Cristina si iscrisse al Liceo Artistico della vicina città, dove si sarebbe dovuta recare viaggiando con il treno locale. Suo padre si diede da fare per farle avere un abbonamento mensile con tanto di fotografia, il primo vero documento della sua vita, del quale era molto fiera e che esibiva con orgoglio al controllore. Le piaceva quel vecchio treno che aveva ancora i sedili di legno, come nei film in bianco e nero di una volta.
Il liceo era molto diverso dalle scuole medie, quasi tutti i suoi compagni erano nuovi. Un po’ la cosa le dispiaceva, ma ben presto si abituò a quella e ad altre novità.
Amava il disegno, anche se trovava un po’ noiosi tutti quegli esercizi preparatori per delineare la figura umana, le regole della prospettiva, delle ombre, ma capiva che erano necessari, non poteva pretendere di disegnare come quelli del quarto anno.
All’inizio del secondo anno le cose cominciarono ad andare meglio, aveva cominciato a disegnare oltre che a matita anche a carboncino e sanguigna, eccelleva in modellato e ornato, un po’ meno in disegno geometrico, con tutte quelle misure e assonometrie cavaliere che le facevano girare la testa. A dire il vero la testa le girava anche per un ragazzo, non della sua classe ma di quarta. Non gli aveva mai parlato, lo vedeva tutti i giorni arrivare con un motorino sgangherato, parcheggiare e poi andare a fare colazione in un bar vicino, sempre solo. Era di una bellezza rara, intensa, uno sguardo cupo, come se avesse la mente impegnata in pensieri profondi. Sapeva solo, perché aveva sentito qualcuno che lo chiamava, che il suo nome era Tiberio.
Un giorno avvenne che il professore di modellato non poté presentarsi alla lezione; a riferirlo in classe fu l’anziano preside e dietro di lui c’era Tiberio. Lo presentò come uno dei più promettenti allievi della scuola, prossimo al diploma ormai e sarebbe stato un ottimo supplente provvisorio per il modellato, che consisteva nel copiare un David a mezzo busto in gesso, posizionato su un tavolo al centro dell’aula.
Cristina nel vedere Tiberio davanti a lei si sentì avvampare tutta, le orecchie le fischiavano, non sentiva più le parole del preside. Per fortuna era seduta davanti al suo banco, altrimenti sarebbe svenuta, ne era certa.
─ Stai bene? ─ Cristina sollevò la testa e si vide davanti il viso di Tiberio che la guardava. Solo in quel momento si accorse che il preside se ne era andato.
─ Sì. Sì, sto bene.
Tiberio si avvicinò alla cattedra, senza però sedersi al posto del professore. I capelli neri e lunghi gli ricadevano in un ciuffo sulla fronte. Vestiva jeans a zampa d’elefante, una camicia bianca con le maniche rivoltate e un gilè nero damascato. In classe c’era un silenzio pieno di curiose aspettative. I maschi erano alquanto indifferenti, qualche ragazza strabuzzava gli occhi e si atteggiava per farsi notare. Tiberio appariva distaccato, ogni tanto le guance gli diventavano rosse sentendosi osservato, ma rimaneva serio.
─ Per prima cosa prendete un foglio del vostro album e fate esercizio di scioglimento della mano ─ disse senza guardare direttamente nessuno. Consisteva nel tracciare con inchiostro di china una lunga sequenza di linee che iniziavano dritte in alto per poi restringersi man mano che scendevano, modificarsi in rigonfiamenti e diramarsi assumendo varie forme, come di panneggi, dita spalancate, rami contorti e quant’altro, con le ombre che facevano risaltare le forme. La mano si scaldava, si snodava ed era pronta a danzare e volteggiare sopra un foglio per disegnare un soggetto a matita o carboncino.
─ Uffa professore! L’abbiamo fatto già ieri! ─ disse un ragazzo.
─ Primo, non sono professore e poi ieri era ieri. La mano devi scioglierla oggi per disegnare il David ─ rispose Tiberio muovendo la sua mano in aria con un sorriso divertito. Aveva un sorriso bellissimo, con un qualcosa di triste però. Quella tristezza non lo lasciava mai, Cristina lo aveva osservato altre volte, spiandolo di nascosto. Perché era triste? Tiberio si voltò nella sua direzione, il cuore di Cristina ebbe un sobbalzo che la spaventò. Si guardò intorno pensando che tutti avessero sentito, ma nessuno badava a lei.
─ E poi perché abbiamo solo un mezzo busto del David e non quello intero dove si vede tutto? ─ domandò malizioso un altro ragazzo e alcuni ridacchiarono pensando alla statua intera nuda.
─ Non decido io ─ disse Tiberio indifferente, indicando il mezzo busto. ─ C’è abbastanza da disegnare, questo basta. Cominciate a sciogliere la mano. Massimo mezzora. Abbiamo tre ore per disegnare il David.
Cristina cominciò il suo esercizio con la mano che le tremava. Tiberio stava appoggiato alla cattedra a mani conserte, aspettava solenne e silenzioso. Ogni tanto guardava verso Cristina, come di nascosto, distogliendo subito lo sguardo quando lei se ne accorgeva. Decisamente doveva essere molto timido. Però quanto era bello! Ma perché era così triste? E quando sorrideva perché sembrava soffrire ancora di più? Era così bello!
L’esercizio era quasi finito e si poteva cominciare a disegnare il mezzo busto del David. Dopo un po’ Tiberio girò per i banchi osservando i primi abbozzi, chinandosi a indicare qualcosa, consigliare una modifica. Quando arrivò a Cristina lei avvertì il calore della sua pelle, un leggero profumo, quasi si sentì mancare il fiato. Tiberio guardò a lungo il suo abbozzo e sorrise.
─ Tremi. Perché la mano ti trema? Hai fatto colazione?
─ Sì, a casa. Ho un po’ mal di testa, ma passa.
─ Il disegno assorbe molte energie. Prendi fiato. Non premere molto la matita sulla costruzione della figura. Dopo devi cancellare troppo e macchi il foglio. Perché usi la matita H? Quella va bene per il geometrico.
─ Oh sì, scusi. Cioè: scusa.
Tiberio prese l’astuccio di Cristina e trovò un mozzicone di matita ─ Ecco: La 4B va bene. La 6B era più morbida, però non ce l’hai.
Porse la matita a Cristina che nel prenderla toccò la mano di Tiberio. Era calda. Fu come ricevere una scossa elettrica, avvampò tutta, le girò la testa.
─ Ti senti bene? ─ chiese Tiberio. ─ Vuoi prendere un po’ d’aria?
─ No, davvero. Ora è passato.
─ È cotta! ─ disse una ragazza dietro di lei, facendo ridacchiare alcuni.
In quel momento suonò la ricreazione e tutti uscirono dalla classe. Cristina si diresse nel bagno femminile per lavarsi la faccia. Uscendo attraversò un largo corridoio dove in un angolo era posizionata la copia in gesso a dimensioni naturali del David. Cristina si appoggiò a una colonna guardando l’andirivieni di studenti, alcuni fumavano, altri ridevano o motteggiavano fra loro.
Vide Tiberio che parlava con altri ragazzi del quarto anno. Non sentiva cosa dicevano, ma il tono delle voci era concitato. Tiberio faceva segno di no con la testa, un ragazzo gli diede uno schiaffo, un altro una spinta. Lo inchiodarono in un angolo e gli parlarono a pochi centimetri dalla faccia, poi se ne andarono con un moto di stizza. Tiberio teneva una mano premuta sulla bocca, un’altra appoggiata a una gamba del David. Cristina era affranta. Avrebbe voluto correre da lui per chiedergli cosa era successo, ma sentiva di non averne il coraggio, non lo conosceva così bene. Oggi era stata la prima volta che gli aveva parlato, se così si poteva dire, eppure gli sembrava di conoscerlo da sempre. Quante volte aveva fatto in modo che si incontrassero all’entrata della scuola o nei corridoi del liceo, ma lui si era limitato a una fuggevole occhiata, a un lieve cenno del capo come saluto! Ora Cristina soffriva per come era stato trattato dai suoi compagni.
Tiberio si accorse che lei lo guardava, Cristina vide che sanguinava da un labbro. Non ebbe più remore e gli corse vicino porgendogli il suo fazzoletto.
─ Lo sporcherò ─ disse Tiberio con un mezzo sorriso sanguinante.
─ Non importa. Attento alla tua camicia.
Tiberio prese il fazzoletto e lo poggiò sul labbro chiudendo gli occhi. Cristina non gli staccava lo sguardo di dosso.
─ Perché ti hanno picchiato?
─ Oh, niente!
─ Come niente! Devi dirlo al preside!
─ Non c’è niente da dire.
─ Allora andrò io a dirlo!
─ No. Ti prego Cristina. No.
Cielo! Sapeva il suo nome! Il suo nome detto da lui! Tiberio l’aveva chiamata per nome! Una sensazione mai provata! Ma che dolore in quelle condizioni!
─ Dimmi perché ti hanno picchiato ─ pretese Cristina e si sentì adulta nel dirlo. Come se lui avesse da rendere conto a lei.
Tiberio scosse la testa. ─ Diciamo che non la penso come loro, ecco.
─ Cosa devi pensare?
In quel momento suonò la campanella di fine ricreazione.
Tornarono in aula e Cristina in seguito ricordò sempre quella mattina e la copia del David, un David che disegnò guardando Tiberio anche se il disegno uscì, a dire il vero, con parecchie imperfezioni. Ma non era quello il dramma.
Nei giorni seguenti ci furono assemblee di studenti, le prime alle quali Cristina dovette assistere e nelle quali le fu chiesto di partecipare da alcuni capi comitato e rappresentanti delle classi più anziane. Si trattava di parziali occupazioni della scuola e proteste in piazza, dove gli studenti si recavano in corteo. Cristina seguì gli altri, con la speranza di vedere Tiberio, ma vide solo i suoi compagni, quelli che lo avevano schiaffeggiato. Lui non c’era.
Era disperata. Chiese qualche informazione, buttandola nel discorso come una curiosità fra le altre. Si vociferava che Tiberio avesse abbandonato la scuola, non si sapeva il perché. Non lo vide più.
Nei giorni successivi alcuni professori e allievi del quarto e anche del terzo anno furono denunciati per atti sovversivi e possesso di droga. Era su tutti i giornali. Taluni professori non si presentarono più a scuola e anche alcuni studenti.
Cristina piangeva di nascosto. Forse anche Tiberio era coinvolto in queste storie di droga e atti sovversivi? Cosa voleva fare? La rivoluzione anche lui? Perché? Cosa gliene importava? Perché se ne era andato? Forse si trovava in galera e lei non lo sapeva, per quanto leggesse tutti i giorni il giornale che suo padre comprava e sfogliava placidamente a casa dopo il pranzo.
Cristina fece il terzo anno e poi il quarto. Quell’anno era di diploma. Partecipava attivamente alle assemblee, alle manifestazioni. Uno della sua classe, Claudio, rappresentante degli studenti, si era messo con lei pur senza chiederle di fidanzarsi. Ogni tanto cercava di darle un bacio, ma Cristina si ritraeva ridendo. Non sopportava la sua barba ispida e nera da francescano.
Claudio passava più tempo a fare assemblee e manifestazioni che in classe. La rivoluzione sembrava interessante per Cristina, e anche qualche sigaretta di hashish per vedere le cose diversamente, perché no? Che male c’era in fondo?
Quel giorno di maggio bisognava fare un’altra manifestazione di importanza mondiale: tutte le scuole della città dovevano recarsi in corteo davanti alle carceri cittadine perché avevano arrestato un professore di un altro istituto scoperto a organizzare festini in casa sua con studenti, studentesse e droghe che andavano oltre il fumo. Inaudito che l’avessero arrestato, non c’era più libertà dunque in questo paese, urlava Claudio arringando gli studenti dal megafono.
─ Cosa c’entra con la rivoluzione? ─ aveva chiesto Cristina.
─ Verrai con noi. È importante ─ aveva risposto Claudio.
Cristina si diresse in corteo con la sua scuola, che si unì agli studenti di altri istituti e tutti insieme marciarono cantando e urlando verso il carcere. Giunti davanti al piazzale trovarono uno schieramento di carabinieri. Gli studenti si fermarono, Claudio e gli altri capi incitavano dai megafoni ad andare avanti e non lasciarsi intimorire.
Da un altoparlante più potente una voce stentorea intimò loro di disperdersi, in quanto la manifestazione non era stata autorizzata.
Scoppiò un finimondo di urla, suoni laceranti di fischietti, trombette da stadio, barattoli e tamburi accompagnati dalle urla delle ragazze che facevano saltare i nervi. Sembrava che i carabinieri arretrassero, le ragazze si divertivano. Alcune scie bianche partirono da dietro i cordoni delle forze dell’ordine, frammiste a lunghi getti d’acqua degli idranti. Scoppiò il caos. I ragazzi cominciarono a correre a sbrancarsi, cadere, tossire, lacrimare, vomitare. Cristina si voltò per cercare Claudio, lo intravide che se la stava dando a gambe dopo aver buttato bandiera e megafono.
Cristina si trovò isolata, cercando di evitare il fumo che anche indirettamente la faceva lacrimare e tossire con il suo odore acre. Avrebbe voluto un fazzoletto da mettersi sulla bocca, ma non aveva più voluto fazzoletti da quella volta che lo aveva dato a Tiberio.
Cercava di allontanarsi correndo senza vedere dove andava, venendo urtata da ragazzi che scappavano a loro volta in tutte le direzioni, scivolando sulla strada bagnata. Cristina fu urtata e cadde battendo la fronte. Le sembrò di respirare meglio con la faccia a terra e non si mosse, tossendo debolmente e respirando a fatica. Si mise una mano in testa e la vide sporca di sangue. Non sentiva dolore, decise di aspettare che la situazione si calmasse. Era esausta. Chiuse gli occhi.
Dopo un po’ li riaprì; sentiva suoni ovattati in lontananza, come se fosse sorda. Urla, sirene. Vide gruppi di carabinieri che le passavano accanto di corsa ignorandola. Il cuore le batteva forte, decise di stare ferma, come per rendersi invisibile, ma a quanto pare non lo era. Un carabiniere si fermò, Cristina socchiuse gli occhi che le bruciavano, rossi di lacrime, vide i suoi scarponi neri, i pantaloni con le bande rosse chinarsi su di lei. Teneva gli occhi chiusi, non voleva mostrare segni di debolezza. Sentì una mano dentro un guanto di pelle che le scostava i capelli, toccava con delicatezza la ferita.
─ Non è possibile! ─ disse il carabiniere.
Cristina aprì gli occhi, urlò e svenne. Quando riprese i sensi si accorse di non essere nel punto in cui era caduta, ma sdraiata in uno dei sedili posteriori di una camionetta che emanava odore di gasolio e di cuoio. Un carabiniere le stava versando acqua in faccia da una borraccia. Quando si accorse che era ritornata in sé le sorrise.
─ Tiberio! Oh santo cielo! Oh santo cielo! ─ disse Cristina.
─ Tranquilla. Niente di grave. Non possiamo muoverci da qui, ma adesso viene un dottore, non è niente di grave. Tranquilla.
─ Ma tu…
─ Sì. Io.
─ Ma come… Come?
Tiberio sorrise. ─ Così ─ disse con un sorriso, aggiustandosi la bandoliera sulle spalle.
─ Ma perché hai lasciato la scuola?
─ La scuola mi piaceva. Non mi piacevano altre cose.
─ Quali?
Tiberio guardò fuori della camionetta. Lo sguardo era sempre lo stesso: triste, ora con una smorfia di insofferenza.
─ Tu non volevi partecipare a cose così, ora lo so ─ disse Cristina. ─ Eri sempre solo. Per quello eri triste.
─ Si vedeva così tanto?
─ Io lo vedevo. E mi dispiaceva.
─ Scusami se facevo finta di non vederti.
─ Non scusarti. Io ti capisco bene. ─ Cristina divenne rossa fino alle orecchie, non si stancava di guardare Tiberio. Il suo cuore diventava caldo e si scioglieva finalmente. Adesso era felice.
─ Come stai? ─ le chiese Tiberio mettendole ancora un po’ d’acqua sulla fronte.
─ Non sparire di nuovo, ti prego! Non sparire!
─ Non sparisco più, stai tranquilla. Sono in un battaglione mobile di carabinieri ausiliari, qui vicino. Ho scelto di fare il militare con loro e penso che non mi sposteranno fino a termine servizio. Verrò a trovarti. In borghese.
─ E poi?
─ E poi… Non lo so. Potrei continuare con loro, una vita tranquilla, sposarmi…
─ Oppure?
─ Oppure, finita la leva, andare in America. Una vita tranquilla, sposarmi…
─ Con chi?
─ Con chi un giorno mi diede questo.
Mise la mano in tasca ed estrasse un fazzoletto bianco accuratamente piegato come una reliquia. Lo mise nelle mani di Cristina che a sua volta strinse le sue mani chiudendo gli occhi. Li riaprì sentendo due labbra calde posarsi sulle sue.
Un carabiniere che passava si voltò e fece un fischio di approvazione. Tiberio, senza staccare le labbra da quelle di Cristina, si tolse il berretto per coprire la scena muovendolo al contempo e facendo cenno al collega di andare oltre.
Il liceo era molto diverso dalle scuole medie, quasi tutti i suoi compagni erano nuovi. Un po’ la cosa le dispiaceva, ma ben presto si abituò a quella e ad altre novità.
Amava il disegno, anche se trovava un po’ noiosi tutti quegli esercizi preparatori per delineare la figura umana, le regole della prospettiva, delle ombre, ma capiva che erano necessari, non poteva pretendere di disegnare come quelli del quarto anno.
All’inizio del secondo anno le cose cominciarono ad andare meglio, aveva cominciato a disegnare oltre che a matita anche a carboncino e sanguigna, eccelleva in modellato e ornato, un po’ meno in disegno geometrico, con tutte quelle misure e assonometrie cavaliere che le facevano girare la testa. A dire il vero la testa le girava anche per un ragazzo, non della sua classe ma di quarta. Non gli aveva mai parlato, lo vedeva tutti i giorni arrivare con un motorino sgangherato, parcheggiare e poi andare a fare colazione in un bar vicino, sempre solo. Era di una bellezza rara, intensa, uno sguardo cupo, come se avesse la mente impegnata in pensieri profondi. Sapeva solo, perché aveva sentito qualcuno che lo chiamava, che il suo nome era Tiberio.
Un giorno avvenne che il professore di modellato non poté presentarsi alla lezione; a riferirlo in classe fu l’anziano preside e dietro di lui c’era Tiberio. Lo presentò come uno dei più promettenti allievi della scuola, prossimo al diploma ormai e sarebbe stato un ottimo supplente provvisorio per il modellato, che consisteva nel copiare un David a mezzo busto in gesso, posizionato su un tavolo al centro dell’aula.
Cristina nel vedere Tiberio davanti a lei si sentì avvampare tutta, le orecchie le fischiavano, non sentiva più le parole del preside. Per fortuna era seduta davanti al suo banco, altrimenti sarebbe svenuta, ne era certa.
─ Stai bene? ─ Cristina sollevò la testa e si vide davanti il viso di Tiberio che la guardava. Solo in quel momento si accorse che il preside se ne era andato.
─ Sì. Sì, sto bene.
Tiberio si avvicinò alla cattedra, senza però sedersi al posto del professore. I capelli neri e lunghi gli ricadevano in un ciuffo sulla fronte. Vestiva jeans a zampa d’elefante, una camicia bianca con le maniche rivoltate e un gilè nero damascato. In classe c’era un silenzio pieno di curiose aspettative. I maschi erano alquanto indifferenti, qualche ragazza strabuzzava gli occhi e si atteggiava per farsi notare. Tiberio appariva distaccato, ogni tanto le guance gli diventavano rosse sentendosi osservato, ma rimaneva serio.
─ Per prima cosa prendete un foglio del vostro album e fate esercizio di scioglimento della mano ─ disse senza guardare direttamente nessuno. Consisteva nel tracciare con inchiostro di china una lunga sequenza di linee che iniziavano dritte in alto per poi restringersi man mano che scendevano, modificarsi in rigonfiamenti e diramarsi assumendo varie forme, come di panneggi, dita spalancate, rami contorti e quant’altro, con le ombre che facevano risaltare le forme. La mano si scaldava, si snodava ed era pronta a danzare e volteggiare sopra un foglio per disegnare un soggetto a matita o carboncino.
─ Uffa professore! L’abbiamo fatto già ieri! ─ disse un ragazzo.
─ Primo, non sono professore e poi ieri era ieri. La mano devi scioglierla oggi per disegnare il David ─ rispose Tiberio muovendo la sua mano in aria con un sorriso divertito. Aveva un sorriso bellissimo, con un qualcosa di triste però. Quella tristezza non lo lasciava mai, Cristina lo aveva osservato altre volte, spiandolo di nascosto. Perché era triste? Tiberio si voltò nella sua direzione, il cuore di Cristina ebbe un sobbalzo che la spaventò. Si guardò intorno pensando che tutti avessero sentito, ma nessuno badava a lei.
─ E poi perché abbiamo solo un mezzo busto del David e non quello intero dove si vede tutto? ─ domandò malizioso un altro ragazzo e alcuni ridacchiarono pensando alla statua intera nuda.
─ Non decido io ─ disse Tiberio indifferente, indicando il mezzo busto. ─ C’è abbastanza da disegnare, questo basta. Cominciate a sciogliere la mano. Massimo mezzora. Abbiamo tre ore per disegnare il David.
Cristina cominciò il suo esercizio con la mano che le tremava. Tiberio stava appoggiato alla cattedra a mani conserte, aspettava solenne e silenzioso. Ogni tanto guardava verso Cristina, come di nascosto, distogliendo subito lo sguardo quando lei se ne accorgeva. Decisamente doveva essere molto timido. Però quanto era bello! Ma perché era così triste? E quando sorrideva perché sembrava soffrire ancora di più? Era così bello!
L’esercizio era quasi finito e si poteva cominciare a disegnare il mezzo busto del David. Dopo un po’ Tiberio girò per i banchi osservando i primi abbozzi, chinandosi a indicare qualcosa, consigliare una modifica. Quando arrivò a Cristina lei avvertì il calore della sua pelle, un leggero profumo, quasi si sentì mancare il fiato. Tiberio guardò a lungo il suo abbozzo e sorrise.
─ Tremi. Perché la mano ti trema? Hai fatto colazione?
─ Sì, a casa. Ho un po’ mal di testa, ma passa.
─ Il disegno assorbe molte energie. Prendi fiato. Non premere molto la matita sulla costruzione della figura. Dopo devi cancellare troppo e macchi il foglio. Perché usi la matita H? Quella va bene per il geometrico.
─ Oh sì, scusi. Cioè: scusa.
Tiberio prese l’astuccio di Cristina e trovò un mozzicone di matita ─ Ecco: La 4B va bene. La 6B era più morbida, però non ce l’hai.
Porse la matita a Cristina che nel prenderla toccò la mano di Tiberio. Era calda. Fu come ricevere una scossa elettrica, avvampò tutta, le girò la testa.
─ Ti senti bene? ─ chiese Tiberio. ─ Vuoi prendere un po’ d’aria?
─ No, davvero. Ora è passato.
─ È cotta! ─ disse una ragazza dietro di lei, facendo ridacchiare alcuni.
In quel momento suonò la ricreazione e tutti uscirono dalla classe. Cristina si diresse nel bagno femminile per lavarsi la faccia. Uscendo attraversò un largo corridoio dove in un angolo era posizionata la copia in gesso a dimensioni naturali del David. Cristina si appoggiò a una colonna guardando l’andirivieni di studenti, alcuni fumavano, altri ridevano o motteggiavano fra loro.
Vide Tiberio che parlava con altri ragazzi del quarto anno. Non sentiva cosa dicevano, ma il tono delle voci era concitato. Tiberio faceva segno di no con la testa, un ragazzo gli diede uno schiaffo, un altro una spinta. Lo inchiodarono in un angolo e gli parlarono a pochi centimetri dalla faccia, poi se ne andarono con un moto di stizza. Tiberio teneva una mano premuta sulla bocca, un’altra appoggiata a una gamba del David. Cristina era affranta. Avrebbe voluto correre da lui per chiedergli cosa era successo, ma sentiva di non averne il coraggio, non lo conosceva così bene. Oggi era stata la prima volta che gli aveva parlato, se così si poteva dire, eppure gli sembrava di conoscerlo da sempre. Quante volte aveva fatto in modo che si incontrassero all’entrata della scuola o nei corridoi del liceo, ma lui si era limitato a una fuggevole occhiata, a un lieve cenno del capo come saluto! Ora Cristina soffriva per come era stato trattato dai suoi compagni.
Tiberio si accorse che lei lo guardava, Cristina vide che sanguinava da un labbro. Non ebbe più remore e gli corse vicino porgendogli il suo fazzoletto.
─ Lo sporcherò ─ disse Tiberio con un mezzo sorriso sanguinante.
─ Non importa. Attento alla tua camicia.
Tiberio prese il fazzoletto e lo poggiò sul labbro chiudendo gli occhi. Cristina non gli staccava lo sguardo di dosso.
─ Perché ti hanno picchiato?
─ Oh, niente!
─ Come niente! Devi dirlo al preside!
─ Non c’è niente da dire.
─ Allora andrò io a dirlo!
─ No. Ti prego Cristina. No.
Cielo! Sapeva il suo nome! Il suo nome detto da lui! Tiberio l’aveva chiamata per nome! Una sensazione mai provata! Ma che dolore in quelle condizioni!
─ Dimmi perché ti hanno picchiato ─ pretese Cristina e si sentì adulta nel dirlo. Come se lui avesse da rendere conto a lei.
Tiberio scosse la testa. ─ Diciamo che non la penso come loro, ecco.
─ Cosa devi pensare?
In quel momento suonò la campanella di fine ricreazione.
Tornarono in aula e Cristina in seguito ricordò sempre quella mattina e la copia del David, un David che disegnò guardando Tiberio anche se il disegno uscì, a dire il vero, con parecchie imperfezioni. Ma non era quello il dramma.
Nei giorni seguenti ci furono assemblee di studenti, le prime alle quali Cristina dovette assistere e nelle quali le fu chiesto di partecipare da alcuni capi comitato e rappresentanti delle classi più anziane. Si trattava di parziali occupazioni della scuola e proteste in piazza, dove gli studenti si recavano in corteo. Cristina seguì gli altri, con la speranza di vedere Tiberio, ma vide solo i suoi compagni, quelli che lo avevano schiaffeggiato. Lui non c’era.
Era disperata. Chiese qualche informazione, buttandola nel discorso come una curiosità fra le altre. Si vociferava che Tiberio avesse abbandonato la scuola, non si sapeva il perché. Non lo vide più.
Nei giorni successivi alcuni professori e allievi del quarto e anche del terzo anno furono denunciati per atti sovversivi e possesso di droga. Era su tutti i giornali. Taluni professori non si presentarono più a scuola e anche alcuni studenti.
Cristina piangeva di nascosto. Forse anche Tiberio era coinvolto in queste storie di droga e atti sovversivi? Cosa voleva fare? La rivoluzione anche lui? Perché? Cosa gliene importava? Perché se ne era andato? Forse si trovava in galera e lei non lo sapeva, per quanto leggesse tutti i giorni il giornale che suo padre comprava e sfogliava placidamente a casa dopo il pranzo.
Cristina fece il terzo anno e poi il quarto. Quell’anno era di diploma. Partecipava attivamente alle assemblee, alle manifestazioni. Uno della sua classe, Claudio, rappresentante degli studenti, si era messo con lei pur senza chiederle di fidanzarsi. Ogni tanto cercava di darle un bacio, ma Cristina si ritraeva ridendo. Non sopportava la sua barba ispida e nera da francescano.
Claudio passava più tempo a fare assemblee e manifestazioni che in classe. La rivoluzione sembrava interessante per Cristina, e anche qualche sigaretta di hashish per vedere le cose diversamente, perché no? Che male c’era in fondo?
Quel giorno di maggio bisognava fare un’altra manifestazione di importanza mondiale: tutte le scuole della città dovevano recarsi in corteo davanti alle carceri cittadine perché avevano arrestato un professore di un altro istituto scoperto a organizzare festini in casa sua con studenti, studentesse e droghe che andavano oltre il fumo. Inaudito che l’avessero arrestato, non c’era più libertà dunque in questo paese, urlava Claudio arringando gli studenti dal megafono.
─ Cosa c’entra con la rivoluzione? ─ aveva chiesto Cristina.
─ Verrai con noi. È importante ─ aveva risposto Claudio.
Cristina si diresse in corteo con la sua scuola, che si unì agli studenti di altri istituti e tutti insieme marciarono cantando e urlando verso il carcere. Giunti davanti al piazzale trovarono uno schieramento di carabinieri. Gli studenti si fermarono, Claudio e gli altri capi incitavano dai megafoni ad andare avanti e non lasciarsi intimorire.
Da un altoparlante più potente una voce stentorea intimò loro di disperdersi, in quanto la manifestazione non era stata autorizzata.
Scoppiò un finimondo di urla, suoni laceranti di fischietti, trombette da stadio, barattoli e tamburi accompagnati dalle urla delle ragazze che facevano saltare i nervi. Sembrava che i carabinieri arretrassero, le ragazze si divertivano. Alcune scie bianche partirono da dietro i cordoni delle forze dell’ordine, frammiste a lunghi getti d’acqua degli idranti. Scoppiò il caos. I ragazzi cominciarono a correre a sbrancarsi, cadere, tossire, lacrimare, vomitare. Cristina si voltò per cercare Claudio, lo intravide che se la stava dando a gambe dopo aver buttato bandiera e megafono.
Cristina si trovò isolata, cercando di evitare il fumo che anche indirettamente la faceva lacrimare e tossire con il suo odore acre. Avrebbe voluto un fazzoletto da mettersi sulla bocca, ma non aveva più voluto fazzoletti da quella volta che lo aveva dato a Tiberio.
Cercava di allontanarsi correndo senza vedere dove andava, venendo urtata da ragazzi che scappavano a loro volta in tutte le direzioni, scivolando sulla strada bagnata. Cristina fu urtata e cadde battendo la fronte. Le sembrò di respirare meglio con la faccia a terra e non si mosse, tossendo debolmente e respirando a fatica. Si mise una mano in testa e la vide sporca di sangue. Non sentiva dolore, decise di aspettare che la situazione si calmasse. Era esausta. Chiuse gli occhi.
Dopo un po’ li riaprì; sentiva suoni ovattati in lontananza, come se fosse sorda. Urla, sirene. Vide gruppi di carabinieri che le passavano accanto di corsa ignorandola. Il cuore le batteva forte, decise di stare ferma, come per rendersi invisibile, ma a quanto pare non lo era. Un carabiniere si fermò, Cristina socchiuse gli occhi che le bruciavano, rossi di lacrime, vide i suoi scarponi neri, i pantaloni con le bande rosse chinarsi su di lei. Teneva gli occhi chiusi, non voleva mostrare segni di debolezza. Sentì una mano dentro un guanto di pelle che le scostava i capelli, toccava con delicatezza la ferita.
─ Non è possibile! ─ disse il carabiniere.
Cristina aprì gli occhi, urlò e svenne. Quando riprese i sensi si accorse di non essere nel punto in cui era caduta, ma sdraiata in uno dei sedili posteriori di una camionetta che emanava odore di gasolio e di cuoio. Un carabiniere le stava versando acqua in faccia da una borraccia. Quando si accorse che era ritornata in sé le sorrise.
─ Tiberio! Oh santo cielo! Oh santo cielo! ─ disse Cristina.
─ Tranquilla. Niente di grave. Non possiamo muoverci da qui, ma adesso viene un dottore, non è niente di grave. Tranquilla.
─ Ma tu…
─ Sì. Io.
─ Ma come… Come?
Tiberio sorrise. ─ Così ─ disse con un sorriso, aggiustandosi la bandoliera sulle spalle.
─ Ma perché hai lasciato la scuola?
─ La scuola mi piaceva. Non mi piacevano altre cose.
─ Quali?
Tiberio guardò fuori della camionetta. Lo sguardo era sempre lo stesso: triste, ora con una smorfia di insofferenza.
─ Tu non volevi partecipare a cose così, ora lo so ─ disse Cristina. ─ Eri sempre solo. Per quello eri triste.
─ Si vedeva così tanto?
─ Io lo vedevo. E mi dispiaceva.
─ Scusami se facevo finta di non vederti.
─ Non scusarti. Io ti capisco bene. ─ Cristina divenne rossa fino alle orecchie, non si stancava di guardare Tiberio. Il suo cuore diventava caldo e si scioglieva finalmente. Adesso era felice.
─ Come stai? ─ le chiese Tiberio mettendole ancora un po’ d’acqua sulla fronte.
─ Non sparire di nuovo, ti prego! Non sparire!
─ Non sparisco più, stai tranquilla. Sono in un battaglione mobile di carabinieri ausiliari, qui vicino. Ho scelto di fare il militare con loro e penso che non mi sposteranno fino a termine servizio. Verrò a trovarti. In borghese.
─ E poi?
─ E poi… Non lo so. Potrei continuare con loro, una vita tranquilla, sposarmi…
─ Oppure?
─ Oppure, finita la leva, andare in America. Una vita tranquilla, sposarmi…
─ Con chi?
─ Con chi un giorno mi diede questo.
Mise la mano in tasca ed estrasse un fazzoletto bianco accuratamente piegato come una reliquia. Lo mise nelle mani di Cristina che a sua volta strinse le sue mani chiudendo gli occhi. Li riaprì sentendo due labbra calde posarsi sulle sue.
Un carabiniere che passava si voltò e fece un fischio di approvazione. Tiberio, senza staccare le labbra da quelle di Cristina, si tolse il berretto per coprire la scena muovendolo al contempo e facendo cenno al collega di andare oltre.