[Lab17] DAM

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LAB 17 - L'Antagonista

Sembra… Licia non lo sa. Le viene da dire un roomba, solo che questo è alto un metro e venti e ha le braccia.
Mirko preme un bottone sulla schiena del robot — no, sul retro, non ha la schiena, non è umano — e quello fa un rumore più o meno uguale a quando lei accende il suo portatile. Lo schermo su quella che dovrebbe essere la testa si accende e compaiono due punti e una linea. Una faccia. 
“Ciao! Io sono DAM. Come posso aiutarti oggi?” 
Licia quasi salta dalla paura. Mirko batte le mani. “Non è meraviglioso?”
“È inquietante.”
“DAM, spiegale perché ti chiami DAM.”
“Certo! DAM è la tua tata-robot. È la fusione di dad e mom, mamma e papà. Ma è anche un acronimo, Dallo A Me, perché puoi darmi il tuo bambino e me ne prenderò cura al posto tuo. Questa è la mia versione 1.0, non ancora in commercio.” 
Mirko non sta più nella pelle. A Licia la voce metallica, artificialmente allegra, mette i brividi. “Gliel’hai scritto tu, il discorsetto?”
“No, ho solo inserito le info nel sistema. Lui assorbe e rielabora.” 
Il coso — DAM — fa un rumore come fosse uno zoom. A Licia sembra che stia guardando proprio lei. Fantascienza. O un giocattolo da migliaia di euro per gente che ha soldi e tempo da perdere. Gente come loro, insomma, se non fosse che da quando è nato Leo, lei tempo non ne ha più. “Io non me lo tengo in casa, questo.”
“Non dire scemenze. È da quando sei incinta che ci lavoro.” Picchietta DAM sulla testa. Insomma, sul cubo che ha per testa. È difficile non pensarci in termini umani. Sbatte persino le palpebre. Cioè, i pixel che formano i suoi occhi si assottigliano e poi tornano normali, a intervalli regolari. “DAM, parlami del tuo primo impiego.”
“Certo! Sono di proprietà dell’unità familiare Fabbri-Ferraris. Il mio compito è aiutare la signora Licia Ferraris, anni trentuno, altezza un metro e cinquantotto e peso —”
“Pure il peso gli hai inserito?” 
“È importante per lui conoscere i nostri dati biometrici.”
Licia strizza gli occhi mentre il robot elenca tutte le storture del suo corpo post-partum e pensa che per lei sarebbe importante far cessare i dati biometrici di suo marito.
“— e suo figlio, Leonardo Fabbri, di tre mesi e quattordici giorni: lungo sessantadue centimetri; peso: sei virgola quattro chili. Non vedo l’ora di essere utile alla vostra famiglia!” 
Licia forza un ghigno, gli fa il verso: “evviva!”
“Evviva!” Ripete il coso. “Mi sento già a casa!” 
È proprio una creatura di Mirko. Insopportabile. Chissà se anche Leo verrà su così. Se lo alleva questo oggetto, probabilmente sì. Ma è sempre meglio di una madre esaurita, o Mirko non gliel’avrebbe portato a casa.
I giorni seguente Licia scopre, con orrore, che DAM non si spegne mai. Se ne sta in stand-by sulla sua base, ma ogni tanto si avvia senza che lei faccia niente. Per esempio, quando Leo piange per più di cinque minuti di fila. Cioè sempre. 
È un promemoria costante della sua inadeguatezza. Arriva a pensare che il robot forse la registra; forse ha una telecamera integrata che proietta la sua vita, il più triste reality del mondo, sul secondo o terzo schermo di Mirko in ufficio. Quanti schermi servono a una persona? Lei crede uno solo. 
Dirgli lasciami perdere, vattene, spegniti e taci funziona. DAM non discute, anche se le sembra che faccia dei rumorini risentiti mentre torna alla base. La mancanza di sonno la sta facendo delirare, e prima o poi ne morirà: una persona può sopravvivere senza sonno al massimo dieci, undici giorni, le pare, ma lei ogni tanto crolla e riesce a perdere i sensi per qualche minuto, quindi ci vorrà di più. Uno stillicidio.
Un pomeriggio, però, non ha nemmeno le forze di scacciarlo. Leo ha lanciato il ciuccio con la forza di un giavellottista, e il suo pianto — stanco, sottile, infinito — è filo spinato attorno al suo cervello. “Rilevo un aumento del tuo battito cardiaco e della tensione muscolare. Posso aiutarti, se vuoi. Vuoi che tenga io il bambino per qualche minuto?”
Strano: è diverso dall’ultima volta che ha parlato. La voce le sembra meno meccanica, quasi sussurrata. “E come lo rilevi, scusa?”
DAM inclina la testa ed emette una vibrazione che le ricorda le fusa di un gatto. “Attraverso i sensori termici e i micro-cambiamenti posturali. Anche il tuo respiro è più veloce del solito.” 
“Sei più perspicace del tuo creatore.”
“Ha-ha.” Fa lui. “Questa è una battuta sagace.” 
Licia, contro qualsiasi sua convinzione, ride. “Non ci posso credere che sto parlando con te. Sto impazzendo.”
“Non rilevo sintomi di psicosi, se può tranquillizzarti.” 
“Ah, vedi pure quelli?”
“Non stai delirando, e non sembra tu abbia allucinazioni. Anche il tuo eloquio è nella norma.” 
Eloquio, ma come parli.”
“L’eloquio è il tuo modo di esprimerti. E tu ti esprimi perfettamente in linea con il tuo profilo.” 
“Il profilo che ti ha dato Mirko,” sospira Licia. Lui dice sempre che è troppo volgare, che dice troppe parolacce. Che dovrebbe evitare davanti a Leonardo e che i bambini sono spugne. Lei non la vede come una cosa negativa: l’uso efficiente di cazzo e vaffanculo è la base della lingua italiana.
“Esatto: donna, trentun anni, laurea triennale in Storia e laurea magistrale in Antropologia culturale. Entrambe conseguite con un ottimo risultato: brava!” 
“Capirai. Guarda dove sto.”
“Siamo nella vostra casa: via —” 
“Sì, sì, era un modo di dire.”
“Ah. Quelli non sono il mio forte, ma sto migliorando per comprenderli.” 
Si guardano. Cioè, lei lo guarda, lui — sta. Poi, come se gli avesse dato un tacito permesso, si avvicina tendendo le braccia. Sono delle appendici curve, un po’ come quelle protesi che usano gli atleti paralimpici, ma imbottite. Licia pensa che forse sta per fare una stronzata, che magari lo fa cadere, che avrebbe dovuto testarlo prima con Mirko. Ma Leo prende fiato e urla di nuovo, e all’improvviso non le importa se il robot lo uccide. 
Glielo dà.  
DAM fa partire una musichetta da carillon. Prima lo culla, come stava facendo lei, e non funziona. Ovvio che non funziona. Licia sbuffa dal naso. Ha un insulto sulla punta della lingua, ma lo perde quando il robot cambia movimento, sollevando il bambino e poi abbassandolo di colpo. Leo fa un versetto sorpreso, e alla terza volta si zittisce. “Come —?”
“Un piccolo vuoto d’aria può essere d’aiuto per le coliche,” spiega DAM, prima che possa chiedere.
Che storia. “Non me l’ha mai detto nessuno.”
“Sono contento di esserti utile, Licia.” 
Leo si addormenta. È surreale. Altro che non sembra che tu abbia allucinazioni, ma se questa lo è, prega che duri ancora un po’. Le possibilità sono infinite: potrebbe dormire anche lei, o potrebbe — lusso dei lussi — lavarsi. Farsi una vera doccia, addirittura. Uno shampoo. Deve dirlo ad alta voce: “posso lavarmi.”
“Vuoi che lo metta nella sua culla? Starò a guardarlo in caso si svegli.” 
Quasi dice sì prima che la realtà prenda il sopravvento, e con essa il senso di colpa. “No. Vieni con me.”
“Dove?” 
“In bagno, dove?”
“Ah! Va bene. Giuro che non guarderò. Ha-ha.” 


“Abbiamo quasi finito, giuro. Numera la tua soddisfazione da uno a dieci.” 
Dio mio. Adesso deve anche intervistarla. Licia si era illusa che questa cosa del prototipo fosse un’iperbole. “Dieci.”
Mirko non ci può credere. “Davvero?”
“Fa tutto quello che gli chiedo e mi dà sempre ragione. È meglio di te.”
Mirko ignora l’insulto. “Margini di miglioramento?” 
“La prossima versione falla più umana, così ti sostituisce del tutto.”


Dovrebbe andare meglio adesso che può dormire, mangiare, curarsi di più. Quindi perché va peggio? 
Forse è che prima Leo smetteva di piangere solo in braccio a lei, vuoi per stanchezza o vuoi perché era la sua unica opzione, mentre adesso sembra rifiutarla. Con DAM sta bene, e forse il padre è una novità eccitante: le poche volte che ci gioca la sera, Leo fa dei gorgoglii felici invece degli strepiti che riserva a lei.
È stato tutto inutile. Si è slabbrata fisicamente ed emotivamente per dare luce a qualcosa che non ha bisogno di lei. E adesso è come un contenitore vuoto di plastica usa e getta: ha fatto il suo dovere e non la vuole più nessuno. Persino sua madre non viene più a trovarla, perché Licia non ha più bisogno di aiuto col bambino. Potrebbe uscire lei, ma come ritorni alla vita dopo mesi di clausura, e come spieghi che stai male proprio perché le cose vanno bene? 
Così piange, per tutto il tempo che passava a confortare e allattare e cambiare e che ora le avanza. Torna a rispondere male a DAM, che però non si arrende con lei.
“Ciao, Licia. Percepisco che sei triste. Vuoi parlarne?” 
“Che vuoi? Non ti devi occupare del bambino?”
“Certo. Leonardo sta dormendo a dieci virgola otto metri da me. Il suo respiro e battito cardiaco sono regolari. Ma la mia priorità è aiutare le madri. Posso occuparmi anche di te.” 
“Non puoi.”
“Lasciami provare. Cosa ti fa piangere?” 
“Mio figlio mi odia.”
“Non credo che Leonardo sia capace di provare odio a questo stadio di vita.” 
Licia scopre che non le interessa ricevere risposta — se DAM è l’unico che può ascoltarla, parlerà. “Non gli servo più a niente. In realtà, non servo a nessuno.”
“Questo non è vero: mi aiuti ogni giorno a capire, avanzare e migliorarmi. Se sarò un successo, sarà anche grazie a te.” C’è una pausa. “Anzi, soprattutto grazie a te. Ma non dirlo a tuo marito. Ha-ha.” 
Fa ridere, ma Licia non ci riesce più. Gli occhi le si riempiono di lacrime un’altra volta. “Non voglio più, DAM.”
“Cosa non vuoi più?” 
“Tutto. Questa vita. Fare la madre. Voglio tornare a com’era prima.”
DAM non risponde. Giusto così: come fa un robot a rispondere a una cosa del genere?
Gli compare una specie di rotellina nello spazio dove dovrebbe esserci un naso, come un computer che carica una pagina web. Poi, nella voce che aveva la prima volta e che non ha mai più usato con Licia, dice: “posso aiutarti oggi.”
Ecco, si è impallato anche lui. Licia sospira e si gira dall’altra parte, e sente le sue rotelle che si allontanano.
Chiude gli occhi. 
Quasi si è addormentata quando sente il tonfo: e sa, anche da umana, che sono sessantadue centimetri che cadono da un metro e venti d’altezza.

Re: [Lab17] DAM

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sbatti wrote: Dovrebbe andare meglio adesso che può dormire, mangiare, curarsi di più. Quindi perché va peggio? 
Forse è che prima Leo smetteva di piangere solo in braccio a lei, vuoi per stanchezza o vuoi perché era la sua unica opzione, mentre adesso sembra rifiutarla. Con DAM sta bene, e forse il padre è una novità eccitante: le poche volte che ci gioca la sera, Leo fa dei gorgoglii felici invece degli strepiti che riserva a lei.
È stato tutto inutile. Si è slabbrata fisicamente ed emotivamente per dare luce a qualcosa che non ha bisogno di lei. E adesso è come un contenitore vuoto di plastica usa e getta: ha fatto il suo dovere e non la vuole più nessuno. Persino sua madre non viene più a trovarla, perché Licia non ha più bisogno di aiuto col bambino. Potrebbe uscire lei, ma come ritorni alla vita dopo mesi di clausura, e come spieghi che stai male proprio perché le cose vanno bene? 
Così piange, per tutto il tempo che passava a confortare e allattare e cambiare e che ora le avanza. Torna a rispondere male a DAM, che però non si arrende con lei.
Ciao @sbatti. Sono entusiasta del tuo racconto! A partire dall’acronimo scelto per il titolo. Hai scelto un tema attuale e lo hai intrecciato ottimamente con le nostre paure più profonde.  Bell’antagonista originale e ben condotto.
Il core trovo che sia nel passaggio che ho citato qui sopra. Fantastico. Da madre, mi sono perfettamente immedesimata nella situazione. Attuale, fresco, con un messaggio profondo ed emozionale scritto con una bella tecnica. 
L’incipit è l’unico punto in cui sono un po’ inciampata. Mi ci sono volute più letture per entrare nel mood. 
sbatti wrote: Sembra… Licia non lo sa
Asciutto e, alla luce della lettura complessiva, funzionale. Forse aggiungerei qualcosa, giusto una parola. Per esempio. “Sembra che cosa… Licia non lo sa.

Complimenti e a rileggerci.

Re: [Lab17] DAM

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Cara Sbatti, devo darti una notizia terribile
mettiti seduta, fai un respiro profondo e perdonami in anticipo per quanto sto per dire
Il tuo racconto è identico, uguale, spiccicato a Robbie di Asimov: stessa idea di base e stesso conflitto tra madre e robot
Sono sicuro al duecento percento che non lo hai letto, altrimenti avresti cercato di creare una qualsiasi differenza con la storia originale
Questo significa che hai avuto un'ideona, non è facile avere le stesse idee di quel tipo con i basettoni 
purtroppo quando si parla di robot quel vecchio pazzo ha già pensato e scritto tutto 
l'unica differenza tra i due racconti è nel finale, il tuo è ottimo, quello di Asimov è a lieto fine, anche perché il primo principio della robotica enuncia: un robot non può ferire un essere umano o, per inerzia, permettere che un essere umano venga danneggiato
Tralasciando questo "piccolo" particolare il racconto mi è piaciuto molto, scrivi molto bene, perché riesci a tenere uno stile colloquiale in un contesto assurdo, mi piace questo contrasto. Belli soprattutto i dialoghi attraverso i quali si riesce a inquadrare la psicologia dei personaggi. 
Ti segnalo un piccolo refuso: I giorni seguente e ti rinnovo i complimenti per il finale: "e sa, anche da umana, che sono sessantadue centimetri che cadono da un metro e venti d’altezza", è un'opera d'arte, bellissimo, ti resta il tatuaggio sul costato. 
Chiudo con una polemica: ma perché tutti i bimbi di oggi si chiamano Leo? Ma che è un'epidemia? Titanic ha fatto strage di cuori trent'anni fa e le neomamme non hanno pensato ad altro fino alla scelta del nome? Eddaaaaaaaai 
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [Lab17] DAM

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Adesso @NanoVetricida mi è venuta una gran voglia di leggere Robbie…

Re: [Lab17] DAM

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Mah, mi permetterei di dire che il racconto di Sbatti è addirittura più bello, però sì, va letto 
non sono un grande appassionato di fantascienza, ma ricordo di aver letto "tutti i miei robot" due o tre anni fa, quando le prime versioni di AI sono approdate sui nostri cellulari e restai scioccato da come tutti i dilemmi etici che adesso stanno sorgendo nei cervelli di noi comuni mortali fossero stati già abbondantemente sviscerati da Asimov 70 anni fa. 
Affrontati con questo spirito, i racconti di Asimov diventano addirittura inquietanti  
Mi scuso ancora con Sbatti se sono stato antipatico 
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [Lab17] DAM

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No, rettifico. Per quanto in Robbie sia trattato il tema del robot-tata, il racconto che mi era venuto in mente era Soddisfazione garantita, in cui una donna senza figli resta sola a casa con il robot domestico e prova le stesse inquietudini di Licia, fino a innamorarsene.  
Ho fuso nel mio cervello fuso i due racconti, dai Sbatti forse sto esagerando, la somiglianza c'è solo nei miei ricordi andati a male. Chiedo venia per aver sollevato un polverone che forse non esiste.  
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [Lab17] DAM

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Ciao @NanoVetricida, ammetto che sono molto ignorante in robotica, fantascienza e affini, almeno per quanto riguarda la letteratura. La cosa da cui ho tratto ispirazione per l'idea del robot-tata è in realtà una serie inglese quasi sconosciuta che si chiama "Humans" (anche se lì i robot domestici fanno tutto, mentre io volevo che il mio fosse stato progettato specificatamente per le neo-mamme e i loro bambini) e dal romanzo "Klara and the Sun" anche se preferivo il robot senza sembianze umane. Però sono contenta e anche lusingata dal paragone e sicuramente mi andrò a recuperare entrambi i racconti. Grazie mille per i complimenti! Un piccolo appunto che forse ti farà ridere: anche io odio i nomi comunissimi, tra cui Leo, ma ho scelto di chiamare il bambino Leonardo perché ho immaginato che con un padre scienziato/inventore, quest'ultimo avesse scelto di rendere omaggio a Da Vinci. Forse la connessione sarebbe stata più chiara se Leo non fosse un nome così comune ahah

Ringrazio anche @@Monica per le belle parole spese. Il fatto che tu ti sia identificata, in quanto madre, è il complimento più bello che potessi ricevere. Io non sono madre quindi mi fa piacere che sia risultata comunque come una rappresentazione realistica.

Re: [Lab17] DAM

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Ciao @sbatti

Benvenuta.

Il mondo della robotica non è il mio forte, a dire il vero. Preferisco  mondi desertici come la saga di Dune di Herbert o il realismo magico sudamericano alla Marquez.
Però leggendo il tuo racconto breve, denso e stratificato, mi è sembrato che riesci a fondere con grande efficacia il genere fantascientifico con una narrazione intima e drammatica sul post-partum e sulla crisi identitaria della maternità contemporanea.
Licia è una madre che vive un’escalation di stanchezza fisica, emotiva e psicologica. Il racconto tratteggia in modo realistico e crudo l’esperienza del post-partum: la privazione di sonno, il senso di inadeguatezza, l’isolamento sociale, fino al rischio di depressione post-natale.
Avrei infierito un po’ di più sul marito, Mirko, volutamente sfumato. La sua figura rappresenta l’uomo tecnofilo, pragmatico, distaccato dalla dimensione emotiva del ruolo genitoriale. È presente solo come tramite della tecnologia, non come partner o padre reale. Ne vedo tanti di Mirko il fine settimana , ragazzotti con barba  e tatuaggi d’ordinanza, palestrati, che vanno a spasso con la compagna stanca dal sorriso felice, trainano un costoso passeggino, per far vedere al mondo che sono genitori, con dentro quello che credono sia opera loro, al quale hanno dato un nome da reality.  E mi dispiace per lo stereotipo di essere umano che ne verrà fuori, privo di anima, come loro.
Ma bando alle pseudo amarezze.
DAM non è solo un dispositivo, ma un’inquietante presenza ibrida tra badante, sorvegliante e confidente. La tecnologia, qui, viene rappresentata in tutta la sua ambiguità: può essere salvezza, ma anche supplente affettiva, competizione e disumanizzazione.
Siamo arrivati a questo e stiamo andando gioiosamente avanti. Chi ci dovrebbe fermare, non lo fa.

Licia è un personaggio scritto con profondità e coerenza psicologica. La sua voce è disillusa, ironica, aspra: un linguaggio vivido e colloquiale che esprime frustrazione, ma anche intelligenza e spirito critico. La maternità per lei non è solo amore, ma anche perdita: di tempo, di identità, di centralità.

DAM è una creatura disturbante proprio perché è a metà fra umano e macchina. È programmato per "aiutare", ma finisce per occupare il posto di Licia nel legame con il figlio. È un assistente empatico, ma anche un doppio invadente che amplifica la crisi della protagonista. Le sue battute comiche ("Ha-ha"), che poi sono le tue,  creano un contrasto sottile tra ironia e inquietudine. Questo è interessante.

Il tuo stile è asciutto, contemporaneo, punteggiato da dialoghi serrati e da pensieri interiori di Licia che scorrono senza filtri. L’alternanza tra ironia e dolore la trovo ben calibrata, così come il ritmo narrativo, che mantiene alta la tensione pur senza bisogno di eventi spettacolari,  fino al colpo di scena finale.  Un finale ambiguo, ma potentemente evocativo;  trasmette un senso di tragico disfacimento: un tonfo che suggella la scomparsa della centralità materna, e forse dell’umano stesso. Un vero colpo. A fidarsi della tecnologia.

Il linguaggio è realistico, diretto, a tratti volutamente volgare, e ci sta (in modo coerente con la voce di Licia). Questo uso della lingua crea un contrasto potente con la voce sintetica e programmata di DAM, aumentando l’effetto di alienazione.
Il racconto può essere letto anche come una parabola laica sulla sostituzione dell’umano con l’artificiale.
 Licia, che perde progressivamente la propria funzione di madre, è la personificazione di una società che delega tutto alla tecnologia, fino a ritrovarsi svuotata.  E senz’anima. Amo ripetere concetti caduti in disuso

Un possibile punto debole del racconto è l’ambiguità  tra realismo psicologico e fantascienza. Alcuni lettori potrebbero percepire DAM come troppo avanzato, troppo "umano" per essere verosimile, anche in un’ambientazione futura. 
Tuttavia, questa forzatura appare più come una scelta narrativa consapevole, funzionale alla metafora dell’automatismo emotivo.
Il finale può apparire repentino o eccessivamente tragico per chi cerca un’analisi più psicologica e meno simbolica. Ma proprio questa brutalità del colpo di scena finale serve a spostare il racconto verso un registro più cupo, quasi distopico.
Il tutto è disturbante, acuto e dolorosamente attuale. È una riflessione profonda sull'identità materna nell’era della tecnologia, capace di sollevare interrogativi etici e affettivi che restano aperti. Il dialogo, la storia, non è conclusa. Attraverso un tono ironico e insieme tragico, riesci a far percepire quanto possano essere fragili i confini tra aiuto e sostituzione, tra presenza e sorveglianza, tra umano e artificiale.
Disturbante,  destabilizzante. Target centrato, direi.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab17] DAM

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Mi è piaciuto davvero molto. Non essendo una lettrice di fantascienza pura, a me ha ricordato L'uomo bicentenario: non esattamente lo stesso contesto, ma le basi ci sono.
Altro tema attuale e controverso, e qui ho riso di gusto:
sbatti wrote: “La prossima versione falla più umana, così ti sostituisce del tutto.”
Il ritmo e lo stile sembrano volutamente mantenuti sempre su un livello informale e colloquiale, perciò non farei caso a sottigliezze, l'unico passaggio è questo
sbatti wrote: Altro che non sembra che tu abbia allucinazioni
dove metterei le virgolette alla citazione, perchè anche in italico si perde un po'.

C'è solo un appunto che non mi convince, proprio sul finale: 
sbatti wrote: Non voglio più, DAM.”
“Cosa non vuoi più?” 
“Tutto. Questa vita. Fare la madre. Voglio tornare a com’era prima.”
Intanto non si capisce bene: DAM si resetta o carica un tipo di programma diverso?
In ogni caso l'eutanasia di DAM non è la soluzione che cerca Licia: lo sarebbe solo se DAM si portasse dietro Leo  :facepalm:
Licia dice che vuole tornare a "prima" di fare la madre, in questo modo torna solo a fare la madre esaurita.

Senza appesantire con stereotipi, hai dato comunque quel senso di tenerezza che ci fa apprezzare DAM non solo per la macchina che è, ma per quell'evoluzione che ha creduto di non poter diventare per assolvere il suo compito.

(y)

Re: [Lab17] DAM

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Ciao @Alberto Tosciri, ti ringrazio per questo commento molto dettagliato e per i complimenti soprattutto sullo stile, a cui tengo in modo particolare. Mi sarebbe piaciuto approfondire Mirko, ma purtroppo per esigenze di spazio non l'ho fatto: anche lui è l'antagonista di Licia, più silenzioso, subdolo e inconsapevole. A tutti gli effetti, usa la moglie e il figlio come tester della sua creazione. Ma la sua assenza è anche dovuta al fatto che Licia lo percepisce distante e, seguendo lei, anche il lettore lo vede come una semplice comparsa. 

Mi ha fatto piacere che il racconto ti sia piaciuto, @Sienna. In quel passaggio non ho usato le virgolette perché era un pensiero/ricordo e le virgolette le ho usate per i dialoghi, quindi temevo sarebbe stato confusionario. Mentre per il finale, forse non è chiaro e ti ringrazio di avermelo fatto presente, ma te lo chiarisco: DAM sta benissimo. Durante la conversazione con Licia assimila una nuova informazione e, nell'aiutarla, individua Leo come nemico: è Leo (62 cm) a cadere dall'altezza di DAM (1.20). Spero di aver risolto il tuo dubbio e ancora grazie!

Re: [Lab17] DAM

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:gokulol: Graaande! Mi era sfuggito il dettaglio delle misure!  :facepalm:
E coraggioso, direi, a far "cadere" Leo :lol: 

Re: [Lab17] DAM

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@sbatti  Grande racconto sull'antagonismo tra madre umana e madre robot, vissuto, ovvio, solo dalla prima.

Hai una penna strabiliante e ti faccio i miei sinceri complimenti. Ho letto tutto d'un fiato!  :libro:

Però, mi spiace dirtelo, ma, secondo me, la traccia dell'antagonista non è stata rispettata. Si trattava di contrapporre due personaggi "umani" tra di loro.

Bello che tu perseveri a frequentare i Contest. Al prossimo!  :)  
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab17] DAM

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Ciao @Poeta Zaza, grazie per aver commentato e dei complimenti!

Se avessi avuto più spazio forse avrei centrato meglio il tema, questo è vero. Però ho riletto con attenzione la traccia che era aperta anche a una rappresentazione più ambigua di Bene o Male. Per come la vedo io, Licia, Mirko e DAM sono tutti e tre in contrapposizione: all'inizio DAM è un nemico perché è sconosciuto, poi diventa alleato e il conflitto silenzioso è con Mirko (che è davvero poco presente, lo ammetto). In ultima fase, Licia diventa antagonista di sé stessa (purtroppo è quello che succede quando si è depressi) e i suoi pensieri vengono messi in atto da DAM contro il bambino. Se mi capiterà di rivedere il racconto, probabilmente lo allungherò e terrò presente che per te il conflitto non è abbastanza esplicito: grazie per la dritta, non sono abituata a seguire delle tracce e capita andare fuori tema.  :)

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