È una notte buia e tempestosa perché a certe storie non si addicono chiar di luna e grilli canterini. Molto meglio scrosci che picchiano sui vetri e schiaffeggiano le fronde, lampi e boati minacciosi.
E poi vento, che spalanca la finestra, manda all’aria carte e documenti e fa sbattere l’anta così forte che i vetri scricchiolano mentre la pioggia irrompe a bagnare il pavimento.
Padre Anselmo si precipita, si china a raccogliere, ma più fogli riesce ad afferrare, più gliene scivolano di nuovo a terra. Si ferma e alza gli occhi al cielo: «Vuoi dirmi qualcosa, vero?»
«Che se non chiude, tanto vale uscire a fare una passeggiata» fa una voce alle sue spalle.
Suor Clelia. Massiccia, il corpo e il volto scolpito da anni di missioni nelle favelas brasiliane, non fosse stato per gli scherzi delle coronarie se ne starebbe ancora lì, «Quello è il mio posto, che ci faccio tra marmi e parquet?» brontola immusonita quando crede che nessuno la senta.
Poggia il vassoio sulla scrivania, chiude la finestra, si ferma a guardare lo sfacelo sparso per terra e poi padre Anselmo, che intanto è crollato sulla sedia dietro la scrivania.
«Ha un aspetto orribile» gli fa scuotendo la testa. Poi si china, afferra bracciate di carte e le svalanga sul divanetto di fronte alla libreria. «Domando e dico a che le serviranno mai…»
«No, lasci stare» fa Anselmo. Dà un’occhiata al vassoio: «Non è un po’ presto per la colazione?»
«Presto, tardi, che cambia? A cena non ha toccato cibo, tanto vale far finta che sia cominciato un altro giorno.»
«Non ho fame.»
«Non importa. Pensi che sia una medicina.»
L’altro sospira, prende un cornetto, lo tuffa nel caffellatte, lo addenta e mestamente comincia a masticare.
Suor Clelia scosta la poltroncina davanti alla scrivania, si siede e incrocia le braccia: «Dunque?»
«Dunque cosa?»
«Che succede?»
«Piove e fa freddo.»
Lei tace, lo fissa e aspetta con la faccia che dice: «Tanto prima o poi me lo dici.»
E infatti: «Aldo. Ormai non gli resta molto.»
«Avrebbe potuto restare con lui. Andarsene con un amico che ti tiene la mano può essere…»
L’altro scuote la testa: «Non ha voluto.»
Lei annuisce, stringe le labbra, guarda il bricco di caffè e la tazzina accanto ai cornetti: «Permette?»
«Ma certo. Ha portato per due, perché me lo chiede?»
«Comunque non me la bevo.»
«La capisco, questo non è caffè. È una vera schifezza.»
«L’ho fatto con l’orzo ed è buonissimo» fa lei stizzita. «In ogni caso, intendevo il motivo.»
«E me lo chiedo pure io: perché l’orzo?»
«Per le sue coronarie.»
«Che le hanno fatto di male?»
«Intendevo il motivo per cui è ridotto uno straccio». Beve un sorso, fa una smorfia e posa la tazzina.
«Buonissimo, eh?»
«Ottimo» fa lei con la faccia impunita. «Dicevo, che Aldo sia arrivato alla fine, purtroppo non è una sorpresa. Tuttavia non è un motivo sufficiente per ridursi in questo stato. Non lei.»
Padre Anselmo si stringe nelle spalle, sceglie un altro cornetto dal piattino e mestamente gli fa fare la stessa fine del primo.
Mastica, sospira e alla fine: «È un guaio, suor Clelia. Un guaio grosso.»
«Più che altro una cosa molto triste» dice lei scrutando il cornetto superstite. «Poveri ragazzi. Intendo Elena, la figlia di Aldo, e Tommaso, proprio alla vigilia delle nozze. Adesso dovranno…».
«Taccia, per l’amor di Dio taccia!» grida Anselmo.
«D’accordo, taccio» fa lei interdetta. «Ciò non toglie che quei ragazzi si amano e avrebbero voluto…»
«No, no!» urla l’altro.
«Perché no? Che c’è di male?»
«Tutto, tutto! Lei non può capire!»
«E se non me lo dice…»
«Non posso!»
«Io non posso capire, lei non può parlare, guardi che siamo messi male.»
Anselmo scuote la testa: «Ci sono delle regole.»
«Certo, tutti dobbiamo rispettare le regole.»
«Perché sono promesse. E senza quelle ci perderemmo.»
«Ma sì, ovvio.»
«Perché siamo piccoli e infinitamente deboli.»
«Certo, le regole. Dunque sono quelle che le tolgono il sonno.»
«No, vede, la regola in sé andrebbe pure bene… È, come dire?… È l’argomento a cui si applica…»
«Eminenza, sono le cinque del mattino, abbia pietà.»
Anselmo si passa le mani sulla faccia e poi le ferma sulla bocca, come a bloccare le parole che potrebbero uscirne. Chiude gli occhi, li riapre, tira un gran respiro: «Cosa farebbe se fosse a conoscenza di un segreto che non può essere svelato?»
«Beh, se fossi prete e mi fosse stato rivelato in confessione, il sigillo mi imporrebbe il silenzio.»
«Ma se rispettando il sigillo permettesse un sacrilegio ancora più grande?»
«Quanto più grande?»
«Molto.»
«E tacendo me ne renderei complice. Ho capito bene?»
«Perfettamente.»
«Pregherei, eminenza, perché il Signore m’illumini.»
«Ma l’ho già fatto, che crede?»
«E come è andata? L’ha illuminata?»
«Come un faro, tanto forte da restarne accecato!»
«Eh no, così non si vede un tubo.»
«Ah, l’angoscia, il tormento!» dice l’altro con voce rotta. Si prende la testa tra le mani, le apre, tira su il mento, alza gli occhi al cielo: «Mio Dio perché? Perché mi metti di fronte a una prova così grande? Perché?»
Allora pure Suor Clelia alza gli occhi al cielo, ma come a dire: «Abbi pazienza, è fatto così» e poi a padre Anselmo: «Perché forse pure Lui ne ha abbastanza di tutti questi piagnistei.»
L’altro sgrana gli occhi, apre la bocca con un’espressione che vorrebbe essere indignata, ma che somiglia di più allo stupore di un calcio nel sedere.
Lei finge di non accorgersene: «Insomma, eminenza, qual è il punto?» dice con tono raddolcito.
«Non è un punto, no! È una lama di rasoio sospesa sull’abisso e io ci devo camminare sopra.»
«Ah, bene.»
«Ma come bene? Male, anzi malissimo! Sono a un bivio Suor Clelia, un bivio estremo. Infrangere il sigillo e rivelare tutto oppure tacere? Nel primo caso significherebbe distruggere un progetto di vita, l’identità stessa di quanti ne verrebbero travolti, e non solo la loro, ma di tutti quelli che li amano. Un intero mondo di affetti, di cure e dedizioni crollerebbe e dalle macerie non si salverebbe nulla.»
«E questo non va bene.»
«Oppure rispettare la regola. Tacere. E col silenzio perpetrare un castello di menzogne sacrileghe e permettere che vi si costruiscano sopra altre vite, ingannevoli e scellerate quanto la prima. Negare la verità, la conoscenza, la consapevolezza e, per rispettare una regola, calpestare tutte le altre.»
«Eh sì, Un bel casino.»
«Come scusi?»
«No, niente, continui.»
«In sostanza, qualsiasi cosa decida di fare, sarà comunque una catastrofe.»
«Beh, come ho detto, il problema è complesso e comprendo il suo tormento. Tuttavia…»
«Tuttavia?»
«Se c’è una soluzione, perché preoccuparsi? Se invece una soluzione non c’è, e mi pare questo il caso, perché preoccuparsi?»
«E chi l’avrebbe detto?»
«Oh un mucchio di gente, guardi, da Aristotele a Confucio, tutti d’accordo.»
«E queste sarebbero le perle di saggezza millenaria?»
Suor Clelia si stringe nelle spalle: «L’ha detto lei: qualsiasi cosa sarà comunque catastrofe. Tanto vale giocarsela a testa o croce.»
«Ma che dice! Le pare questione da risolvere con una monetina?»
«Magari no, però il sigillo le impone il silenzio e dunque lei si trova tra l’incudine e il martello. Proprio come una monetina che sta per essere spiaccicata.»
Un’altra folata spalanca la finestra, sbatte, scompiglia, squaderna di nuovo a terra i pochi fogli ch’erano rimasti al loro posto e quelli sistemati sul divanetto. Padre Anselmo li fissa desolato, poi dà un’occhiata fuori: «Dunque dovrei parlare.»
«Allora parli» fa suor Clelia alzandosi per andare a chiudere.
«Ma non posso, non posso!»
«In questo caso le resta solo una cosa da fare» dice l’altra, di nuovo china a raccattare carte.
«Davvero? Quale?»
«Arrovellarsi. Eh sì, mi creda, è la cosa migliore. Lei si mette lì a rimuginare come la centrifuga di una lavatrice, ha presente? Rimugina e si arrovella, si arrovella e rimugina e vedrà che all’improvviso le sarà tutto chiaro.»
«Ma è già tutto chiaro: non c’è soluzione!»
«Beh, una catastrofe sarà pure meno catastrofica dell’altra.»
A questo punto Padre Anselmo fissa suor Clelia. Alla fronte aggrottata adesso si è aggiunto uno strizzamento d’occhi e un lieve dondolio del capo, come rovistasse tra le parole cercando quello che nascondono davvero. Poi la rivelazione: «Si sta prendendo gioco di me!» sbotta.
«Non mi permetterei mai, eminenza» dice lei. Si siede, prende il bricco e riempie la tazzina.
«Oh, sì invece! È più che evidente.»
«E perché mai? Solo perché si sta comportando come un pretino alla prima messa? Solo perché finge di non saperlo?»
«Ma cosa dovrei sapere? Cosa!»
«Lei è stanco e confuso. Sono giorni che va e viene dal capezzale di quel poveretto, dovrebbe riposare.»
«Non cambi discorso. Cosa dovrei sapere?»
Ed è allora che suor Clelia si alza, poggia le mani sulla scrivania e si sporge con un’espressione che induce padre Anselmo a schiacciarsi contro lo schienale: «Che le scelte hanno un prezzo, monsignore» lo dice lentamente, scandendo ogni parola. «Che si paga in termini di colpa e rimorso.»
«Ma questo riguarda le scelte sbagliate.»
«Ah sì? E quali sarebbero le scelte giuste, eh? Me lo sa dire? C’era anche lei in Kenia, e dovrebbe ricordare che laggiù non si partorisce come in una clinica svizzera. Anche allora dovemmo scegliere. Far nascere un orfano o salvare la madre e perdere il piccolo? Salvammo la madre, ma solo perché altrimenti gli orfani sarebbero stati cinque. E l’epidemia di Ebola in Nigeria? Non può averla dimenticata. Morivano soffrendo come bestie, imploravano aiuto. E noi a chi somministrammo le ultime dosi di farmaco? Ai più deboli? No, a quelli che avevano maggiori probabilità di farcela. Come le definirebbe queste scelte, monsignore? Ma soprattutto, come si collocano rispetto alle sue tanto amate regole?»
Anselmo tace a occhi bassi, mentre suor Clelia continua a raccogliere carte e faldoni. E la tempesta a ululare dietro i vetri. «Colpa e rimorso. È questo il prezzo. Sempre» dice impilando i documenti sul divanetto. «Perché l’innocenza non è di questo mondo.» Si gira, lo guarda: «E adesso mi dica che non lo sapeva.»
«Non ce la posso fare» dice Anselmo con la testa tra le mani. «Non stavolta.»
«E che avrebbe di diverso questa?»
«Lei non può sapere come mi sento.»
«Oh, sì invece. Si sente una merda.»
A queste parole Anselmo drizza la schiena come l’avessero schiaffeggiato: «Suor Clelia!»
Lei si gira di scatto: «Suor Clelia un corno! Troppo comodo credersi una merda. Eh sì, perché da quelle non ci si aspetta niente. Niente si chiede e molto si perdona perché sono deboli, inadeguate. Incapaci persino di cadere, perché a terra ci hanno sempre vissuto e solo così lo riconoscono, quello straccio di vita che gli è toccato. Ma quali sono le merde, quelle vere, quelle condannate ad esserlo per sempre? E no, mi spiace, ma lei non è nella lista. Soprattutto non è qui per questo.»
«Ma cosa? Chi l’autorizza a…»
«Le dico solo un nome: Marcus. Aveva solo quindici anni e il coltello con cui aveva sgozzato il padre ancora in tasca. L’aveva usato per salvare la madre e la sorellina e poi è venuto da lei. Se lo ricorda?»
«È passato tanto tempo.»
«Non così tanto, eminenza. Era un assassino, giovane, ma pur sempre un assassino e lei avrebbe potuto fare un mucchio di cose, e tutte secondo le regole. Invece no, l’ha tenuto qui.»
«Parlargli, suor Clelia. Ascoltarlo. Non lo aveva mai fatto nessuno. Prendere un po’ di tempo sperando di convincerlo a fare la cosa giusta. Lui, non io al posto suo.»
«Esatto!» fa l’altra con una gran manata sulla scrivania. «È questo il punto: lei ha rischiato perché fosse lui a scegliere. Perché sapeva che è solo così che si salvano le persone.»
Anselmo annuisce desolato: «Sì, l’ho fatto. Ero giovane…»
«E coraggioso, eminenza. Quella volta, come molte altre, lei non si è tirato indietro. Ha infranto le regole e ha aggiunto il carico a quelli che già portava sulla coscienza. Una merda non l’avrebbe fatto.»
«Stavolta però è diverso.»
«Lo è sempre, lo sa benissimo. Come sa che non serve portare la salvezza dove c’è già. È la tenebra che ha bisogno di luce.»
«Ma io la tenebra ce l’ho nel cuore.»
«E quei ragazzi si amano.»
«Non lo dica, per l’amor di Dio non lo dica!»
«E lei non si nasconda dietro le regole!»
«Ma lei non può sapere, non può nemmeno immaginare…»
A quel punto suor Clelia si avvicina, poggia di nuovo le mani sulla scrivania e di nuovo si sporge: «Ne è sicuro, eminenza?»
«Certo che sono…Un momento, mi sta dicendo…»
«Niente di importante. Solo che ho conosciuto Maria Brunori.»
«La madre di Tommaso!»
«Proprio lei. Una ragazza madre come ce ne sono tante, innamorata dell’uomo sbagliato come succede a tante. L’ho incontrata quando era senza casa e senza lavoro, appena Aldo Chiambrelli, il suo caro amico Aldo, ha saputo che era incinta. Di lui, monsignore, non di altri.»
«Dunque lei sa!»
«E cosa cambia? Tormento, distruzione e sacrilegio dovrebbero essere ancora al loro posto. O no?»
«Ma si rende conto? Quei due ragazzi non possono sposarsi! Sono…»
«Innamorati, monsignore! E mi creda, per quanto mi sforzi, il male non riesco a trovarlo. Forse perché sta da un’altra parte.»
Tacciono. Suor Clelia ricomincia a radunare le carte. Il vento scuote i rami, sibila tra le fessure, fa scricchiolare gli infissi come volesse a tutti i costi entrare.
In quel momento suona il telefono.
«Elena!» fa padre Anselmo. Ascolta, chiude gli occhi annuisce: «Certo» dice in un sussurro. Annuisce ancora, aggrotta la fronte. Poi mette giù. «Aldo se n’è andato.»
«Che il Signore lo accolga e gli dia pace» dice suor Clelia. «Come sta?»
«Come vuole che stia? Era un amico.»
«Non lei, Elena.»
«Addolorata, ovviamente. E confusa. Dice che…»
«Che?»
«Dice che rimandare le nozze dopotutto non è un male. Che potrebbe essere un’occasione per riflettere. E poi ha aggiunto una cosa che non mi aspettavo: “Perché mi sono accorta di amare moltissimo Tommaso, come un fratello. Ma credo che l’amore sia un’altra cosa.” Sì, ha detto proprio così.»
Suor Clelia chiude gli occhi e fa un gran respiro, qualcosa tra il sollievo e la gratitudine, poi si gira verso la finestra: «Guardi, la tempesta si è placata.»
Anselmo si alza, la raggiunge: «Si sta facendo giorno.»
E tutti e due restano a guardare il nero che a poco a poco impallidisce, si inchina al rosso, al viola, al rosa e finalmente all’oro che fiammeggia sontuoso tra gli alberi.
Sorridono, con gli occhi sgranati come due bambini davanti a una magia.
«Ha mai visto qualcosa di più bello?» dice lei.
Anselmo scuote appena testa e con le dita si asciuga qualcosa che gli colava dagli occhi: «Mi ha perdonato» sussurra.
«Sì. Lo fa sempre.»
Lui tira un gran sospiro e poi: «Che dice? Potrebbe essere l’ora di un caffè. Uno vero però.»
Lei lo guarda. Il sorriso le è rimasto in faccia, pure se vorrebbe fare il broncio: «Non se lo meriterebbe, ma glielo faccio lo stesso.» Prende il vassoio, si avvia.
E lascia Anselmo a meditare su coronarie e caffeina, regole e coraggio, salvezza e dannazione. E su quel senso di consolazione e rimpianto insieme che gli pesa un poco nel petto, più o meno dalle parti del cuore.
Una sensazione strana davvero.
Come di occasione persa.
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Re: [Lab16] Tempesta
2aladicorvo wrote: «Ma come bene? Male, anzi malissimo! Sono a un bivio Suor Clelia, un bivio estremo. Infrangere il sigillo e rivelare tutto oppure tacere? Nel primo caso significherebbe distruggere un progetto di vita, l’identità stessa di quanti ne verrebbero travolti, e non solo la loro, ma di tutti quelli che li amano. Un intero mondo di affetti, di cure e dedizioni crollerebbe e dalle macerie non si salverebbe nulla.»Devo dirti che a questo punto ho immaginato che i fidanzati di cui si parlava fossero in realtà fratello e sorella..
aladicorvo wrote: «Lei è stanco e confuso. Sono giorni che va e viene dal capezzale di quel poveretto, dovrebbe riposare.»La confessione dell'amico morente ha rivelato l'arcano.
aladicorvo wrote: «La madre di Tommaso!»Una macchia sull'anima di Aldo, di cui ha voluto liberarsi in punto di morte, anche perché l'amico monsignore fermasse la tempesta che ne sarebbe derivata..
«Proprio lei. Una ragazza madre come ce ne sono tante, innamorata dell’uomo sbagliato come succede a tante. L’ho incontrata quando era senza casa e senza lavoro, appena Aldo Chiambrelli, il suo caro amico Aldo, ha saputo che era incinta. Di lui, monsignore, non di altri.»
aladicorvo wrote: «Addolorata, ovviamente. E confusa. Dice che…»Un sospiro di sollievo per il monsignore, dilaniato dai conflitti dell'anima.
«Che?»
«Dice che rimandare le nozze dopotutto non è un male. Che potrebbe essere un’occasione per riflettere. E poi ha aggiunto una cosa che non mi aspettavo: “Perché mi sono accorta di amare moltissimo Tommaso, come un fratello. Ma credo che l’amore sia un’altra cosa.” Sì, ha detto proprio così.»
aladicorvo wrote: E lascia Anselmo a meditare su coronarie e caffeina, regole e coraggio, salvezza e dannazione. E su quel senso di sollievo e rimpianto insieme che gli pesa un poco nel petto, più o meno dalle parti del cuore.Come se avesse preferito percorrere tutta la strada della tempesta interiore e risolvere il conflitto, in un modo o nell'altro?
Una sensazione strana davvero.
Come di occasione persa.
Bel finale, brava @aladicorvo

aladicorvo wrote: [font=Garamond, "serif"] [/font]Sul finale ci sono delle scritte in rosso incomprensibili. Te le segnalo
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[font=Garamond, "serif"] [/font]
Re: [Lab16] Tempesta
3aladicorvo wrote: L’ho fatto con l’orzo ed è buonissimo» fa lei stizzita. «In ogni caso, intendevo il motivo.»Ho avuto un attimo di dubbio… le coronarie compromesse sono quella della suora. Una bella ironia…
«E me lo chiedo pure io: perché l’orzo?»
«Per le sue coronarie.»
Hai creato un testo teatrale @aladicorvo e due personaggi fantastici degni di Campanile. Il testo è disseminato di verbi d’azione che conferiscono ritmo e movimento. L’incipit ne è un limpido esempio. Ci sono le tue belle trovate onomatopeiche tipo quello “svalangare” che rende l’idea alla perfezione.
Interessante come hai gestito il conflitto. Un super classico come il dubbio se rivelare o meno il segreto confessionale unito al possibile rapporto incestuoso e inconsapevole tra due giovani promessi risolto col “potere divino” . La ragazza si rende conto di amare “come un fratello” il suo giovane (e fratello) promesso. Geniale come soluzione e davvero calzante il tramonto che assume la connotazione mistica di un miracolo che toglie le castagne dal fuoco al monsignore.
Un testo piacevolissimo ma che offre anche un bel po' di spunti morali come si addice a un racconto di formazione e in questo la splendida figura di Suor Clelia, una sorta di grillo parlante, un’amica, confidente, assistente personale del “monsignore” che non manca di sferzarlo a dovere ricordandogli le imprese giovanili, quando la vocazione e la missione forse avevano davvero il senso che con gli agi e l’età ę andato perduto. Bellissima la descrizione del “ti piacerebbe sentirti merda?” Ma sarebbe una soluzione comoda, qualcosa d’immeritato.
Ci ho trovato molte sfumature senza che la narrazione scada mai nell’ovvio. Non si punta il dito, si fa riflettere. E Clelia dimostra di saper guidare nella riflessione sia il pubblico che “Sua Eminenza”.
Tanta roba. Mi spiace, cara ala, ma anche stavolta non posso esserti di aiuto. Sei tu che aiuti me.
Re: [Lab16] Tempesta
4In generale:
Un testo scritto con brio con un grande elemento di pregio e alcune piccole cadute secondarie. Il pregio: il tema del conflitto, centralissimo, è il realtà stratificato e molteplice. C’è il conflitto interiore del frate, fra regole eterodirette e coscienza, quello più sottile fra il frate e la suora (che funge da coscienza critica), quello fra regole universali (supposte tali) e condizioni reali, eccetera. Da questo punto di vista mi sembra che il racconto non solo sia pertinente col tema del laboratorio, ma degno di discussioni sociologiche, più che letterarie. Ci sono poi degli elementi - dal mio personalissimo punto di vista - che riducono l’impatto del conflitto e della piacevolezza della lettura, che riassumerei così: i) eccessiva centralità di un dialogo (a tratti estenuante e fuorviante) fra il frate e la suora, ripetitivamente giocato sul posso/non posso, vorrei/non vorrei, eccetera; ii) troppi elementi di contorno, altrettanto fuorvianti; gli elementi utili per dare spessore ai personaggi, ai contesti, alla scena, ci sono tutti, ma qualche volta esageri e porti il lettore a perdersi in dettagli trascurabili oscurando il tema centrale. Poiché il tema del laboratorio era il conflitto, e tu l’hai centrato benissimo, avrei preferito leggere un testo che ne sviluppava i contorni.
Questioni specifiche:
Infine: Un po’ troppi puntini di sospensione.
Un testo scritto con brio con un grande elemento di pregio e alcune piccole cadute secondarie. Il pregio: il tema del conflitto, centralissimo, è il realtà stratificato e molteplice. C’è il conflitto interiore del frate, fra regole eterodirette e coscienza, quello più sottile fra il frate e la suora (che funge da coscienza critica), quello fra regole universali (supposte tali) e condizioni reali, eccetera. Da questo punto di vista mi sembra che il racconto non solo sia pertinente col tema del laboratorio, ma degno di discussioni sociologiche, più che letterarie. Ci sono poi degli elementi - dal mio personalissimo punto di vista - che riducono l’impatto del conflitto e della piacevolezza della lettura, che riassumerei così: i) eccessiva centralità di un dialogo (a tratti estenuante e fuorviante) fra il frate e la suora, ripetitivamente giocato sul posso/non posso, vorrei/non vorrei, eccetera; ii) troppi elementi di contorno, altrettanto fuorvianti; gli elementi utili per dare spessore ai personaggi, ai contesti, alla scena, ci sono tutti, ma qualche volta esageri e porti il lettore a perdersi in dettagli trascurabili oscurando il tema centrale. Poiché il tema del laboratorio era il conflitto, e tu l’hai centrato benissimo, avrei preferito leggere un testo che ne sviluppava i contorni.
Questioni specifiche:
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pmÈ una notte buia e tempestosaPrimo impatto: mi viene in mente Snoopy nel ruolo di Joe Falchetto. Non si può più, mi spiace non si può più. Una breve panoramica qui: https://www.illibraio.it/news/storie/era-una-notte-buia-e-tempestosa-1422187/
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pm«Che se non chiude, tanto vale uscire a fare una passeggiata» fa una voce alle sue spalle.I dialoghi devono sempre finire con un segno di punteggiatura, anche una semplice virgola, anche nel caso che il racconto prosegua, come in questo caso (ma questa riflessione vale anche per diverse altre parti del tuo testo):
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pm«Taccia, per l’amor di Dio taccia!» grida Anselmo.Troppo colloquiale; meglio: ‘grida il frate’, o ‘grida lui’.
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pmfavelas brasiliane,L’uso di termini stranieri in contesti italiani deve seguire le regole grammaticali italiane; quindi la ’s’ del plurale spagnola e inglese non vanno messe nei plurali. In questo caso specifico: ‘favela brasiliane’.
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pm"Quello è il mio posto, che ci faccio tra marmi e parquet"Anche tu usi il corsivo entro un virgolettato; un doppio marker non necessario. In alcuni casi - non è il tuo - l’autore può usare il virgolettato per i dialoghi e il corsivo per esprimere il pensiero, o altro. Qui la suora brontola, sì, ma esprime delle parole; le virgolette bastano e avanzano. Più avanti, scrivi: “con la faccia che dice: «Tanto prima o poi me lo dici.»”. Qui è l’opposto: bastava il corsivo (è la faccia che dice) senza le virgole (anche più avanti nel testo).
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pmsvalanga sul divanettoIl termine ‘svalanga’ può pure essere simpatico se usato in un dialogo come marcatore per un personaggio buffo, o per indicare un contesto regionale, o familiare, etc. Usare questi termini da parte del narratore onnisciente, invece, a me non sembra particolarmente utile e crea - nella mente del lettore - una piccola frattura nel senso che va costruendo.
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pmincrocia le braccia: «Dunque?»‘Dunque’ minuscolo, poiché la frase precedente termina coi due punti. Anche più avanti altri casi.
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pm«Dicevo, che Aldo sia arrivato alla fine, purtroppo...Direi due punti dopo ‘dicevo’.
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pmEminenzaÈ titolo per cardinali e arcivescovi, non per un frate.
aladicorvo wrote: Tue Feb 04, 2025 7:10 pmEh sì, Un bel casino.Dopo ‘sì’ c’è una virgola, quindi ‘un’ va minuscolo;
Infine: Un po’ troppi puntini di sospensione.
Re: [Lab16] Tempesta
5@aladicorvo Tieni sempre incollato il lettore come in un thriller. La tensione viene tenuta sul filo del rasoio ed è eterna. Poi improvvisamente viene svelato l'arcano.
Non ho capito bene però che fine abbia fatto la madre di Tommaso, la Maria Brunori.
Dovrebbe essere anche lei a conoscenza dei fatti e coerentemente far valere il suo ruolo. A meno che mi sia sfuggito qualcosa o il fatto che anche lei abbia fatto un brutta fine. Ma se lo viene a sapere anche la suora, non potrebbe a questo punto averlo saputo chiunque? Il segreto svelato dalla confessione con cui si dilania padre Anselmo magari, alla fine, potrebbe non esserlo più?
Sempre una bella lettura. Tutti i tuoi caratteri vengono bruciati in un attimo.
Alla prossima.
Non ho capito bene però che fine abbia fatto la madre di Tommaso, la Maria Brunori.
Dovrebbe essere anche lei a conoscenza dei fatti e coerentemente far valere il suo ruolo. A meno che mi sia sfuggito qualcosa o il fatto che anche lei abbia fatto un brutta fine. Ma se lo viene a sapere anche la suora, non potrebbe a questo punto averlo saputo chiunque? Il segreto svelato dalla confessione con cui si dilania padre Anselmo magari, alla fine, potrebbe non esserlo più?
Sempre una bella lettura. Tutti i tuoi caratteri vengono bruciati in un attimo.
Alla prossima.
Re: [Lab16] Tempesta
6Ciao Ala! il tuo racconto mi è piaciuto un sacco, fin dall'incipit. Suor Clelia davvero mitica. Ha spessore, potrebbe benissimo essere il personaggio di un romanzo.
Passiamo a Don Anselmo: anche lui ben tratteggiato, quasi caricaturiale ma credibile. Impossibile non pensare - e non solo per la somiglianza fonetica - a Don Abbondio. Se devo scegliere, tra tutte, una frase emblematica del personaggio, come ho fatto per Suor Clelia, sceglierei questa:
aladicorvo«Quello è il mio posto, che ci faccio tra marmi e parquet?» brontola immusonita quando crede che nessuno la senta.Qui ci ritrovo, zippato, il dilemma di una vita. Mi immagino e mi immedesimo nel suo ritorno magari improvviso e sicuramente sofferto, mai accettato fino in fondo, nel dolore dell'abbandono di una terra che è quasi patria. È solo un baluginio fugace, una mezza frase borbottata, ma rende così bene l'idea. DI suor Clelia mi piace che traspaia un prima e che il lettore possa scorgere, nel suo modo di essere attuale, sprazzi di ciò che è stata e che l'ha portata ad essere così.
Passiamo a Don Anselmo: anche lui ben tratteggiato, quasi caricaturiale ma credibile. Impossibile non pensare - e non solo per la somiglianza fonetica - a Don Abbondio. Se devo scegliere, tra tutte, una frase emblematica del personaggio, come ho fatto per Suor Clelia, sceglierei questa:
aladicorvoL’altro sgrana gli occhi, apre la bocca con un’espressione che vorrebbe essere indignata, ma che somiglia di più allo stupore di un calcio nel sedere.Ora alcune osservazioni minori:
aladicorvoprende un cornetto, lo tuffa nel caffellatte, lo addenta e mestamente comincia a masticare.
aladicorvoaladicorvosceglie un altro cornetto dal piattino e mestamente gli fa fare la stessa fine del primo.Non è proprio una ripetizione classica, visto che i due mestamente si trovano parecchio distanti, matrovo comunque un po' fastidioso utilizzare lo stesso avverbio (e non uno qualsiasi, ma un avverbio già abbastanza ricercato, sontuoso) per parlare del cornetto.
aladicorvoL’ho incontrata quando era senza casa e senza lavoro, appena Aldo Chiambrelli, il suo caro amico Aldo, ha saputo che era incinta. Di lui, monsignore, non di altri.»Può darsi che sia solo io, ed in tal caso puoi ignorarmi, ma mi ha creato confusione. Di lui chi? del Don? Di un oscuro personaggio che ci verrà presentato subito dopo? Rileggendo è stato più charo, ma te lo faccio comunque presente perchè mi dico che quello che noi che scriviamo vogliamo evitare è costringere il lettore a tornare sui suoi passi per decifrarci. In generale, anche se si capisce dove vuoi andare a parare e che quello che conta è che i due fidanzati sono fratelli (questo è ben chiaro), ho riscontrato questo ermetismo un po' in tutto il racconto. Posso dire che è l'unica cosa che mi ha guastato la lettura.
aladicorvoE lascia Anselmo a meditare su coronarie e caffeina, regole e coraggio, salvezza e dannazioneQui non mi fa impazzire l'ordine con cui hai elencato i sostantivi, ma mi piace l'effetto di contrapposizione, che dona sempre un certo equilibrio alla frase. Mi sembra improbabile che dopo tutto ciò che è successo nella notte, la prima "meditazione" di Anselmo riguardi coronarie e caffeina. Lo toglierei o lo metterei al fondo.
aladicorvoE su quel senso di consolazione e rimpianto insieme che gli pesa un poco nel petto, più o meno dalle parti del cuore.Ottimo finale! Dolceamaro, proprio come un buon caffè.
Una sensazione strana davvero.
Come di occasione persa.
Re: [Lab16] Tempesta
7La tempesta é un cappello perfetto.
Se il parrocco é nuvola raggomitolata su se stessa, la suora é il vento che la scuote.
E come un fulmine la domanda se l'amore é degno di superare le barriere biologiche e morali.
L'ho letto d'un fiato incerta fino all'ultimo se tifare per un accondiscendente silenzio o una tragica rivelazione.
Nemmeno mi sono accorta dell'assenza della madre, mi sono risparmiata tutte le domande sul suo silenzio, sull'indecisione fra confessare un peccato di gioventú o lasciare i propri figli al loro destino.
Scritto talmente bene da percepire tutte le domnde inespresse, quelle che pareva richiedessero una risposta, quelle a cui la coscienza rifiuta una risposta: vale di piú evitare una disgrazia oppure il segreto del confesionale?
È un racconto pieno di conflitti che allungano i loro tentacoli verso la realtá, che chiedono al lettore di prendere posizione, ma al contempo glielo impediscono, perché ad ogni passo c'è un nuovo si o no a cui rispondere.
E come nella vita vera la soluzione viene da sé. La natura dell'amore spiega se stessa e con grande sollievo non é piú necessario rispondere alle grandi domande sottilmente proposte.
Non so se si capisce, ma mi é piaciuto moltissimo.
Se il parrocco é nuvola raggomitolata su se stessa, la suora é il vento che la scuote.
E come un fulmine la domanda se l'amore é degno di superare le barriere biologiche e morali.
L'ho letto d'un fiato incerta fino all'ultimo se tifare per un accondiscendente silenzio o una tragica rivelazione.
Nemmeno mi sono accorta dell'assenza della madre, mi sono risparmiata tutte le domande sul suo silenzio, sull'indecisione fra confessare un peccato di gioventú o lasciare i propri figli al loro destino.
Scritto talmente bene da percepire tutte le domnde inespresse, quelle che pareva richiedessero una risposta, quelle a cui la coscienza rifiuta una risposta: vale di piú evitare una disgrazia oppure il segreto del confesionale?
È un racconto pieno di conflitti che allungano i loro tentacoli verso la realtá, che chiedono al lettore di prendere posizione, ma al contempo glielo impediscono, perché ad ogni passo c'è un nuovo si o no a cui rispondere.
E come nella vita vera la soluzione viene da sé. La natura dell'amore spiega se stessa e con grande sollievo non é piú necessario rispondere alle grandi domande sottilmente proposte.
Non so se si capisce, ma mi é piaciuto moltissimo.
Re: [Lab16] Tempesta
8@aladicorvo Ciao, Aladicorvo. Sono l'ultimo arrivato, dunque prendi quel che ti scrivo col beneficio d'inventario.
Il conflitto è interiore e consiste nel dovere di non violare il sigillo sacramentale. E dunque hai centrato l'obiettivo del laboratorio.
Vediamo come.
Prima di tutto ti faccio un appunto sul termine che, di volta in volta, hai adoperato per rivolgerti al tuo protagonista, Anselmo.
Lo qualifichi dapprincipio come Padre Anselmo. Quindi io che leggo do per scontato che sia un sacerdote. Poi subentra suor Clelia (che entra in camera sua e gli porta la colazione a letto alle cinque del mattino?) e mi viene qualche dubbio. Di solito le sorelle che si trovano a svolgere questi compiti lo fanno per alti prelati, non certo per dei normali sacerdoti. Infatti poi padre Anselmo diviene alternativamente monsignore, eccellenza, eminenza. Vado a memoria, ma ci si rivolge con eccellenza a un vescovo e con eminenza a un cardinale. Per un sacerdote basta un don. Con la terminologia quindi, a mio avviso, dovresti far chiarezza.
Che sia un sacerdote o un cardinale, fa poi la differenza. Chi legge si può fare un'idea sul tipo di persone che accedono al confessionale a seconda che a confessare sia un vescovo, un cardinale o un semplice don. Se a confessare è un'eminenza potrei pensare che il confessato sia anche un poliltico, un imprenditore, un alto ufficiale, e di conseguenza che il segreto sia pesante e per questo motivo arrovelli l'anima del confessore.
In realtà così non è, e visti i tempi l'incesto mi pare cosetta di poco conto e non in grado di causare dubbi per un Eminenza.
Tempo fa scrissi un racconto sul tema incesto e lo intitolai Il dubbio. Ma nel mio racconto il dubbio, che passava attraverso il confessionale, era quello dei due fratelli sul loro rapporto e sul figlio che stava per nascere. Il sacerdote si era soltanto rifiutato di assolverli e per lui finiva lì.
Detto questo, passiamo ad altro. Il registro linguistico di suor Clelia mi è sembrato un po' fuori dalle righe. Un po' canzonatorio, a tratti allegro, alle volte ironico, se non proprio sardonico, dunque non certo adeguato alla conversazione con la personalità dell'alto prelato (ma anche fosse un sacerdote non cambierebbe molto) di cui è al servizio. Come si può definire il rapporto tra Clelia e Anselmo? Un rapporto di dipendenza lavorativa, un rapporto amicale? Anche qui, a mio avviso, ci sarebbe da lavorare. Io avrei preferito più distanza tra i due, a prescindere.
Quel che mi ha colpito della struttura del racconto è l'utilizzo di una lunga sequenza dialogica a cui rimetti lo svolgimento dell'intero discorso narrativo. I principali idealtipi di sequenza narrativa sono quattro anzi cinque, a cui è affidato il cambio di scena o di contesto. Le sequenze hanno anche il compito di scandire il tempo della narrazione, rallentando o accelerando il ritmo del racconto. Va da sé che alcuni tipi di sequenza accelerano di per sé il ritmo mentre altre lo rallentano. Le sequenze descrittive e riflessive sono utilizzate per rallentare il flusso narrativo (diminuendo) , quelle narrative e argomentative per accelerarlo (crescendo), le sequenze dialogiche sono una via di mezzo, mantengono il ritmo in un andante.
Nel tuo racconto adoperi una sequenza descrittiva come sequenza introduttiva (il che è già un errore, lo si faceva nei romanzi del XIX secolo, ma oggi non lo fa più nessuno preferendo una sequenza narrativa con le descrizione del chi è il protagonista o il contesto ) e poi una lunga sequenza dialogica come sequenza di svolgimento e di epilogo.
In un racconto l'utilizzo delle diverse sequenze deve essere ben bilanciato. Qui, a mio modestissimo avviso, ciò non avviene. Soprattutto perché adoperi un'unica lunga sequenza dialogica per far narrare, argomentare e concludere il racconto.
Sarebbe stato meglio interrompere i discorsi diretti con delle narrazioni capaci di spiegare meglio ciò che accadeva, cosa che i due protagonisti non sono in grado di fare agevolmente (e infatti il dialogo si allunga a dismisura)
Infatti una narrazione o argomentazione o riflessione che avviene con una sequenza dialogica pretende, secondo me, molta ma molta bravura e padronanza dei mezzi tecnici e un po' di pelo sullo stomaco, di malizia.
Se ci si vuole limitare al conflitto, beh direi che l'obiettivo è raggiunto.
Il conflitto è interiore e consiste nel dovere di non violare il sigillo sacramentale. E dunque hai centrato l'obiettivo del laboratorio.
Vediamo come.
Prima di tutto ti faccio un appunto sul termine che, di volta in volta, hai adoperato per rivolgerti al tuo protagonista, Anselmo.
Lo qualifichi dapprincipio come Padre Anselmo. Quindi io che leggo do per scontato che sia un sacerdote. Poi subentra suor Clelia (che entra in camera sua e gli porta la colazione a letto alle cinque del mattino?) e mi viene qualche dubbio. Di solito le sorelle che si trovano a svolgere questi compiti lo fanno per alti prelati, non certo per dei normali sacerdoti. Infatti poi padre Anselmo diviene alternativamente monsignore, eccellenza, eminenza. Vado a memoria, ma ci si rivolge con eccellenza a un vescovo e con eminenza a un cardinale. Per un sacerdote basta un don. Con la terminologia quindi, a mio avviso, dovresti far chiarezza.
Che sia un sacerdote o un cardinale, fa poi la differenza. Chi legge si può fare un'idea sul tipo di persone che accedono al confessionale a seconda che a confessare sia un vescovo, un cardinale o un semplice don. Se a confessare è un'eminenza potrei pensare che il confessato sia anche un poliltico, un imprenditore, un alto ufficiale, e di conseguenza che il segreto sia pesante e per questo motivo arrovelli l'anima del confessore.
In realtà così non è, e visti i tempi l'incesto mi pare cosetta di poco conto e non in grado di causare dubbi per un Eminenza.
Tempo fa scrissi un racconto sul tema incesto e lo intitolai Il dubbio. Ma nel mio racconto il dubbio, che passava attraverso il confessionale, era quello dei due fratelli sul loro rapporto e sul figlio che stava per nascere. Il sacerdote si era soltanto rifiutato di assolverli e per lui finiva lì.
Detto questo, passiamo ad altro. Il registro linguistico di suor Clelia mi è sembrato un po' fuori dalle righe. Un po' canzonatorio, a tratti allegro, alle volte ironico, se non proprio sardonico, dunque non certo adeguato alla conversazione con la personalità dell'alto prelato (ma anche fosse un sacerdote non cambierebbe molto) di cui è al servizio. Come si può definire il rapporto tra Clelia e Anselmo? Un rapporto di dipendenza lavorativa, un rapporto amicale? Anche qui, a mio avviso, ci sarebbe da lavorare. Io avrei preferito più distanza tra i due, a prescindere.
Quel che mi ha colpito della struttura del racconto è l'utilizzo di una lunga sequenza dialogica a cui rimetti lo svolgimento dell'intero discorso narrativo. I principali idealtipi di sequenza narrativa sono quattro anzi cinque, a cui è affidato il cambio di scena o di contesto. Le sequenze hanno anche il compito di scandire il tempo della narrazione, rallentando o accelerando il ritmo del racconto. Va da sé che alcuni tipi di sequenza accelerano di per sé il ritmo mentre altre lo rallentano. Le sequenze descrittive e riflessive sono utilizzate per rallentare il flusso narrativo (diminuendo) , quelle narrative e argomentative per accelerarlo (crescendo), le sequenze dialogiche sono una via di mezzo, mantengono il ritmo in un andante.
Nel tuo racconto adoperi una sequenza descrittiva come sequenza introduttiva (il che è già un errore, lo si faceva nei romanzi del XIX secolo, ma oggi non lo fa più nessuno preferendo una sequenza narrativa con le descrizione del chi è il protagonista o il contesto ) e poi una lunga sequenza dialogica come sequenza di svolgimento e di epilogo.
In un racconto l'utilizzo delle diverse sequenze deve essere ben bilanciato. Qui, a mio modestissimo avviso, ciò non avviene. Soprattutto perché adoperi un'unica lunga sequenza dialogica per far narrare, argomentare e concludere il racconto.
Sarebbe stato meglio interrompere i discorsi diretti con delle narrazioni capaci di spiegare meglio ciò che accadeva, cosa che i due protagonisti non sono in grado di fare agevolmente (e infatti il dialogo si allunga a dismisura)
Infatti una narrazione o argomentazione o riflessione che avviene con una sequenza dialogica pretende, secondo me, molta ma molta bravura e padronanza dei mezzi tecnici e un po' di pelo sullo stomaco, di malizia.
Se ci si vuole limitare al conflitto, beh direi che l'obiettivo è raggiunto.
Re: [Lab16] Tempesta
9Ciao, @Gaetano Intile.
Ti ringrazio del tempo che mi hai dedicato e del commento così approfondito e articolato. Mi hai dato materiale per riflettere.
Mi sento tuttavia di replicare ad alcune osservazioni.
Anselmo viene chiamato da suor Clelia eminenza o monsignore, mai eccellenza, il che ci fa intuire che sia un cardinale.
È il narratore onnisciente che lo chiama Anselmo o padre Anselmo, senza per questo contraddirne il rango, così come viene tuttora indicato padre Georg Gänswein, arcivescovo, già segretario particolare di papa Ratzinger.
Suor Clelia non gli porta la colazione in camera, bensì nel suo studio, come dovrebbe segnalare la presenza di carte e documenti squadernati dalla tempesta e la scrivania con annesse poltroncine.
I riferimenti al passato di suor Clelia a padre Anselmo servono a spiegare la natura del loro rapporto, che non è certo di dipendenza lavorativa.
In gioventù hanno attraversato l’Inferno insieme e questo è un legame più profondo di qualsiasi amicizia. Dunque, trovandosi a tu per tu in un simile frangente, una col carattere di suor Clelia non userebbe tante cerimonie, nemmeno lessicali.
È come se, a qualcuno che odia l’aglio nelle polpette, mi incaponissi a mettercelo perché è tanto buono.
È una questione di cifra stilistica, ognuno ha o cerca la sua. Specie quando scrive un testo che somiglia a una pièce teatrale.
Ancora grazie, Gaetano.
Alla prossima.
Ti ringrazio del tempo che mi hai dedicato e del commento così approfondito e articolato. Mi hai dato materiale per riflettere.
Mi sento tuttavia di replicare ad alcune osservazioni.
Anselmo viene chiamato da suor Clelia eminenza o monsignore, mai eccellenza, il che ci fa intuire che sia un cardinale.
È il narratore onnisciente che lo chiama Anselmo o padre Anselmo, senza per questo contraddirne il rango, così come viene tuttora indicato padre Georg Gänswein, arcivescovo, già segretario particolare di papa Ratzinger.
Suor Clelia non gli porta la colazione in camera, bensì nel suo studio, come dovrebbe segnalare la presenza di carte e documenti squadernati dalla tempesta e la scrivania con annesse poltroncine.
Gaetano Intile wrote: Se a confessare è un'eminenza potrei pensare che il confessato sia anche un poliltico, un imprenditore, un alto ufficiale, e di conseguenza che il segreto sia pesante e per questo motivo arrovelli l'anima del confessore.Il confessato è un caro e vecchio amico di Anselmo, tanto che si trattiene a lungo al suo capezzale. E' parte di quella che si potrebbe definire famiglia del cuore e scoprire che ci sia il rischio di un incesto, beh faccio fatica a vederla come una cosetta di poco conto.
In realtà così non è, e visti i tempi l'incesto mi pare cosetta di poco conto e non in grado di causare dubbi per un Eminenza
I riferimenti al passato di suor Clelia a padre Anselmo servono a spiegare la natura del loro rapporto, che non è certo di dipendenza lavorativa.
In gioventù hanno attraversato l’Inferno insieme e questo è un legame più profondo di qualsiasi amicizia. Dunque, trovandosi a tu per tu in un simile frangente, una col carattere di suor Clelia non userebbe tante cerimonie, nemmeno lessicali.
Gaetano Intile wrote: In un racconto l'utilizzo delle diverse sequenze deve essere ben bilanciato. Qui, a mio modestissimo avviso, ciò non avviene. Soprattutto perché adoperi un'unica lunga sequenza dialogica per far narrare, argomentare e concludere il racconto.Mi scuserai, ma su questo punto non mi sento di replicare.
Sarebbe stato meglio interrompere i discorsi diretti con delle narrazioni capaci di spiegare meglio ciò che accadeva, cosa che i due protagonisti non sono in grado di fare agevolmente (e infatti il dialogo si allunga a dismisura)
È come se, a qualcuno che odia l’aglio nelle polpette, mi incaponissi a mettercelo perché è tanto buono.
È una questione di cifra stilistica, ognuno ha o cerca la sua. Specie quando scrive un testo che somiglia a una pièce teatrale.
Ancora grazie, Gaetano.
Alla prossima.