[Slab6] Chez Mao

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Chez Mao - Sinossi

Siamo a Torino nei primi anni ‘70.
Tre amici tra i sedici e i diciassette anni, con la passione per la musica, in un inizio pomeriggio di primavera, si danno appuntamento in un bar del centro città col proposito di recarsi a casa di un loro quarto amico, per suonare insieme.
Il protagonista (voce narrante del racconto), è compagno di classe dell’amico che li ospiterà per la loro estemporanea "jam session", anche quest’ultimo suona per hobby, dilettandosi tra chitarra, mandolino e violino.

Il protagonista (che non ha nome) e ama cimentarsi (con dubbio successo) col flauto, è amico fraterno di uno del terzetto di amici, quest'ultimo assai bravo con la chitarra.
Loro due come il quarto amico che li ospiterà, frequentano il Liceo Artistico, mentre il terzo è stato un suo ex compagno della scuola media,
aggregato al terzetto perché è un abile percussionista.

I personaggi, oltre al protagonista (innominato e scarso suonatore di flauto), si chiamano:
- Giulio (l’amico fraterno e provetto chitarrista).
- Afio (ex compagno delle medie ed eccellente percussionista).
- Mao (Maurizio Mastropietro, amico ospitante con versatili attitudini strumentali).

Nel racconto compaiono come figure di contorno:

- Pelle (fratello minore di Mao) di cui non si conosce il nome reale, ma così appellato per via degli sfoghi cutanei adolescenziali che gli tempestavano il viso e altre zone innominabili del corpo.

- Enea Bandini, compagno di classe del protagonista e di Mao: biondo perticone con origini romagnole, mediocre suonatore di basso e chitarra.

- Unghia e Cavalla: due giovani sgallettate coetanee del loro Liceo (note per i nomignoli con cui universalmente venivano chiamate e la disinvoltura con cui si passavano gran parte dei maschi presenti nell’istituto scolastico).

La vicenda ruota, con occhio disincantato e ironico, intorno alla preparazione della così detta “jam session” per cui si teneva la riunione a casa del Mao.
La storia vuole presentare uno scanzonato spaccato ambientale e di costume dei giovani di quegli anni, immersi nel mito di una nuova concezione del mondo, tra spinelli, sesso e rock and roll.

Re: [Slab6] Chez Mao

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Poldo ha scritto: Ciao @Nightafter, inguaribile nostalgico dei bei tempi della nostra adolescenza.
Già pregusto il clima che traspare dalla tua sinossi, figuriamoci nel racconto.
Solo una cosa non mi è chiara: il tema dei "risvegli" come pensi di inserirlo in questa storia?
Eh!... caro @Poldo , bella domanda.
Già non ho chiaro che cavolo scriverò in questa menata di storia, figuriamoci sul come inserirci il tema dei "risvegli".
Una roba è barare spudoratamente su una sinossi aleatoria e immaginaria, altro e montarci su un cacchio di racconto che abbia senso d'esistere.
In genere io butto giù un titolo che mi ispira poi comincio a ficcarci dentro quello che al momento mi passa per la mente.
Prova ne è che ho almeno una decina di racconti a puntate che attendono di essere conclusi in una maniera dignitosa.
Che dirti, se ci devo cacciare dentro 'sto risveglio. qualcosa cercherò di inventarmi.
Magari raccontando di quella volta che ho dimenticato di puntare la sveglia e mi sono destato cinque ore dopo dell'appuntamento che avevo in chiesa con la mia futura moglie per sposarci.
Vediamo che ne esce.  :facepalm: :D :arrossire:

Ciao, grazie della lettura.  (y)

Re: [Slab6] Chez Mao

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Ciao @Nightafter. Dalla sinossi mi aspetto un racconto carico di umanità. Mi pare già di averlo sotto gli occhi, sentire il suono degli strumenti, bicchieri vuoti disposti qua e là e un po’ di “fumo” che allenta le tensioni. Ci saranno dinamiche interne al gruppo tutte da gustare con quel senso di verità che contraddistingue i tuoi scritti. Io penso che i risvegli in questa storia possano essercene parecchi. Magari uno dei protagonisti “si sveglia” e capisce che fare musica è la sua vera passione, magari uno dei ragazzi si “risveglia” e capisce che la propria amata lo tradisce (tutte bischerate, lo so, ma con la tua penna avrebbero il loro perché) 

Re: [Slab6] Chez Mao

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@Nightafter ciao. Spero che non manchi il lezzo degli scantinati dove si è sempre suonato per non rompere le scatole ai vicini: dove c'è sempre stata musica, ci sono stati i casini. Mi aspetto anche di vedere un risveglio che potrebbe essere di tipo musicale o magari anche culturale. Magari Mao, un giorno porta a cantare una nuova corista che canta Franz Schubert ... e "serenade" in modo da schioccarli tutti.. un risveglio alla musica classica...
Scherzo!!! ciao amico..
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Slab6] Chez Mao

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@Nightafter ciao!  :)

Magari è solo invidia la mia (perché ho il problema contrario) ma secondo me non ti basteranno 16.000 caratteri se vuoi fare entrare con agio nel tuo racconto tutti i personaggi, minori e maggiori, che hai elencato.
Io terrei i quattro amici della "jam session" e le sgallettate Unghia e Cavalla, ma Pelle e Bandini li toglierei. Magari il problema cutaneo di Pelle lo trasferisci a uno dei musici. Magari Afio (o volevi dire Alfio?): Afio detto "Pelle", per esempio.

Per il tema dei Risvegli, vedo bene il loro affacciarsi al mondo dei grandi in compagnia della musica che li trascina e di qualche surrogato degli spinaci di Braccio di ferro per misurarsi con l'altro sesso e con la paura di crescere. Ho grandi aspettative su questo unico capitolo.  :libro:

:ciaociao:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Slab6] Chez Mao

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Cari @@Monica, @bestseller2020@Poeta Zaza e @Poldo 

Grazie anzitutto per aver letto la mia sinossi, cosa che non mancherò di ricambiare a breve.
Noto che avete grandi aspettative per questo mio modesto e futuro racconto.
La cosa mi onora, gratifica e mi fa gongolare come una scimmia appesa a un albero di banane, ma non vorrei davvero deludere aspettative immeritate.
Purtroppo sarà uno dei soliti soporiferi racconti sulle malconce vicende giovanili del mio lontano passato.
Chi ha già letto qualcosa di mio in merito a quella sventurata saga, è preventivamente avvisato affinché possa salvarsi da questa nuova tediosa lettura.
 
"Praemonitus praemunitus".  ;)

Re: [Slab6] Chez Mao

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Nightafter ha scritto: Il protagonista (voce narrante del racconto), è compagno di classe dell’amico
Qui e in un altro paio di passaggi è da rivedere la punteggiatura
Nightafter ha scritto: ama cimentarsi (con dubbio successo) col flauto
Di norma non apprezzerei commenti dallo scrittore, ma tutto sommato così lo trovo accattivante
Nightafter ha scritto: Nel racconto compaiono come figure di contorno:

- Pelle (fratello minore di Mao) di cui non si conosce il nome reale, ma così appellato per via degli sfoghi cutanei adolescenziali che gli tempestavano il viso e altre zone innominabili del corpo.

- Enea Bandini, compagno di classe del protagonista e di Mao: biondo perticone con origini romagnole, mediocre suonatore di basso e chitarra.

- Unghia e Cavalla: due giovani sgallettate coetanee del loro Liceo (note per i nomignoli con cui universalmente venivano chiamate e la disinvoltura con cui si passavano gran parte dei maschi presenti nell’istituto scolastico).
Scendere così nel dettaglio sulle figure di contorno nella sinossi non mi convince molto, non so neanche se le avrei nominate
Nightafter ha scritto: La vicenda ruota, con occhio disincantato e ironico, intorno alla preparazione della così detta “jam session” per cui si teneva la riunione a casa del Mao.
L'ambientazione, i personaggi e il mondo che vuoi raccontare promettono bene - soprattutto dalla tua penna - ma mi sembra manchi la storia. Qual è l'obiettivo del protagonista? Può anche essere qualcosa di banale e semplice, come il far colpo su una qualche ragazza, ma serve un motore alla narrazione. In quest'ottica, la struttura che c'è dietro è interessante, e attendo con curiosità di leggere il racconto  :D

Re: [Slab6] Chez Mao

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Adel J. Pellitteri ha scritto: Hai deciso chi deve recitare adesso scrivi il copione. Avere buone aspettative è un nostro diritto. Ci hai abituati male, colpa tua 😉. Buon lavoro. 
Oggesù. 
Che cattive abitudini ho seminato.

Il racconto è pronto da un mese, possiede un numero di caratteri esorbitante di tre volte quelli stabiliti dal contest.
Pubblicherò la prima parte all'interno degli altri lavori e quelle restanti nella sezione "racconti a puntate".
Se ho capito bene dovrò farlo la prossima domenica.

(comunque il racconto è una ciofeca, quindi problemi vostri che siete costretti a leggerlo per regolamento)  :P (y) :facepalm:

[Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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[Lab6] - Chez Mao – Pt. 1



Lui, Giulio e Alfio, si trovarono al bar pasticceria Zucca di via Roma, uno dei bar storici al centro di Torino.
Alfio che era un vecchio compagno delle medie di lui, l'aveva fatto conoscere a Giulio perché era un formidabile percussionista, un elemento perfetto per formare il terzetto musicale che, per diletto, avevano creato di recente.
Giulio suonava divinamente la chitarra, lui si destreggiava sul flauto (molto meno divinamente del suo amico), mentre ad Alfio potevi dare in mano qualsiasi oggetto: dalla lattina vuota di una Coca Cola a un fustino usato del detersivo, e lui li faceva suonare con dei ritmi da ingelosire Marcus "The Magnificent" Malone, il percussionista dei Santana, percuotendole con le dita o con due bacchette improvvisate.
Presero un caffè, poi, dato che erano eccezionalmente in lira, si concessero anche un "messicano" farcito di crema, che era una tipica leccornia del locale, nota in tutto il capoluogo sabaudo.
Ristorato che ebbero corpo e anima, si avviarono in direzione Po: avevano appuntamento, alle quattro del pomeriggio, a casa del comune amico Mao, al secolo Maurizio Mastropietro.
Lì vi avrebbero trovato anche Enea Baldini: entrambi erano compagni di classe del Liceo Artistico, e quel pomeriggio avevano l'intento di dar vita una “jam session” musicale, da registrare su cassetta magnetica.
Per l'occasione avevano dietro i rispettivi strumenti: lui si era portato il flauto dolce in legno di pero, che era il primo strumento che avesse posseduto e tentato di suonare in vita sua.
Giulio aveva, nella custodia rigida nera, l'inseparabile chitarra “Ovation”, Alfio delle “tablas” indiane, una coppia di bongos e un piccolo xilofono in legno che teneva nella sacca a tracolla.

Era un pomeriggio luminoso di metà marzo, l’aria primaverile era tiepida e lieve, come i loro pensieri di quel giorno.

Mao viveva in un enorme alloggio, al quarto piano di un edifico d'epoca situato nei pressi di piazza Carlina: un'abitazione ricavata dall'unione di due alloggi contigui di cinque stanze ciascuno, che di fatto occupava l'intero ultimo piano del palazzo.
Trovarsi da lui era una "figata, perché aveva una vasta camera da letto che condivideva col fratello più giovane, nella quale si poteva fare tutto il casino che volevi, senza dare disturbo ai genitori che occupavano l'altra ala della casa.
Giunti al portone carraio del caseggiato, attraversarono un cortile con acciottolato seicentesco, su cui si affacciavano diverse le scale del complesso condominiale.
Non c'era ovviamente ascensore: giunti al piano di destinazione suonarono al campanello dell'abitazione dell'amico, poi, attesero pazientemente una decina di minuti, prima che qualcuno venisse ad aprirgli.
Alla porta venne Pelle, il fratello quattordicenne di Mao, esibendo una delle sue migliori arie di scazzo.


Pelle aveva quel nomignolo per via del fiorire incessante di un'acne giovanile particolarmente aggressiva, la quale conferiva al suo volto imberbe l'aspetto, ricco di protuberanze e crateri del suolo lunare.
Pustole e brufoli col puntino bianco o giallo che era lecito immaginare, nel suo corpo, non si limitassero alle sole zone in vista.
Problema giovanile che certamente influiva sulle asperità e l'insofferenze caratteriali della sua verde età.
Il ragazzo era inoltre di grossa stazza, quindi inevitabilmente anche un po' lento nel muoversi.
Del resto la casa era tanto vasta che tra il trillo del campanello e il raggiungimento dell'entrata, era necessaria una mezza giornata di cammino.
Non che il giovane fosse simile a un bradipo, ma aveva i suoi tempi e li rispettava.
Forse l'unica cosa che rispettasse al mondo.
Era dotato di un umore ombroso, farcito di caustico cinismo, che mostrava ogni volta che ne aveva occasione.
Aperta che gli ebbe la porta, li accolse con uno scorbutico mugugno: - Siete qui per mio fratello, vero. - Constatò con aria greve.
Al loro assenso aggiunse: - Minchia, quello scemo: tutti i più sfigati che racatta in giro se li porta qui. Questa casa è diventata un asilo di barboni, un vero troiaio.
- Cazzo! Pelle, sei sempre affabile come una ragade al buco del culo. - disse Giulio: - Non sforzati a farci strada che rischi ti cali l’ernia e magari ti si sciolgono due grammi di quella ciccia flaccida.
- Fanculo! - rispose lui - Volete anche che vi porti anche l'uccello a pisciare o fatte da soli?
Quindi, in malo modo, fece un cenno col capo a indicargli la strada:
- Quel coglione lo trovate giù al fondo, sempre avanti. Quando sentite la puzza, l’avete trovato.
- Grazie. - Aggiunse Giulio - Sei utile come due ganasce appese alle palle. Facci passare e torna a menarti il bagigio, sempre che te lo trovi fra il lardo.
Lui non subì passivamente.
- Brutti finocchi! Siete delle merde! Le vostre madri la danno ai tossici sifilitici.
Alfio, di origine sicula, per il quale la mamma era sacra, accusò l'offesa sanguinosa, fece immediatamente per tornare indietro col proposito di gonfiarlo come una zampogna, ma Giulio lo placcò al volo, dicendogli di non perdere tempo, al limite lo avrebbe menato al ritorno, quindi proseguirono il cammino.


Attraversarono stanze che si aprivano su altre stanze, come sovente accadeva nelle planimetrie di quelle abitazioni d'epoca.
Ciò che caratterizzava lo spirito della casa era un gusto estroso per gli accessori d'arredo: costituito prevalentemente da oggetti d'origine etnica, che la rendevano più simile a un bazar o al magazzino di un rigattiere.
Questo perché il padre di Mao, per lavoro, viaggiava molto all'estero e amava portarsi a casa ogni sorta di souvenir dei luoghi visitati.
Era un appassionato raccoglitore di cimeli e oggetti d’arte: diceva lui.
D'inservibili minchiate e cianfrusaglie, dicevano: i suoi figli.
Gli oggetti provenienti da luoghi in cui non era mai stato, aveva provveduto a reperirli la domenica mattina, al mercatino del Baloon di Porta Palazzo, oppure da qualche robivecchi.
Vi erano stampe di gusto egizio antico, o giapponese, maschere rituali africane, teste impagliate e pelli d'animale selvaggio.
In un salotto era esposta un'intera armatura da samurai, con tre katane disposte artisticamente sulla parete alle spalle, mentre sul pavimento in listoni di legno grezzo, vi era una grande pelle di zebra come tappeto.

Compresero di essere giunti alla camera di Mao dal frastuono che ne perveniva: teneva a volume massimo, “Fireball” dei Deep Purple sullo stereo: gruppo di cui era ardente cultore.
Bussarono, poi visto che nessuno se li cagava, girarono la maniglia della porta ed entrarono.
La stanza si rivelò piuttosto eccentrica.
Una parete annegava sotto uno strato di locandine e poster rockettari dai colori psichedelici, un'altra, aveva mattoni a vista, semicoperta da vecchie affiche musicali e locandine cinematografiche d'epoca.
Quella più ampia presentava un grande murales, sul quale, Mao, che era artisticamente assai cazzuto, con perfetto stile preraffaellita aveva dipinto sé stesso, in sembianze di dio Pan, con tanto di flauto di canna, calato all'interno di una scena bucolica: un paesaggio silvestre con ninfe discinte e poppute, inseguite da fauni infoiati che cercavano, vieppiù, d'ingropparsele.

Nella stanza stagnava un'aria greve: una mescola d'incensini al gelsomino, fumo di sigaretta rancido, canne e odori fisiologici.
La situazione igienica generale appariva quanto mai deficitaria, era evidente che la madre dei due pargoli, con intento educativo, avesse lasciato a loro l'autogestione delle pulizie e del riordino, cosa che all'evidenza dei fatti non avveniva da mesi, se non da anni.
Un incredibile casino regnava ovunque: polvere e immondizia fungevano da tappetto alla stanza, vi erano mensole stracolme di vecchi libri e cataloghi d’arte, volumi di fumetti, tele oltraggiate dal colore giacevano poggiavano al muro; vecchi fustini di detersivo, zeppi di rotoli con bozzetti di studio, qui e là, spuntavano come piante ornamentali.
Il guardaroba era costituito da scaffali in legno grezzo, affastellati caoticamente di capi di vestiario, senza apparente distinzione tra sporchi e i puliti.
Una pila di 33 giri presidiava un impianto stereo con piatto professionale, quattro enormi casse Pioneer CS 570 dagli angoli della stanza, diffondevano la musica assordante.
Raccolta in un angolo, la dotazione strumentale contava una chitarra acustica, un basso elettrico con relativo amplificatore, una coppia di congas, un banjo e un violino cinese.

Il centro della stanza era occupato da un vecchio divano e un ampio tavolino basso, su cui stava un capace posacenere colmo di cenere e mozziconi di sigaretta.
C’erano cartoni di pizza vuoti e unti abbandonati qui e là, una vasta collezione di lattine di birra e Coca consumate, una vecchia scatola in latta di biscotti Plasmon, conteneva mazzette di biglietti del tram usati, ottimi come filtrini per gli spini, e confezioni di cartine Rizla+ a foglio lungo.
C’era poi un massiccio letto a castello, deputato a custodire il sonno dei due fratelli.
Mao ed Enea stavano sul pavimento, infilati in due sacchi a pelo a poca distanza l'uno dall'altro.
Ma non erano soli in quei giacigli di fortuna.
Nel primo sacco stava Enea: nudo per la metà che ne emergeva, con la sua faccia larga, piatta e scanzonatamente gioviale, un cordino di pelle raccoglieva in una coda la lunga zazzera bionda.
Al vederli entrare li degnò di un moderato saluto con la mano, senza distogliersi da ciò in cui era impegnato.
A fargli compagnia c'era una presenza che al momento non era dato di vedere, poiché intanata al fondo del sacco.
Dai mugugni sommessi che emetteva, si deduceva che la presenza fosse femminile, mentre dagli espliciti movimenti, visibili all'esterno, s'intuiva che fosse intenta a un lavoro che interessava la zona coperta del giovane vikingo romagnolo.
Enea si abbandonava a quel lavorio, con aria assorta e beota: teneva all'angolo della bocca una mezza cicca fatta a mano,

al momento spenta; l'occhio ceruleo e appannato, si perdeva in un punto lontano del cielo al di là del vetro, torbido di lordume, della finestra.
Mao, molto più attivo, stava invece pompando con grande impegno una tipa all'interno del proprio sacco.
Anche di lei non era dato di vedere il volto, poiché la testa era interamente occultata dal cappuccio del sacco a pelo.
Neppure lui si fermò. Voltò solo la testa per salutarli e dire:
- Scusate un attimo. Mi sbrigo subito. Accomodatevi, in frigo c'è la birra, se vi va rollatevi una canna. Sul tavolo, sotto il casino, trovate quello che serve. Fate come foste a casa vostra.

Ringraziarono e senza altri formalismi, scaricarono gli strumenti e sedettero sul vecchio sofà davanti al tavolino.
Lui, sul bracciolo al suo lato, trovò delle mutandine femminili: le prese per spostarle altrove, appartenevano certamente alla ragazza che stava copulando con Mao.
Nel farlo gli venne, distrattamente, di annusarle.
Si pentì d'averlo fatto! Emanavano, infatti, un fetore pestilenziale.
Pensò, sconcertato, che quella sicuramente si teneva un topo morto fra le cosce.
Si domandò chi mai fosse la silfide sotto il loro amico, ma non gli sembrò comunque opportuno, in quel momento, d'avvicinarsi alla coppia per soddisfare questa curiosità.
Per la verità non è che la fanciulla sembrasse partecipare granché alla cosa: dal sacco a pelo giungeva solo qualche raro, debole, gemito, che a udirlo si sarebbe detto più di fastidio che di piacere.
Si disinteressò della donzella, per concentrarsi sullo spino che Alfio aveva provveduto a confezionare, dopo aver trovato, sotto la montagna di rifiuti sul tavolino la stagnola col tocco di “marocco”,

Lo accesero e in silenzio iniziarono a farlo girare tra loro.
Giulio tirò fuori la sua Ovation dalla custodia e iniziò ad accordarla e a tirar giù qualche accordo.
Alfio accennò un ritmo lento sulle tablas, mentre lui, stappata una lattina di birra del frigo, segnava col piede il ritmo contro la gamba del tavolino.
Più tardi quando il fumo avrebbe carburato a dovere, si sarebbe unito agli altri in quell'ameno concerto.
Questo perché riusciva a combinare qualcosa col flauto solo quando era fatto.

Il fumo liberava il suo potenziale di musicista, riusciva a fargli sentire il ritmo e a farlo penetrare nella melodia.
Trascorse una ventina di minuti in questi preliminari, poi, Enea strabuzzo gli occhi e gonfiò le guance come se gli fosse andata di traverso la cicca che aveva in bocca.
Lo udirono produrre un mugolio lungo e inquietante: in fine, tirò la testa all'indietro e s'irrigidì in una fissità muta, rimase con gli occhi sbarrati a osservare il soffitto come se non lo vedesse.
Pensarono gli fosse presa una sincope: ma poi convennero che invece era solo venuto.
Anche loro, per riflesso, alzarono gli occhi al soffitto a cercare cosa ci fosse d'interessante da guardare: lo fecero, con quella convinzione innaturale che ti viene solo se sei molto fatto, poiché in effetti da vedere non c'era un’emerita mazza.
Qualche attimo dopo dal sacco emerse, lentamente, una voluminosa testa di capelli crespi rosso aragosta, che si adagiò sul petto d'Enea.
Era la chioma inconfondibile di Unghia.
- Puttana Eva! - realizzò lui.
Se quella era Unghia, allora, l’altra sotto Mao era Cavalla!
Questo gli chiarì subito la ragione dell’olezzo annusato nelle mutandine di prima.

Unghia e Cavalla erano una coppia inseparabile d'amiche all'interno del loro Liceo: dove stava la prima c'era immancabilmente anche la seconda, parevano due gemelle omozigote, benché non si somigliassero fisicamente in nulla.
Unghia doveva il suo nomignolo alle lunghe e curatissime unghie che portava, l'altra, assai probabilmente, alla lunghezza delle gambe di cui madre natura l'aveva generosamente dotata, appellativo mediato dal concetto popolaresco di “cavallona”.
Entrambi, erano in sostanza, due gnocche tutt'altro che disprezzabili, ma che ostentavano un atteggiamento artefatto e appariscente.
Portavano sempre un trucco pesante, carico al limite del puttanesco; in certi periodi le vedevi girare con le chiome colorate di rosa o di blu elettrico, l'abbigliamento era costituito di minigonne microscopiche, su alti stivali “cuissard” con tacchi vertiginosi e camicette che lasciavano in vista ampie porzioni di poppe.
Erano in effetti qualcosa di simile a delle “groupie”: quelle fans sfegatate che, negli anni Sessanta, seguiva vano le rockstar durante le loro tournée, con la variante che loro, anche senza musica, presenziavano ovunque vi fossero maschi “passabili” della scuola.
Avevano il loro ufficio personale nei bagni femminili dell'istituto: le trovavi più sovente lì che nelle rispettive classi.

Passavano lì intere mattinate a fumare, rifarsi il trucco, confrontarsi sugli ultimi acquisti fatti da "Fulgenzi", o coordinarsi sulle strategie di cattura dei maschi di turno, presi di mira.
Ritenendosi in qualche modo divine, mostravano un piglio di altera sufficienza verso il resto delle donne, le quali le ricambiavano con una  cordiale antipatia, mentre molti uomini se ne tenevano a distanza per quell'aria equivoca, che procurava diffidenza se non timore.

Di Cavalla si diceva che, tanto abbondasse di profumi costosi e seduttivi, quanto trascurasse la sua igiene corporea: quelle raffinate fragranze non compensavano la carenza di sapone per doccia, deodoranti ascellari o del regolare cambio della biancheria intima.
Correva voce che chi fosse giunto a sfilargli le mutandine si sarebbe poi arrestato per l'impraticabilità della zona: l'olezzo della gnocca di Cavalla era tale da dissuadere anche i più ardimentosi e solidi di stomaco, dal proseguire nell'intento erotico.

Mao stesso, nel passato, narrava di un ammiccamento avuto con lei, risoltosi in un nulla di fatto per quel grave problema.
L'evidenza del momento, a quanto si vedeva, smentiva quel racconto o forse, il loro amico, aveva sviluppato una superiore resistenza olfattiva.
Di Unghia si diceva un gran bene riguardo all'arte di fare degli ottimi ricami orali, benché quegli artigli multicolori, di cui era dotata, potessero divenire pericolosi nei momenti clou del sesso fatto con lei.

(Continua)


Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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Bene.
Grazie al mio più assiduo e cortese angelo custode ( @Poeta Zaza )
scopro che non basta scrivere un pippone più lungo della Divina commedia e postarlo per aver terminato il lavoro.
Ma bisogna anche che uno che a mala pena si regge su una bicicletta, sappia anche spiegare con quale meccanismo si tiene in sella e procede in equilibrio senza stamparsi alla prima svolta.

Che mai posso dire di ciò che scrivo?
Anzitutto che tra i numerosissimi autori e libri letti, ve ne è uno a cui ho sempre guardato come un faro nella notte: il mitico ed eccellentissimo Piero Chiara.
La sua scrittura, il passo narrativo, la sagacia e l'ironia raffinata dei suoi racconti, mi hanno sempre riempito d'una invidia feroce.
La maniera e  il gusto "retrò" del mio linguaggio nascono mediati da quello della prima metà del '900, che apparteneva alla sua penna.

So bene di non usare una scrittura "moderna" in senso letterario, ma trovo che per certo genere di storie, come questa appena pubblicata, sia più congeniale alla narrazione, la pratica di un "raccontare" vestendole di un'epica risibile cose di per sé banali e prive di un universale interesse.
L'aspetto in qualche misura "attuale" non è nello stile narrativo ma nei temi trattati dal racconto: sesso, droga e rock and roll.

Queste storie vengono attinte a man bassa dai miei trascorsi giovanili, il compito che mi propongo nel tradurle in scrittura è di suscitare un qualche
sorriso o svago nel tempo di lettura impiegato, l'impresa sta tutta nel trasformare una banalità del quotidiano in qualcosa che abbia la veste ironica 
di una gag.
Amo ovviamente dare ritratti dei personaggi coinvolti che ne mostrino le tipicità fisiche, sovente coerenti e funzionali a definirne anche le inclinazioni del carattere, le passioni e i valori che gli appartengono.

Quasi mai questi racconti contengono messaggi morali ed etici, se incidentalmente ve ne si ravvisano, è compito del lettore recepirli e valutarli secondo il proprio metro culturale e morale.

Detto questo non saprei che altro aggiungere: parlare di come sto sulla bicicletta, mi confonde e mette in crisi, sono un'istrione affetto da modestia e timidezza, pessimo affabulatore di cose personali.


Vi saluterei con le parole del sommo poeta:

"Godete fanciulli mieie, stato soave
 stagion lieta è cotesta, la vostra festa, 
 c'anco tardi a venir, non vi sia grave."

Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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Nightafter ha scritto: Alfio virgola che era un vecchio compagno delle medie di lui, l'aveva fatto conoscere a Giulio perché era un formidabile percussionista,
Nightafter ha scritto: la quale conferiva al suo volto imberbe l'aspetto, ricco di protuberanze e crateri virgola del suolo lunare.
la virgola che ti aggiungo sopra chiude l'inciso che lascia libera la frase: l'aspetto del suolo lunare.
Nightafter ha scritto: Volete anche che vi porti anche l'uccello a pisciare o fatte da soli?
fate
Nightafter ha scritto: Era un appassionato raccoglitore di cimeli e oggetti d’arte: diceva lui.
D'inservibili minchiate e cianfrusaglie, dicevano: i suoi figli.
Seguendo la costruzione della prima frase (che ci sta) perché analogamente non hai fatto lo stesso per la seconda?
D'inservibili minchiate e cianfrusaglie; dicevano i suoi figli.

Oppure, ti suggerisco:
D'inservibili minchiate e cianfrusaglie, a detta dei suoi figli.
Nightafter ha scritto: Gli oggetti provenienti da luoghi in cui non era mai stato, aveva provveduto a reperirli la domenica mattina, al mercatino domenicale del Baloon di Porta Palazzo, oppure da qualche robivecchi.
Nightafter ha scritto: mentre virgola sul pavimento in listoni di legno grezzo, vi era una grande pelle di zebra come tappeto.
Nightafter ha scritto: teneva virgola a volume massimo, “Fireball” dei Deep Purple sullo stereo:
oppure togli la virgola dopo massimo se non vuoi fare l'inciso.
Nightafter ha scritto: Bussarono, poi virgola visto che nessuno se li cagava, girarono la maniglia della porta ed entrarono.
Nightafter ha scritto: Una parete annegava sotto uno strato di locandine e poster rockettari dai colori psichedelici, un'altra, aveva mattoni a vista, semicoperta da vecchie affiche musicali e locandine cinematografiche d'epoca.
togli la virgola dopo "un'altra".
Nightafter ha scritto: La situazione igienica generale appariva quanto mai deficitaria, era evidente che la madre dei due pargoli, con intento educativo, avesse lasciato a loro l'autogestione delle pulizie e del riordino, cosa che all'evidenza dei fatti non avveniva da mesi, se non da anni.
meglio i due punti esplicativi dopo "deficitaria", che introdurrebbero la spiegazione del caso.
Nightafter ha scritto: senza apparente distinzione tra sporchi e i puliti.
Scegli: tra sporchi e puliti, oppure tra gli sporchi e i puliti.  (O tutti e due gli articoli o nessuno).
Nightafter ha scritto: quattro enormi casse Pioneer CS 570 virgola dagli angoli della stanza, diffondevano la musica assordante.
Nightafter ha scritto: l'occhio ceruleo e appannato, si perdeva in un punto lontano del cielo
dopo "appannato" non ci va la virgola, perché separa il soggetto dal verbo.
Nightafter ha scritto: Ringraziarono e virgola senza altri formalismi, scaricarono gli strumenti e sedettero 
Nightafter ha scritto: Più tardi virgola quando il fumo avrebbe avesse carburato a dovere, si sarebbe unito agli altri in quell'ameno concerto.
Nightafter ha scritto: Entrambi, erano in sostanza, due gnocche tutt'altro che disprezzabili,
togli la virgola dopo Entrambi. Visto che sono due femmine, meglio Entrambe.
Nightafter ha scritto: sfilargli le mutandine 
Anche qui, meglio "sfilarle".

Che dire, caro @Nightafter ?   :)

A me pare che tu voglia fermare il tempo che passa rielaborando vicende e ricordi di una sfrenata gioventù caratteristica di quegli anni, cadenzata su sesso - droga (spinelli eh... chiarisco) e musica. Una narrazione terapeutica che deve, per essere efficace, mantenere linguaggio, odori, situazioni e stile narrativo dei tuoi vent'anni, con il sottofondo malinconico dei tuoi attuali... anta.

Ci hai preso, se è così.  ;)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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Un racconto decisamente evocativo! Che parla di un mondo molto lontano dal mio (sono sempre stata l'opposto, una sorta di ragazza acqua e sapone che dei brani musicali era tanto se sapeva riconoscere il cantante, e spesso manco ci beccava   :rockeggiare: ), ragione per cui l'ho letto con sincera curiosità, come un tuffo in acque sconosciute. Il fatto che siano evocazioni e atmosfere che pescano dal tuo passato si percepisce, il racconto è ricco di dettagli, talvolta molto specifici e minuti: che, a mio avviso, si porta dietro anche dei rischi. 
Soprattutto all'inizio il racconto (sempre secondo la mia opinione!) è un po' troppo meccanicistico, una sorta di lista messa per iscritto, ma che ha valore più per colui che la scrive, che per colui che la legge, dato che le emozioni sono legate al ricordo e sono dentro la testa, non sulla carta. Almeno io ho fatto fatica a "sentirlo". 
Tutto cambia con l'arrivo alla casa di Mao: lì le pennellate diventano più vivide, il mondo cominicia a crescere intorno a te e a pulsare. Insomma, comincia a funzionare e a vivere anche al di fuori dello scrittore.

Sempre all'inizio sono rimasta un confusa dallo stile che volevi adottare: talvolta è retrò e quasi aulico, talvolta grezzo e "ribelle". Forse l'intento era proprio quello di contenerli entrambi, ma sentivo una sorta di disallineamento tra i due. Di nuovo la fusione riesce molto meglio andando avanti: un po' come se tutta la prima parte servisse per carburare, sperimentare, e infine poi partire una volta ingranata.

Non mi è chiarissimo in che modo il racconto esplori il tema del risveglio, ma trattandosi di una prima parte, sicuramente ci sarà spazio e tempo nella seconda. Che tra l'altro aspetto con piacere: mi hai trascinata dentro quelle atmosfere e con altrettanta curiosità aspetto di vedere che altre pennellate darai a quella stanza e a quei ragazzi.

Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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Poeta Zaza ha scritto: A me pare che tu voglia fermare il tempo che passa rielaborando vicende e ricordi di una sfrenata gioventù caratteristica di quegli anni, cadenzata su sesso - droga (spinelli eh... chiarisco) e musica. Una narrazione terapeutica che deve, per essere efficace, mantenere linguaggio, odori, situazioni e stile narrativo dei tuoi vent'anni, con il sottofondo malinconico dei tuoi attuali... anta.
Mia diletta amica @Poeta Zaza 
anzitutto i consueti ringraziamenti per le tue impagabili correzioni alle lacune dei miei testi, cosa che tutta la mia gratitudine non riuscirà mai a ripagare per l'enorme lavoro, protratto nel tempo,  da te profuso.  <3

Il tempo purtroppo non si ferma neppure rievocandolo, e per fortuna che è così, lo spettro dell'eternità sarebbe spaventosamente temibile.
Come già detto, possedendo ricordi di vita, mi resta da compiere solo il lavoro di riordinarli e tentare di renderli (con la poca qualità che mi è propria) attraverso la scrittura.
Qualche volta la cosa mi pare che riesca, altre volte ne viene fuori qualcosa di velleitario se non di soporifero.
In ogni caso, al di là dell'uso che faccio dei miei ricordi, posso assicurarti di non viverli come rimpianto di una remota "età dell'oro", ho vissuto e vivo a tutt'oggi perfettamente in sintonia con la mia età anagrafica, per carattere e formazione ho sempre trovato motivazioni e piaceri in ognuna delle età della mia vita.
Credo che se ne trovi riscontro anche in diversi dei miei racconti del presente e del passato.

Grazie ancora e un grande abbraccio.  <3

Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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Ciao carissima @Canis 

anzitutto piacere di fare la tua conoscenza e mille ringraziamenti per la lettura e il commento alla prima parte di questo mio racconto.
Canis ha scritto: Tutto cambia con l'arrivo alla casa di Mao: lì le pennellate diventano più vivide, il mondo cominicia a crescere intorno a te e a pulsare. Insomma, comincia a funzionare e a vivere anche al di fuori dello scrittore.

Sempre all'inizio sono rimasta un confusa dallo stile che volevi adottare: talvolta è retrò e quasi aulico, talvolta grezzo e "ribelle". Forse l'intento era proprio quello di contenerli entrambi, ma sentivo una sorta di disallineamento tra i due. Di nuovo la fusione riesce molto meglio andando avanti: un po' come se tutta la prima parte servisse per carburare, sperimentare, e infine poi partire una volta ingranata.
Ti devo una spiegazione: questo racconto è legato (in sostanza ne è un episodio) a una saga giovanile della seconda metà degli anni Settanta, che con gli stessi personaggi, vado sviluppando su queste pagine fin dal mio esordio nel vecchio e in questo nuovo forum di scrittura.
Certa abbondanza d'informazioni sui personaggi, serve a chi già ha seguito altre vicende in cui sono presenti, a rimettere a fuoco le loro peculiarità generali.
Detto ciò, come giustamente hai colto, metto in atto uno stile narrativo con un passo d'antan, che volutamente entra in collisione con lo slang giovanile dell'epoca narrata (spesso infarcito di termini gergali o volgarità).
Come tu dici, la mia speranza è sempre quella di portare il lettore (dopo la dovuta carburazione) a entrare nello spirito del racconto.

Mi auguro che anche la seconda parte della storia (che sto per pubblicare) possa risultarti leggibile senza sbadigliare.

Grazie ancora, a presto rileggerti, un caro saluto.  <3

Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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Nightafter ha scritto: Presero un caffè, poi, dato che erano eccezionalmente in lira, si concessero anche un "messicano" farcito di crema, che era una tipica leccornia del locale, nota in tutto il capoluogo sabaudo.
Un eccesso di puntualizzazione che io, maniaca della sintesi eliminerei (tanto per cominciare a scassarti i cabbasisi  :D)
Nightafter ha scritto:  avevano l'intento di dar vita una “jam session” musicale, da registrare su cassetta magnetica.
Refuso, manca una "a": di dar vita a una...
Nightafter ha scritto: Pelle aveva quel nomignolo per via del fiorire incessante di un'acne giovanile particolarmente aggressiva, la quale conferiva al suo volto imberbe l'aspetto, ricco di protuberanze e crateri del suolo lunare.
Pustole e brufoli col puntino bianco o giallo che era lecito immaginare, nel suo corpo, non si limitassero alle sole zone in vista.
Problema giovanile che certamente influiva sulle asperità e l'insofferenze caratteriali della sua verde età.
Bella caratterizzazione.
Nightafter ha scritto: che mostrava ogni volta che ne aveva occasione.
Direi che in questo punto si conclude il "prologo". Hai descritto l'antefatto creando così un incipi di tipo narrativo.
Nightafter ha scritto: Aperta che gli ebbe la porta, li accolse con uno scorbutico mugugno: - Siete qui per mio fratello, vero. 
2 refusi, mancano l'accento su mugugnò e il punto interrogativo dopo vero.
Nightafter ha scritto: Minchia, quello scemo: tutti i più sfigati che racatta in giro se li porta qui.
Refuso: raccatta

Nightafter ha scritto: - Fanculo! - rispose lui - Volete anche che vi porti anche l'uccello a pisciare o fatte da soli?
Elimina, lo ripeti subito dopo

Nightafter ha scritto: Questo perché il padre di Mao, per lavoro, viaggiava molto all'estero e amava portarsi a casa ogni sorta di souvenir dei luoghi visitati.
Era un appassionato raccoglitore di cimeli e oggetti d’arte: diceva lui.
D'inservibili minchiate e cianfrusaglie, dicevano: i suoi figli.
Suggerimento (ovvero: ancora rottura di cabbasisi  :D) Questa frase risulta stereotipata, poco accattivante, a mio vedere andrebbe armonizzata. Esempio: Il padre, che si definiva un appassionato di cimeli e oggetti d'arte,  dai suoi frequenti viaggi all'estero, portava a casa ogni sorta di souvenir, che i figli meglio classificavano: minchiate e cianfrusaglie. 

In ogni caso i due punti dopo "dicevano" non sono la punteggiatura ideale.
Nightafter ha scritto: Compresero di essere giunti alla camera di Mao dal frastuono che ne perveniva:
L'uso di perveinere (che significa giungere in un luogo) è sbagliato, ci va proveniva ( ovvero: giungere da un luogo).

Nightafter ha scritto: tele oltraggiate dal colore giacevano poggiavano al muro
Refuso: poggiate
Nightafter ha scritto: Per la verità non è che la fanciulla sembrasse partecipare granché alla cosa: dal sacco a pelo giungeva solo qualche raro, debole, gemito, che a udirlo si sarebbe detto più di fastidio che di piacere.
Meglio scrivere: Per la verità, la fanciulla non sembrava partecipare granché alla cosa:

Al momento mi fermo qui perchè ho paura che si cancelli il commento. Poi riprendo

Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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Nightafter ha scritto: Enea strabuzzo gli occhi e gonfiò
Refuso, manca l'accento
Nightafter ha scritto: seguiva vano le rockstar durante
Refuso: seguivano
Nightafter ha scritto: che nelle rispettive classi.
Passavano intere mattinate a fumare, rifarsi il trucco, confrontarsi sugli ultimi acquisti fatti da "Fulgenzi",
La ripetizione di risulta cacofonica, meglio scrivere, senza andare a capo: Ci passavono intere mattinate...
Nightafter ha scritto: o coordinarsi sulle strategie di cattura dei maschi di turno, presi di mira.
questa è una ripetizione del concetto sul tipo di ragazze, già ampiamente compreso dal lettore.

È sempre difficile commentare un racconto ancora incompleto. Ci hai parlato di questo Lui dal quale ci aspettiamo molto, dal momento che ci hai detto poco. 
In questo primo stralcio prevalgono di certo le descrizioni di ambienti e personalità, abbiamo visto chi sono i personaggi e che tipo di vita conducono. Fatta eccezione dei refusi ha il suo valore. 
Dici che nella tua scrittura non c'è alcun intento morale, eppure i tuoi racconti – incentrati sulla gioventù anno '70 – dicono molto dei giovani di allora (frutto del '68, figli dei fiori praticanti di nuova libertà sessuale), ciò dà al testo un valore "storico/sociale " di non poca importanza.
Aspetto il prosieguo.

Re: [Lab6] - Chez Mao – Pt. 1

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ciao @Nightafter.

Giusto per ricordarti di quello che dissi a proposito della tua sinossi, te la stampo qui sotto: :asd:

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]ciao. Spero che non manchi il lezzo degli scantinati dove si è sempre suonato per non rompere le scatole ai vicini: dove c'è sempre stata musica, ci sono stati i casini. Mi aspetto anche di vedere un risveglio che potrebbe essere di tipo musicale o magari anche culturale. Magari Mao, un giorno porta a cantare una nuova corista che canta Franz Schubert ... e "serenade" in modo da schioccarli tutti.. un risveglio alla musica classica...[/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Scherzo!!! ciao amico..[/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------[/font]
Allora. Di lezzo ce n'è alla grande! Direi a livello industriale! Era proprio quello che mi aspettavo da questo racconto. Certo, non ci sono scantinati, però hai trovato un luogo per suonare e fare casino altrettanto buono.


Si assaporano quelle tipiche atmosfere dei "centri sociali"; quelle atmosfere "anarchiche" in senso buono! :P Oggigiorno bisogna stare attenti a dire anche solo la parola! :asd:

Quindi, il primo obbiettivo l'hai raggiunto, scrivendo un pezzo ricco di particolari. Qualcuno ha detto che hai forse esagerato, la certi odori, certi ambienti, certe epoche, (di una epoca si parla) bisogna essere minuziosi nel descriverli.

Adesso però mi aspetto che raggiungi il secondo obbiettivo: la rinascita. Mi darai ascolto o troverai una soluzione diversa? Staremo a vedere. per il momento è un okay... ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
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