Quanto incidono le logiche di mercato?

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Gentili utenti, volevo scrivere questo post da qualche settimana dopo essermi imbattuta in un'esperienza abbastanza particolare.
Scommetto che molti, prima di inviare un manoscritto a una CE, si informano sul tipo di CE, su come opera, su cosa pubblica. Ebbene, io alle mie prime esperienze davo tante informazioni per scontate e mi soffermavo solo sul tipo di genere pubblicato. Ho anch'io ricevuto i miei rifiuti, molti dei quali non sono stati giustificati (messaggio standard). Naturalmente non mi sono fatta prendere dallo sconforto e ho cercato di andare avanti. Tempo fa, però, mi sono imbattuta in uno scrittore/scrittrice che ha pubblicato con una delle CE che avevo contattato (non me ne vogliate, ma terrò per me il nome perché non voglio polemizzare e i colpire i singoli): pubblicizzava una romanzo self e, incuriosita, lo leggo in parte. La cosa che mi ha lasciato attonita è la sfilza di errori grammaticali e lo stile didascalico. Leggo le recensioni e molti lettori riportano quello che ho notato, spronandomi a considerare le mie considerazioni come oggettive (ci sono tantissimi errori, i congiuntivi sono sbagliati, la forma è errata ecc.) In quel momento, lo ammetto, mi sono sentita un po' a terra, perché l'idea dello scarto ricevuto da parte della CE mi ha portata ad abbassare la considerazioni che avevo sulle mie potenzialità nel campo della scrittura. A mente fredda, ho tenuto in considerazione anche altri fattori (come una trama facilmente vendibile).

La mia esperienza riassume in parte le logiche del mercato: non conta saper scrivere, tante volte non conta nemmeno essere originali, l'importante è presentare del materiale che soddisfa i criteri del pubblico, criteri che spesso sono monolitici e ricadono su gusti estremamente specifici (tanti lettori tendono a rileggere un libro molto somigliante a quello già chiuso, è rassicurante per loro e aiuta a sperimentare la medesima piacevolezza).

Il punto è questo: esiste un limite a certe logiche di mercato? Secondo voi qual è? Quanto conta la grammatica e quanto conta la storia?

La grammatica è la base di chi vuole fare lo scrittore, servono delle accortezze, serve sapere il minimo indispensabile (quello che tutti noi abbiamo sperimentato alle medie). Ebbene, a quanto pare la grammatica può diventare marginale se esiste un'idea molto efficace. E se anche l'idea fosse (in parte) fallace? Magari stereotipa all'inverosimile? Certe volte non so proprio cosa pensare, mi capita spesso di trovarmi con dei romanzi che – super grammaticalmente aggiustati – riportano trame con insegnamenti tossici (ribadisco, insegnamenti); altri ancora trattano temi delicatissimi con ignoranza rischiando di diffondere idee malsane e spesso anche umiliando soggetti più fragili. Ho letto libri pieni di incoerenza, altri (magari scritti da personaggi famosi) trattati al limite di un gadget (poche correzioni, ché basta il nome a vendere). Questi problemi ricadono su grandi e piccole CE e testimoniano i lati più negativi del mondo dell'editoria, lati spalancati dall'inesauribile bisogno di guadagno, bisogno che spesso e volentieri sotterra anche l'etica. Non sembra esserci un limite secondo me, sia per via dell'ignoranza sia per qualche entrata monetaria, necessaria alla sopravvivenza dell'editore.

Quindi chiedo proprio a voi scrittori (meno legati agli interessi economici e quindi più lucidi): secondo voi dovrebbe esistere un limite? Se sì, quale? Dove dovrebbe insinuarsi il compromesso? Si accettano opinioni sincere...
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Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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@TheLondoner Io, fossi in te, non metterei i rifiuti ricevuti, motivati o meno, in relazione con la pubblicazione che hai menzionato. Come abbiamo già avuto modo di constatare in altre discussioni, oggi le CE sono una marea e, tolti i grandi nomi, puntano a sopravvivere con le vendite che ogni autore riesce a piazzare, per cui è probabile che l'opera sgrammaticata cui ti riferisci provenga da un autore che sul suo profilo social vanta migliaia di follower, aspetto molto gradito dai piccoli editori. Che poi non meritano neanche di chiamarsi editori: non selezionano, non editano, non correggono le bozze e, spesso, non pagano nessuno, né royalties, né tasse. Certo, non sono tutti così, ma sono in tanti, troppi, come troppi sono gli aspiranti scrittori neanche in grado di esprimersi correttamente in italiano.
Mario Izzi
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(in)giustizia & dintorni (trilogia)
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[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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TheLondoner ha scritto: In quel momento, lo ammetto, mi sono sentita un po' a terra, perché l'idea dello scarto ricevuto da parte della CE mi ha portata ad abbassare la considerazioni che avevo sulle mie potenzialità nel campo della scrittura. A mente fredda, ho tenuto in considerazione anche altri fattori (come una trama facilmente vendibile).
A me è capitato con un paio delle CE con cui ho pubblicato: leggere libri di altri loro autori e rendermi conto che non erano granché, né come trama né come stile (e capisco che dia fastidio, perché ti spinge a interrogarti sui tuoi libri).
TheLondoner ha scritto: Non sembra esserci un limite secondo me, sia per via dell'ignoranza sia per qualche entrata monetaria, necessaria alla sopravvivenza dell'editore.
Ci sono più motivi che possono portare alla pubblicazione di un romanzo: è oggettivamente buono (ed è una minoranza), è su un argomento di attualità (i libri sull'Ucraina e la Russia vanno benissimo in questo momento, scommetto), è così così ma è un genere in cui i lettori non hanno gusti sofisticati, è mediocre in tutto ma l'autore/autrice ha un buon seguito sui social.
Dà fastidio essere rifiutati in favore di un libro pieno di errori di grammatica, ma dà altrettanto fastidio essere pubblicati in compagnia di tali libri. Per questo la ricerca su una CE non dovrebbe limitarsi al vedere il suo sito o il genere, ma proprio cosa pubblica in concreto.
Purtroppo, da autori sconosciuti (tra i quali mi annovero), si pensa che già trovarne una decente sia una manna dal cielo, e si sorvola sui difetti.
TheLondoner ha scritto: l punto è questo: esiste un limite a certe logiche di mercato? Secondo voi qual è? Quanto conta la grammatica e quanto conta la storia?
Nessuno dei due conta. La vendibilità di un libro non dipende né da come è scritto né dalla trama (sebbene una trama con gli agganci giusti sia più vendibile). La logica di mercato va al di là , e considera un prodotto vendibile in base alla facilità nel comunicarlo. Più ha un tema semplice e forte (che non è tanto la trama in sé, ma quello che vuole esprimere), facile da riassumere e trasmettere anche tramite i canali social, più sarà benvisto. Se scrivi un libro splendido, ma su un argomento che interessa a pochi, difficilmente troverà un editore serio. Se scrivi un genere molto popolare o un argomento che in quel momento interessa, troverà qualcuno, comunque sia scritto.
Io compromessi decenti non ne ho trovati, infatti per ora ho rinunciato a scrivere e pubblicare altro.
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
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Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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@Silverwillow Già, in effetti ogni criterio può essere valido o inutile in base alle esigenze del momento. Ci focalizziamo così tanto su ciò che scriviamo (sulla grammatica, sulla qualità e i contenuti) da dimenticare le complicate regole del mondo editoriale. Serve la giusta occasione (più del talento e dell'impegno). Un buon prodotto (di nicchia) può equivalere zero in determinare giornate e giungere alla pubblicazione in altre. Bene per chi riesce a sfruttare le mode per giungere alle CE, anche a costo di sacrificare la vena creativa e quel pizzico di intraprendenza.
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Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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@Silverwillow Considero un errore rinunciare a scrivere perché il mercato editoriale è la fetenzia che conosciamo. Specialmente se a rinunciare è una persona capace di scrivere bene e di emozionare il lettore, a prescindere dall'argomento trattato.
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Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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TheLondoner ha scritto: Il punto è questo: esiste un limite a certe logiche di mercato? Secondo voi qual è? Quanto conta la grammatica e quanto conta la storia?
Io ho smesso di interrogarmi sulle logiche di mercato, non riesco a comprenderle, sarà un mio limite ma è così. Credo però fermamente che per arrivare alla pubblicazione contino molto di più gli agganci che le capacità. Frequentare le persone giuste, entrare in certi ambienti è essenziale per farsi strada come scrittore. Quanto alla grammatica ormai non mi stupisco più. I libri sgrammaticati e scritti con i piedi sono segnalati anche nei Premi letterari. Come sono arrivati fin lì? Probabilmente grazie a qualche amico che, forse, non li ha neanche letti, altrimenti dovrei pensare che ignori le norme fondamentali della scrittura. E questo avviene in tutti gli ambiti: nei concorsi, nelle riviste, nei blog, nelle agenzie, ovunque. Le combriccole proliferano dappertutto. Questo modo di fare clientelare e non meritocratico, secondo me, ha abbassato notevolmente il livello della narrativa italiana che negli ultimi tempi sta toccando il fondo. Anche leggere recensioni sincere è difficile, oggi. Amazon pullula di recensioni fittizie scritte dagli amici, e dagli amici degli amici, che esaltano come capolavori delle vere e proprie schifezze. Sono d’accordo però con @Cheguevara: la soluzione non è smettere di scrivere, mi dispiace che @Silverwillow, di cui ho molta stima, sia giunta a una conclusione così triste. Spero sia solo dettata da un momento di scoraggiamento (io ne ho almeno uno ogni ora 😁), però non bisogna mollare, soprattutto quando scrivere è una passione che ti arreca gioia. Forse bisognerebbe puntare sul piacere di scrivere piuttosto che lasciarsi prendere dall’ansia della pubblicazione o da quella di emergere.

Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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Cheguevara ha scritto: @Silverwillow Considero un errore rinunciare a scrivere perché il mercato editoriale è la fetenzia che conosciamo. Specialmente se a rinunciare è una persona capace di scrivere bene e di emozionare il lettore, a prescindere dall'argomento trattato.
Hai ragione, infatti non consiglio a nessuno di lasciar perdere e smettere di scrivere. Credo che si debba sempre insistere, cercare di migliorarsi come scrittori, di capire bene come funziona il mondo dell'editoria, informarsi su tutte le nuove opportunità e continuare a provare. Se si è bravi e si provano tutte le strade (CE, agenzie, concorsi), e magari si ha un pizzico di fortuna al momento giusto, una possibilità c'è sempre.
Io mi sono scoraggiata perché probabilmente avevo aspettative troppo alte (e scontrandomi con la realtà ho preso una bella botta :lol: ), ma spero di ritrovare la motivazione per scrivere quanto prima.
È questione di obiettivi, di capacità e di carattere. C'è chi non ha alcun problema nel promuovere le proprie opere se non lo fa la CE, chi ha tempo e voglia di stare ore sui social per crearsi un seguito, chi ritiene che pubblicare con una CE buona meriti qualunque compromesso. Insomma, non siamo tutti uguali, quindi quello dell'editoria è un mondo in cui alcuni si trovano a loro agio e altri meno, per questo non c'è una ricetta valida per tutti. A parte quella di informarsi bene prima per evitare fregature e delusioni.
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
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Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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@Mafra Vero, puntare al sistema meritocratico è sbagliato, conoscendo tutto il marcio tra gli ingranaggi. Probabilmente sarebbe da esaltare la pubblicazione indipendente fatta con dignità (ossia con tutti gli strumenti del mestiere), invece che ricadere nello stereotipi di pubblicazione con CE è uguale a pubblicazione meritevole (abbiamo avuto modo di appurare che spesso non è così affatto). Inoltre, è bene valorizzare tutti quei recensori che non si lasciano corrompere per popolarità e sempre espongono un'opinione schietta. Per quanto riguarda il piacere di scrivere, la pubblicazione spesso può demotivare ed espone allo scrittore solo una sfila di piaceri estrinsechi che con il processo di scrittura hanno a che fare limitatamente (approvazione altrui, premi, denaro ecc.) Forse è responsabilità di tutti noi trovare i motivi intrinsechi che reggono le nostre potenzialità creative (piacere nella creazione, stimolazione psicologica ecc.) così da sopravvivere a tutto ciò che non va nel mondo editoriale.
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Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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TheLondoner ha scritto: Forse è responsabilità di tutti noi trovare i motivi intrinsechi che reggono le nostre potenzialità creative (piacere nella creazione, stimolazione psicologica ecc.) così da sopravvivere a tutto ciò che non va nel mondo editoriale.
Sono pienamente d’accordo con te. La scrittura mi ha aiutato a uscire da uno dei periodi più bui di tutta la mia vita. Non c’è rifiuto né delusione né consapevolezza dei meccanismi distorti del mercato editoriale che potrà smorzare la mia voglia di scrivere. 

Re: Quanto incidono le logiche di mercato?

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Cara @Silverwillow, mi dispiace tanto per questo tuo momento di delusione. Purtroppo questa sensazione (per quanto soggettiva da persona in persona) tocca spesso lo scrittore che desidera un po' di riconoscimento esterno. Non sono nessuno per quantificare l'impatto emotivo di sgradevoli esperienze, ma voglio spronarti a una visione più positiva anche tenendo conto dei traguardi che hai raggiunto. Sicuramente essi non ti verrano tolti e continueranno a testimoniare la tua bravura e la tua tenacia. La marea cambia in continuazione e un fallimento non decreta una sconfitta eterna. Magari ridimensionare i nostri obiettivi può essere il metodo più efficace per preservare le nostra salute mentale in alcune occasioni (temporaneamente). Sognare in grande è bello ma non deve renderci insicuri. Le giuste occasioni bene o male vengono sempre e fantasticare, quando le coglieremo, sarà meno doloroso.
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