[Lab 15] Impressioni di un re

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Impressioni di un re

Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Adrio, sdraiato nel suo letto ascoltava, valutava, ansimava in sincronia con i battiti alterati  del suo cuore; non ci pensava: il cuore si sarebbe calmato, come sempre. Il fascio di luce tagliava obliquo i nove metri quadri del suo spazio, lo interrogava in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, rispondeva in silenzio Adrio.
Aspettava l’ora d’aria per camminare avanti e indietro nel cortile  tutto per lui. Solo per lui. Dopo si sarebbe fatto la barba. Ma ora… Osservava. Granelli di polvere turbinavano nella luce, ospiti graditi e attesi. Si posavano scomparendo sulle pareti scrostate della cella:  ricordi di giochi di luce dei finestroni della scuola nel paese della sua infanzia, teste rasate in fila sui banchi, colli sporchi. Ma qui era diverso; la polvere danzante cadeva dissolvendosi sulle macchie d’intonaco che formavano la mappa del suo Impero. E Adrio era il re di quest’impero, lo aveva deciso da molto tempo. Come una sentenza.
Sorrise, le labbra screpolate gli fecero male, un po’ di febbre.  Freddo preso ieri in cortile. Aveva lasciato un discorso in sospeso con… Lo sapeva lui. Nulla d’importante, o forse sì: ogni centimetro, di spazio, ogni minuto della sua vita era notevole e carico di significati, di tensioni, speranze nascoste. Doveva prendere una decisione. Dov’era rimasto? Il suo Impero. Cosa aveva lasciato in sospeso? Guardò l’intonaco dove si posavano i granelli di polvere: coste, montagne, vallate e in una scrostatura più ampia e chiara della parete aveva fatto sorgere la sua capitale. Sentire i suoi sudditi, i loro problemi, le loro richieste. Era un re comprensivo: accontentava molti. Non tutti, ma molti sì. Aveva disposto che chi si comportasse male non dovesse mai finire in prigione ma a lavorare nei campi di grano, nei vigneti, nei frutteti del suo impero. Nessuno in isolamento, ma in piccoli villaggi, ovvio sorvegliati dai gendarmi, con la possibilità di farsi una famiglia. Era molto fiero di questa  sua personale legge. Poteva farlo, lui era il re.
Amava parlare tutti i giorni con i suoi cortigiani e i sudditi, accogliere ospiti, ambasciatori, poeti, avventurieri e pirati in fuga. E poi sbrigare affari, stipulare contratti con i mercanti e i nobili più ricchi e importanti, li conosceva tutti. Organizzare feste, balli, sontuosi banchetti. Le donne e i nobili in ricchi abiti, gli ufficiali della sua guardia nelle loro sfolgoranti uniformi. Chiacchierava amabilmente prima di sedersi a tavole sontuosamente apparecchiate con  ceramiche cinesi decorate in un profluvio di paesaggi azzurri su fondo bianco, posate d’oro dai manici istoriati, calici di cristallo colorati e tavole imbandite di ogni genere di cacciagione: frutta, dolci, vini delle sue vigne. Si informava di ogni particolare nelle cucine e con i maggiordomi; spesso arrivava l’ora di andare a dormire, quando nella cella spegnevano le luci  e si trovava ancora nel pieno delle sue attività. Allora dormiva malvolentieri, benché stanco morto, ma febbricitante di entusiasmo al pensiero delle incombenze che lo attendevano il giorno dopo. In quei giorni stava organizzando il suo matrimonio con una principessa. In un primo tempo aveva pensato di sposare una bellissima contadina, ricordando le favole della sua infanzia, ma si era reso conto di non amarla. Non era un re che sposava contadine, per quanto belle, mandando al diavolo il suo retaggio. Lui  era nato per essere un re e voleva sposare una principessa, che sarebbe stata regina, con il sangue di una regina. Per non parlare dei figli, degli eredi al trono. Ne avrebbe voluti tanti.
Guardava l’intonaco, vedeva il suo palazzo e stava decidendo dove organizzare quel ballo in maschera, forse in una immensa veranda che si affacciava sui giardini: cipressi scuri, colonne di marmo bianco. Certamente abiti del Settecento, broccati azzurri e dorati, parrucche bianche incipriate, profumi orientali speziati, stoffe damascate luccicanti: azzurre, verdi, rosse. Alle pareti delle sale adiacenti arazzi immensi con scene di caccia, dell’Olimpo, del paradiso e pure dell’inferno, raffiguranti tavole traboccanti di frutti scuri e succosi avvolti nelle loro foglie, mani avide ingioiellate di anelli e bracciali tese a prenderli, bocche aperte in sorrisi a volte casti, a volte lascivi. Aveva ai suoi ordini i migliori artisti, i migliori santi, i migliori eretici dell’impero. Un’ulteriore sfilata di questi cortigiani: discussioni di  particolari. Si informava dei loro affari, delle loro vite; trovava tutto interessante e lui era disposto al dialogo, era comprensivo verso tutte le virtù e i peccati del mondo. Non per nulla era il re.
Con la mollica del pane si era costruito nel tempo dei piccoli pezzi di scacchi e talvolta, su  una scacchiera tracciata con un dente di forchetta in un punto del  pavimento visibile solo se si sapeva cosa e dove cercare,  intavolava partite che duravano giorni. Ma oggi non aveva voglia di giocare a scacchi.
All’ora d’aria venivano  due guardiani per accompagnarlo nel cortile. Adrio camminava davanti nel lungo corridoio, sentiva i loro sguardi puntati su di lui. Distingueva la differenza dell’intensità o della preoccupazione delle due guardie. Il più giovane non staccava mai lo sguardo da lui, il vecchio era esperto, tranquillo.
Un giorno la vecchia guardia, venuta da sola, gli tese la mano dicendo: ─ Ti saluto Adrio. Domani vado in pensione.
Adrio aveva contraccambiato il saluto e aveva stretto la mano. Aveva sentito dei calli.
─ Ti dedicherai alla famiglia e all’orticello? ─ gli chiese. La guardia aveva annuito sorridendo.
Adrio aveva pensato a lungo alla vita di quella guardia e nel suo impero di intonaco scrostato lo aveva premiato dandogli  una bella casa bianca circondata da vigne e oliveti vicino al mare. Se lo meritava perché negli anni gli aveva spesso rivolto la parola. Ogni tanto sarebbe andato a trovarlo.
Ora doveva conoscere la guardia più giovane.
─ Hai paura che scappo? ─ gli disse un giorno senza voltarsi, mentre veniva accompagnato nel cortile.
La guardia non aveva rotto il silenzio, ma Adrio aveva sentito il suo respiro rilassarsi, la morsa diminuire, anche perché sapeva bene come non allarmare le guardie: mai alzare la voce, camminare e parlare lento, niente gesti improvvisi.
ll cortile, delimitato da alte mura, non era molto grande ma Adrio poteva camminare avanti e indietro macinando chilometri.
La pavimentazione di asfalto, sotto il sole e la pioggia emanava un forte odore bituminoso che ricordava ad Adrio l’autofficina dove aveva lavorato da ragazzo, o una trattoria vicino al mare dove il sole faceva fermentare il contenuto dei bidoni d’immondizia messi fuori.
Il pavimento del cortile era scrostato in più punti a formare piccoli fossatelli pieni d’acqua dopo la pioggia che unendosi al bitume assumeva i colori di arcobaleni cangianti in un movimento lento, facendo luccicare a tratti l’acqua,  come il mare d’estate.
Ai lati del cortile, nelle parti più in ombra, spuntavano a fatica dei fiori, isolate margherite gialle o bianche, ciclamini violacei, piccoli steli selvatici a forma di spiga verde, ciuffi di gramigna sui quali talvolta si posava qualche farfalla. Non aveva mai osato raccogliere quei fiori per non ucciderli, ma li aveva accarezzati con delicatezza; si era chinato a sentire il loro profumo e gli erano venute le vertigini rivedendosi a correre da bambino nella campagna, sporco, sudato, con le ginocchia sbucciate, sorrisi di allegria in bocca per tutto il giorno, masticando vento caldo assieme ai suoi coetanei.
Talvolta, dopo essersi sgranchito le gambe, Adrio si sedeva vicino a quei pochi fiori che sembravano accarezzare i pantaloni della sua divisa da carcerato, lambire le scarpe senza lacci. A seconda delle stagioni osservava l’ombra che si disegnava in modi differenti sul muro, nelle scrostature vedeva la mappa di un altro impero e talvolta ci si dedicava, considerandolo però una sorta di colonia che poteva visitare raramente, ma comunque degna di attenzione, di scambi, di trattative con il suo impero. Si metteva a torso nudo per prendere il sole, respirava l’inebriante odore delle margherite e dei ciclamini che spuntavano dagli angoli del muro.
─ I fiori d’asfalto muoiono giovani ma voi mi avete aspettato come sempre. Vi ringrazio ─ diceva Adrio toccando lieve con la punta delle dita i fiori che lo ascoltavano fiduciosi. Sentì gli occhi inumidirsi, una lacrima  calda colare  repentina sulla guancia, fino alla bocca. Salata come l’acqua di mare. Non l’asciugò.
Tra poco sarebbe ritornato nella sua cella e avrebbe avuto tante cose da fare e da vedere nel suo impero prima che calasse la notte e spegnessero le luci. Lui era il re.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Alberto Tosciri ha scritto: Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Adrio, sdraiato nel suo letto ascoltava, valutava, ansimava in sincronia con i battiti alterati  del suo cuore; non ci pensava: il cuore si sarebbe calmato, come sempre. Il fascio di luce tagliava obliquo i nove metri quadri del suo spazio, lo interrogava in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, rispondeva in silenzio Adrio.
Il pensiero meglio in corsivo: Isolamento diurno e notturno a vita
Alberto Tosciri ha scritto: la polvere danzante cadeva dissolvendosi sulle macchie d’intonaco che formavano la mappa del suo Impero. 
Questa frase, per me magnifica come effetto (y) , mi ha colpito molto e ti suggerisco di "inserirla" all'inizio dell'incipit del tuo brano, magari in questo modo:
Alberto Tosciri ha scritto: La polvere danzante cadeva dissolvendosi sulle macchie d'intonaco che formavano la mappa del suo impero.
Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Adrio, sdraiato nel suo letto ascoltava, valutava, ansimava in sincronia con i battiti alterati  del suo cuore; non ci pensava: il cuore si sarebbe calmato, come sempre. Il fascio di luce tagliava obliquo i nove metri quadri del suo spazio, lo interrogava in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, rispondeva in silenzio Adrio.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Caro @Alberto Tosciri ben ritrovato e ben riletto 
Se questo racconto avesse un sottotitolo potrebbe essere "lo sconfinato impero della mente" e se addirittura lo potessimo trasformare in un romanzo, sarebbe un trionfo meraviglioso del potere dell'introspezione sopra i limiti della materia.

C'è un gran dire sui fantasy e sulla loro funzione consolatorio, o peggio, come vie di fuga dalla realtà. Questo tuo racconto ci restituisce invece un aspetto psicologicamente e socialmente edificante del fantasy, ovvero come espressione di libertà e sviluppo intellettuale contro gli orrori della nostra realtà.
Scrivo tutto questo perché spero che anche altri vedano, come ho visto io, la bellezza profonda della tua idea. 
Poco importa il quid della storia, le giustificazioni della trama e le colpe di cui si è macchiato Adrio: come anche in "ultimo giorno di un condannato a morte" di Hugo, le motivazioni morali restano volutamente fuori dalla storia, perché il lettore non ci so aggrappi per giustificare eventualmente il supplizio del protagonista. Non sappiamo cosa abbia fatto Adrii, possiamo solo intuire la sua pericolosità sociale da alcune battute, ma non è questo ciò che conta. 
Quello che conta è come reagisce la sua mente alle costrizioni: in modo titanico.

Fatta questa premessa, andiamo a valutare i punti salienti del tuo incipit, poi qualche nota critica.
Alberto Tosciri ha scritto: Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Adrio, sdraiato nel suo letto ascoltava, valutava, ansimava in sincronia con i battiti alterati  del suo cuore; non ci pensava: il cuore si sarebbe calmato, come sempre.
Se mi fossi dovuto fermare all'infinito, lo ammetto, il muro di parole mi avrebbe scoraggiato. È chiaro il tuo intento di volerci mettere davanti ad Adrio in tutta la sua cerebralità: la descrizione su quello che avviene attorno è fondamentale quando si è costretti a restare chiusi nello stesso posto, perché la mente tenta di scappare, proeittandosi fuori. L'impressione, purtroppo, è di un blocco di informazioni che disorienta e che viene percepito a fatica.

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Ora, l'idea di descrivere l'ambiente circostante va bene, ma suggerirei di alleggerirla un po' o quantomeno di ridurre i periodi.[/font]
Ad esempio:

Nel mondo della sua cella, il giorno affermava la sua presenza. La luce attraverso le finestre. I clangori metallici nel corridoio. Le voci confuse di uomini in lontananza, come quelle di naufraghi in un mare grigio e calmo. Adrio, sdraiato nel suo letto, ascoltava. Valutava. Ansimava in una sincronia perfrtta con i battiti  del suo cuore. No, non dove pensarci. Darsi un ordine nei pensieri era importante. E lui non ci pensava e così il cuore si sarebbe calmato. Come sempre.

Insomma: va bene inserire queste informazioni, ma occhio a non avere fretta di dire tutto subito.
Credo che opportunamente riscritto, l'incipit abbia il potenziale di conquistare il lettore: ci porti subito dentro la testa di Adrio e questo, almeno per il mio tipo di lettura, è molto intrigante.

Altra osservazione legata allo stile: la descrizione dei banchetti e delle feste tenute a palazzi l'ho trovata abbastanza noiosa. Non che non ci stesse bene, anzi: più che altro mi è sembrata molto comune, per così dire, "da classico ricevimento settecentesco". Trovo che quest'idea di appoggiarci a immagini di uso comune, molte delle quali proposte da fiction o film, sia pericolosa per uno scrittore: non aggiunge e non propone niente di nuovo rispetto a quello che già si sa. Perché ombece non proporre visioni diverse, magari in contrasto con questo immaginario?! Perché a quelle parrucche incipriate non abbinare invece (per fare un esempio sciocco, ma spero chiarificatore) dei turbante fatti di foglie e fiori?! In sintesi: perché non sfruttare la potenzialità inventiva della mente di Adrio per immagini più evocative e me o standardizzate?! Capisco tu voglia farci capire che si tratta di una persona con una cultura e una formazione scolastica limitata, da cui deriva la sua necessità di appoggiarsi a immagini "comuni". Ma stiamo pur sempre parlando di qualcuno che ha introiettato tutto sè stesso in un mondo fantastico: possibile con in tutto il tempo del suo confino non abbia avuto modo di sviluppare la sua immaginazione fuori dagli schemi angusti del luogo comune?!

Mi raccomando: ti prego di considerare questa via osservazione non come una critica negativa, semmai come uno spunto di miglioramento del testo ;)

Parlando di scelte vincenti, non posso non apprezzare l'intelligenza di mescolare la vita reale con la finzione: il pensionamento del vecchio secondino e la sfida degli scacchi realizzati con gesso e mollica di pane è azzeccatissima e fa capire veramente come ragiona un uomo nello stato di Adrio.

Una lettura piacevole, che ha un potenziale enorme per qualcosa di più di un racconto di 10k battute.
Bravo Alberto, un'ottima prova.

L'unica cosa... dov'è il tema della danza?!

A rileggerci

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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  ha scritto:Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Ad
L'avverbio con cui inizia il testo, indica il tempo esatto in cui comincia la storia. 
Significa che, ora, la luce afferma la presenza del giorno nella sua cella.

Tutto il racconto, però continua in un imperfetto che crea una musicalità ridondante, il tono epico che ne risulta, a me è sembrato fuori registro. Il protagonista è detenuto nei nostri tempi, non serve, sempre secondo me, utilizzare uno stile che ricorda epopee di antichi eroi.

Guardiamo il tuo incipit, @Alberto Tosciri :

Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Adrio, sdraiato nel suo letto ascoltava, valutava, ansimava in sincronia con i battiti alterati del suo cuore; non ci pensava: il cuore si sarebbe calmato, come sempre. Il fascio di luce tagliava obliquo i nove metri quadri del suo spazio, lo interrogava in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, rispondeva in silenzio Adrio.

C'è una ripetizione, la parola cuore. Ho cancellato anche la digressione sulle voci inghiottite in lontananza. Non eccederei nella lirica. Voci inghiottite in lontananza è già evocativo a sufficenza.

Ho provato a riscriverlo così:
Adesso la luce afferma la presenza del giorno nella cella. Clangori metallici echeggiano nel corridoio, frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza.  Adrio, sdraiato nel suo letto ascolta, valuta in sincronia con i battiti alterati del suo cuore; pian pano si sarebbe calmato, come sempre.
Il fascio di luce taglia obliquo i nove metri quadri del suo spazio, lo interroga in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, risponde in silenzio Adrio.

A mio avviso, la trasposizione al presente rende il testo più immediato ed emotivamente fruibile lo stesso, il testo non perde la sua forza, è bellissimo.

Inoltre, la frase: lo interroga in attesa di notizie, chi interroga chi? Lo spazio interroga Adrio? A me sembra sia meglio specificare, in qualche modo, che sia Adrio interrogare lo spazio.

Io rivedrei tutto il racconto in questa chiave.  La trama è ben costruita, una storia commovente. L'introspezione di Adrio ci trasporta con lui nella cella, nel cortile, nei meandri della sua coscienza facendoci provare empatia. 
L'emozione che ho provato leggendo la storia di Adrio è già sufficiente, è autentica anche senza le parti eccessivamente costruite per meravigliare e commuovere il lettore.

Qui un estratto per mostrarti cosa intendo:
Alberto Tosciri ha scritto: sab nov 23, 2024 6:45 pmAspettava l’ora d’aria per camminare avanti e indietro nel cortile tutto per lui. Solo per lui. Dopo si sarebbe fatto la barba. Ma ora… Osservava. Granelli di polvere turbinavano nella luce, ospiti graditi e attesi. Si posavano scomparendo sulle pareti scrostate della cella:  ricordi di giochi di luce dei finestroni della scuola nel paese della sua infanzia, teste rasate in fila sui banchi, colli sporchi. Ma qui era diverso; la polvere danzante cadeva dissolvendosi sulle macchie d’intonaco che formavano la mappa del suo Impero. E Adrio era il re di quest’impero, lo aveva deciso da molto tempo. Come una sentenza.
Se la scrittura rende perfettamente, non abbiamo bisogno di convincere chi legge della nostra buona fede nel mostrare semplicemente le immagini. 

Il cortile per esempio, lo dici che è tutto per lui, perché ripeterlo?
Se aveva deciso per sé, la sentenza  di essere un re, da tempo, perché non dire soltanto" lo aveva sentenziato da molto tempo." Invece di due termini, (Deciso e sentenza), meglio usarne solo uno, quello giusto.
Mi fermo qui, spero di non essere stata invadente. 

Ogni volta che ti leggo rimango piacevolmente stupita dalla potenza della tua fantasia. La storia di Adrio potrebbe continuare vero?
Sarebbe bello vederlo fuori dalla sua prigione.

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Ciao @Nerio

Innanzi tutto grazie per il commento e i preziosissimi consigli.
Comincio a risponderti dalla tua ultima domanda sul dov’è il tema della danza. Probabile che io abbia interpretato un po’ troppo a modo mio prendendo alla lettera la tematica illustrata da @Distruttori_di_Terre
"Danze intese come coreografie, improvvisazione, metafore di dinamismo, rituali quotidiani… ecco, scandire del tempo nella sua circolarità, direi ripetitività.
Amo il fantasy, ma quello che scrivo io nel  mio bunker è una sorta di realismo magico mediterraneo con rimandi alle evocazioni pittoriche di Goya, alla letteratura di Borges, Marquez, Buzzati…
Nerio ha scritto: Se mi fossi dovuto fermare all'infinito, lo ammetto, il muro di parole mi avrebbe scoraggiato. È chiaro il tuo intento di volerci mettere davanti ad Adrio in tutta la sua cerebralità: la descrizione su quello che avviene attorno è fondamentale quando si è costretti a restare chiusi nello stesso posto, perché la mente tenta di scappare, proeittandosi fuori. L'impressione, purtroppo, è di un blocco di informazioni che disorienta e che viene percepito a fatica.
Ho riscritto parecchie volte l’incipit e forse avendo più tempo sarei riuscito meglio. Anche perché cose che per me potrebbero essere ovvie, vissute diciamo, possono non esserlo per tutti e le impressioni che voglio descrivere mi rendo conto che non potrebbero essere chiare  e percepibili al primo impatto.
Io, pur senza mai essere stato in prigione ho da sempre visualizzato, interpretato scenari fantasiosi nelle situazioni, anche drammatiche e nelle cose all’apparenza più comuni,  che  di solito vengono lasciate alle spalle e ignorate. Possono essere muri di cinta, hanno una loro poesia, come i cavalleggeri dipinti dal Fattori a ridosso di un muro in campagna, per me un’epica. Possono essere luoghi o circostanze particolari della vita, dove istintivamente ci si estrania per non impazzire; pochi troverebbero poesia epica nello stare immersi senza acqua e senza cibo in cumuli di rifiuti per giorni aspettando che i nemici intorno se ne vadano senza scoprirci. Eppure c’è pathos. I particolari portati all’eccesso: Joyce e Proust.

Nerio ha scritto: l'idea di descrivere l'ambiente circostante va bene, ma suggerirei di alleggerirla un po' o quantomeno di ridurre i periodi.[/font]
Ad esempio:

Nel mondo della sua cella, il giorno affermava la sua presenza. La luce attraverso le finestre. I clangori metallici nel corridoio. Le voci confuse di uomini in lontananza, come quelle di naufraghi in un mare grigio e calmo. Adrio, sdraiato nel suo letto, ascoltava. Valutava. Ansimava in una sincronia perfrtta con i battiti  del suo cuore. No, non dove pensarci. Darsi un ordine nei pensieri era importante. E lui non ci pensava e così il cuore si sarebbe calmato. Come sempre.
Come hai ricostruito l’incipit mi piace, è più sintetico, mi sono chiari gli aggiustamenti che potrei fare.
Forse non mi trovi del tutto d’accordo sull’inizio: Nel mondo della sua cella...
In effetti è davvero un mondo ma parafrasando le tue parole mi sembrerebbe di dire troppo dicendo che è un mondo: lo è. Il detenuto è in un luogo, poi aggiungiamo particolari a poco a poco, anche irrilevanti,  i suoi pensieri, la sua trasformazione di questo mondo.
Nerio ha scritto: va bene inserire queste informazioni, ma occhio a non avere fretta di dire tutto subito.
Sono daccordissimo. Mi capita perché amo troppo i particolari.
Nerio ha scritto: la descrizione dei banchetti e delle feste tenute a palazzi l'ho trovata abbastanza noiosa. Non che non ci stesse bene, anzi: più che altro mi è sembrata molto comune, per così dire, "da classico ricevimento settecentesco". Trovo che quest'idea di appoggiarci a immagini di uso comune, molte delle quali proposte da fiction o film, sia pericolosa per uno scrittore: non aggiunge e non propone niente di nuovo rispetto a quello che già si sa.
Sì, hai ragione anche su questo punto. Vedi, per me quell’epoca è la migliore per rappresentare balli e feste, sia dei nobili che del popolo, una sorta di rivalsa, di puerile e inutile vendetta se vuoi contro chi quel mondo lo ha sanguinosamente distrutto nella storia per fare spazio a questo attuale. Che io non amo.  Credo di aver cambiato l’imprimitura nostalgica nella rappresentazione degli arazzi: Olimpo, paradiso, inferno, accenni a castità e lussuria, ma senza approfondire.
Il personaggio immagina un Settecento stereotipato, visto al cinema o in televisione, ma a lui confacente. Certo poteva pensare oltre questi paradigmi, ci avevo pensato, ma avrei dovuto dilungarmi davvero molto.
Mi viene in mente quell’editore che ricevette per primo l’opera di Proust e la respinse dicendo che trovava assurdo che per descrivere un uomo che si gira nel letto si fossero scritte trenta pagine… io concordo con Proust, anche se con questo non voglio dare l’impressione di paragonarmi a lui. Trovo le dilungazioni, i particolari, i paragoni, tutti, le somiglianze, i ricordi, i desideri, le conseguenze… e tanto altro che accade nelle semplici azioni della vita, trovo tutto questo affascinante.
Nerio ha scritto: Mi raccomando: ti prego di considerare questa via osservazione non come una critica negativa, semmai come uno spunto di miglioramento del testo ;)
Assolutamente sì. La tua critica è per me preziosa, come ho detto fin da subito, fonte di ispirazione. Ti ringrazio tantissimo.  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Ciao @Albascura

 
  ha scritto:Albascura  L'avverbio con cui inizia il testo, indica il tempo esatto in cui comincia la storia. 
Significa che, ora, la luce afferma la presenza del giorno nella sua cella.
Sì, vero e giusto. Mi sembrava, almeno ci provo, di dare una sorta di epicità con un avverbio indicante un tempo attuale, al presente e inserendo le sue derivate a un tempo imperfetto. Certo ridondante, ne convengo.
Albascura ha scritto: Tutto il racconto, però continua in un imperfetto che crea una musicalità ridondante, il tono epico che ne risulta, a me è sembrato fuori registro. Il protagonista è detenuto nei nostri tempi, non serve, sempre secondo me, utilizzare uno stile che ricorda epopee di antichi eroi.
Potremmo anche capovolgere la situazione. Tempo fa vidi, e lo sto ancora ricercando perché non ricordo che spettacolo fosse, un dramma teatrale dove gli antichi guerrieri greci dell’Iliade erano rappresentati durante una loro riunione, dentro una tenda militare moderna, indossavano mimetiche e armi moderne, baschi, occhiali Rayban. Voci, abiti e atteggiamenti moderni che si esprimevano con un linguaggio vecchio di millenni. Un contrasto che mi piacque.
Albascura ha scritto: C'è una ripetizione, la parola cuore. Ho cancellato anche la digressione sulle voci inghiottite in lontananza. Non eccederei nella lirica. Voci inghiottite in lontananza è già evocativo a sufficenza.
Eh, lo so. Devo imparare a fare i giusti dosaggi.
Albascura ha scritto: Ho provato a riscriverlo così:
Adesso la luce afferma la presenza del giorno nella cella. Clangori metallici echeggiano nel corridoio, frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza.  Adrio, sdraiato nel suo letto ascolta, valuta in sincronia con i battiti alterati del suo cuore; pian pano si sarebbe calmato, come sempre.
Il fascio di luce taglia obliquo i nove metri quadri del suo spazio, lo interroga in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, risponde in silenzio Adrio.
L’incipit come lo hai corretto tu mi piace.
È un fatto che non uso spesso il tempo presente e se per questo nemmeno la prima persona al presente. Mi da un senso di immediatezza, di accadimento in tempo reale, subitaneo, che talvolta va in contrasto con la mia propensione al distacco, alla ponderazione, al ragionamento sul fatto accaduto, non a quello che sta accadendo perché mi coglie di sorpresa, mi mette fretta.
Albascura ha scritto: Il cortile per esempio, lo dici che è tutto per lui, perché ripeterlo?
Per accentuare la sua profonda, totale solitudine.
Albascura ha scritto:  la frase: lo interroga in attesa di notizie, chi interroga chi? Lo spazio interroga Adrio? A me sembra sia meglio specificare, in qualche modo, che sia Adrio interrogare lo spazio.
Il fascio di luce interroga Adrio. Nella sua mente.

Albascura ha scritto: L'emozione che ho provato leggendo la storia di Adrio è già sufficiente, è autentica anche senza le parti eccessivamente costruite per meravigliare e commuovere il lettore.
commuovere il lettore
Questo mi fa pensare. Dovrò controllarmi meglio.
Albascura ha scritto: Ogni volta che ti leggo rimango piacevolmente stupita dalla potenza della tua fantasia. La storia di Adrio potrebbe continuare vero?
Sarebbe bello vederlo fuori dalla sua prigione.
Questo mi fa davvero piacere, credimi.
La storia di Adrio potrebbe continuare e mi piacerebbe descriverlo in un mondo esterno. Ma dovrebbe avere tanti soldi per permettersi di vivere libero e indipendente da tutti, senza avere troppo a che fare con i suoi simili.
Un po’ come vivo io, soldi a parte che non ho mai avuto.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Un racconto breve, caro @Alberto Tosciri, ma talmente denso d’immagini e sensazioni che necessita dello stesso tempo di lettura di un testo più lungo.
Hai fatto un gran lavoro, con il tuo inconfondibile stile che si nutre (e ci nutre) di momenti, colori e odori attinti dalla vita reale.
La vera “genialata”, passami il termine, è la scelta del nome del protagonista che, immagino, tu abbia fatto con molta cura e acume. Adrio, un richiamo forte alla storia, uno stereotipo che induce il lettore a dire: ecco una storia ambientata nell’antica Roma. Ti aspetti di vedere un gladiatore, di annusare la paura di delle fiere feroci in una danza mortale nell’arena. Niente di tutto questo! Quindi, da parte mia, un applauso alla scelta.
Non sappiamo il tipo di reato che ha commesso Adrio per ritrovarsi rinchiuso e in isolamento, una condizione in cui, forse per i innato istinto di sopravvivenza, riesce a sopravvivere grazie alla creazione di un mondo immaginario dove può esercitare, a sua volta, il potere sulle vite altrui.
Ottime come sempre le descrizioni e quella macchia sul muro che appare come la carta geografica di un mondo che esiste solo per Adrio.
Anche la parte visiva del racconto, così compatto col muro di parole che si fa “muro del carcere” , apparentemente invalicabile ma che contiene all’interno tanta vita. Molto delicato il tratteggio dei carcerieri anche quello molto reale e commovente. Insomma riesci sempre a “cavare” le emozioni…


Alberto Tosciri ha scritto: Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Adrio, sdraiato nel suo letto ascoltava, valutava, ansimava in sincronia con i battiti alterati  del suo cuore; non ci pensava: il cuore si sarebbe calmato, come sempre. Il fascio di luce tagliava obliquo i nove metri quadri del suo spazio, lo interrogava in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, rispondeva in silenzio Adrio.
L’incipit trovò che funzioni molto bene, introduce subito il lettore nella condizione  del protagonista. Non rivela troppe informazioni per cui si ha desiderio di proseguire la lettura. Come ti ho già detto, il nome Adrio trasporta il lettore in un tempo e in luogo che poi si rivela essere altro e questo, personalmente, l’ho apprezzato molto. Ottimo lavoro e lettura intensa e carica di suggestioni. 

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Ti ringrazio @@Monica

Il nome Adrio l'ho usato anche in altri racconti e in genere metto nomi "particolari", non amando mettere i soliti nomi inglesi che poi non me la sentirei di saper gestire, per quanto abbia talvolta messo nomi stranieri, ma in genere tedeschi o spagnoli o sardi. Per me è difficile anche con i nomi italiani, per quanto  l'avrei preferito e talvolta li metto, ma stando attento al fatto che non siano molto comuni o dettati dalle mode del momento. Non metterei  a un personaggio il nome Valentino ad esempio, bellissimo nome ma troppo svalutato e associato a ricorrenze per me assoggettate a mode consumistiche artificiali. Anzi, un tempo ho creato un Valentino, ma finiva molto male. Ai tempi del Pascoli e della sua splendida poesia su un bambino che si chiamava Valentino esisteva ancora il senso della pulizia morale e della bellezza.
Oppure  i nomi me li invento, preferisco anche nomignoli o soprannomi italiani oppure sardi.
Ma se vai a vedere la letteratura italiana fino al 1945 i nomi italiani dei protagonisti di romanzi, racconti e poesie abbondavano, erano vividi di significati. Dopo, lentamente, è cambiato tutto,  si usano molto nomi e ambientazioni anglosassoni.
Non ho nulla contro inglesi e americani, beninteso; amo la loro splendida letteratura e i loro paesi.
Ma io non me la sento di parlare della vita quotidiana di John Smith che passeggia per New York dove fa il poliziotto alcolizzato separato dalla moglie e inviso ai superiori che poi  alla fine salverà il mondo dai cattivi. Non ne so niente, non sarei credibile, farei ridere gli anglosassoni e anche gli italiani. Non è il mio mondo.

L'ergastolano Adrio è un uomo particolare, con una grande capacità di adattamento in circostanze avverse.
Che è sempre stata una mia caratteristica, pur non essendo mai stato nel braccio della morte.    :D
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Poche sicurezze in questo mondo dissennato. Una è il tuo scrivere.
Forma, sostanza, nulla mi ha stancato, piuttosto preso per mano e accompagnato. 
Perché Nerio si ascolta e vive il suo pensare che mai, in nessuna parte è un ragionare, ma un sentire attento, consapevole di quanto tutto sia della massima importanza nei suoi miseri giorni fatti di niente.
E allora ben venga l’indugiare, il ripetere, come se la mente volesse esser certa di non aver lasciato qualcosa indietro in quest’opera di costruzione di un mondo splendido dove, parafrasando Eduardo, tutto è finto, ma niente è falso.
Come certi sogni, che a crederci diventano ricordi.
Chapeau
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Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Ciao @aladicorvo
aladicorvo ha scritto: Poche sicurezze in questo mondo dissennato. Una è il tuo scrivere.
Ehi... Ma che  bel complimento! Tutto per me! Ti ringrazio.
aladicorvo ha scritto: si ascolta e vive il suo pensare che mai, in nessuna parte è un ragionare, ma un sentire attento, consapevole di quanto tutto sia della massima importanza nei suoi miseri giorni fatti di niente.
Esattissimo. Mi fa piacere che sia stato colto. Quindi anche tu sei... una ricercatrice di particolari dell'introspezione.
aladicorvo ha scritto: E allora ben venga l’indugiare, il ripetere, come se la mente volesse esser certa di non aver lasciato qualcosa indietro in quest’opera di costruzione di un mondo splendido dove, parafrasando Eduardo, tutto è finto, ma niente è falso.
Bello il pensiero di Eduardo. Non lo conoscevo, dovrò approfondire. 
Il mio detenuto, che io considero un uomo rinchiuso da altri uomini, è il paradigma umano.  Qualunque sia la sua colpa non ritengo sia giusto rinchiuderlo, come non  ritengo giusto lo si possa sopprimere, qualunque sia la sua colpa. Una condanna potrebbe essere l'esilio, ma libero. La sua coscienza lo seguirà sempre. Il suo male e il suo bene è il male e il bene di tutta l'umanità passata, presente e futura. In lui si somma e si sottrae tutto, anticipa il momento di quando avrà una visione totale della vita degli uomini, vivendo la vita di tutti gli uomini, parafrasando le visioni della Piccarreta. Anticipa il giorno che dovrà lasciare questa Terra e finalmente capire, cominciare un altro cammino. Lui è costretto a vedere prima. Paradossalmente vive mille vite aspettando la sua personale morte terrena, la fine del suo corpo materiale che libererà finalmente l'anima, al netto dell'intervento degli uomini.
aladicorvo ha scritto: Come certi sogni, che a crederci diventano ricordi.
Sì. Sono un innamorato dei sogni. 

Grazie per le tue belle parole di apprezzamento @aladicorvo
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Sono contento @Albascura .
Mi è sempre piaciuto pensare che in quello che scriviamo, nei racconti, romanzi, poesie, ci debba essere davvero una parte di noi, quella vera. E lo stesso, anche di più,  può valere per  i commenti. Il tutto è la rappresentazione dei  nostri pensieri, del nostro essere. E se fanno pensare in maniera positiva chi li legge, allora va straordinariamente bene.

  Se posso permettermi ti lascio una massima che mi è sempre piaciuta, l'annotai tempo fa perchè mi colpì, mi riconoscevo in quelle parole, istintivamente le avevo sempre applicate. Mi pare di ricordare sia di un gesuita  indiano, Anthony de Mello, che scrisse molti libri sulla spiritualità cristiana e orientale.
"Vivere è vedere il mondo in un granello di sabbia e il paradiso in un fiore, tenere l'infinito nel palmo di una mano e l'eternità in un ora. La speranza e la fiducia sono le grandi ali della vita, senza di esse si rimane a terra; la strada verso il cielo è lunga ma se ci si crede, ci si può arrivare."

Che tu possa star bene oggi e sempre.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Ciao @Alberto Tosciri, ben trovato con questo racconto ricco di suggestioni e di contenuto.

Inizio, naturalmente, dall'incipit. Ho trovato molto belli i singoli periodi, ben curati, come tutto il racconto, dal punto di vista stilistico. Penso però che potrebbero rendere meglio con qualche cambiamento. 
Alberto Tosciri ha scritto: Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole.
Inizi, infatti, con una frase dedicata alla luce, ma abbandoni subito questo spunto per passare a parlare dei suoni, metallici ed umani, dedicando loro un periodo ben più lungo e suggestivo. Poi, solo un paio di righe più tardi, ritorni a parlare di questa luce che è il primo elemento che ci è dato conoscere della cella di Adrio. Trovo che questo crei un certo disorientamento nel lettore, la cui attenzione si ritrova spezzata tra i due sensi, anziché facilitare la sua immersione in medias res. Proporrei di riunire le due parti dedicate al fascio luminoso, aggiungendo qualche dettaglio su ciò che esso illumina, per rendere visibile e chiaro da subito a chi legge il "regno" di Adrio. Altrimenti ci viene più difficile capire le sue sensazioni e i suoi pensieri, che già da subito iniziano ad emergere, senza vedere minimamente dove si trova. Allo stesso tempo però va benissimo non dire troppo: in questo modo, arrivati alla fine del capoverso iniziale, si conserva un senso di sorpresa e rinnovata attenzione nello scoprire che Adrio è in carcere.  Proporrei qualcosa come:

Adesso la luce affermava la presenza del giorno nella sua cella. Il fascio di luce tagliava obliquo i nove metri quadri del suo spazio, illuminando il pavimento polveroso ed il letto, unico arredo della stanza spoglia. Clangori metallici echeggiavano nel corridoio, a tratti frammischiati a voci di uomini, inghiottite in lontananza, disperse come naufraghi in un mare grigio e calmo, luccicante in modo inesorabile sotto il sole. Adrio, sdraiato nel suo letto ascoltava, valutava, ansimava in sincronia con i battiti alterati del suo cuore; non ci pensava: il cuore si sarebbe calmato, come sempre. Come ogni altro giorno, il sorgere del sole lo interrogava in attesa di notizie. Isolamento diurno e notturno a vita, rispondeva in silenzio Adrio. 

Dopodiché, il racconto prende il via. E credo che l'interrogativo paradossale a cui cerca di rispondere sia: è possibile oltrepassare i limiti che lo spazio fisico ci impone? Dunque, è possibile danzare anche stando fermi? 
Adrio ci prova, con tutte le sue forze, per non rassegnarsi anche interiormente alla condizione cui il suo corpo è sottoposto. Pur restando lucido, a perfetto contatto con la realtà quando serve, la maggior parte del suo tempo di solitudine la passa rifugiandosi nel suo regno: lo amministra, lo fa prosperare, pensa ai suoi sottoposti e alla vita di corte. Hai dipinto davvero un bel ritratto di escapisme che però è "attivo ed operante" (per riutilizzare un'espressione ossimorica del secolo scorso, riferita alla neutralità in guerra). Per certi versi, vedo delle affinità anche con il mio racconto: entrambi i protagonisti sono stati spogliati, in qualche modo, della possibilità di essere padroni del proprio corpo, da parte di un sistema che si serve della violenza e del controllo. Entrambi, finché hanno forza, combattono, nel piccolo spazio di manovra loro concesso. Nel tuo racconto vedo una storia di dignità, di autodifesa e sopravvivenza, che, appunto, per certi versi mi ha ricordato la mia protagonista e mi ha toccata davvero. Come le altre volte che ho avuto occasione di leggerti, si vede che dai molto peso ai contenuti nei tuoi racconti e lo considero un grande pregio.

Penso che il racconto avrebbe potuto beneficiare, però, di una maggiore presenza della dimensione corporea nella storia. Mentre ci offri una prospettiva molto dettagliata dei viaggi e delle "danze" che Adrio compie con la mente, il suo corpo perde centralità, e lui diventa quasi un essere intellettuale, tutto cervello. Ma anche il suo corpo deve patire la crudeltà della reclusione e dell'isolamento: sentirà freddo, opposto al caldo sotto il sole dell'ora d'aria; proverà straniamento per il silenzio a cui la sua bocca è sempre costretta. Dando spazio a questo aspetto, penso che sarebbe emerso con più chiarezza e a piena potenzialità il tema della danza, che pure è presente, ma in modo quasi del tutto implicito, spogliato per l'appunto della sua dimensione più evidente ed immediata, quella corporea. Magari Adrio, quando pensa a come organizzare la propria festa di fidanzamento, potrebbe provare le coreografie nei suoi nove metri quadrati. E in questo modo potrebbe ricordare non solo con la testa, ma anche con le membra, di essere vivo.

Nulla da dire sul tuo stile, lineare ma arricchito da un lessico sfumato e a tratti immaginifico (il "mare grigio e calmo" dell'incipit è una metafora del carcere, vero? Io l'ho vista così) che restituisce complessità.

A rileggerti con piacere  :)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Buongiorno @Alberto Tosciri,
ho letto il tuo racconto e l'ho trovato un buon esercizio di stile.
Dimostri di avere capacità di scrittura, costruisci immagini, ci fai vedere luoghi ed entrare nell' anima del personaggio, ma la trama non procede e il risultato è, a mio parere, troppo pomposo.
Il racconto meriterebbe più pagine, retroscena, caratterizzazioni di altri personaggi dove diluire tutto il testo altisonante qui concentrato.
Una volta mi prestarono un libro consigliandomelo con grande entusiasmo. Io lo trovai pesantissimo per quanto, di base, il concetto fosse assolutamente interessante e spunto di riflessioni.
Quando mi chiesero cosa ne pensavo dissi che le oltre duecento pagine probabilmente potevano essere ridotte a trenta e ne sarebbe uscito un capolavoro. La persona che mi aveva prestato il libro non la prese bene.
Quindi fai le tue valutazioni, perché ovviamente il gradimento di una lettura è estremamente personale.
<3

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Ciao  @Areeanna  e grazie.

Mi piace come proponi la modifica dell’incipit accentuando la descrizione della luce che penetra nella cella tutta in un periodo e poi passare al resto, senza frammentazioni come ho fatto io.
Ci sono delle affinità con il tuo racconto per quanto riguarda essere padroni del proprio corpo, ne convengo.
Comprendo bene il tuo rilievo circa il fatto che si poteva dare maggiore risalto alla dimensione corporea del personaggio, infatti ne ho fatto cenno troppo brevemente nonostante avessi ancora spazio per i caratteri ma non sarebbe bastato. Conosco bene la sensazione sia fisica che spirituale che si prova dopo giorni che non si parla con nessuno. L’ho constatato  personalmente nel passato.
Ho trovato ottima anche la tua osservazione sul poter dare maggiore dimensione corporea al personaggio. La scena che suggerisci di provare la danza di fidanzamento nella cella è fantastica (ora che ci penso può essere un ottimo spunto per un ulteriore racconto). Ma in questo caso, letteralmente, non c’era spazio… di caratteri intendo.
Quando scrivo un racconto breve considera che quasi sempre in origine era lungo almeno il doppio e anche di più. Per me è sempre difficoltoso rimanere nei limiti imposti
Areeanna ha scritto: Nulla da dire sul tuo stile, lineare ma arricchito da un lessico sfumato e a tratti immaginifico (il "mare grigio e calmo" dell'incipit è una metafora del carcere, vero? Io l'ho vista così) che restituisce complessità.
Potrebbe anche essere, dico la verità non ci avevo pensato in senso così assoluto ma la tua osservazione si avvicina molto a quello che avevo in mente. Quando sei in mezzo al mare senza vedere la terra scompaiono i legami con la società, sei solo, sei libero. La solitudine per me è sinonimo di libertà, in tutti i sensi. Si dovrebbe soffrire, ma io non ne ho mai sofferto e di rimando nemmeno i personaggi che escono drammaticamente dalla mia immaginazione.

Un saluto.


Buon pomeriggio @Modea72
Modea72 ha scritto: Dimostri di avere capacità di scrittura, costruisci immagini, ci fai vedere luoghi ed entrare nell' anima del personaggio,
Sono contento, dai.
Modea72 ha scritto: ma la trama non procede e il risultato è, a mio parere, troppo pomposo.
Mi piace quest’aggettivo: "pomposo" . Se poi si potesse accompagnare con una parola che spesso gli si associa, “barocco”, mi farebbe estremamente piacere perché amo quel periodo in una maniera che potrebbe essere considerata quasi anomala. Non sto a descriverti tutte le accezioni che questo termine suscita in me, si farebbe notte.
Dico solo che mi sarebbe piaciuto vivere nell’epoca che suscitò il barocco, in Spagna in particolare, che non aveva nemmeno bisogno che si creasse quello stile avendolo da sempre  avuto nel suo sangue e nella sua anima.
Modea72 ha scritto: Il racconto meriterebbe più pagine, retroscena, caratterizzazioni di altri personaggi dove diluire tutto il testo altisonante qui concentrato.
Oh! Finalmente! È quello che dico anche io ogni volta che partecipo a contest e Labocontest: spazio, più spazio, tanto spazio. E tempo. Spero che un giorno gli organizzatori mettano anche una gara, diciamo semestrale, per inserire almeno un romanzo breve. Ovviamente, come giustamente dici, il gradimento di una lettura è estremamente personale. Io amo stili, mode, scrittori, periodi storici che farebbero fuggire, con ragione, parecchie persone che avrebbero il terrore di annoiarsi a morte. E viceversa.
Come la pittura, che da giovane studiai all'Artistico, dove non capivano come potessi preferire Rembrandt o Caravaggio a Picasso, e nonostante tutto amassi Dalì  e De Chirico senza confini.
Parlando di scrittura considero un capolavoro “La Bufera” di Edoardo Calandra, un grande scrittore piemontese dell’Ottocento, considerato secondo solo ai Promessi Sposi. Eppure chi lo sa, a chi importa? Non lo consiglierei a nessuno perché parla di valori oggi irrisi e perciò noiosi se non considerati reazionari, ma sono sempre stato al di fuori, oserei dire anche al di sopra di certo provincialismo e qualunquismo italiano che si è sempre adeguato ai tempi, alle mode e alle leve del potere di chi comandava.

Un saluto
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 15] Impressioni di un re

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Ciao @Alberto Tosciri .

Ti confesso che ho fatto fatica a comprendere il tempo storico e le l'attinenza del carcere al "re"! Poi, piano piano, intuisco la punta ironica del vivere di questo uomo "re dell'impero dell'intonaco sdrucito". Ne è venuto fuori un pezzo che sorprende per l'idea messa in scena. Una specie di alchimia con vari elementi, tra cui realtà e finzione, la fuga da mondi opprimenti verso imperi fausti... Bravo!  (y)
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
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