[MI 180] Uomini colpiti

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Traccia 1 -  "Bene o male"

Racconto commentato: Una brava persona

Uomini colpiti
─ Perché piangi, pa’?
Ignazio  era un bambino quando vide per la prima volta suo padre piangere. Allora si trovavano a casa davanti al televisore in bianco e nero; la mamma sparecchiava la tavola da pranzo, la sorellina litigava con il fratellino mentre pasticciavano un disegno su un quaderno.
Il papà indossava la camicia bianca e la cravatta nera, le maniche leggermente arrotolate sulle braccia, i pantaloni neri con le bande laterali rosse; tra un po’ si sarebbe messo la giacca da carabiniere per scendere nella caserma al piano sotto la loro casa, perché quel giorno era di turno di piantone. Poteva permettersi di guardare la televisione in attesa del caffè.

Trasmettevano un documentario  con vedute di edifici bombardati, le guglie di una cattedrale sventrata, soldati che affollavano le strade, file di morti che si intravedevano ai lati. Ignazio guardava senza troppo interesse e vide suo padre, seduto a fianco, che tossiva e sospirava strofinandosi rudemente una guancia fino ai folti baffi neri.
─ Perché piangi pa’?
─ Non è niente.

Passò del tempo, ma anche un paio d’anni sono tanti per un bambino.
─ Pa’, cosa vogliono dire quei nastri colorati che hai sulla giacca?
─ Oh, niente. Medaglie che danno a noi, sai…
─ E questo nastro della bandiera con due stelle? È il più bello di tutti.
─ Ah, questo! Sì. Me l’hanno dato dopo la guerra.
─ Hai fatto la guerra pa’?
Il padre aveva tardato a rispondere, per un attimo lo sguardo sembrava essersi estraniato dal posto dov’erano.
─ Sì ─ disse soltanto con un lieve sorriso, accarezzando il figlio e andando al lavoro.

Passò altro tempo. Quell’anno Ignazio avrebbe dovuto diplomarsi. Come ogni estate erano andati al mare, nel paese dei nonni. Suo padre non sapeva nuotare, si limitava a immergersi nell’acqua fino al petto e poi si distendeva al sole sorridendo contento sotto i baffoni che stavano cominciando a diventare bianchi, guardando tranquillo i turisti che affollavano la spiaggia.
Ignazio era appena uscito grondante acqua dal mare, distendendosi sull’asciugamano che sua madre aveva sistemato a fianco del padre.
─ Quando vai in pensione, pa’?
─ Oh! Non manca molto ormai. Tu sarai già all’università.
─ Pa’?
─ Sì?
─ Ma che film era quella volta, tanti anni fa a casa, che ti aveva fatto piangere? Ricordi?
─ Ah! Sì. Ricordo. Non era un film. Era un documentario su Dresda al tempo di guerra.
─ Ecco ─ rispose Ignazio. ─ E di cosa parlava? Perché piangevi? Me lo ricordo.
Ignazio sembrava divertirsi. Per lui suo padre era una roccia e vederlo in difficoltà davanti a una domanda che all’apparenza gli sembrava banale non era una cosa usuale; il fatto lo incuriosiva.
─ Vecchie storie di quando ero giovane ─ rispose il padre  raccogliendo il giornale buttato in un angolo e aprendolo a caso.
Ignazio si mise seduto sull’asciugamano. ─ Perché non mi racconti qualcosa? Non mi dici mai niente.
Il padre lo guardò socchiudendo gli occhi al sole, accennò un sorriso, chiuse il giornale con cura piegandolo diverse volte e mettendolo da parte, strinse  le braccia intorno alle ginocchia guardandosi intorno. I bagnanti si tuffavano allegri in acqua, i bambini urlavano giocando a pallone in un campetto improvvisato, con due infradito infilate nella sabbia a delimitare la porta. Chinò il capo sospirando. Pensieroso. Quando rialzò la testa il suo sguardo era cambiato, sembrava vedere altre cose.
─ Le parole non bastano. La guerra è brutta, Ignazio.
─ Tu dimmi. Io volevo sapere.
Il padre annuì.
─ Lo sai che avevo un anno più di te, diciotto nel 1942, quando dovevo partire soldato, ma io scelsi di andare nei carabinieri. Mi andava così. Mi mandarono A Roma alla scuola allievi. Dopo un paio di mesi  uscimmo in libera uscita per la prima volta, sai, vestiti di grigioverde con le fasce ai piedi e il cappello a lucerna senza pennacchio, anche quello avvolto di tela grigioverde. Io e i colleghi spendemmo tutta la nostra paga, che non era molta, per comprare cartocci di castagne arrosto. Avevamo una fame… L’anno dopo, proprio il giorno del giuramento, nel luglio del 1943, gli Alleati bombardarono Roma e uccisero il generale comandante dell’Arma che ci aveva passato in rassegna. Le cose non andavano bene. Ricordi quella piccola foto dove sono con altri colleghi sotto i portici della scuola allievi? Ci avevano appena messo gli alamari e qualcuno sorrideva contento.
─ Ah sì! Devi farla ingrandire, è davvero bella.
─ Quando ci promossero carabinieri alcuni di quei ragazzi finirono in Jugoslavia. Sono morti quasi tutti. Morti male. A me e altri ci mandarono a Torino. Ma dopo l’armistizio, quell’otto settembre 1943, i tedeschi ci misero su un treno e ci portarono prigionieri in Germania.
─ Quanto ci sei rimasto?
─ Due anni. Due stellette, ricordi?
─ Ah! Quelle!
─ Per due anni io e gli altri prigionieri abbiamo girato tutta la Germania. Ci hanno fatto sfilare davanti alla gente sotto la porta di Brandeburgo a Berlino. Sono stato in Alsazia, ad Amburgo, in Polonia. 
Ci consideravano internati anche se eravamo prigionieri. Non ricevevamo assistenza dalla Croce Rossa, a casa pensavano che fossi morto. Ci facevano lavorare. Raccoglievamo i rottami degli aerei Alleati abbattuti dalla contraerea, li caricavamo sui camion che li portavano alle acciaierie Krupp che li fondevano per fare cannoni e carri armati.
Aiutavamo le squadre soccorso a recuperare morti e feriti nelle città bombardate dagli Alleati. Ci mandavano nelle campagne per lavorare i campi  assieme ai contadini che avevano i figli al fronte. Mangiavamo tutti assieme con le loro mogli e i bambini. Non ci trattavano male. Un camion ci portava al lavoro il mattino e la sera veniva a riprenderci per riportarci al campo.
─ Perché non sei scappato?
─ E dove potevo andare?
─ Tornare a casa.
─ Non era facile. Mica bastava prendere il treno. Ho avuto una possibilità di tornare in Italia però.
─ Quando?
─ Dall’Italia vennero degli ufficiali belli puliti per dirci che chi aderiva al nuovo governo che si era formato dopo l’armistizio sarebbe tornato subito in Italia.
─ E tu?
─ Ho rifiutato.
─ Ma perché? Se potevi…
─ No. Avrei dovuto stare con gente che non mi piaceva, fare cose che non volevo fare. Non sarei più stato un carabiniere. Io e quasi tutti i miei colleghi preferimmo restare prigionieri.
─ E poi?
─ Avevo imparato a parlare un po’ di tedesco, le cose essenziali. C’era fame, malattie, sofferenza. Molti non ce l’hanno fatta. Io resistevo perché ero giovane e forte. Quando dopo i bombardamenti lavoravamo con le squadre soccorso e i vigili c’era bisogno di molta manodopera e i prigionieri erano sempre impegnati. Ho preso e trasportato tanti morti nei bombardamenti, donne, vecchi, bambini che non c’entravano niente con la guerra.
─ Adesso ho capito perché piangevi vedendo il documentario. Ti sei ricordato tutto.
─ No. Non avevo mai dimenticato. Non è possibile. La guerra stava per finire nel febbraio 1945, gli Alleati e i Russi erano già in Germania, come si spostava il fronte i tedeschi spostavano anche i prigionieri e un giorno ci portarono a Dresda. Era una città antica e piena di belle cose, non avevo mai visto niente di più bello in vita mia. Non era stata mai bombardata fino ad allora, non sembrava nemmeno che ci fosse la guerra, c’era tanta gente, tanti sfollati di altre città. Ci fermammo per riposare e subito dopo gli Alleati la bombardarono senza fermarsi mai per tre giorni. Io con altri colleghi e dei soldati tedeschi ci nascondemmo sotto le rovine di un grande ponte che ci proteggeva, rimanendo nascosti per tre giorni e tre notti sotto le esplosioni continue, senza mangiare e senza bere.

Ignazio si mordeva le labbra salate.

─ Alla fine uscimmo, coperti di polvere in mezzo a Dresda che non esisteva più. Solo fiamme, un vento rovente che soffiava forte ci spingeva e faceva cadere in mezzo agli incroci di avanzi di strade e alle rovine dei palazzi; montagne di morti accatastati gli uni sugli altri come venivano estratti dalle macerie.
─ Il documentario…
─ Hanno fatto vedere solo una piccola parte. Camminavamo in mezzo ai morti bruciati dal fosforo, schiacciati dai crolli dei palazzi, a gente che urlava e correva impazzita, l’aria piena di quell’odore tremendo… Quell’odore… sai…
Il padre  aveva chiuso gli occhi, stringendo un pugno, sollevandolo appena e poi aprendo piano le dita come a chiedere, aspettare una risposta. Ignazio era rimasto in silenzio, incantato a guardare quella mano, la mano di suo padre. 

─ Si sentivano degli spari ogni tanto ─ riprese.
─ A chi sparavano?
─ Eravamo spaventati, non capivamo, non riuscivamo a parlare. Avevamo già visto tanti morti ma qui era tutto davvero troppo.
Un capitano della Wehrmacht con la divisa a pezzi e bianca di polvere come le nostre si mise davanti a noi e ci fermò.
 ─ Italienisch! ─ urlò.
Ci fermammo aspettando ordini. Eravamo abituati a ricevere ordini. Il capitano non riusciva a parlare, ricordo  quei grandi occhi grigi spalancati in mezzo alla faccia bianca. Poi parlò. ─ Italienisch! In nome di Dio..! Aiutateci! ─ e si mise le mani in faccia piangendo.
─ E voi cosa avete fatto? Erano nemici, no?
Ignazio vide suo padre guardarlo in maniera severa, come quando da piccolo stava per sgridarlo per qualche mancanza.
─ Erano uomini colpiti, come noi. Eravamo tutti uomini. Ci unimmo alle loro squadre soccorso, come già fatto tante altre volte e tirammo fuori dalle macerie i morti; venivano accatastati come legna e i tedeschi dopo averli cosparsi di benzina li mettevano fuoco. Impossibile seppellire tutta quella gente. Impossibile.
Io e un altro collega ci trovammo in un fossato dove prima c’erano dei palazzi, ora solo rovine  in fiamme e una grande pozza di fango nero piena di cadaveri bruciati, alcuni che ancora bruciavano. Qualcuno si muoveva in mezzo a quei morti. Era un bambino completamente bruciato, vicino ai resti di una donna morta, forse sua madre. Del bambino si vedeva intera solo una parte della testa con i capelli e gli occhi bianchi che non vedevano più. Era quasi tutto sotto il fango, appena tirava fuori a fatica un braccio o una gamba si riempiva di fuoco e doveva rimetterla sotto il fango urlando di dolore, come un animale.
Un SS Sturmscharführer – un sergente maggiore SS - con la divisa nera, si avvicinò. Era stravolto, con gli occhi di fuori e i capelli sugli occhi. Ci fece cenno di spostarci. Si inginocchiò vicino al bambino, affondando le mani nel fango, parlandogli, prendendolo delicatamente, aiutandolo a risollevare la testa per respirare e immergendolo di nuovo per spegnere le fiamme, così per diverse volte, senza curarsi del fuoco che si era attaccato anche alle maniche della sua divisa e alle sue mani. Non ricordo cosa diceva al bambino,  sembrava una cantilena, una ninna nanna come per farlo dormire. Il bambino si lamentava di meno, si era agganciato al militare con una forza disperata, con le mani consumate dal fuoco. Il sottufficiale tirò fuori la pistola, si sentì uno sparo. Il bambino aveva smesso di lamentarsi affondando tutto nel fango senza riemergere, accompagnato con delicatezza dal sergente maggiore che rimase ancora in ginocchio. Poi si alzò e venne verso di noi, la divisa sporca e bruciata, la pistola in mano.
─ Adesso ci ammazza ─ disse il mio collega. Anche io ne ero convinto vedendo la sua faccia e recitai una preghiera.
Ma il tedesco ci passò in mezzo come se non esistessimo.
Aveva l’odore dei morti che aveva visto e toccato come noi in quei giorni, aveva l’odore della carne bruciata di quel bambino: aveva il nostro stesso odore. Andò più avanti, si fermò sotto le rovine in fiamme della cattedrale di Dresda, sollevò le mani al cielo è gridò:
 ─ Warum..? WARUM??
Poi si inginocchiò, si appoggiò la pistola alla testa e si sparò.

Ignazio era rimasto a bocca aperta, non riuscì nemmeno a fermare un filo di saliva che gli calò sul mento.
Chiuse gli occhi per riprendersi.
Quando li riaprì vide suo padre, alzatosi senza fare rumore, che era andato in mare immergendosi tutto, cosa che non faceva mai non sapendo nuotare. Riemerse all’improvviso in un punto isolato, sollevandosi  in alto con la faccia grondante acqua rivolta al cielo, la bocca aperta in un urlo silenzioso; sembrava provasse a respirare aria per la prima volta, guardandosi intorno senza vedere nessuno in quell’estate di mare, sbalordito di essere al mondo, nell’acqua e nella luce.
La guerra per lui non era mai finita.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Alberto Tosciri ha scritto: Erano uomini colpiti, come noi. Eravamo tutti uomini. Ci unimmo alle loro squadre soccorso, come già fatto tante altre volte e tirammo fuori dalle macerie i morti; venivano accatastati come legna e i tedeschi dopo averli cosparsi di benzina li mettevano fuoco. Impossibile seppellire tutta quella gente. Impossibile.
Ciao @Alberto Tosciri

che bel racconto, con un messaggio forte che è ben rappresentato dalla frase che ho citato qui sopra. 
In certe situazioni si perde del tutto il senso del “male” e del “bene” . La frase vale da sola la lettura della storia, una storia in cui la parola nemico sbiadisce di fronte alla assurda distruzione “fuori tempo massimo” della città di Dresda e una carneficina che poteva e doveva essere risparmiata. 
Le tue descrizioni sono sempre pennellate di grande piacevolezza di lettura anche se in questo caso sono il classico pugno allo stomaco e trovo particolarmente centrato il tema riferito alla traccia proposta.
Solo una piccola considerazione sulla temporalità di questo dialogo tra padre e figlio. È vero che se ti fai due conti si intuisce più o meno l’epoca, oggi un ragazzo diciassettenne ben difficilmente porrebbe domande simili e meno che mai si troverebbe al mare insieme ai genitori. Ti sottolineo questo aspetto perché secondo me potresti evidenziarlo di più per esempio facendo una zoomata su quel giornale che il padre arrotola. Che ne so, magari un titolo che faccia riferimento a un fatto storico avvenuto negli anni in cui hai immaginato la scena.
Grazie, come sempre, perché i tuoi racconti offrono sempre spunti di riflessioni e n9n si ha mai la sensazione di aver perso del tempo leggendoli.

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Ti ringrazio tanto per la tua lettura e il commento @@Monica
Hai ragione circa il fatto che potevo essere più chiaro circa i riferimenti temporali, sono sempre restio a datare con precisione, pensavo fosse sufficiente l'accenno alla televisione in bianco e nero che c'era fino al 1977, l'epoca è all'incirca quella.
Vero anche il fatto che oggi certo che no un ragazzo di 17 anni non andrebbe al mare con i genitori, ma allora ancora si.
Quel ragazzo ero io e quell'uomo, quel carabiniere, era mio padre.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Ciao @Alberto Tosciri ,
ho letto il tuo racconto e rimango incerta nel mio giudizio.
La descrizione della successione temporale mi ricorda quelle delle favole che si raccontano ai bimbi la sera prima di dormire; per favorire l'ora del sonno, si tagliano alcune parti senza tanta cura nell' utilizzo delle forbici.
Con i tuoi dialoghi, a parte forse nell' ultimo tuo racconto di un contest, dove ti avevo scritto che li trovavo veramente ben integrati, io ho sempre difficoltà, li trovo "raccontati", forse "disumanizzati", ma è sicuramente una percezione personalissima, perché leggo tantissimi apprezzamenti dagli altri.
Che la guerra sia atroce, non ho alcun dubbio, il massacro di Dresda assurdo, orribile.
Il protagonista che non torna in Italia perché non si trova con il governo nel paese liberato, così come una Germania a quei tempi così umana, non ti nego che non mi pone favorevolmente alla lettura.

Buon contest
<3

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Ciao @Modea72 e grazie per aver letto e commentato.
Modea72 ha scritto: Il protagonista che non torna in Italia perché non si trova con il governo nel paese liberato, così come una Germania a quei tempi così umana, non ti nego che non mi pone favorevolmente alla lettura.
L'Italia era tuttaltro che liberata completamente, tuttaltro. Non pensavo ci fosse bisogno di esplicitarlo.

Dopo l'armistizio dell'otto settembre 1943, in Italia i fascisti, con l'aiuto dei tedeschi, costituirono la Repubblica Sociale Italiana, conosciuta come Repubblica di Salò, che durò dal settembre 1943 all'aprile 1945, che controllava parte dell'Italia del nord ancora controllata dai tedeschi dopo l'armistizio di Cassibile, dove l'Esercito italiano si arrendeva incondizionatamente agli Alleati, disimpegnandosi dall'alleanza con le forze dell'Asse.

In parole povere il fascismo continuava a nord, assieme ai tedeschi,  combattuto dalle forze Partigiane, mentre a sud gli italiani si univano agli Alleati per combattere i tedeschi e i fascisti, avanzando a nord.

La proposta che venne fatta ai militari italiani nel frattempo prigionieri dei tedeschi dopo l'armistizio, che aveva generato incomprensioni e tragedie,  una proposta, bada bene, fatta da parte degli esponenti della Repubblica Sociale Italiana, dai fascisti, era che se i prigionieri aderivano alla Repubblica Sociale Italiana,  accettando di combattere  ancora con i fascisti e i tedeschi contro gli Alleati, potevano tornare in Italia, altrimenti restavano in prigionia.

Il protagonista del racconto RIFIUTA DI ADERIRE AL GOVERNO FASCISTA, assieme a tantissimi altri, perché NON SI TROVA, come dici tu, ma non si trova con i fascisti, e del resto non potevano venire gli  Alleati  a far visita ai prigionieri per proporgli di combattere con loro. Giocoforza chi non aderiva restava prigioniero, ricattato ieri come oggi dalle logiche di poteri assurdi.

Quando l'Italia fu veramente e completamente liberata dal nazifascismo,  dall'aprile 1945, i prigionieri italiani in Germania, LIBERATI DAGLI ALLEATI, cominciarono a tornare in Italia liberamente, senza nessuna proposta: la guerra era finita e basta.

Non vorrei che tu avessi capito male, ma non credo perché  la storia presumo tu la conosca meglio di me.

Il protagonista, diciamo anche io che ho scritto, non ho certo affermato che il prigioniero era felice  come una pasqua di stare nella  Germania  di quegli anni  così "umana". Sula tragedia  criminale di Dresda ancora non è stata posta la parola fine e qualunque uomo si fosse trovato in quel luogo, vedendo tanto orrore, anche se prigioniero dei tedeschi cosa avrebbe dovuto fare? Infierire su donne e bambini moribondi in nome della LIBERTA'?
Certe cose bisogna averle provate e anche se ovviamente non è stato possibile provarle avere la capacità di provare empatia verso i propri simili che non sono nostri nemici a prescindere dalla nostra comune appartenenza alla razza (...) umana, solo perché  si trovano a dover sottostare a orribili e disumane ideologie. 
Ieri come oggi.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Grazie per le spiegazioni @Alberto Tosciri, effettivamente avevo interpretato male.
Alberto Tosciri ha scritto: qualunque uomo si fosse trovato in quel luogo, vedendo tanto orrore, anche se prigioniero dei tedeschi cosa avrebbe dovuto fare? Infierire su donne e bambini moribondi in nome della LIBERTA'?
Non lo penso affatto e se hai percepito questo dalle mie parole, è un enorme malinteso.

A rileggerti
<3

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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@Alberto Tosciri 

Leggere i tuoi racconti, spesso, è immergersi in una lezione di Storia e civiltà.

Questa volta ho pianto per la piccola vittima dell'insensatezza della guerra, e ho provato pietà per l'ufficiale tedesco e  la sua scelta.
Che non abbia retto alla immane tragedia che gli accadeva intorno e dentro di lui è comprensibile, è umano.

Ti ringrazio per la lettura. Il fatto che per questo racconto hai pescato dalla tua autobiografia gli dà un valore aggiunto.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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@Alberto Tosciri ciao. Insomma, siete stati ben in tre a parlare di guerra. Secondo me, la traccia di @aladicorvo, e per come lei la descrive, poteva essere sfruttata diversamente. Credo che il bene e il male non sia solo nelle guerre. A parte questo, ho notato che parli di Dresda e ne sono felice.
Quello che gli alleati le scagliarono dal cielo, è ancora oggetto di discussione... nel mio libro "tratti di pioggia, le ho dedicato la poesia che ti lascio sotto:

   
Dresda


I tuoi roghi sono spenti, ma non quelli del cuore.
Tra i monconi anneriti delle tue travi, lì,
tra cumuli di macerie le donne cercano ancora
I residui dei legni scalderanno anche questo inverno


E le mani consumate dal scavare, reggeranno allo sforzo
di ricostruire le tue mura. Ma ti basteranno i mattoni scelti
strappati alla rovina? Troverai la calce a sufficienza
per vellutare i tuoi interni? E le stoffe dei tuoi colori preferiti?


E io in te mi nascondo. Da questa finestra guardo il mondo.
Che va e che viene come se nulla fosse accaduto.
Le strade polverose percorse dalle camionette dei vittoriosi
e dalle lente carriole degli sconfitti, piene di quel che è rimasto:
del nulla.


Non gridare, Dresda. Rifugiati ancora nei bunker. Spegni le tue luci.
In silenzio stia la gente a pregare. Che i fantasmi potranno ritornare e finire il loro compito
facendo per me, righe taglienti con cui vestirmi vestiti, e sbarre infinite rinchiudermi.


E poi tanto fuoco per te, pari a quello che venne dal cielo e da Dio
E non voglio più sapere come mi chiamo. Che mai più nessuno lo sappia.
Non esistere per i vivi, ma solo per i morti. In compagnia di questo sconforto.
In compagnia di te, Dresda.

Ciao @Alberto Tosciri  :D
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Ciao @bestseller2020 e grazie per il commento.

Penso che con qualunque traccia, a meno che non sia specifica, le ambientazioni possano essere diverse ovviamente.
Io spesso ci metto guerra perché non è mai finita nel mondo;  della guerra non mi interessano le battaglie ma i comportamenti degli uomini, di tutti gli uomini e di tutte le parti. Non ho mai voluto vederci uomini dalla parte del bene in toto e uomini dalla parte del male in toto, queste elementari classificazioni vanno bene per popoli in maggioranza idioti... o fortemente ideologizzati, che poi è la stessa cosa.

Struggente la tua poesia su Dresda.
Io piango per Dresda, come per Amburgo, Londra,  Roma, Milano, Cagliari, Taranto e innumerevoli altre città europee bombardate nella 2^ GM.
Per Dresda fu vergognoso, ormai se ne parla chiaramente da anni, come fu vergognoso il bombardamento inutile di Montecassino.
Non è il caso di approfondire qui ma in entrambi questi due casi chi ordinò questi bombardamenti erano personaggi che odiavano la cultura, la civiltà, l'esistenza stessa dei loro nemici, completamente insensibili alle obiezioni  e agli inviti di  dimostrare umana pietà che pure ci furono da parte alleata circa l'opportunità di quei bombardamenti.
Dresda fu una vigliaccata perché era una città priva di strutture militari, solo caserme, ed era sguarnita di contraerea perché non poteva essere un obiettivo militare. Infatti era piena di sfollati.  Non poterono nemmeno difendersi. Ancora oggi non si sa quanti morirono. Dicono 30.000 persone ufficialmente,  ma altre fonti dicono 300.000. Non si saprà mai.

Bombardare la popolazione civile, da ambo le parti, è stato un comportamento spregevole. Sarebbe sorprendente scoprire chi ha iniziato a combattere in questo modo... ma penso che non si sappia e non interessi.
Non può esistere una  giustizia e tantomeno un perdono, per nessuno. Oppure, se ci dovesse essere mai una giustizia, che  equivalga a un'eguale ripartizione del dolore nei confronti dei responsabili e dei loro sodali. Qualcuno dirà che così non se ne esce mai. E non se ne esce infatti. 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Alberto Tosciri ha scritto: mer mar 13, 2024 7:20 pmIl padre aveva chiuso gli occhi, stringendo un pugno, sollevandolo appena e poi aprendo piano le dita come a chiedere, aspettare una risposta. Ignazio era rimasto in silenzio, incantato a guardare quella mano, la mano di suo padre. 
Mi ha colpito moltissimo questa immagine. È la stesso pugno che spesso alzava Ratzinger, per poi lentamente aprirlo, a volte nel silenzio. Anche lui, come qui sopra il padre, aspettava una risposta. Quando mi capitava di vedere quel tipico gesto, anch'io guardavo quel pugno. 
Ciao e grazie, @Alberto Tosciri.
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Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Grazie @Ippolita
Una bella immagine e un bel confronto hai messo  :)
(ho messo apposta il verbo alla fine come i tedeschi e i sardi...  :D )

Ah Ratzinger!  Provavo dispiacere quando veniva attaccato per il fatto di essere tedesco...
Avevano fatto circolare sue foto a diciassette anni vestito da soldato tedesco, con quel tipico elmetto e la faccia da "nordico" dicendo che era stato nazista... inutile spiegare che  tutti quelli della sua età avevano dovuto vestire l'uniforme e quella non era una divisa nazista ma da semplice inserviente antiaerea. Inutile spiegare a chi non voleva sentire.
Poi avevano messo una sua foto in abito talare mentre davanti all'altare aveva alzato il braccio dicendo che faceva il saluto nazista, tagliando però l'altro braccio nella foto, anche quello alzato, mentre impartiva la benedizione ai fedeli con due mani alzate... e altre inesattezze del genere volte a screditarlo.
Come il discorso di Ratisbona su fede e ragione, mistificato e incompreso ai massimi termini... Quanta cattiveria in certi ambienti divulgativi in odio alla religione.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 180] Uomini colpiti

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Ciao, ho letto il tuo racconto e mi è piaciuto. 

Ci sono i passaggi temporali da rivedere:
Alberto Tosciri ha scritto: Passò del tempo, ma anche un paio d’anni sono tanti per un bambino.

A una prima lettura il passaggio confonde perché ci si è appena immersi nella storia e non ci si aspetta uno spostamento nel tempo, la frase successiva può aumentare la confusione perché può essere scambiata per una metafora e bisogna continuare la lettura per confermare o no se il passaggio temporale è effettivamente di due anni.
Alberto Tosciri ha scritto: Passò altro tempo.

Non sapendo l'età di Ignazio e avendo come unica similitudine nel testo il passaggio temporale citato sopra, ad una prima lettura ci si aspetta un passaggio temporale di pochi anni; il fatto che nella frase successiva Ignazio stia per diplomarsi destabilizza per qualche istante e fa uscire dalla lettura per chiedersi quanto tempo sia passato effettivamente.
Alberto Tosciri ha scritto: Ignazio era rimasto a bocca aperta, non riuscì nemmeno a fermare un filo di saliva che gli calò sul mento.
Chiuse gli occhi per riprendersi.
Quando li riaprì vide suo padre, alzatosi senza fare rumore, che era andato in mare immergendosi tutto, cosa che non faceva mai non sapendo nuotare.

Anche questo passaggio di semi temporalità va rivisto perché l'azione di chiudere gli occhi per riprendersi fa immaginare un tempo di azione di pochi secondi, risulta strano che suo padre sia riuscito ad alzarsi e sia riuscito ad immergersi completamente in acqua.
Quindi l'immagine che si ricostruisce alla fine del testo è di un ragazzino paralizzato per cinque minuti, con la bocca aperta e gli occhi chiusi stile statua. 
Oltre questi accenni è interessante il racconto del padre di Ignazio e le immagini del loro  dialogo sono vivide al punto da riuscire a seguire tutti i passaggi.
Grazie per il racconto.
Un saluto!
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