
Mia madre era lì, seduta al centro del letto, schiena dritta e occhi scintillanti, con uno strano sorrisetto e un tremito che le attraversava il corpo. All’improvviso saltò giù e, a passo svelto, andò in cucina. Armida le corse dietro, la guardò afferrare la pentola dove bolliva la minestra, bere d’un fiato e pulirsi la bocca col dorso della mano.
«Mamma, sei guarita!» dissi correndo per abbracciarla.
Armida mi bloccò con un braccio «No» disse secca. Si fece il segno della croce  e non le parlò mai più.
Allora non potevo capire. Mi sembrò solo una cosa strana e un po’ crudele, anche se a mia madre non sembrava dispiacere più di tanto. Si limitava a fissarla, cosa che faceva anche Armida.
A volte le trovavo piantate in mezzo a una stanza, una di fronte all’altra, occhi negli occhi, con la mascella serrata e i pugni stretti.
Avevo la netta sensazione che si trattasse di un duello e finiva sempre nello stesso modo: con mia madre che, senza abbassare lo sguardo, si girava e usciva dalla stanza, mentre Armida tirava un sospiro di sollievo.
Non capivo, ma il fatto che, subito dopo, mi spettasse una fetta di pane caldo con burro e miele, mi faceva convinta che le cose fossero andate per il verso giusto, cosa che non sarebbe accaduta di certo se a vincere fosse stata mia madre. E d’altra parte, quella che si aggirava per casa con lo sguardo fisso, che rovesciava cassetti e svuotava armadi per cambiarsi d’abito ogni ora,  che sedeva a tavola e mangiava senza usare le posate, lordandosi le braccia e tutto il viso, di mia madre ormai aveva solo l’aspetto.
Una notte mi svegliò un fruscio. E un peso sul materasso accanto a me. Cercai di girarmi verso il comodino per accendere la luce, ma il peso mi bloccava sotto le coperte. Col cuore in gola cercai di liberarmi, lo sentii muoversi e fare uno strano verso, una specie di gorgoglio disgustoso. Lo sentii premermi addosso, poi mi fu sopra, mi tolse il respiro col suo fiato putrido sulla faccia, aveva la bocca aperta, lo sentivo, e allora, non so come, riuscii a urlare e urlare e urlare ancora.
La porta si spalancò e vidi la sagoma scura di Armida stagliarsi contro la luce del corridoio.
«Lascia a criatura! Lasciala!» gridò.
La cosa saltò giù dal letto e le si avventò contro con un ruggito. Le sentii lottare rovesciando mobili e suppellettili e quando finalmente riuscii ad accendere la luce era tutto finito.
Nella stanza c’era solo Armida, che ansimava reggendosi allo stipite della porta e, non potevo crederci, tutto era perfettamente in ordine, come se nulla fosse successo.
Solo per terra, vicino al letto, un luccichio: l’orecchino di mamma.
Cominciai a piangere e Armida mi strinse a sé «Chetati, piccirì, nn’è success nenti» disse «Hai fatto solo nu sogno malcriato».
«Ma…»
«Te dico nenti» mi prese la faccia tra le mani, mi baciò la fronte «Adduormet mo» mi coricò, avvicinò una sedia e restò ad accarezzarmi la testa finché sentii la marea sommergermi dolcemente.
Mi ha sempre stupito quanto sia facile rassicurare un bambino, forse perché, in fondo, è solo questo che vuole. Ma, alla luce di quanto accadde poi, mi sono chiesta se sia stata una buona cosa. Se non sarebbe stato meglio portarmi via e mettermi in salvo davvero.
Ora lo so: Loro non lo avrebbero permesso. E le cose sarebbero precipitate prima che fossi pronta, per quanto si possa mai essere pronti per l’orrore.
Così Armida fece quello che poté: prendere tempo.
Il giorno dopo tutti gli specchi di casa erano spariti e quelli che non si potevano togliere erano stati coperti da un telo nero.
«Escheno da lì» disse cupa « Pe chist je se deve nasconne a via».
A mia sorella Clelia la cosa non andò per niente a genio.
«Mi servono!» urlava strappandoli via.
«A nenti te servono» ringhiava Armida rimettendoli al loro posto «A nenti!»
Clelia li tirava giù e lei ce li rimetteva, andò avanti così per ore, finché mia sorella si arrese e andò in camera sua sbattendo la porta.
«Tanto ce l’ho nel cassetto!» urlò
Lei, che era bella e piena di fidanzati di cui non ricordava nemmeno il nome. Che il sabato faceva nottata in discoteca e, prima di uscire, passava ore tra fard, rossetti e mascara.
«Nun te pittà accussì, che chill t’arricopiano» le diceva Armida con la faccia scura.
«Ma quelli chi, lo vedi che dici scemenze? Piuttosto, me l’hai stirata la gonna?»
Era un sabato, me lo ricordo benissimo. Clelia uscì sbattendo la porta come al solito, adorava sbattere porte, ante, sportelli e tutto quello che si poteva sbattere, credo lo ritenesse il suo modo di dire Faccio come mi pare.
Quando restammo sole, mi avvicinai ad Armida.
«Quelli chi?» chiesi sottovoce.
Lei mi guardò «Nun t’o pozz ricere. Non ancora» disse scostandomi una ciocca dalla fronte «Non si grand abbastanza».
«Ma ho dodici anni!» feci risentita.
«Nun abbastano. Mo vatten a duormere, ch’è tardi».
Fu una notte difficile, tormentata da urla e rumori che tentavo di ricacciare nel sogno, dove cani inferociti lottavano tra brandelli di carne e lapilli infuocati.
Non era un sogno. Adesso lo so.
A mezzogiorno di quella domenica mattina, Armida armeggiava con alcol e cerotti sulle braccia coperte di graffi e tagli.
«Ti sei fatta male?» chiesi
«Sti cazz’e rose, into o culo e spine! A te e a chi t’è muort!»
«A me?»
«Ma no, piccirì. O sacc’io a chi!»
In quel momento, Clelia entrò in cucina. La faccia livida, gli occhi cerchiati, anche lei piena di graffi e sangue.
«Pure tu sei caduta sulle rose?» dissi.
Lei fece una smorfia, andò verso la pentola dove cuoceva l’arrosto, alzò il coperchio, lo afferrò e prese a sbranarlo. Si sedette continuando a masticare, col sugo che le colava sul mento fino al collo, poi guardò Armida «Sete» disse e dette un altro morso alla carne.
Lei riempì una caraffa, gliela mise davanti e venne verso di me.
«Mo vattenne, che fora c’è aria bona» prese un secchiello dallo stipo e me lo porse «Fallo pieno di more, mirtilli e tutto chill ca truov. Ma pieno, eh» disse spingendomi verso la porta.
Non so cosa accadde in quella cucina, ma quando tornai, Clelia non c’era più.
«Se n’è ghiut co cert’amici » disse Armida.
«E quando torna?»
Lei si strinse nelle spalle «Che sacc’io? Ha ritt che telefona».
«E mamma e papà?»
«Rice che telefona pure a loro».
L’avrei proprio voluta sentire quella conversazione.
Mamma e papà, che certo s’erano ripresi dal malanno e non litigavano più, ma che adesso fissavano il vuoto senza espressione. Che parlavano poco, anzi per niente, nemmeno tra loro ma che, a tratti, giravano la testa, l’uno verso l’altra, e annuivano. Che continuavano a cambiarsi d’abito, come volessero provarli tutti, che si ingozzavano di cibo a tutte le ore, ginocchioni per terra se quello cadeva, ringhiandosi contro se uno ne prendeva all’altra, come animali famelici, come non avessero mangiato mai. 
Mamma e papà, che facevo sempre più fatica a chiamare così e ogni volta che li guardavo mi si stringeva il cuore.
Forse per questo Armida mi riempiva la giornata di cose da fare «Teng a schiena stanca, damme na mano». E allora panni da stendere, piatti da lavare, mobili da spolverare. Non mi piaceva, ero forse diventata la serva della serva? Eppure sentivo che quel castello di normalità serviva a proteggermi da quello che stava accadendo. Da una vita che somigliava sempre meno a quella che conoscevo.
Fu un pomeriggio di maggio che accadde.
Entrai in salotto e loro erano lì, a fissarsi e annuire, talmente presi da quel dialogo muto, da non accorgersene.
Mi sbagliavo. Era di me che parlavano.
Ne ebbi la certezza quando mi sentii sospingere verso il grande specchio che troneggiava sul camino. Sentivo i loro occhi guidare il mio corpo e i miei piedi come quelli di un burattino. Vidi il mio braccio alzarsi, con due dita prendere un lembo del telo nero e cominciare a tirarlo delicatamente.
«No!» l’urlo di Armida «No!» col volto stravolto, a braccia tese, si precipitava verso di me.
Troppo tardi. Il telo cadde. E vidi.
Restai impietrita, senza riuscire a distogliere lo sguardo, mentre nella mia testa, ad una ad una, si radunavano tutte le cose dette, immaginate. E temute.
Loro erano lì.
In un salotto uguale a quello dov’ero, avvolti in una penombra livida, c’erano mio padre e mia madre che mi stavano fissando e, per una volta, sembrava mi vedessero.
Mi voltai. Non c’era nessuno. Mi girai ancora verso lo specchio e Loro erano lì.
Ma quello che mi fece gelare il sangue è che c’ero anch’io. O meglio, qualcuno che avrei potuto essere io. Pallido e smunto come erano Loro, con gli occhi cerchiati come li avevano Loro e  le labbra stirate sui denti marci in una smorfia che avrebbe voluto essere un sorriso.
«Ecco, adess o vedi» sussurrò Armida «Adess o sai».
Cominciò a tremare. Barcollò, tentò di reggersi a una poltrona, a fatica si lasciò cadere sul divano, scossa dai brividi, madida di sudore, mentre rivoli di sangue le scendevano dal naso e dagli occhi.
Sentii mia madre scattare in piedi con un sibilo ringhioso. Vidi mio padre bloccarla e, nella mia testa, le sue parole, chiare e nitide come gli fossero uscite dalla bocca: «Tocca a lei, cara. Lasciala fare».
E allora, quella me che continuava a sogghignare dallo specchio, si voltò e andò verso il divano dove giaceva Armida, si chinò su di lei, affondò i denti nella sua carne, ne strappò un brandello e poi un altro e un altro ancora, ogni volta sollevando il capo, masticando e mugolando tra estasi e trionfo.
Abbassai lo sguardo su quel corpo sventrato e mi accorsi che non ne avevo abbastanza, che doveva essere mio, tutto.
Mi chinai con le fauci spalancate e finii quello che avevo cominciato.


Non saprei dire da quanto sono qui. Il ricordo di quello che ero si fa sempre più opaco.
Ho visto piogge, gelate, timidi soli e rami fioriti, anche se, da questa parte dello specchio, il vetro non permette una visione chiara. O forse sono i miei occhi, chissà.
Mi sono abituata alla penombra e credo che ormai non reggerei a lungo la luce piena.
Clelia dice che sono uno splendore, ma se il suo metro di paragone sono cosce scheletrite e denti acuminati, non c’è da fidarsi.
Se non fosse per il cibo, che è sempre troppo poco, qui non è poi così male.
Anche l’ultimo topolino è morto, probabilmente soffocato da una scheggia di legno ammuffito. Non fa bene la muffa, non ha neanche un bon sapore. E nemmeno il topolino lo aveva. Del resto, mangiare cose vive è estremamente impegnativo ed io non ho mai amato la caccia.
Mia madre e mia sorella, invece non riescono a farne a meno. Questione di carattere, credo. A loro non danno fastidio tutti quegli strepiti. Dicono che così la carne ha più gusto. E, devo riconoscerlo, tra la carne umana e quella di topo, non c’è paragone. Ciò non toglie che si debba sempre conservare un certo decoro.
La famiglia che adesso abita la nostra casa è decisamente sovrappeso e non nego che sia piuttosto invitante, ma trovo poco dignitoso spiarli con la bava alla bocca.
D’altra parte, non resteranno qui per sempre. La gente di là invecchia e poi muore. Lasciare che accada sarebbe davvero uno spreco.
Dovrò adattarmi e confesso che non mi dispiace. Ci sono molte cose su cui mi sono ricreduta. Questa è una di quelle.
Certo non è facile, gli specchi sono materiali con cui non si scherza e, finché qualcuno ti tiene il varco aperto puoi ancora farcela, ma da sola è tutta un’altra faccenda e rischi di farti male o peggio, di essere scoperta.
In ogni caso, è solo questione di esercizio e mio padre è molto incoraggiante. Adoro quando mi guarda e annuisce.
Perché sì, faccio progressi. E infatti ho notato che adesso il vetro sembra più morbido, al punto che ho potuto attraversarlo con il braccio intero.
Ancora poco e sono certa di riuscire ad attraversarlo del tutto.
La stagione della caccia si avvicina.
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Re: [H2022R] Loro

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aladicorvo ha scritto: E allora, quella me che continuava a sogghignare dallo specchio, si voltò e andò verso il divano dove giaceva Armida, si chinò su di lei, affondò i denti nella sua carne, ne strappò un brandello e poi un altro e un altro ancora, ogni volta sollevando il capo, masticando e mugolando tra estasi e trionfo.
Abbassai lo sguardo su quel corpo sventrato e mi accorsi che non ne avevo abbastanza, che doveva essere mio, tutto
Non ho capito bene il meccanismo, lei è nello specchio ma poi si unisce a quella che è fuori?
aladicorvo ha scritto: Loro, che vi spiano giorno dopo giorno in attesa del momento più adatto.
Il momento di aprire la caccia.
Se è lei dentro lo specchio che racconta, perchè parla di questi Loro come se lei non ne facessa parte? una volta dentro devrebbe essere anche lei totalmente presa, è la lei demoniaca che racconta, la sua mente dovrebbe essere disturbata come quella dei genitori. La sua voce dovrebbe avere un tono più cupo, che metta paura.
Scatta l'empatia per questa bambina che poi si mangia la povera Armida, nel finale le sue parole sembrano quelle di una persona rassegnata,  è come se non fosse diventata come gli altri. perchè?
Anche la tua trama piglia e non ti lascia, un bel racconto.

Re: [H2022R] Loro

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Credo che oggi mi rifaccio il trucco alla cieca.
Racconto molto, molto bello e pauroso quanto basta.
Mi é piaciuto molto il brandello di umanità che ancora le ha permesso di raccontare la propria storia di mostro in transizione che piano apprende ad attraversare lo specchio.
Siamo sempre noi quelli che vediamo riflessi? E se si, quale parte di noi esattamente?
Bellissimo

Re: [H2022R] Loro

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Ecco una vera esperta di storie dell'orrore :lol: . Ben ritrovata @aladicorvo  !
Il racconto prende e riesce ad angosciare dall'inizio alla fine. Si capisce il contesto (e ho apprezzato la parlata in dialetto siciliano), ma rimane comunque un po' di mistero su questi "loro". Davvero molto inquietante, forse perché ha la giusta mescolanza di concreto e fantastico.
La tradizione di coprire gli specchi, ad esempio, so che è comune a diverse culture quando c'è un lutto, ma tu sei riuscita a tirarci fuori una storia ben scritta e un significato molto pauroso. La tua traccia era secondo me molto suggestiva, e sei riuscita a sfruttarla appieno.
Ti faccio giusto qualche annotazione su piccole sottigliezze:
aladicorvo ha scritto: Loro, che vi spiano giorno dopo giorno in attesa del momento più adatto.
Nel momento in cui l'ho letta, non sapendo che la protagonista era già una "loro", ho pensato che ci sarebbe stato meglio "che ci spiano". Ma anche arrivata alla fine la frase non mi torna bene. Se lei è una di loro, mi suona strano che dica "loro", senza includere se stessa. Il pronome generico è più spaventoso che se gli avessi dato un nome qualsiasi, quindi hai fatto molto bene, ma penserei a come sistemare questa frase per evitare che sia fuorviante per il lettore.
aladicorvo ha scritto: Molto di quello che so al riguardo l’ho imparato da Armida
Non è troppo chiaro il ruolo di Armida: sembrerebbe una specie di governante, ma non è mai specificato.
aladicorvo ha scritto: Tutto ebbe inizio quando mia madre si ammalò, nessuno mi disse di cosa, . Armida prese dei teli neri dalla soffitta e con quelli ricoprì la toletta, le  ante dell’armadio e ogni superficie riflettente.
Qui ci vedo meglio un punto fermo a separare le due frasi.
aladicorvo ha scritto: Se non fosse per il cibo, che è sempre troppo poco, qui non è poi così male.
non sarebbe, ci sta meglio
aladicorvo ha scritto: un bon sapore
refuso
aladicorvo ha scritto: Perché sì, faccio progressi. E infatti ho notato che adesso il vetro sembra più morbido, al punto che ho potuto attraversarlo con il braccio intero.
Ancora poco e sono certa di riuscire ad attraversarlo del tutto.
Qui mi hai ricordato una sorta di Alice attraverso lo specchio, ma in versione horror. Molto bello

Complimenti, e a rileggerti!
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: [H2022R] Loro

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Ciao @aladicorvo  :)
io ho già paura a leggere il titolo!
aladicorvo ha scritto: giorni che non usciva dal letto.
direi: scendeva dal letto
aladicorvo ha scritto: All’improvviso saltò giù e, a passo svelto, andò in cucina.
aggiungerei due parole per dire che passa accanto ai bambini o, se non lo fa, in ogni caso lo scriverei
aladicorvo ha scritto: mi faceva convinta che le cose fossero andate per il verso
mi convinceva. Terrei il dialetto solo per i dialoghi
aladicorvo ha scritto: Entrai in salotto e loro erano lì, a fissarsi e
questo loro è diverso dal loro più sotto immagino, giusto? Io capisco che il primo loro sia la sua famiglia e lo scriverei se è così, anche se la sua famiglia è loro, lo specificherei in modo che rimanga ancora la distinzione con quello che vede nello specchio

Molto brava a far crescere tensione e mistero, già dalle prime righe si sente bene dove vuoi andare e dove vuoi portare il lettore. Mi piace la mescolanza con la tradizione che viene sottolineata dall'uso del dialetto. Trovo azzeccata anche il tono pacato del narratore.
Mi ha fatto piacere leggerti.
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Linda e la montagna di fuoco

Re: [H2022R] Loro

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aladicorvo ha scritto: mangiare cose vive è estremamente impegnativo ed io non ho mai amato la caccia.
aladicorvo ha scritto: Ancora poco e sono certa di riuscire ad attraversarlo del tutto.
La stagione della caccia si avvicina.
Qui prima dice che cacciare non le piace e alla fine dice che sta imparando ad attraversare lo specchio e potranno cacciare. Le due affermazioni non sono in contraddizione? O sono io che non ho capito qualcosa (propendo per questa seconda eventualità, perché sono stordita).
Ti ho segnalato questa cosa perché era l'unico punto che abbia notato leggendo.
Gran bella storia di fantasmi (mostri, vampiri, doppi demoniaci, quello che sono)!
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: [H2022R] Loro

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Ciao Aladicorvo!

Secondo me il tuo racconto mette insieme molti elementi classici dell'horror e delle superstizioni popolari senza però riuscire ad amalgamarli bene tutti. 
Cominci col dire che quando perdiamo le cose e poi capita che le ritroviamo nello stesso posto dove avevamo cercato prima e ci sembrava che non ci fossero, a volte è colpa Loro. E io penso a dei folletti, dei demonietti  tipo mazapégul o qualcosa del genere. 
Poi ci presenti degli specchi di cui avere paura. Gli specchi, secondo antiche superstizioni, tendono a rubare l'anima di chi vi si riflette, a imprigionarla.
Poi saltano fuori queste specie di bestie fameliche che girano per casa sotto forma di umani (genitori e sorella della narratrice) divorano qualsiasi cosa e si cambiano d'abito moltissime volte al giorno (perché si cambiano?)
Infine  la narratrice, poco prima di subire lei stessa la trasformazione, vede la sua famiglia "di mostri" dentro lo specchio. Ma come, non giravano per casa mangiando e bevendo come animali?
Insomma a mio parere molte cose che non vengono chiarite. Ne esce una "ricetta" sbilanciata in cui i sapori in cui i sapori non si sposano bene l'uno con l'altro. 
Nota molto positiva: il personaggio di Armida. Da sola vale tutto il racconto. Complimenti anche per il sapiente uso del dialetto. 
A rileggerci!

Re: [H2022R] Loro

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Ciao @aladicorvo, ho letto il tuo racconto. Ammetto che sono un po' stanca, ma non credo di averlo capito pienamente.
L'idea mi piace, le incursioni dialettali le ho trovate fantastiche, la storia nel complesso bella, ma diversi passaggi mi hanno lasciata in confusione; il tentativo di capire non mi ha coinvolta in un'atmosfera horror, ero affannata nella lettura.
All'inizio quando parli di oggetti che scompaiono ho immaginato folletti dispettosi, ma proseguendo non riesco ad immaginare questi vampiri/cannibali che nascondono oggetti.
Il meccanismo fuori e dentro lo specchio non l'ho capito.
L'essenza malvagia si impossessa del corpo nel nostro mondo... Quando? Dapprima pensavo nella malattia/debolezza, ma in realtà tutti devono fare attenzione al riflesso.
Dopo perché finiscono tutti dentro lo specchio?
La parte in cui la madre la blocca sul letto,  credo sia quella più in stile horror, anche se mi lascia stupita il fatto che non sia riuscita a morderla. Un rigurgito di spirito materno?
A mio parere avrebbe bisogno di qualche ritocco, perché l'idea c'è ed è anche intrigante.
Alla prossima 
<3

Re: [H2022R] Loro

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Un bel racconto con un ottimo ritmo ed una costante ansi ben descritta 
Ammetto, però, di averlo trovato un poco “strano”, sarà un mio gusto ma, in un certo senso, dice troppo, troppo dettagliato, ed anche il motivo per cui Armida, che pare saper tener testa a uno o due di “loro” non porti subito via la ragazzina non mi è molto chiaro (forse ho letto io di fretta)

Bellissima l’idea degli specchi e dei mostri che vi si annidano dietro, ma la bestialità molto evidente di questi ultimi, secondo me, toglie troppo mistero e sottigliezza, lasciando sì l’orrore ma rendendolo così palese che mi fa chiedere perché non si prendano subito soluzioni più dirette 

Re: [H2022R] Loro

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Ciao @aladicorvo 

Come ti ha fatto già notare qualcuno, forse ci sono vari elementi del genere horror che messi insieme distraggono un po' l'attenzione del lettore, ma a me non importa, perché restano la scorrevolezza del testo, la storia, il ritmo e i personaggi a tutto tondo per rendere il tuo racconto uno dei miei preferiti.
Di horror, secondo me, c'è soprattutto l'ineluttabilità del male che non solo spinge la bambina a divorare suo malgrado la tata che adora, ma lo farà sopravvivere per sempre, a spregio del tempo che è invece è concesso agli uomini:
aladicorvo ha scritto: D’altra parte, non resteranno qui per sempre. La gente di là invecchia e poi muore. Lasciare che accada sarebbe davvero uno spreco.
Grazie per la lettura :) 
Già.

Re: [H2022R] Loro

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Il racconto possiede tutti gli elementi di una storia horror ben congegnata, nonché una perizia nella scrittura che non può lasciare indifferenti. Cosa poteva esserci di meglio se non sperperare tutto con una progressiva perdita di coerenza, con un finale disallineato rispetto all’incipit? La protagonista e narratrice sembra progredire di pari passo con la storia di sé stessa che rivela al lettore, quando invece si è scelto di iniziare il racconto in un momento in cui gli eventi esposti erano già accaduti. 
Ma proprio nell’aderenza alla carta sorteggiata risiede il genio dell’autrice. Il tema dell’altrove, infatti, è stato sviluppato appieno: per trovare una storia che funziona non ci resta che guardare altrove.

Re: [H2022R] Loro

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Mia cara @aladicorvo 

Questo, per me, è un "signor racconto" dell'orrore.
Straordinaria la scelta di aver mixato un contesto "partenopeo" a un racconto di genere come questo.
Sei riuscita a metterci dentro quel clima di mistero e superstizione di cui è ricca la cultura del nostro sud.
Impagabile l'uso del sale come materiale "principe" di ogni pratica di scongiuro.
Avendo avuto una mamma che professionalmente praticava la lettura dei Tarocchi e si esercitava nella realizzazione di piccole pratiche di magia,
Lei diceva solo magia rossa "ebraica", o in sostanza "magia bianca "a fin di bene, distinzione che ho sempre guardato con un filo di scetticismo, poiché 
aveva letto anche io ciò che era scritto sui suoi numerosi libri di magia e parapsicologia, ovvero che tale distinzione è assai aleatoria e tutto dipenda dalle finalità che l'operatore dell'occulto si prefigge di ottenere.
In ogni caso il sale grosso a casa nostra si usava a chili.
Eccellente il concetto dello "specchio" (Instrumentum diaboli), porta della realtà "opposta", territorio del doppio corrispondente e contrario, dove si muovono le ingannevoli realtà riflesse, dove le forze sataniche attirano le menti e le anime di chi si fissa nell'osservarne le immagini.

Davvero bello come racconto, ottima scrittura e un godimento assoluto la lettura.


"Aglio e fravaglio, fattura ca nun quaglia" Ciao alla prossima. (y) <3
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