Re: Vecchie case coloniche - audiopoesia di Bob66
Inviato: dom ago 14, 2022 11:17 pm
Ritengo opportuno riportare il testo in quanto, chi ne abbia l'intenzione possa leggerlo più agevolmente. Io, per esempio, trattandosi di poesia nell'immediato ho qualche problema a recepire il non scritto.
VECCHIE CASE COLONICHE
Sale il respiro dalle fondamenta
perché così sono venute alla luce,
dalla terra umida e scura. Sale
dai bestiari inviolati dei vespai
fino ai soffitti di travi nodose,
pianure capovolte di ragni, esili
elegie appese all’oblio degli uomini
che pensavano vuoto il mondo
in loro assenza, e invece la vita brulica
guarda, dentro e fuori del legno
negli interstizi dei mattoni
nella polvere dei pavimenti
nelle fuligginose anime verticali
delle assopite canne fumarie
Io solo qui, a spendere fantasie
innanzi l’atto compiuto dei rampicanti
Arbitrariamente assegnare
un corpo e una mente alle figure, ora
riflesse ai margini dell’occhio interiore
fantasmi di insensatezza inimmaginabile
alle odierne vite finalizzate, nell’assurdo
confronto tra asettiche idealizzazioni
e presunta impudicizia del vivere
a stretto contatto con gli animali
come animali, senza vergogna
L’impossibile residuo olfattivo
di paglia e merda, delle maestose stalle
soffittate a volte, templi del tempo
dell’algida sopravvivenza, grido
spaventando le rondini nel sottotetto
Come sopportavate il vuoto dei campi,
del buio quando scendeva?
Come resistevate?
Domande retoriche, in quanto funge
la mia generazione, da anello di congiunzione
tra le analfabete divinità di questa terra
e i supponenti giganti dell’acciaio e del cemento
Comprendo l’istinto essenziale di allora
come le cerebrali dissertazioni dell’oggi
senza memoria di stenti e umiltà
La ferita nel muro, incrostata di nerofumo
segnala l’ubicazione della cucina
dove un tempo si officiava il rito del fuoco
nella pancia di ghisa del focolare,
esorcizzando il gelo brutale degli inverni,
e dove si presume sedesse una vecchia pelosa
e bambini col moccio rotolassero sul pavimento
mentre l’uomo ingravidava la moglie, di sopra
con un grugnito. Ah, presuntuoso
uomo moderno che guardi il passato
dall’alto in basso, come sempre
Silenzio, ora, e ascolta
il mormorio frusciante con cui la vegetazione
si insinua nelle più intime fessurazioni
della carcassa, ne scardina le articolazioni
le induce ferite orribili, e tuttavia indolori
in quanto la natura opera la distruzione
con una lentezza infinita, simile alla pietà
di una madre che chiama i figli
alla tomba
Irriguardoso, il sole di giugno entra
dalle brecce nel tetto, a lame sottili
incensa di luce propria i minuscoli insetti
Dall’interno dell’orbita vuota di una finestra
vedo la mia auto ferma sulla provinciale,
all’inizio della strada sterrata. Scatto
le ultime fotografie, e mi avvio con cautela
a discendere i gradini della scala malconcia
Penso, a quanto presto lo sarò anch’io
27 aprile 2021 – 13 agosto 2022
VECCHIE CASE COLONICHE
Sale il respiro dalle fondamenta
perché così sono venute alla luce,
dalla terra umida e scura. Sale
dai bestiari inviolati dei vespai
fino ai soffitti di travi nodose,
pianure capovolte di ragni, esili
elegie appese all’oblio degli uomini
che pensavano vuoto il mondo
in loro assenza, e invece la vita brulica
guarda, dentro e fuori del legno
negli interstizi dei mattoni
nella polvere dei pavimenti
nelle fuligginose anime verticali
delle assopite canne fumarie
Io solo qui, a spendere fantasie
innanzi l’atto compiuto dei rampicanti
Arbitrariamente assegnare
un corpo e una mente alle figure, ora
riflesse ai margini dell’occhio interiore
fantasmi di insensatezza inimmaginabile
alle odierne vite finalizzate, nell’assurdo
confronto tra asettiche idealizzazioni
e presunta impudicizia del vivere
a stretto contatto con gli animali
come animali, senza vergogna
L’impossibile residuo olfattivo
di paglia e merda, delle maestose stalle
soffittate a volte, templi del tempo
dell’algida sopravvivenza, grido
spaventando le rondini nel sottotetto
Come sopportavate il vuoto dei campi,
del buio quando scendeva?
Come resistevate?
Domande retoriche, in quanto funge
la mia generazione, da anello di congiunzione
tra le analfabete divinità di questa terra
e i supponenti giganti dell’acciaio e del cemento
Comprendo l’istinto essenziale di allora
come le cerebrali dissertazioni dell’oggi
senza memoria di stenti e umiltà
La ferita nel muro, incrostata di nerofumo
segnala l’ubicazione della cucina
dove un tempo si officiava il rito del fuoco
nella pancia di ghisa del focolare,
esorcizzando il gelo brutale degli inverni,
e dove si presume sedesse una vecchia pelosa
e bambini col moccio rotolassero sul pavimento
mentre l’uomo ingravidava la moglie, di sopra
con un grugnito. Ah, presuntuoso
uomo moderno che guardi il passato
dall’alto in basso, come sempre
Silenzio, ora, e ascolta
il mormorio frusciante con cui la vegetazione
si insinua nelle più intime fessurazioni
della carcassa, ne scardina le articolazioni
le induce ferite orribili, e tuttavia indolori
in quanto la natura opera la distruzione
con una lentezza infinita, simile alla pietà
di una madre che chiama i figli
alla tomba
Irriguardoso, il sole di giugno entra
dalle brecce nel tetto, a lame sottili
incensa di luce propria i minuscoli insetti
Dall’interno dell’orbita vuota di una finestra
vedo la mia auto ferma sulla provinciale,
all’inizio della strada sterrata. Scatto
le ultime fotografie, e mi avvio con cautela
a discendere i gradini della scala malconcia
Penso, a quanto presto lo sarò anch’io
27 aprile 2021 – 13 agosto 2022