[H2022R] Il pittore di agonie

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Carta 1 - L'Ombra: il lato oscuro, il persecutore, il contrasto


La prima volta in cui vidi l’ombra avevo sedici anni e una vita già sconquassata da quelle che le persone felici chiamano arte.
Mentre scrivo queste pagine, con una grafia incerta e spezzata dal terrore di ciò che sta per accadere, il cielo che intravedo dalla finestra è trafitto dalle stelle. È uno dei motivi per cui me ne sono venuto a vivere quassù, lontano da tutti. Al riparo dagli sguardi giudicanti.
Il primo disegno di cui ho ricordo è stato uno schizzo a matita. Aveva preso vita sulla carta senza che me ne rendessi conto, senza che avessi la consapevolezza di averne tracciato un singolo tratto. Raffigurava mia madre: i lunghi boccoli corvini le accarezzavano il viso e il collo, le labbra erano serrate, gli occhi sgranati, una corda legata intorno al collo, tirata da mani enormi che spuntavano alle sue spalle, emergendo dal buio.
Portai il disegno a mamma con la segreta speranza che mi riempisse di complimenti, che mi stringesse e mi coccolasse fino a sera. Quando lo vide, sgranò gli occhi. Ebbi solo un paio di secondi per illudermi che la sua fosse genuina meraviglia di fronte all'opera di un talento precoce. La vidi sbiancare mentre avvicinava il foglio al viso.
«Dove hai visto questa scena?» mi chiese.
«Ti piace?»
Serrò le labbra, in modo non molto dissimile dal disegno su cui teneva gli occhi incollati.
«Dove l'hai vista?» insisté.
Alzai le spalle. Non avevo alcuna idea della provenienza dell'immagine. Al tempo, non ero ancora a conoscenza del morbo che mi affliggeva, né avevo gli strumenti per interpretare il senso di ciò che mi accadeva.
Se dovessi individuare il momento esatto in cui la mia vita, la vita così come la conoscevo, si spezzò, fu esattamente quello.
Seguirono mesi fatti di lunghe conversazioni, reprimende, colloqui con psichiatri e psicologi (tanto avversati da mio padre quanto rivestiti della speranza di mia madre), insegnanti privati, viaggi in montagna e al mare, visite a musei ben selezionati, dove potessi ammirare le opere più prodigiose partorite dall’ingegno umano.
Non disegnai per alcuni anni. Niente colpiva la mia attenzione, niente stuzzicava la mia immaginazione. Il disegno che raffigurava mia madre fu quasi dimenticato, relegato nel pozzo degli orrori e delle aberrazioni infantili.
Poi conobbi Lavinia. Avevo tredici anni, una buona educazione e la nomea di piccolo saggio. Trascorrevo il mio tempo a leggere e a immaginare il passato. Del futuro non mi curavo: non è forse questo il vero privilegio della ricchezza?
Mi sentii morire. Il petto mi esplose, una vampata di calore mi travolse mentre Lavinia danzava in un teatro gremito. Ne studiai le movenze, l'eleganza del portamento, la delicatezza dei tratti, lo splendore biondo dei capelli. Mio padre conosceva il suo, e Lavinia diventò compagna dei miei pomeriggi. Io le chiedevo dettagli sulle tecniche di danza, su cosa si provasse a ballare; lei adorava sentirmi parlare di libri e di mondi lontani, di come una colonna o un muro possano raccontare la storia di una persona, a volte di un popolo intero.
Finché non tornai a disegnare. Il soggetto fu lei. E fu inevitabile. La sensazione fu quella di una forza improvvisa, violenta, che si impossessò del mio braccio. Di nuovo buio, come il pomeriggio del disegno che raffigurava mia madre. Quando tornai in me, ammirai i contorni del corpo di Lavinia, del volto, le tracce suadenti che la sua presenza lasciava impresse nello spazio e nell'aria.
Il mio cervello cercò di proteggermi, di rendermi imperscrutabile ciò che avevo fin troppo chiaro davanti agli occhi. Mentre osservavo il ritratto di Lavinia, provai una sotterranea sensazione di assenza. Constatai con orrore che quella che mi era parso parte del vestito fosse in realtà un osceno puzzle di filamenti di pelle, tessuti recisi, muscoli squarciati e sangue.
Osservai il disegno per un tempo indefinito. Fui riportato alla realtà dalle urla disperate di mio padre. Bestemmiava, lanciava vasi e bottiglie invocando il nome di mia madre. Tremante, mi avvicinai al salone da cui provenivano i rumori.
«Tu» disse mio padre con voce bassa e profonda quando mi vide, «come facevi a saperlo?»
Non capivo. O mi rifiutavo di farlo, perché non volevo credere che fosse successo. Fino a poche ore prima avevo quasi dimenticato il primo disegno, ma in quel momento, scosso dal ritratto di Lavinia, mi calò addosso il gelo.
«Dov'è mamma?» chiesi quasi senza voce, lasciando correre lo sguardo sulla devastazione del salotto.
Mio padre scoppiò in lacrime. Tra i singhiozzi, mi disse che era stata uccisa. Strangolata da un pazzo senza ragione apparente, così gli aveva raccontato la polizia.
Controllare tutte le emozioni che mi attanagliavano le viscere fu un'impresa titanica, ma dovevo sapere.
«Strangolata... come?»
La risposta fu quella che mi aspettavo. Urlai tanto da causarmi un malore. Mi ripresi molte ore dopo, con la speranza immarcescibile che si fosse trattato di un incubo.
Fatico ancora oggi, a distanza di vent'anni e di lancinanti tramestii interiori, a ripensare ai momenti che seguirono. Stendo un velo di oblio, per proteggere gli ultimi stralci di sanità che mi restano e per provare a lasciare una traccia della mia esistenza maledetta.
Mio padre rimase solo e ombroso. Trascorreva le serate chiuso nel suo studio. Talvolta lo sentivo bofonchiare parole misteriose, come se intrattenesse conversazioni in lingue ignote con interlocutori immaginari. Dalla mia camera, sentivo il portone aprirsi quasi ogni notte. In rare occasioni, uomini e donne dagli strani abiti e ancor più strani accenti mi hanno fatto visita. Mi osservavano come se fossi un animale estinto, uno scherzo della natura. Ho ricevuto monili, talismani, ciondoli, immagini votive, pietre stravaganti e ogni sorta di cimelio antico ed esotico.
Una sera qualsiasi, mentre leggevo un libro di Camus, seduto sul letto con le spalle poggiate sul cuscino, l'ombra si insinuò nella mia stanza. Mi sono nel tempo convinto che ci fosse sempre stata, ma che non avessi ancora sviluppato i sensi adatti per vederla.
Sedette alla mia scrivania, dove scarabocchiavo pensieri e studiavo. Non aveva gambe, né volto, né un corpo paragonabile a quello di un essere umano. Eppure, mi sembrò di cogliere un cenno, una specie di invito ad avvicinarmi. Provai un senso di sollievo, invece di paura. Se né psichiatri, né sacerdoti, né pittoreschi medium ed esperti dell'occulto avevano trovato in me tracce di qualcosa di malato o di sbagliato, forse era finalmente giunto il momento in cui avrei capito da dove provenissero le immagini nefaste che, privo di coscienza, avevo impresso su carta.
Andai verso l'ombra. Man mano che mi avvicinavo, mi accorgevo della sua reale consistenza, più simile a un denso vapore nero, vivo, scosso da spasmi improvvisi, venato da quelle che mi sembrarono escoriazioni rosso scuro.
Mi fermai quando stavo per entrare in contatto con lei, incerto sul da farsi. Nell'aria sentii odore di nebbia e di foglie morte. Percepii un nuovo cenno, un invito a proseguire. Incapace di provare paura, privato di ogni basilare istinto di sopravvivenza, sedetti sulla sedia. Occupai lo spazio già occupato dall'ombra, ma in realtà fu lei a occupare qualcosa. Fu come un'iniezione prolungata: un liquido caldo mi percorse le vene, impetuoso raggiunse il cuore che lo pompò a ogni estremità del mio corpo e al cervello. Fu quello il momento in cui si aprì un nuovo sguardo. Il mondo intorno a me cambiò, le luci si ingigantirono; lo stesso fece il buio. Ogni sfumatura di colore divenne nitida e riconoscibile. Ma la vera novità non era lo sguardo su ciò che mi circondava, ma quello su ciò che sarebbe stato, su spazi sconfinati e incontaminati, vallate ghermite dal fuoco e dominate dai lamenti, fosse di liquidi nerissimi, miasmi atroci, richiami imploranti, urla inumane.
Volai su luoghi impossibili, dalle geometrie che non potevano essere spiegate con le regole degli uomini. Vidi uomini impalati, donne martoriate con attizzatoi incandescenti, vecchi sgozzati, teste che rotolavano lungo brulli pendii, braccia ricucite al contrario, tavole sporche imbandite di pezzi di carne marcescente, insetti immondi che ronzavano e suggevano nutrimento, bestie brulicanti negli anfratti tenebrosi, negli angoli delle strade distrutte e abbandonate dalla luce.
Le immagini mi riempivano gli occhi e sentivo la testa sul punto di esplodere, eppure non riuscivo a chiudere gli occhi. Chiederei perdono a Dio se ci credessi, ma il morboso desiderio di scandagliare i limiti della decenza umana superava la resistenza di fronte all’impensabile e all’osceno.
Riuscii a chiudere gli occhi solo quando ogni nervo del mio corpo raggiunse un grado di tensione tale da non essere più sostenibile. Quando li riaprii, ero di nuovo sulla sedia, davanti alla scrivania. Su un foglio, era comparso dal nulla il disegno di un vecchio con la gola recisa in modo irregolare. I suoi occhi sgranati e ricolmi di sofferenza mi fissavano. Balzai in piedi per scovare l’ombra che mi aveva attirato e costretto al viaggio tra le agonie, ma non ce n’era più traccia.
Mi colpii la testa coi pugni, strinsi i denti per non urlare la mia frustrazione: cosa c’era in me di così sbagliato? Ero forse malato? Potevo essere pericoloso per l’incolumità di chi mi circondava? Mentre mi angustiavo, così com’era successo pochi anni prima fui raggiunto dalla voce di mio padre, che parlava al telefono col papà di Lavinia. Non ebbi bisogno di sentire i dettagli della conversazione. Furono sufficienti il tono di mio padre, la sua costernazione e incredulità.
Non potevo più restare lì. Non potevo rischiare di essere causa o facilitatore di avvenimenti tragici, sofferenze e morte di persone a me care. Misi in uno zaino qualche maglione, due spicci, dei fogli e una matita. Prima di uscire dalla finestra e lasciarmi per sempre alle spalle la casa della mia famiglia, lasciai un biglietto a mio padre, scusandomi per la mia esistenza.
Vagai per i bassifondi della città, alla ricerca di un luogo dove passare le notti gelide. Di giorno, abitavo le vie del centro, dove mi confondevo tra giocolieri e artisti di strada. Disegnavo oscenità e morte, riportando su foglio ciò che vedevo ogni volta in cui l’ombra mi faceva visita. Le persone che mi circondavano, quelle di cui arrivavo a conoscere almeno il nome, man mano si spegnevano o pativano sofferenze che i miei disegni prefiguravano. Capii che non ero io a causare tutto quel dolore: il mio dono infausto era di vedere prima ciò che sarebbe successo, di mettere su carta gli infiniti modi di soffrire che la vita pone dinanzi a tutti noi.
Al calare del buio, mi ritiravo nei quartieri più malfamati, sotto i ponti, sul limitare umido del fiume, tra rifiuti e deiezioni umane, immerso nel fetore e nei gemiti notturni di ubriachi e disperati. Fino a quando un uomo elegante, a pochi giorni dal Natale, notò i miei disegni in una via del centro e fu affascinato dalla mia capacità di delineare i confini dell’agonia umana, di immergermi nelle peggiori pieghe della sofferenza. Rimase sconvolto dalla mia giovane età e mi chiese cos’avessi vissuto per esprimere così tanto dolore.
Mi portò nella casa isolata in cui mi trovo adesso, dietro mia precisa richiesta. Mi fornì libri, cartoncini, tele, colori e ogni cosa potesse servirmi per non uscire più, per non dover stare a contatto con persone delle quali avrei presagito la morte o gli incidenti più terribili. Per qualche tempo, mi illusi che quella fosse una dimensione accettabile per uno come me. L’isolamento mi dava quiete. Non dovendo pensare a come sopravvivere, potei concentrarmi sull’unica cosa che, istintiva e arcaica, fluiva dal mio intelletto come un pus.
L’ombra mi faceva visita ogni sera, poco dopo il calare dell’oscurità. Ho imparato col tempo che ama la luce delle candele e del fuoco nel camino. Sgattaiola da sotto il tappeto, da dietro un quadro o attraverso le fessure, mi si avvicina o mi richiama, e io mi abbandono a lei, senza opporre resistenza. Accetto i voli negli abissi, le immonde creature che abitano i luoghi più profondi e segreti della psiche umana, le perversioni e le aberrazioni che si dipanano davanti al mio sguardo come un’oltraggiosa parata carnevalesca.
Acquisite le tecniche della pittura, iniziai a realizzare quadri ispirati alle mie visioni, le agonie così ambite e desiderate dai clienti di Caleb, il mio mecenate. Non ho mai firmato una tavola, e questo ha reso il mio lavoro ancora più oscuro e carico di mistero. L’uomo che mi aveva preso dalla strada mi raccontava che, in certi circoli e gallerie, non si faceva che parlare di me e delle mie opere.
Nonostante la mia peculiare situazione, sono dedito alle debolezze tipiche degli uomini, tra le quali torreggiano l’ego e la necessità di riconoscimento. Ho resistito a lungo, per via del timore che la mia decisione potesse comportare rischi. Fino a questa mattina, quando ho chiesto a Caleb di condurmi a una delle mostre che espongono i miei dipinti.
Che sorpresa mista a brividi quando ho letto il cartellone affisso all’ingresso del palazzo:  Il pittore di agonie. Un collage di immagini prese dalle mie visioni coronava i caratteri rossi, della foggia di macchie di sangue che colavano. Una pantomima di stereotipi dell’horror nella sua forma più mediocre.
Sono entrato per confondermi tra la folla e ascoltare le opinioni e i commenti dei visitatori. A un tratto, devo essere caduto vittima di una specie di amnesia, e quando ho riaperto gli occhi, circondato da persone spaventate e sospettose, stringevo tra le mani il disegno raffigurante il mio mecenate decapitato. Accanto al corpo, c’era un uomo con le mie fattezze. Tra le mani stringeva un’accetta.
Sono corso via, cercando Caleb tra la folla di persone che mi indicavano. Qualcuno ha urlato: «Deve essere lui! È sicuramente lui! Il pittore di agonie.»
Se anche quel disegno, che ora è qui sulla scrivania e mi occhieggia sinistramente, è premonitore di qualcosa, significa che mi macchierò di un orrendo delitto. Non so se un uomo ha la forza e la possibilità di determinare il proprio destino. Devo però almeno provarci. Conosco soltanto un modo per farlo, ed è per questo che ho dipinto me stesso penzolante da un cappio, le braccia molli lungo i fianchi, il capo chinato nella postura della morte.
Il cappio è lì nell’angolo della stanza, tra la poltrona e la catasta di legna. Devo essere risoluto come la notte in cui ho lasciato la casa di mio padre. Sento il rumore dei passi sul sentiero di accesso. Potrebbe essere Caleb, e potrebbe avverarsi l’ultima profezia dell’ombra.
È già buio. Qualche istante fa, dal camino mi è parso fuoriuscire uno sbuffo di nebbia scura. Ma forse è solo fumo prodotto dalla legna umida.
Qualcuno ha bussato alla porta. Sento la voce di Caleb chiamare il mio nome.
Mi volto per accertarmi che l’ombra non sia ancora arrivata. I miei occhi si posano sull’accetta. È appesa accanto al camino. Le fiamme si riflettono sul metallo, in una danza sinuosa e ipnotica.

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Cerusico ha scritto:

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Carta 1 - L'Ombra: il lato oscuro, il persecutore, il contrasto


La prima volta in cui vidi l’ombra avevo sedici anni e una vita già sconquassata da quelle che le persone felici chiamano arte.
(Un classico incipit cerusichiano, dove l'arte è solo un mezzo per poter far schif... sprecare l'esistenza in attesa della morte.)
Mentre scrivo queste pagine, con una grafia incerta e spezzata dal terrore di ciò che sta per accadere, il cielo che intravedo dalla finestra è trafitto dalle stelle. (Toglierei "queste" perché mi suona sempre male, e pure "di ciò che sta per accadere". potrebbe essere riformulata come frase, suonerebbe meglio. Dlin dlon!"
Il cielo solo dalla finestra lo intravedi... a meno che non stai in giardino o davanti alla porta.)

«Dove l'hai vista?» insisté. (Insistette?)
Alzai le spalle. Non avevo alcuna idea della provenienza dell'immagine. Al tempo, non ero ancora a conoscenza del morbo che mi affliggeva, né avevo gli strumenti per interpretare il senso di ciò che mi accadeva. (Sto "ciò che mi" stona, riformula la frase.)

Seguirono mesi fatti di lunghe conversazioni, reprimende, colloqui con psichiatri e psicologi (addirittura? per un disegno?... vabbè, meglio prevenire) 
Del futuro non mi curavo: non è forse questo il vero privilegio della ricchezza? (già)
A parte i "ciò" che a mio gusto non vanno, per il resto nulla da segnalare.
Un racconto con uno stile antico, tra Poe e Lovecraft, e lo stesso vale per gli elementi utilizzati. La forse follia del pittore, profezie che si avverano, teatri, presenze, ombre rivelatrici. Atmosfere fumose da Ottocento.
Molto bella la parte del viaggio nel mondo delle disgrazie umane, poi quella nei bassifondi cittadini che poi sono i bassifondi dell'anima, lì ti sei lasciato andare con le visioni e l'onirico.
Poi la presenza di Caleb come mecenate che insieme ai quadri in qualche modo raccoglie anche i pensieri contorti del protagonista e li assembla in una certezza da cui non si può sfuggire più.
Impugnare l'accetta è metafora di accettazione del proprio destino oscuro.
Insomma, un po' antico come racconto, ma in un'atmosfera da notte di Halloween può funzionare.
Divoratore di mondi

Scrivo cose: amzn.to/3i6ILsS

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Cerusico ha scritto: Trascorrevo il mio tempo a leggere e a immaginare il passato delle persone
Meglio specificare, ti consiglio.
Cerusico ha scritto: Una sera qualsiasi, mentre leggevo un libro di Camus, seduto sul letto con le spalle poggiate sul cuscino, l'ombra si insinuò nella mia stanza. Mi sono nel tempo convinto che ci fosse sempre stata, ma che non avessi ancora sviluppato i sensi adatti per vederla.
Un intelligente escamotage per presentare la vera protagonista del tuo racconto: l'Ombra.
Cerusico ha scritto: Andai verso l'ombra. Man mano che mi avvicinavo, mi accorgevo della sua reale consistenza, più simile a un denso vapore nero, vivo, scosso da spasmi improvvisi, venato da quelle che mi sembrarono escoriazioni rosso scuro.
Anche per la sua descrizione: chapeau.
Cerusico ha scritto: Occupai lo spazio già occupato dall'ombra, ma in realtà fu lei a occupare qualcosa. Fu come un'iniezione prolungata: un liquido caldo mi percorse le vene, impetuoso raggiunse il cuore che lo pompò a ogni estremità del mio corpo e al cervello. Fu quello il momento in cui si aprì un nuovo sguardo. Il mondo intorno a me cambiò, le luci si ingigantirono; lo stesso fece il buio. Ogni sfumatura di colore divenne nitida e riconoscibile. Ma la vera novità non era lo sguardo su ciò che mi circondava, ma quello su ciò che sarebbe stato, su spazi sconfinati e incontaminati, vallate ghermite dal fuoco e dominate dai lamenti, fosse di liquidi nerissimi, miasmi atroci, richiami imploranti, urla inumane.
Qui fai entrare il lettore nel climax dell'horror. Perché non dai la maiuscola alla protagonista?
Cerusico ha scritto: Mi fornì libri, cartoncini, tele, colori e ogni cosa potesse servirmi per non uscire più, per non dover stare a contatto con persone delle quali avrei presagito la morte o gli incidenti più terribili. Per qualche tempo, mi illusi che quella fosse una dimensione accettabile per uno come me. L’isolamento mi dava quiete. Non dovendo pensare a come sopravvivere, potei concentrarmi sull’unica cosa che, istintiva e arcaica, fluiva dal mio intelletto come un pus.
Cioè, lui prefigura l'agonia delle persone ma, nel rifugio del suo mecenate, almeno si risparmia di soffrire per loro avendole conosciute? Ben congegnato!


Che dirti del finale che hai escogitato? Che sei stato grande, D'altronde, tu sei nella categoria degli scrittori super di questo forum e di quello precedente.  :super:@Cerusico 

:cerusico:   :indicare:  Ecco un grande scrittore: per ogni genere! L'opposto dello schifo: il capolavoro.  :rebrilla:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Ciao @Cerusico
Mi è piaciuta l'atmosfera del racconto,  l'ho trovato suggestivo e coinvolgente. 
Ti segnalo solo quello che ho sentito come una parte debole del testo:
Cerusico ha scritto: Constatai con orrore che quella che mi era parso parte del vestito fosse in realtà un osceno puzzle di filamenti di pelle, tessuti recisi, muscoli squarciati e sangue.
Osservai il disegno per un tempo indefinito. Fui riportato alla realtà dalle urla disperate di mio padre. Bestemmiava, lanciava vasi e bottiglie invocando il nome di mia madre. Tremante, mi avvicinai al salone da cui provenivano i rumori.
«Tu» disse mio padre con voce bassa e profonda quando mi vide, «come facevi a saperlo?»
Non capivo. O mi rifiutavo di farlo, perché non volevo credere che fosse successo. Fino a poche ore prima avevo quasi dimenticato il primo disegno, ma in quel momento, scosso dal ritratto di Lavinia, mi calò addosso il gelo.
«Dov'è mamma?» chiesi quasi senza voce, lasciando correre lo sguardo sulla devastazione del salotto.
Mio padre scoppiò in lacrime. Tra i singhiozzi, mi disse che era stata uccisa. Strangolata da un pazzo senza ragione apparente, così gli aveva raccontato la polizia.
Il protagonista ha appena disegnato l'agonia di Lavinia e proprio in quel momento sente il padre imprecare e lanciare oggetti in salotto. Quindi sempre il protagonista collega il disegno di Lavinia a quello della madre e chiede notizia di lei al padre, il quale gli dice che è stata uccisa. Questo gli è stato raccontato dalla polizia, ma quando? A me sembra una coincidenza un po' forzata, quasi ad uso del lettore. Capisco il collegamento mentale che fa il protagonista tra i due disegni, però a posteriori. Mi sembra strano che tutto avvenga proprio in quel momento. Può essere che questo sia dovuto a un potere magico dei disegni (leggendo avevo infatti pensato che lui prevedesse il futuro, ma in realtà non è così, lui provoca le agonie per averle disegnate...) ma a me è parso un passaggio troppo forzato.
A parte questo dettaglio, il racconto mi è piaciuto. Belle descrizioni.
Ciao!

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Cerusico ha scritto: La prima volta in cui vidi l’ombra avevo sedici anni e una vita già sconquassata da quelle che le persone felici chiamano arte.
Ehilà Cerusico! È la prima volta che ti leggo e devo farti subito i complimenti per l'incipit fenomenale. Cattura subito l'attenzione del lettore. Hai, da subito, saputo caratterizzare in modo efficacissimo un giovane artista dall'animo tormentato e inquieto. Bravo!
Cerusico ha scritto: Avevo tredici anni, una buona educazione e la nomea di piccolo saggio.
Anche qui, in una sola breve hai caratterizzato benissimo il protagonista sedicenne nella sua pacatezza da bravo ragazzo, magari un po' secchione. Te la invidio un po' questa capacità :D
Cerusico ha scritto: Nonostante la mia peculiare situazione, sono dedito alle debolezze tipiche degli uomini, tra le quali torreggiano l’ego e la necessità di riconoscimento. Ho resistito a lungo, per via del timore che la mia decisione potesse comportare rischi. Fino a questa mattina
Ecco, qui hai saputo farmi provare molta pena per il tuo personaggio. Di fatto ha il dono oscuro di prevedere le disgrazie e le morti di chiunque venga a contatto con lui. Per questo si autocondanna a una vita di solitudine e tristezza. E poi, l'unica volta in cui cede e presenzia a una sua mostra succede l'irreparabile. Un destino segnato, insomma. Bravo per aver, come al solito, riassunto tutto in modo molto efficace.
Cerusico ha scritto: Un collage di immagini prese dalle mie visioni coronava i caratteri rossi, della foggia di macchie di sangue che colavano.
Qui ho sorriso. Hai saputo farmi percepire tutto il disprezzo che il ragazzo prova per la promozione ecessivamente commerciale e trash delle sue opere. 
Cerusico ha scritto: I miei occhi si posano sull’accetta. È appesa accanto al camino. Le fiamme si riflettono sul metallo, in una danza sinuosa e ipnotica.
E questo è un finale perfetto, non poteva essere altrimenti. 
Tu sei uno scrittore fatto e finito e, per quanto mi riguarda, posso solo ammirare la tua bravura e dirti grazie per questo splendido racconto. Una trama assolutamente complessa e non banale e uno svolgimento di altissima qualità. Vorrei averti segnalato almeno un refuso ma non ne ho trovato neanche uno. Grazie davvero!

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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E bravo @Cerusico, mi è mancato leggere i tuoi racconti! Sempre eccellente! 
Un viaggio onirico e malinconico, in stile Lovecraft o King dei primi racconti... Questo è uno di quei testi che mentre li leggo vorrei aver scritto io, per il gusto di scegliere io come chiuderli... magari ripasso più in là per lasciarti qualche impressione più precisa, ma per ora penso basti questo a farti capire quanto mi è piaciuto.  :D

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Ciao @Cerusico
bel racconto, strutturato, rispecchia la traccia della carta e il genere horror.
Le descrizioni sono accurate, mi sono immersa nella graduale angosciata scoperta del ragazzo, forse in diversi punti avrei preferito meno spiegone e più sensazioni con ritmo serrato.
Cerusico ha scritto: Osservai il disegno per un tempo indefinito. Fui riportato alla realtà dalle urla disperate di mio padre
Secondo me non dovevi collegare i due avvenimenti, è troppo forzato.


Io ho interpretato che i suoi disegni sono i piani che l'ombra poi mette a segno tramite la sua persona, mi confermi?

Letto molto volentieri 
<3

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Wow! Mi verrebbe da arrotolare il mio misero racconto (sempre che si possa arrotolare un file) e bruciarlo, dopo aver letto il tuo. 
Dire che è bello e ben scritto è riduttivo. L'atmosfera e il linguaggio curato mi hanno ricordato con prepotenza i racconti di Poe. In più ha una sua originalità nella trama e nell'analisi psicologica del protagonista.
Ci sono solo due o tre frasi che ti avrei segnalato per migliorarle, ma a questo punto mi sembrerebbe quasi di criticare la Gioconda perché ha la fronte un po' alta, o perché le mancano le sopracciglia...
Davvero un ottimo racconto. Bravissimo!
(ora vado mestamente a capire come si fa a bruciare un file :lol: )
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Come li sai scegliere tu i titoli, nessuno mai :lol:
Se dovessi fare le pulci, ci sono davvero troppi mi-me-mio-mia, anche per la confessione di un autocommiserante tragico eroe della propria vita sventurata, e pure i questo/quello/ciò abbondano.
Ma le pulci non servono: il racconto è delizioso, a partire dal linguaggio lirico-tragico di questo povero sventurato (delle sventure altrui). Se ho ben capito, un nuovo disegno nasce solo quando la vittima del precedente muore realizzando la visione.
Bella idea questo Dorian Grey empatico che dissemina ritratti delle morti altrui.
Ho letto compunta e solidale, ma un dubbio m'arrovella: non sarebbe stato più sicuro, come metodo, suicidarsi direttamente, invece di disegnare il proprio suicidio lasciando la decisione e la responsabilità all'ombra o al destino o a chi so io? Secondo me questo pittore non ce la conta giusta, sotto sotto questa vita a disseminare morti non gli dispiace poi così tanto :asd:
Bello, mi mancavano i tuoi tragiracconti!
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Allora, innanzitutto: :cerusico: 

@Cerusico  Secondo me questo racconto è molto valido! Sei in forma e si vede. Stile, voce del protagonista-narratore, trama, cornice narrativa funzionano già in questa stesura. Ho rivisto i bei tempi de Il coperchio, che non a caso ha raggiunto altri lidi rispetto a un contest su un forum per aspiranti scrittori.
Spero ciò ti basti come commento sui lati positivi, altrimenti rileggi queste frasi un numero di volte a piacere.

Ci sono pochi aspetti, se vogliamo di "livello avanzato", che potrebbero meritare una revisione.


Dell'incipit mi ha colpito la locuzione "cielo trafitto dalle stelle", mi ha dato trasmesso la sensazione di tensione avvertita dal narratore anche in una situazione all'apparenza distesa. Poi però, con la connotazione di rifugio sicuro che hai dato alla "casa isolata", ho percepito che la situazione non fosse affatto tesa, e l'aggettivo "trafitto" mi è parso fuori luogo. Ancora dopo, giunto a fine racconto, viene svelato che lì nella casa c'è davvero motivo per essere tesi. Quindi forse il trucco per rafforzare la cornice sarebbe proprio quella di accentuare lo stato di tensione anche dall'inizio, senza particolari fuochi d'artificio – hai le risorse per aggiungere quella pennellata che da sola serve allo scopo. Il protagonista deve essere percepito dal lettore come non al sicuro già in partenza.
Il passaggio, cruciale per la storia, del secondo disegno credo che abbia due caratteristiche che lo infiacchiscono – tanto da aver fuorviato più di un lettore, a quanto vedo. La prima, macroscopica, è non veicolare bene il rapporto di consequenzialità fra disegno, evento previsto e disegno successivo: mi sembra di aver capito che nessun nuovo disegno o quadro possa nascere se prima non si è compiuta la disgrazia profetizzata dal precedente. Invece, così come è messa, si percepisce piuttosto una coincidenza forzata. La seconda è il trasporto con cui il narratore parla di Lavinia, introdotta come se fosse un personaggio influente nella vicenda – cosa che non è. Sarebbe meglio, a mio avviso, far parlare il protagonista di lei in modo più pacato e contemplativo, il tono che mantiene per tutto il resto del racconto, confinandola al ruolo che ha avuto, ossia quello di catalizzatore.
Infine, darei più spazio al momento della mostra, perché è da lì che prende vita il finale. Ho avuto la sensazione di un "avanti veloce" premuto, e seppure così la narrazione funziona, ritengo che qualche dettaglio di quanto accade alla mostra possa far esprimere il finale con maggiore potenza.

Per chiudere, mi uniformo al commento standard di questi contest:
ottimo racconto, mi è piaciuto!
Oppure, parafrasando un fu-commentatore sgangherato ora probabilmente dietro le sbarre:
infine posso oniricamente affermare che il racconto mi è molto piaciuto.

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Buonasera @Cerusico  
Ecco il mio ultimo commento in questo contest, dedicato al tuo racconto: il mio preferito.

Premetto che a fine lettura ho avuto una reminescenza di una lettura giovanile. Insistentemente mi tornava alla mente il racconto Erostrato, contenuto nella raccolta Il Muro di  Jean-Paul Sartre.
Racconto che non ha nulla, nella trama, in cumune con il tuo. Per diversi giorni non ho fatto che pensarci, oggi ho riletto Pittore di agonie e finalmente ho capito.
Erostrato è l'esatto contrario del tuo personaggio, e la cosa che mi ha stupito di più è stata la totale mancanza di consapevolezza del tuo protagonista. consapevolezza del potere acqusito dall'ombra, intendo, lui lo rifiutera alla fine? o ucciderà il suo mentore?
Erostrato, alla fine, realizza solo per metà il suo progetto, fermato dall'istinto di conservazione, non lo porta a compimento. Il pittore di agonie, invece, sento che lo farà.

Giusto due cose te le dico, vedi tu se possono esserti utili:
Cerusico ha scritto: Volai su luoghi impossibili, dalle geometrie che non potevano essere spiegate con le regole degli uomini. Vidi uomini impalati, donne martoriate con attizzatoi incandescenti, vecchi sgozzati, teste che rotolavano lungo brulli pendii, braccia ricucite al contrario, tavole sporche imbandite di pezzi di carne marcescente, insetti immondi che ronzavano e suggevano nutrimento, bestie brulicanti negli anfratti tenebrosi, negli angoli delle strade distrutte e abbandonate dalla luce.
Volare e vedere panorami cosi dettagliati da scorgere insetti o anfratti è troppo inverosimile. Volare come un drone o sorvolare ogni angolo come una mosca? io toglierei il verbo volare; camminai, camminai mi sembra più idoneo alle immagini che vede. È un viaggio in mondo paralleo o qualcosa di simile, si potrà andarci anche camminando?

Cerusico ha scritto: Le persone che mi circondavano, quelle di cui arrivavo a conoscere almeno il nome, man mano si spegnevano o pativano sofferenze che i miei disegni prefiguravano. Capii che non ero io a causare tutto quel dolore: il mio dono infausto era di vedere prima ciò che sarebbe successo, di mettere su carta gli infiniti modi di soffrire che la vita pone
Questa parte è ambigua, Non è lui che causa le morti e le sofferenze, ma perché tutti quelli che lui arriva a conoscere sono praticamente spacciati?
L'aggiusterei un pò: dici che tutti quelli che lui conosce in un modo o nell'altro muoiono a breve. Poi dici: Capii che non ero io a causare tutto quel dolore: il mio dono infausto era di vedere prima ciò che sarebbe successoe. Messa così sembra che il fatto che la gente che conosce muore sia  il motivo per il quale arriva alla conclusione che non è colpa del suo dono infausto. Secondo me non basta per scagionarsi.

Ok, ho finito, passiamo alle cose positive.
Il racconto è scritto molo bene, mi ricordo ai tempi del WD, i tuoi racconti erano sempre cesellati di fino. La trama mi ha intrigato molto, la lettura  mi ha preso immediatamente, fin dal cielo trafitto di stelle. I fatti si srotolano, sono coerenti e non si trovano inciampi. Il lessico è appropriato al tema, le frasi misurate hanno mantenuto la mia attenzione vigile fino alla fine.
Bene, ora vado nella stanza delle votazioni, ci vediamo lì tra dieci minuti. 

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Facile e comprensibile da parte mia, arrivato a questo punto, approcciarmi al racconto con la convinzione – neppure più il timore – che la sola agonia raffigurata fosse quella di uno sventurato lettore, dipinta davanti ai suoi occhi con sapiente e sadica lentezza, parola dopo parola.
Di parole ce ne sono tante, in effetti. Di lentezza, poi, il testo non fa certo economia, fatta eccezione per alcuni passaggi in cui l'autore, resosi conto dell'incipiente senso di addormentamento indotto dalla sua stessa voce, deve aver scelto di glissare per dare a se stesso una sferzata, producendo come risultato porzioni di tela incompiute dove affiora il disegno guida sottostante.
Eppure, nel senso di disappunto e insoddisfazione suscitato in me al cospetto di questo falò, il racconto del pittore di agonie spicca per buona riuscita. Per l'autore può essere senz'altro motivo di orgoglio riuscire a primeggiare dove la qualità scarseggia.

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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ciao @Cerusico 

Mi è capitato spesso di leggere racconti dove il protagonista scrive di se stesso essendo un "malato mentale". Ogni volta però mi trovo a dover constatare che mi trovo in presenza di un pazzo che pazzo non è, perché un pazzo non può capire se stesso: vive una vita di follia. Mi spiego: generalmente è uno specialista che ti può dare questa appartenenza. Non può essere mai  che è lo stesso pazzo a vedersi tale. Hai mai provato a chiedere a un pazzo se si sente normale?  Il racconto è molto avvincente; con la giusta dose di "schifezze orrende e grondanti di sangue".  Cosa non mi ha convinto? I pazzi non si suicidano per fare un favore a qualcuno, ma per farselo a loro stessi. A mio parere, avresti dovuto pensare meglio al finale e sostituirlo con qualcosa di meno scontato. Io lo avrei visto finire come un "Dio",  con la consapevolezza "folle" di dare la morte attraverso il suo "dipinto di morte". Ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [H2022R] Il pittore di agonie

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Ciao @Cerusico 

Il racconto è ben scritto, ovvero coerente nella forma a ciò che appare essere: una storia sul soprannaturale di gusto romantico tardo Ottocentesco.
Quindi raccontata con un trattamento linguistico che la assimila a un racconto di E. A. Poe, di Mary Shelley o Bram Stoker.
Questo è positivo se l'obiettivo che ci si prefiggeva nello scriverlo fosse tale, diviene altrimenti un limite se la cosa non fosse voluta.
In quest'ottica il racconto si accetta come un esercizio di stile e se ne gode pacificamente la lettura.
Se di horror si deve trattare, possiamo dire che è quello di genere "Grand Guignol", che per l'appunto andava per la maggiore nel ardo Ottocento.

Complimenti e a rileggerci.
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