[MI183] In autunno si guarda il cielo*

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Traccia 1. La terza stagione.
Bonus-commento "Premio Lab 14"


Chicca era tornata a casa dopo il turno pomeridiano al supermercato. Aveva comprato un paio di buste di surgelati senza neppure guardare bene che roba era.
Ora si trattava di prendere una padella, forse due; accendere i fuochi; versare l’olio, aggiungere sale, pepe e altre cose come aglio, oppure prezzemolo, chissà. Poi avrebbe dovuto, forse, cercare i coperchi; prendere la paletta di legno e girare quegli intrugli, controllarne la cottura e, nel frattempo, mettere sul tavolo un piatto, un bicchiere, le posate, uno o due tovaglioli di carta, la brocca d’acqua. Oppure posizionare tutto questo su un vassoio da portare davanti a quella noiosissima televisione.
Decise che era troppa fatica.
Schiacciò le buste nel freezer, si lavò le mani, tirò le scarpe dove capitava, afferrò una confezione di pane in cassetta e la mela che stava sulla credenza da qualche giorno; si andò a sedere sul divano davanti al televisore.
Sistemò il cuscino dietro la schiena e distese le gambe. Prese da terra un giornale che non ricordava di aver comprato e lo sfogliò tanto per fare una cosa che non fosse accendere subito la televisione.
Mentre guardava le figure, comprese che non le importava niente della vellutata di zucca o del tortino ai frutti autunnali. Posò il giornale sul bracciolo panciuto e lasciò cadere la testa all’indietro. Chiuse gli occhi. Le sembrò di sentire il rumore della pioggia: non aveva voglia di andare a controllare se c’erano panni stesi fuori e si abbandonò a quel ticchettio leggero.
 
Le venne in mente di quando una mattina di fine settembre, in campagna dalla nonna, si era allontanata insieme al figlio del contadino confinante per andare vedere il vitello appena nato.
Erano scesi fino alla stalla, avevano carezzato il pelo umido dell’animale, poi si erano inoltrati tra i rovi per cogliere le ultime more. 
Lui raccontava del cavallo che il giorno prima aveva cavalcato senza sella, rischiando di rompersi il collo, mentre lei raccoglieva assorta quegli strani piccoli frutti composti di tante palline nere assemblate, li puliva velocemente con le mani e li mangiava. 
Voleva portarne una manciata alla nonna, ma dove conservarli? Mentre si guardava intorno per cercare qualcosa che fungesse da contenitore, il sole si era oscurato e un tuono violentissimo li aveva sorpresi.
Il ragazzo l’aveva afferrata per il polso e insieme avevano corso giù lungo il sentiero che conduceva a un piccolo ricovero invernale per le bestie.
Erano entrati zuppi di pioggia nella casupola fatta di pietre e si erano stesi ridendo sui residui di fieno ingiallito. 
Le gocce battevano sul tetto di selci e colavano lungo le pareti come tante piccole cascate: dall’uscio posto di fronte osservavano silenziosi l’intensità violenta di quel temporale d’autunno.
Erano rimasti così a lungo, senza parlare, come se anche loro appartenessero a quel luogo solitario e la sua selvatichezza li rendesse effimeri come il fieno su cui sedevano e imperituri come il tempo che su quelle campagne ostili aveva posato lo sguardo al loro primo apparire.
 
«Io da grande voglio essere ricco» – aveva detto il ragazzino, attorcigliando intorno alle dita uno stelo ancora verde. «Voglio essere ricco, e comprarmi case in tutto il mondo. Voglio andare via da qui. Voglio conoscere la gente importante. Guarda! Ho una coccinella sul dito! Guarda com’è bella.»
«Ti comprerai tante case quante sono le macchioline nere che ha sulle ali» – aveva sussurrato lei. «Le coccinelle portano fortuna, lo so. Io invece farò il medico, come mio padre: voglio guarire le persone, sentire i cuori che battono. Sarò un medico eccezionale, mamma lo dice sempre.»
«Dovrai studiare per tantissimi anni, non ti stuferai? A me già non mi va d’andare a scuola.»
«Allora come farai a diventare ricco se non vuoi studiare? Cos’è che vuoi fare?»
«Vado in America da mio zio: lui fa il commerciante ed è diventato milionario. Papà ha detto che appena sono maggiorenne posso andare.»
«E quando io verrò in America ti cercherò: tu sarai il padrone di tanti ristoranti famosi e m’inviterai a cena. Va bene?»
«Certo! Farò venire apposta per te il pesce dall’Alaska e stapperemo un vino da ricchi.»
Avevano riso, mentre guardavano la coccinella aprire le ali e svolazzare delicata sui corpi freschi, sui capelli bagnati.
«E poi, se non ti sei ancora sposata e anche io sono libero, ci innamoriamo e facciamo tanti figli» – aveva proseguito lui prendendole una mano e intrecciando le sue dita nelle proprie. «E se mi ammalerò, tu mi curerai.»
Lei lo aveva guardato negli occhi scuri e gli aveva poggiato il capo sul petto.
«Senti come batte il tuo cuore? Finché il cuore batte siamo vivi, e respiriamo, e possiamo toccare le cose. Quando sarò medico sentirò anche petti dove il cuore ha smesso di battere, e questo mi fa paura. Perché so che, dopo, è tutto buio per sempre.»
«Mia nonna dice che quando si muore subito scende un angelo dal cielo e porta via l’anima con sé, tenendola stretta tra le braccia. Poi la dà a Dio.»
«Hai i denti bianchissimi, tutti dritti» – aveva sussurrato lei guardandogli la bocca mentre lui parlava. «Tu hai mai dato un bacio a una ragazza?»
«Oh, certo che sì! Ho dodici anni, cosa credi? E tu, invece, hai mai baciato un ragazzo?»
«Nei miei sogni tante volte. Quindi non so dirti se sì o no.»
«Ma nella realtà, quando sei sveglia, hai mai baciato un ragazzo?»
«Intendi dire fuori dai sogni? Se ho baciato la bocca di qualcuno come ora ho toccato con la testa il tuo petto? No, in quel modo mai.»
«Se vuoi ti insegno io. Sono bravo, sai.»
Lei lo aveva fissato ed egli era arrossito: l’aveva vista così bella, coi capelli neri ormai asciutti e gli occhi grandi pieni di domande, la pelle liscia e profumata di more.
«Come prima cosa si devono toccare le labbra, così» – e aveva avvicinato delicatamente la bocca a quella tremante di lei. «Vedi? È facile, finora. Come se baciassi una mano, o un braccio. Poggi le labbra e premi un pochino.»
Lei aveva chiuso gli occhi e lasciato che la sfiorasse.
«Poi devi aprire un po’ la bocca e fare uscire la punta della lingua, come se volessi assaggiare una cosa buona: ecco, proprio così.»
 
Chicca ricordava bene di aver assaporato la bocca, il volto tutto e il collo del suo amico e, mentre la pioggia scemava e l’aria di nuovo brillava di luce dorata, di aver avuto la voglia di fermarsi lì per sempre, nel tepore.
Una mano del ragazzino già si insinuava sotto la camicetta leggera, e lei era balzata in piedi, fiera e scarmigliata.
«Andiamo, ha smesso di piovere. Forse qualcuno ci sta cercando.»
Lui si era alzato di malavoglia. Erano usciti dal ricovero e avevano risalito il sentiero senza parlarsi mai.
Appoggiata a un muretto della stalla, la nonna li attendeva.
Uno schiaffo violento aveva colpito il ragazzino sulla nuca, e un altro Chicca sulla guancia già calda.
 
Non aveva mai più incontrato il suo amico: neppure ricordava il nome.
La vita, questa strana cosa che chiamiamo vita, gli aveva poi accordato benevolenza, aveva rovesciato su di lui in abbondanza i doni della sua cornucopia?
 
La pioggia era cessata. Chicca tirò fuori dalla busta una fetta di pane e accese la tv.
* da Kierkegaard
 
 
 
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Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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Ciao @Ippolita , ben ritrovata.
Mi piacciono molto le citazioni, perché le possiamo interpretare; possiamo usarle come spunto e tentare di spiegare il significato che hanno per noi; possiamo usarle perché suonano bene; perché danno il "La", oppure concludono il discorso che vogliamo fare; rafforzano ciò che abbiamo da dire. Questa non la conoscevo (quindi, ti ringrazio dello spoiler) e la trovo davvero ben utilizzata. Nel racconto c'è un mondo, dietro, e non è un mondo sereno e luminoso. Ragazzi, é inutile: i sogni non si avverano, potrebbe essere la morale. Oppure: Se guardi per bene, nel sogno c'è già l'annuncio di quanto alla fine ti aspetta: nel ricordo di Chicca, dolce e lontano, alla fine c'è anche quella mano che cerca ciò che lei non proprio voleva (almeno: non ancora), e il ceffone, e la consapevolezza che nulla è facile e gratuito.
E quindi? Dobbiamo proprio preferire l'autunno, con il suo cielo grigio e le sue piogge? Dobbiamo preferirlo esattamente per questo? Se così, se questo è il senso che volevi dare al racconto, allora lo considero un elogio della disillusione. Non so che interpretazione dava Kierkegaard al suo aforisma, ma in questo senso mi piace.
Non ho molto altro da dire: la storia è ben scritta: essenziale, asciutta (al di là del meteo :asd: ), e ti mette addosso una tranquilla rassegnazione e quella noia che sai non irreversibile, ma che è pervasiva e ti rende indolente, e lascia che la parte peggiore dell'autunno si faccia immagine della vita. E quel che è peggio è che ti va bene così. Mi  sembra che il breve racconto esprima benissimo quest'atmosfera.
Al di là della domanda che nel finale Chicca si pone, e che rappresenta speranza, almeno per l'amico di un pomeriggio di tanti anni prima; e alla pioggia che cessa (e sono due elementi che in chiusura possono far trasparire non poco), secondo la mia lettura tu non lasci molto spazio a visioni positive, al ritorno del sereno (e se sereno sarà, si tratterà comunque di un sereno autunnale, che annuncia il prossimo inverno, e bene che ci vada il ciclo delle stagioni ci riporterà altri autunni, altre piogge...). 
Sbaglio? Sono io che sono già in novembre

Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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Bentrovata, cara  @Ippolita  :) 


Ippolita ha scritto: Erano rimasti così a lungo, senza parlare, come se anche loro appartenessero a quel luogo solitario e la sua selvatichezza li rendesse effimeri come il fieno su cui sedevano e imperituri come il tempo che su quelle campagne ostili aveva posato lo sguardo al loro primo apparire.
Bella questa frase e le immagini che prospetta!
Ippolita ha scritto: «Mia nonna dice che quando si muore virgola subito scende un angelo dal cielo e porta via l’anima con sé, tenendola stretta tra le braccia. Poi la dà a Dio.»
Meglio metterla giusta che non metterla, perché l'alternativa di leggerla dopo "subito" può comprometterne il significato.

Per il mio parere, @Ippolita , è un racconto sulle disillusioni giovanili.

Chicca fa la commessa, mentre avrebbe voluto diventare medico:
Ippolita ha scritto:
«Le coccinelle portano fortuna, lo so. Io invece farò il medico, come mio padre: voglio guarire le persone, sentire i cuori che battono. Sarò un medico eccezionale, mamma lo dice sempre.»
«Dovrai studiare per tantissimi anni, non ti stuferai? 
Perché lei non ha studiato?
Hai scelto di non spiegarlo, e in effetti, così, la disillusione e il disincanto ci stanno comodi tra l'incipit e il ricordo dell'adolescenza.
Anche la mancanza di volontà e di coraggio sono un'ombra sulla vicenda.
Un brano triste, che mette malinconia al lettore che può associarne la lettura a casi propri.

La tua penna è, come sempre, magistrale.  (y)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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@Ippolita ciao!

Bello il tuo racconto, minimalista e nostalgico.
L’unica cosa che mi lascia perplesso é il fatto che la prima parte, dove la protagonista mostra un’apatia e un disinteresse per le attività quotidiane quasi patologico, non abbia più alcuno sviluppo. Allora mi chiedo, serve davvero al fine del racconto?
Capiscimi: è scritto bene, ti fa entrare dentro allo stato d’animo della protagonista e poi… nulla.

A prescindere: complimenti, davvero ben fatto!


A rileggerti!
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Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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Ippolita ha scritto: Zaza, io mi iscrissi al WD il 21 maggio del 2018, pochi giorni prima del mio compleanno: in piena primavera!  :D  
Un saluto caro a te, a prestissimo.
Scusami, allora ricordo male: io mi iscrizzi a ottobre 2018. Mi era rimasto impresso che eravamo entrambe novelline del Forum.  :hug:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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ciao @Ippolita 

Sono perplesso se ritenere questo racconto autobiografico, però "al contrario": mi spiego.
Ippolita ha scritto: Chicca era tornata a casa dopo il turno pomeridiano al supermercato. Aveva comprato un paio di buste di surgelati senza neppure guardare bene che roba era.
Ora si trattava di prendere una padella, forse due; accendere i fuochi; versare l’olio, aggiungere sale, pepe e altre cose come aglio, oppure prezzemolo, chissà. Poi avrebbe dovuto, forse, cercare i coperchi; prendere la paletta di legno e girare quegli intrugli, controllarne la cottura e, nel frattempo, mettere sul tavolo un piatto, un bicchiere, le posate, uno o due tovaglioli di carta, la brocca d’acqua. Oppure posizionare tutto questo su un vassoio da portare davanti a quella noiosissima televisione.
Conosco bene le tue grandi fatiche quando organizzi i mega pranzi ai tuoi ospiti. Mi sono detto poi: è meglio stare davanti al televisore a non fare nulla, per Chicca?  Mi sembra di cogliere un certo malessere esistenziale, tra i ricordi giovanili, i sogni mancati, o forse, volutamente persi. 
Ma credo che in realtà sia la rappresentazione di una vita che avresti voluto, ma che, pensando alla fine sul divano senza nessuna idea su cosa fare, ti consoli pensando al fatto che io ti possa chiamare "dottoressa Avanzini"  :D <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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Racconto grazioso, delicato, d'altri tempi, scritto molto bene. Il romanticismo di vivere in campagna. Oggi a quell'età, in città e in aree più contaminate in tutti i sensi, ho visto dei ragazzini che guardavano sui social esempi di vari tipi di baci tra coetanei a seconda delle situazioni e del contesto in cui si trovavano di fronte.
Anche Chicca è una nostalgica: guardare la televisione e leggere il giornale sono ormai rimasti in pochi a farlo.
Ippolita ha scritto: Uno schiaffo violento aveva colpito il ragazzino sulla nuca, e un altro Chicca sulla guancia già calda.
Forse per schiaffo si intende più in viso a mano aperta. Non so se è meglio colpo o manata.
Ciao, alla prossima

Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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Ciao @Ippolita, ci riprovo, in breve.
Racconto che suggerisce spunti di riflessione, piacevole, ma mi hai lasciata con troppi interrogativi.
Si sa che la vita mette a dura prova e quel che si sogna spesso rimane solo un ricordo, ma in un racconto, mi aspetto di saperne un po' di più...
Che fine ha fatto il ragazzino?
Lei come è finita a vivere con quell' apatia, a lavorare in un supermercato?
Il racconto mi ha presa, è scritto bene, ma alla fine mi lasci con poche briciole.
A rileggerti.
<3

Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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Modea72 ha scritto: Che fine ha fatto il ragazzino?
Lei come è finita a vivere con quell' apatia, a lavorare in un supermercato?
Non saprei, in verità. L’idea mi è venuta ascoltando una cassiera al supermercato che raccontava a una signora di essere diplomata in pianoforte. Non ho sentito altro, e ho immaginato questa storia. 
Il bambino, invece, appartiene al mio passato: l’aneddoto descritto è inventato, ma lui accompagnò una sola estate della mia infanzia, scomparendo poi nella “nera schiena del tempo” (Xavier Marìas).
Grazie, @Modea, per aver avuto la pazienza di riscrivere il commento! Un saluto.
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Re: [MI183] In autunno si guarda il cielo*

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queffe ha scritto: Sbaglio? Sono io che sono già in novembre
Ahahah! non sbagli. Grazie per il bel commento e scusami per il ritardo.
Poeta Zaza ha scritto: Meglio metterla giusta che non metterla, perché l'alternativa di leggerla dopo "subito" può comprometterne il significato
Ottimo suggerimento. Grazie e scusami per il ritardo!
bestseller2020 ha scritto: Ma credo che in realtà sia la rappresentazione di una vita che avresti voluto, ma che, pensando alla fine sul divano senza nessuna idea su cosa fare, ti consoli pensando al fatto che io ti possa chiamare "dottoressa Avanzini
:D Siiiiì a volte mi piacerebbe non avere niente da fare, fortuna che cucinare mi piace. Mi fai sempre ridere quando ti leggo, caro Best! Nella risposta a Modea ho scritto la genesi dell’idea. Un abbraccio e perdona il ritardo.
Kasimiro ha scritto: Forse per schiaffo si intende più in viso a mano aperta. Non so se è meglio colpo o manata.
Grazie per il suggerimento! Hai ragione. Un saluto e scusami tanto per il ritardo.
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