[Lab 18] Pedro
Posted: Sun Nov 30, 2025 5:49 pm
Sul tavolo malamente apparecchiato aleggia l‘odore del brodino di dado.
Il piccolo tsunami causato dal cucchiaio rimescola le sorpresine e coaguli di grana.
Ci pensa da un po’, mentre il liquido unto e tiepido gli fodera la gola.
Ci pensa da quando Gigliola gli ha comunicato che con lui vuole una relazione poliamorosa, dato che comunque lei, la coppia, l’aveva già aperta a sua insaputa e da parecchio tempo. Pedro pensava di essere un banale cornuto, ma non poteva dirlo per non passare per antiquato davanti a tutti. Avrebbe preferito un onesto divorzio spargendo qualche goccia di sangue. Ma Gigliola no, lei era contraria per amore della “bambina” che a suo avviso aveva ancora diritto ad una famiglia unita.
Pedro alza gli occhi oltre il bordo del piatto, supera una distesa di briciole e si ferma sul frigo. La raccolta di calamite delle loro vacanze si aggrappa beffarda al metallo senza mollare nemmeno una foto dei loro viaggi e vacanze.
Passato, tutto passato.
In effetti, avrebbe potuto prepararsi anche un passato di verdure, ma era troppo lavoro.
Il piatto finisce in lavastoviglie, la mano pigra spazza le briciole dalla tovaglia al pavimento e il gatto si sdraia in mezzo al tavolo. Chissenefrega!
Ci pensa, mentre dalla finestra guarda i riflessi della luna sul lago di Caldonazzo a dicembre, ignorando l’albero di Natale dalle palline opache.
Ci pensa, mentre passa davanti alla stanza della “bambina” che molto fuoricorso studia scienze dell’alimentazione a Viterbo.
Ci pensa, mentre si lava i denti con lo spazzolino spelacchiato, che tanto non vale la pena prenderne uno nuovo.
Sua mamma gli diceva sempre che era un bambino speciale con il nome di un personaggio shakesperiano. È contento di non doverla guardare negli occhi, dopo una vita così insignificante passata dietro allo sportello delle poste a timbrare raccomandate.
L’unico moto di orgoglio era essere riuscito ad andare in pensione a 56 anni, grazie a sua mamma che a 14 anni lo aveva obbligato a lavorare con tanto di contributi per dare una mano in casa e costruirsi un avvenire. Aveva previsto un futuro di escursioni sulle vette per raccogliere il materiale per le sue cornici “artistiche” da vendere in estate sul lungolago poco frequentato. Ma dopo essersi incollato le dita con la pistola a caldo si era limitato a qualche passeggiata.
Era questo il suo unico sogno? Non era riuscito a desiderare niente di meglio per sé stesso?
Sotto gli effetti di una canna e di Bob Marley a sedici anni si era immaginato di andare in Giamaica a fare la bella vita in spiaggia. Ma, a parte quel guizzo, non era nemmeno stato capace di fantasticare di essere il direttore dell’ufficio postale di Fierozzo, frazione Plotzeri, giusto per vantarsi quando d’estate tornavano i suoi amici.
Non era fiero nemmeno di Lucinda, la “bambina”, che oltre ad essere fuori corso, era pure un’assillante saputella alla costante caccia dell’uomo della sua vita, che, come passatempo secondario, sperimentava su di lui delle improponibili diete frullate.
Ci pensa, mentre passa le dita sugli infissi di alluminio gelidi e umidi. Li avrebbe preferiti di legno, ma la moglie e il geometra lo avevano convinto che erano più pratici così. Tira le tende e va a letto.
Ci pensa, anche ora, sdraiato fra le lenzuola fredde in attesa del rientro della moglie poliamorosa.
La mattina dopo Gigliola si lascia alle spalle gli avanzi della colazione accompagnate da un “Pensaci tu, che tanto sei pensionato.”; l’aspetta la cassa del supermercato, suo territorio di caccia prediletto nella stagione turistica.
Ci pensa, mentre lascia tutto com’è, aggiungendo solo un foglietto “Faccio una gita, torno tardi.”
Portafoglio, chiavi della macchina, giaccone pesante, guanti, sciarpa e capellino: pronto per partire.
Il freddo gli morde il naso mentre sale in macchina.
Quaranta minuti dopo parcheggia la macchina e con le mani in tasca si avvia verso la funivia del Monte di Mezzocorona.
Mentre sale guarda la piana Rotaliana e ci pensa.
Arriva in cima giusto in tempo per mangiare alla locanda. Oggi si concede le guancette di maiale con le patate in padella e l’insalata di crauti, il tutto annaffiato da qualche bicchiere di pinot nero.
Ci pensa, e ordina il dolce: uno strudel accompagnato da una pallina di gelato alla vaniglia.
Ci pensa, e questo non gli impedisce di prendere anche l’amaro e scroccare una sigaretta al cameriere. Paga ed esce sulla veranda a fumare.
Ci pensa, e si sente davvero trasgressivo, soprattutto perché nemmeno si ricordava che le sigarette fossero così buone.
Infine, si avvia per il giro lungo che attraversa i boschi. Una passeggiata che lo porta fino al ponte tibetano, che lo ha sempre deluso con i suoi cavi di acciaio.
Prosegue il suo giro mentre all’imbrunire sale l’odore delle foglie marcescenti. Il sentiero spunta dal bosco che il cielo non è ancora nero.
Sullo skywalk che sporge sulla piana Rotaliana non c’è più nessuno.
Ci pensa, mentre si siede sulla panchina e si leva il giaccone.
Ci pensa, mentre si avvia verso la punta estrema e finalmente lo fa.
Scavalca la parete di vetro antisfondamento, rimane in equilibrio giusto il tempo per pensare che sì, quella era la scelta giusta: una caduta libera di diverse centinaia di metri senza rimbalzare sulle rocce.
Si inclina in avanti e inizia a cadere.
Gli sembra che la caduta sia troppo lenta, magari non muore sul colpo.
Forse dipende dal fatto che ha braccia e gambe allargate come una stella marina. Chiude gli arti per essere più aerodinamico, ma non gli sembra di acquistare velocità.
Non riesce a valutare quanto gli manchi prima dell’impatto col suolo, alza la testa e cerca di guardarsi alle spalle per vedere il tragitto percorso.
Risale, invece di cadere.
Forse è solo una sensazione.
Guarda verso il basso e luci del paese si avvicinano, alza la testa e si allontanano.
Deve essere un effetto premorte questa sensazione di volare.
Si pente di non essersi informato meglio.
Certo che così è ovvio che uno ci possa ripensare e desiderare non averlo mai fatto.
Probabilmente si è già schiantato da un bel po’, spiaccicato come una marmellata e il suo cervello crede di volare, però è anche vero che non gli è passata davanti agli occhi tutta la sua vita: sarà una fandonia anche quella.
A Pedro questa sensazione non dispiace e ne approfitta un po’. Sale, scende, fa qualche giravolta, capisce che è più facile cambiare direzione con le braccia. Prova anche la posizione da Superman e sfreccia così veloce che solo all’ultimo riesce ad evitare le punte degli alberi.
Senza giaccone sente freddo, ha lasciato su anche sciarpa, guanti e cappellino. Decide che finché c’è sangue nel cervello a pompare questa allucinazione, può anche immaginarsi di tornare su a prenderli, così da morire con la sensazione di calduccio.
Punta verso l’altro, supera volando la parete di vetro e atterra di fianco alla panchina. Perde l’equilibrio e sente un dolore molto realistico all’osso sacro. I sassolini gli bucano i palmi della mano quando ci si appoggia per alzarsi: tutto molto vero e doloroso.
Si riveste in fretta, ha paura che questa esperienza finisca prima di sentire il tanto agognato calduccio.
Di corsa scavalca ancora una volta la parete di vetro e si butta: in fondo la sensazione di volare gli piace.
Questa volta però rimane sospeso.
Decide di fare un giro di ricognizione, scende con le stesse spirali che lui attribuirebbe a un’aquila. Si sente elegante e potente.
Fa un piccolo giro attorno al campanile della chiesa, sorvola la fontana e si spaventa a morte, tanto da cadere sul selciato, quando sente una voce maschile che grida: “Basta vino! Vedo cristiani che volano!”
È un vecchio ubriacone che si rivolge a lui: “Ma stavi volando davvero?”
“No, no” mente Pedro “Hai visto male, stavo solo saltando per scaldarmi.”
“Meno male, perché mi sarebbe spiaciuto rinunciare al vino.” L’alito rancido investe Pedro.
“Hai una sigaretta?” gli chiede di rimando.
“Se mi offri un bicchiere di vino.”
Gli allunga una banconota da cinque euro “Mi puoi dare un pizzicotto, per favore.”
“Sono un ubriacone, non frocio.” Peccato, il pizzicotto sarebbe stata la conferma definitiva di essere vivo. E se ne va senza nemmeno lasciargli la tanto agognata sigaretta.
A piedi raggiunge la macchina.
Magari è questo che fa l’anima: abbandona il corpo e continua a fare quello che faceva prima. Pedro non ci crede più di tanto.
Le chiavi della macchina sono così fredde e concrete nella sua mano, così come il rombo della sua panda scassona: è tutto così normale, come se non fosse accaduto nulla.
“Puzzi di fumo.”
Gigliola è tornata prima di lui.
“E allora?” la fissa sfacciato.
“Libero di fare quello che vuoi.”
La verità è uno schiaffo che lo sveglia.
Se è in grado di volare, allora è libero di fare qualsiasi cosa: poteva volare anche fino in Giamaica.
Il piccolo tsunami causato dal cucchiaio rimescola le sorpresine e coaguli di grana.
Ci pensa da un po’, mentre il liquido unto e tiepido gli fodera la gola.
Ci pensa da quando Gigliola gli ha comunicato che con lui vuole una relazione poliamorosa, dato che comunque lei, la coppia, l’aveva già aperta a sua insaputa e da parecchio tempo. Pedro pensava di essere un banale cornuto, ma non poteva dirlo per non passare per antiquato davanti a tutti. Avrebbe preferito un onesto divorzio spargendo qualche goccia di sangue. Ma Gigliola no, lei era contraria per amore della “bambina” che a suo avviso aveva ancora diritto ad una famiglia unita.
Pedro alza gli occhi oltre il bordo del piatto, supera una distesa di briciole e si ferma sul frigo. La raccolta di calamite delle loro vacanze si aggrappa beffarda al metallo senza mollare nemmeno una foto dei loro viaggi e vacanze.
Passato, tutto passato.
In effetti, avrebbe potuto prepararsi anche un passato di verdure, ma era troppo lavoro.
Il piatto finisce in lavastoviglie, la mano pigra spazza le briciole dalla tovaglia al pavimento e il gatto si sdraia in mezzo al tavolo. Chissenefrega!
Ci pensa, mentre dalla finestra guarda i riflessi della luna sul lago di Caldonazzo a dicembre, ignorando l’albero di Natale dalle palline opache.
Ci pensa, mentre passa davanti alla stanza della “bambina” che molto fuoricorso studia scienze dell’alimentazione a Viterbo.
Ci pensa, mentre si lava i denti con lo spazzolino spelacchiato, che tanto non vale la pena prenderne uno nuovo.
Sua mamma gli diceva sempre che era un bambino speciale con il nome di un personaggio shakesperiano. È contento di non doverla guardare negli occhi, dopo una vita così insignificante passata dietro allo sportello delle poste a timbrare raccomandate.
L’unico moto di orgoglio era essere riuscito ad andare in pensione a 56 anni, grazie a sua mamma che a 14 anni lo aveva obbligato a lavorare con tanto di contributi per dare una mano in casa e costruirsi un avvenire. Aveva previsto un futuro di escursioni sulle vette per raccogliere il materiale per le sue cornici “artistiche” da vendere in estate sul lungolago poco frequentato. Ma dopo essersi incollato le dita con la pistola a caldo si era limitato a qualche passeggiata.
Era questo il suo unico sogno? Non era riuscito a desiderare niente di meglio per sé stesso?
Sotto gli effetti di una canna e di Bob Marley a sedici anni si era immaginato di andare in Giamaica a fare la bella vita in spiaggia. Ma, a parte quel guizzo, non era nemmeno stato capace di fantasticare di essere il direttore dell’ufficio postale di Fierozzo, frazione Plotzeri, giusto per vantarsi quando d’estate tornavano i suoi amici.
Non era fiero nemmeno di Lucinda, la “bambina”, che oltre ad essere fuori corso, era pure un’assillante saputella alla costante caccia dell’uomo della sua vita, che, come passatempo secondario, sperimentava su di lui delle improponibili diete frullate.
Ci pensa, mentre passa le dita sugli infissi di alluminio gelidi e umidi. Li avrebbe preferiti di legno, ma la moglie e il geometra lo avevano convinto che erano più pratici così. Tira le tende e va a letto.
Ci pensa, anche ora, sdraiato fra le lenzuola fredde in attesa del rientro della moglie poliamorosa.
La mattina dopo Gigliola si lascia alle spalle gli avanzi della colazione accompagnate da un “Pensaci tu, che tanto sei pensionato.”; l’aspetta la cassa del supermercato, suo territorio di caccia prediletto nella stagione turistica.
Ci pensa, mentre lascia tutto com’è, aggiungendo solo un foglietto “Faccio una gita, torno tardi.”
Portafoglio, chiavi della macchina, giaccone pesante, guanti, sciarpa e capellino: pronto per partire.
Il freddo gli morde il naso mentre sale in macchina.
Quaranta minuti dopo parcheggia la macchina e con le mani in tasca si avvia verso la funivia del Monte di Mezzocorona.
Mentre sale guarda la piana Rotaliana e ci pensa.
Arriva in cima giusto in tempo per mangiare alla locanda. Oggi si concede le guancette di maiale con le patate in padella e l’insalata di crauti, il tutto annaffiato da qualche bicchiere di pinot nero.
Ci pensa, e ordina il dolce: uno strudel accompagnato da una pallina di gelato alla vaniglia.
Ci pensa, e questo non gli impedisce di prendere anche l’amaro e scroccare una sigaretta al cameriere. Paga ed esce sulla veranda a fumare.
Ci pensa, e si sente davvero trasgressivo, soprattutto perché nemmeno si ricordava che le sigarette fossero così buone.
Infine, si avvia per il giro lungo che attraversa i boschi. Una passeggiata che lo porta fino al ponte tibetano, che lo ha sempre deluso con i suoi cavi di acciaio.
Prosegue il suo giro mentre all’imbrunire sale l’odore delle foglie marcescenti. Il sentiero spunta dal bosco che il cielo non è ancora nero.
Sullo skywalk che sporge sulla piana Rotaliana non c’è più nessuno.
Ci pensa, mentre si siede sulla panchina e si leva il giaccone.
Ci pensa, mentre si avvia verso la punta estrema e finalmente lo fa.
Scavalca la parete di vetro antisfondamento, rimane in equilibrio giusto il tempo per pensare che sì, quella era la scelta giusta: una caduta libera di diverse centinaia di metri senza rimbalzare sulle rocce.
Si inclina in avanti e inizia a cadere.
Gli sembra che la caduta sia troppo lenta, magari non muore sul colpo.
Forse dipende dal fatto che ha braccia e gambe allargate come una stella marina. Chiude gli arti per essere più aerodinamico, ma non gli sembra di acquistare velocità.
Non riesce a valutare quanto gli manchi prima dell’impatto col suolo, alza la testa e cerca di guardarsi alle spalle per vedere il tragitto percorso.
Risale, invece di cadere.
Forse è solo una sensazione.
Guarda verso il basso e luci del paese si avvicinano, alza la testa e si allontanano.
Deve essere un effetto premorte questa sensazione di volare.
Si pente di non essersi informato meglio.
Certo che così è ovvio che uno ci possa ripensare e desiderare non averlo mai fatto.
Probabilmente si è già schiantato da un bel po’, spiaccicato come una marmellata e il suo cervello crede di volare, però è anche vero che non gli è passata davanti agli occhi tutta la sua vita: sarà una fandonia anche quella.
A Pedro questa sensazione non dispiace e ne approfitta un po’. Sale, scende, fa qualche giravolta, capisce che è più facile cambiare direzione con le braccia. Prova anche la posizione da Superman e sfreccia così veloce che solo all’ultimo riesce ad evitare le punte degli alberi.
Senza giaccone sente freddo, ha lasciato su anche sciarpa, guanti e cappellino. Decide che finché c’è sangue nel cervello a pompare questa allucinazione, può anche immaginarsi di tornare su a prenderli, così da morire con la sensazione di calduccio.
Punta verso l’altro, supera volando la parete di vetro e atterra di fianco alla panchina. Perde l’equilibrio e sente un dolore molto realistico all’osso sacro. I sassolini gli bucano i palmi della mano quando ci si appoggia per alzarsi: tutto molto vero e doloroso.
Si riveste in fretta, ha paura che questa esperienza finisca prima di sentire il tanto agognato calduccio.
Di corsa scavalca ancora una volta la parete di vetro e si butta: in fondo la sensazione di volare gli piace.
Questa volta però rimane sospeso.
Decide di fare un giro di ricognizione, scende con le stesse spirali che lui attribuirebbe a un’aquila. Si sente elegante e potente.
Fa un piccolo giro attorno al campanile della chiesa, sorvola la fontana e si spaventa a morte, tanto da cadere sul selciato, quando sente una voce maschile che grida: “Basta vino! Vedo cristiani che volano!”
È un vecchio ubriacone che si rivolge a lui: “Ma stavi volando davvero?”
“No, no” mente Pedro “Hai visto male, stavo solo saltando per scaldarmi.”
“Meno male, perché mi sarebbe spiaciuto rinunciare al vino.” L’alito rancido investe Pedro.
“Hai una sigaretta?” gli chiede di rimando.
“Se mi offri un bicchiere di vino.”
Gli allunga una banconota da cinque euro “Mi puoi dare un pizzicotto, per favore.”
“Sono un ubriacone, non frocio.” Peccato, il pizzicotto sarebbe stata la conferma definitiva di essere vivo. E se ne va senza nemmeno lasciargli la tanto agognata sigaretta.
A piedi raggiunge la macchina.
Magari è questo che fa l’anima: abbandona il corpo e continua a fare quello che faceva prima. Pedro non ci crede più di tanto.
Le chiavi della macchina sono così fredde e concrete nella sua mano, così come il rombo della sua panda scassona: è tutto così normale, come se non fosse accaduto nulla.
“Puzzi di fumo.”
Gigliola è tornata prima di lui.
“E allora?” la fissa sfacciato.
“Libero di fare quello che vuoi.”
La verità è uno schiaffo che lo sveglia.
Se è in grado di volare, allora è libero di fare qualsiasi cosa: poteva volare anche fino in Giamaica.