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Lo sognavo

Posted: Sat Jun 07, 2025 4:23 pm
by Nightafter
[Lab16] Torneremo ancora - Costruttori di Mondi


Lo sognavo


Talvolta lo sognavo nei mesi dopo.
Nel sogno era sempre una sorpresa che mi rendeva felice pur avendo un il sapore dell'incredulo.
Lo incontravo in posti diversi e insoliti, ogni volta il nostro incontro seguiva la stessa sceneggiatura: lui magari stava in mezzo ad altra gente, davanti al Liceo o in un bar affollato, oppure ci si trovava alla fermata di un bus.
Ovunque fosse c'era gente e ressa, io capivo che era li ancora prima di vederlo.
Udivo la sua voce tra le altre ed era inconfondibile, allora lo cercavo ansioso con lo sguardo tra le persone e finalmente lo rivedevo.
Lui non si accorgeva mai di me per primo, restavo li a guardalo per un po', rimanevo immobile a osservarlo muoversi e parlare con i suoi gesti misurati e sicuri.
Era un accumulare un po' della sua nuova vita che vedevo vivere, come fossero fotogrammi di un film da tenere a mente, da conservare per quando il film sarebbe finito.
Io mi sentivi presente e reale, anche lui lo era, ma mancava la serenità di quel ritrovarci, era il presentimento che non sarebbe durato, il timore della delusione che sarebbe seguita.
Allora lo fermavo, prendendolo per un braccio o toccandogli una spalla, e lui si voltava verso me.
Era reale col suo fisico prestante con lo sguardo e le espressioni che conoscevo e amavo, lo toccavo e l'abbracciavo ancora incredulo.
Ero sempre stupito di ritrovarlo, di vederlo vivere sapendo che non fosse possibile, ma la voglia di crederci era più forte.
La sorpresa prendeva il colore di una consolazione, mi sentivo scaldare qualcosa nel petto, la sensazione di un sollievo forte, di una gioia difficile da esprimere, la coscienza di un fatto impossibile da spiegare, eppure era li, così solido e vero.
Non mi domandavo come fosse potuto accadere, se fosse possibile o no, non volevo pensarci,
l'unica cosa importante era che ci fosse che potessi parlargli, come avevamo sempre fatto.
Mi veniva una sola spiegazione: tutto quanto avevo vissuto da quell'ultima sera in cui ci eravamo salutati era stato solo un sogno.
Un sogno stupido, doloroso e credibile come sanno essere a volte i sogni.

Quella sera avevo la febbre alta ed ero intontito di calmanti, continuava a girarmi la testa, mentre ci dicevamo le ultime cose prima di congedarci.
Quando avevi la febbre che saliva nonostante l'antibiotico tendevi a delirare, chissà forse mi ero assopito e avevo fatto questo sogno del cazzo, un sogno che nel sogno era durato mesi, dove tutto finiva in merda.
Mentre andava via, quella sera, mi aveva detto: - Che faccia da idiota che hai, non ti si può guardare.
- È la febbre - avevo detto con un bisbiglio, mi mancavano fiato e forza per ribattere.
- Naà! Non c'entra la febbre, è proprio la tua faccia. - rideva.
- Fanculo…stronzo". - avevo risposto, ma forse l'avevo solo pensato tra i fumi della febbre.
- Vado a cercare del fumo, ho voglia di una canna sta sera. Tu cerca di sopravvivere. Magari più tardi tono e ce la facciamo. - mi aveva sorriso ed era uscito, fuori era buio e c'era neve, io pensavo al gelo la fuori e a lui, tremavo di febbre per tutti e due.
Era così pensavo convinto: avevo sognato tutto.
Si, era stato solo un sogno di merda, con la febbre se ne fanno, un incubo del cazzo.
Ora era finito, tutto diveniva chiaro e le cose tornavano a posto, mi davo dello scemo per aver creduto a un sogno, ma nei sogni è così.
Gli domandavo: - Giulio, ma tu ci sei? Allora sei tornato. Non sei...
Lui mi guardava con l'espressione allibita con cui si guarda un ubriaco o un demente che stia straparlando.
- Cazzo dici? Ti sei fumato il cervello? Certo che sono qui. Dove cazzo dovrei essere andato per poi tornare? Tu invece sei sicuro di esserci con la testa?
E rideva di gusto, quanto mi piaceva sentirlo ridere nuovamente così.
Non me ne importava più nulla di sapere dove fosse stato, cosa fosse successo, se avessi sognato o no, sapevo solo che era tornato.
Ora tutto sarebbe ripreso come prima: le nostre cazzate, la nostra musica, la figa, lo strinarci di fumo, tutto da riprendere, da vivere ancora.
Poi se eravamo al bar facevamo colazione insieme, si parlava delle cose del giorno prima, come se di tempo nel mezzo non ce ne fosse stato, oppure montavamo sul bus e chiacchieravamo per tutto il tragitto, le cose solite, normali, rassicuranti.
Poi ci si lasciava come sempre, dandoci appuntamento all'indomani, salutandoci con un cinque battuto dalle mani o un abbraccio fraterno.
Mi sentivo raggiante, come chi sia scampato a una grave malattia, a una lunga degenza.

Poi mi risvegliavo, era mattino ed era stato il solito sogno, così ricominciava quel tempo grigio e vuoto.
Quello che si diceva fosse la vita che continuava.

La spiaggia era di sabbia finissima, quasi polvere di borotalco, camminarci a piedi nudi dava una sensazione di cedevolezza morbida, quasi scivolosa, era un piacere dei sensi.
Ai margini si levavano palme altissime e rigogliose, il mare era una tavola con brevi fremiti di onde che sfioravano la superficie in un lento fluire.
La luce di un tramonto soave incendiava le cose virandole all'oro rosso e antico.
Vi era una sequenza pali infissi al terreno, alti come un uomo e con un cono di griglia metallica alla sommità, un picco braciere nel quale ardeva del legno di sandalo che spargeva il suo profumo nell'aria tiepida della sera, carezzata da un lieve vento di mare.
La loro fiamma ballava tremula alla brezza e a breve, quando il sole sarebbe annegato nel mare lasciando il posto alla notte, sarebbero state delle luminarie che avrebbero creato ampi coni di luce calda e soffusa, lungo quel tratto di spiaggia.
Non sapevo dove mi trovavo, ma il paesaggio mi era noto, l'avevo visto in film e documentari, ero certo di essere in Brasile e che quella fosse la spiaggia di Bahia.
Gabbiani si affollavano sulla battigia, colmavano l'aria di grida festose che riempivano le orecchie, poi si alzavano a stormo in volo, per compire ampie evoluzioni e tornare a posarsi poco più lontano, cercando cibo per il pasto serale.

Ero in attesa, non sapevo di cosa, ma avevo nell'animo un presentimento dolce, la convinzione epifanica che fossi lì per assistere a un evento straordinario che mi avrebbe reso felice.
Sull'arenile vi erano alcuni gruppi di giovani, ragazzi e ragazze del posto con la pelle brunita dal sole.
Sedevano intorno a dei falò, cucinavano alla brace della carne e del pesce l'aroma speziato con cui avevano intinto le vivande che arrostivano sul fuoco, creava un clima di saga e facevano pensare a una festa paesana rallegrata di cibo e vino.

C'era della musica di samba che proveniva da un gruppo, qualcuno suonava una chitarra, altri accompagnavano il pezzo col ritmo dei bonghi e ne cantavano le parole, avevo riconosciuto un brano di Toquinho e Vinícius de Moraes.
Mi avvicinai attratto da quella melodia sudante e che mi era nota.
E fu lì che lo vidi.
Stava seduto in posizione di loto, col corpo rivolto al fuoco e la sua chitarra Ovation fra le braccia, era lui a suonare.

Sedetti in mezzo al gruppo di ragazzi restando alle sue spalle.
Riempiva lo spazio come una divinità Condobè, che irradiava all'intorno la sua forza benefica di tranquilla energia, come aveva sempre fatto quando era in vita.
Portava un'ampia camicia di madras bianco senza colletto e jeans di cotone sbiancato dalle ripetute lavature, era scalzo e con intorno al collo una minuta catenina di turchesi, la sua pelle era dorata di sole come quella dei ragazzi intorno.
Restai in silenzio ascoltando la musica senza richiamarne l'attenzione, quando terminò uno dei giovani che gli sedeva in fronte, indicandomi alle sue spalle col un cenno della mano, disse – Giulio c'è una visita per te.
Allora ruotò sui glutei e mi fissò con un caldo sorriso d'affetto.
- Lo so. - disse – Lo aspettavo.
Ero pieno di gioia ed emozionato, ormai ci eravamo incontrati così decine di volte, non c'era più sorpresa, ma solo il sentimento di felicità per quel nuovo incontrarci.
Era tutto così reale, così fisico e naturale, come il calore e il vigore che provavo nella nostra consueta stretta di mano, nulla faceva dubitare che quella fosse la realtà e che il sogno iniziasse con il mio risveglio.
Qualcuno aveva preparato una canna e ce la passò perché facessimo un tiro, lo facemmo e poi passammo lo spino perché riprendesse il giro.
Dopo esserci abbracciati con vigore per confermarci reciprocamente d'essere reali, Giulio sedette al mio fianco.

- È qui che stai ora? Figlio di buona donna, te lo sei scelto bene il posto. Sembra un paradiso. - dissi gioviale.
- L'hai detto fratello. È proprio questo. Mica quella cagata di cui ci hanno sempre parlato, con angeli mezzo finocchi che stanno tutto il tempo a pregare Dio.
- Beh! Io sono ateo, lo sai, a quel paradiso non ci ho mai creduto.
- Neppure io, ma questo è proprio un posto figo. Guardati intorno, c'è il meglio del creato: spiagge di zucchero, mare fantastico e dietro le palme alberi e vegetazione a perdita d'occhio. Poi è pieno di bella gente, tutti giovani e fricchettoni. Figa stupenda che te la dà senza problemi. Poi qui si fuma Ganja di prima qualità, puoi stare sempre fatto senza che nessuno ti rompa il cazzo.
Se non è il paradiso questo, non so proprio come altro chiamarlo.
Ridemmo entrambi sia per la battuta che per l'effetto della cannabis entrata i circolo.
- Quindi mi aspettavi qui?
- Sì è da tutto il pomeriggio che ti aspetto, mi ero quasi rotto il cazzo.
- Coglione che sei. Mica decido io quando dobbiamo vederci.
- Eh. Manco io, ma non è che posso sempre stare ai tuoi comodi, c'ho pure le mie cose da fare.
- Essì. Lo vedo quanto sei indaffarato. - ridemmo nuovamente.
- Scherzi a parte, ti vedo bene, mi sembri in gran forma – dissi.
- Lo credo, mai stato meglio di così. A proposito hai fame?
Chiese, indicandomi gli spiedini arrostiti disposti su un vassoio oblungo di ceramica.
- Quasi, quasi, gradisco. Sai la fame chimica di quando fumi. - dissi.
- Facciamo che ci togliamo
la fame, dai. - Ne prese due per sé e per me, porgendomeli con un tovagliolo di carta preso da una confezione lì accanto.
Li divorammo con gusto, erano deliziosamente saporiti.
Qualcuno ci porse dei bicchieri con del vino, Giulio mi disse che era prodotto da vigneti del Rio Grande, si chiamava Pinto Bandeira ed era simile al nostro Grignolino, lo sorseggiammo con soddisfazione e ne chiedemmo un secondo bicchiere.

- Giulio come si sta bene qui. Vorrei durasse per sempre.
- Lo so, per questo ho voluto che vedessi dove vivo. - rispose.
- Come faccio a tornare alla vita del mondo dopo essere stato qui? Io non ci posso più vivere in quel posto di merda.
- Smettila. Non è così male, poi ti ho lasciato in buona compagnia.
Alludeva alla Sampo e quello non potevo contestarglielo.
Il sole era tramontato, ma la spiaggia era illuminata dall'incandescenza dei piccoli bracieri e dal fuoco dei bivacchi, tutto appariva soavemente soffuso e intimo, un firmamento di stelle nitide e brillanti trapuntava la volta notturna.
- Ora che hai visto tutto e goduto della mia ospitalità, si è fatto tardi e dobbiamo separarci fratello. - disse con una nota malinconica.
Mi prese subito lo conforto che conoscevo per il termine di quei sogni che la mente mi regalava.
- Non fare quella faccia da funerale dai. - mi rimbrotto con garbo affettuoso. C'è un tempo per tutte le cose e questa è durata troppo. È ora di fermarla.
- Cazzo, Giulio, è l'unica cosa che mi resta di te, della nostra amicizia. Non riesco ad accettare che tu non ci sia più.

- Ascoltami – disse – con tono paziente.
La vita e la morte sono un inganno della mente, la nostra natura fisica è una sembianza transitoria, lo sai. Siamo energia in trasformazione, ma tutto è chiuso in questo uovo cosmico di materia che ci contiene. Il tutto è una sola cosa. Non esiste la separazione se non nel nostro pensiero limitato da una configurazione umana transitoria. Apparteniamo a questo tutto, le diverse mutazioni sono un gioco del creato. Noi ci siamo, siamo stati e ci saremo nuovamente. Magari avremo corpi e facce diverse, ma due che si sono incontrati come noi, continueranno a incontrarsi per l'eternità. - poi aggiunse brusco – Cazzo! Queste cose me le hai insegnate tu. Vorrai mica che te le ricordi io? Del resto lo hai detto anche tu: io in quella bara non c'ero, non ci sono mai stato, c'era una cosa che non ero io. Ora è il tempo di crescere di andare oltre, tu hai da vivere la tua vita e lasciarmi andare.
Avevo gli occhi che si colmavano di lacrime, un dolore profondo nel petto, ma aveva detto solo cose giuste.
- Allora questo è proprio un addio Giulio?
- Non dire cazzate, con quell'aria tragica. È solo un arrivederci. Ora sai dove trovarmi e fra sessanta o settanta anni sai che, se il posto ti piace, ci rivediamo qui e sarà per sempre.
- Se vengo avrò l'età di tuo nonno, non sarò di molta compagnia. - dissi.
- Cazzata! Il tempo non esiste è solo il nostro scadere biologico, tu resterai tu e io anche, fra dieci minuti o mille anni.
- Mi manchi e mi mancherai, mi stai nuovamente lasciando solo. - replicai.
- Stronzate, io ci sarò sempre. Ti accompagnerò nella mente e nei ricordi fino al tuo ultimo giorno di vita.
- Io non ti dimenticherò fratello. – dissi quasi singhiozzando.
- Neppure io, scemo. Guarda che ti aspetto. - sorrise con dolcezza:
Ci abbracciammo in silenzio in una stretta forte, per imprimere nella memoria l'ultimo ricordo dei nostri corpi, un abbraccio col sapore di promessa, di giuramento.
- Vado, vedi di fare il bravo e non fare cazzate – disse raccogliendo la chitarra.
Mi strizzo l'occhio, poi si voltò avviandosi, i suoi piedi non lasciavano impronte sulla sabbia.
Tutti i giovani presenti sulla spiaggia si levarono seguendolo in una processione lenta e allegra, parlavano e ridevano scherzando tra loro,
Restai in piedi a guardarli allontanarsi con lo sguardo velato dalle lacrime, era l'ultima volta che avrei visto il mio amico.

Da allora non l'ho più sognato, ho lasciato andare Giulio come desiderava.

Ora ho settanta anni, non so quanto tempo ci vorrà per il nostro prossimo incontro, ma so per certo che, in quello strano paradiso non cristiano, lo troverò ad attendermi con una canna pronta da accendere e il suo sorriso da gatto.

Re: Lo sognavo

Posted: Sat Jun 07, 2025 7:37 pm
by Alberto Tosciri
Ciao @Nightafter

Il tuo testo è un lungo racconto onirico, viscerale e profondamente emotivo. 
Si muove tra realtà, sogno e visione, un tono lirico e colloquiale, con momenti di poesia e di crudezza direi anche disarmante. Mi ha ricordato la mia giovinezza; ho conosciuto ragazzi così, però, pur ammirandoli, quasi con il desiderio di essere come loro, di seguirli, imitarli, c’era sempre qualcosa che mi faceva desistere dal seguirli. Ma è una lunghissima e “altra” storia, pure noiosa.
 Non volevo battermi sulle barricate ideologiche di quegli anni, non potevo seguire la corrente. Ero ingenuo e idealista e pur vestendo inconsapevole l’eskimo, (solo perché riparava dal freddo in inverno)  scoprii solo dopo essere l’emblema tipico di una certa parte che non era la mia, ma che forse mi salvò da pestaggi in strada. Non mi piaceva “fare la rivoluzione”, allora come oggi.
Il tuo protagonista attraversa sogni, illusioni e rifiuti prima di accettare la perdita dell’amico. È un'esplorazione emotiva profonda del dolore, dell’attaccamento e del bisogno di trovare ancora senso nella relazione anche dopo la morte.
Hai usato il sogno, se non ho capito male, come argomento narrativo centrale, usato sia come rifugio che come strumento di verità. Nei sogni si vive l’impossibile, si ritrova chi si è perso, ma si arriva anche alla consapevolezza che è ora di lasciare andare chi non c'è più, oltre che per loro, anche per noi.
Il “paradiso” brasiliano, lontano dalle” icone” cristiane, è popolato di giovani, fumo, musica e libertà sensuale. È un’utopia anarchica e vitalistica, un aldilà creato a misura di chi ha amato la vita senza formalismi. Si può riconoscere. Si può capire. Giulio è una guida spirituale senza retorica, ma profondamente filosofica. Affascina.
Bello l’uso della prima persona,  un ritmo quasi come di confessione (non religiosa), una voce autentica. La prima persona in questo caso denota un coinvolgimento emotivo, una vulnerabilità, a tratti anche una certa ironia, a tratti sopraffatta dall’emozione. La voce è credibile perché giovanilmente incoerente in modo umano.
A tratti il racconto oscilla tra ricordo febbricitante, sogno ricorrente, incubo, viaggio onirico, visione mistica. Questa stratificazione mantiene viva la tensione e il dubbio costante: cosa è successo davvero? Giulio è morto? È mai tornato? È tutto un sogno?
La lingua mescola gergo quotidiano (“canna”, “fanculo”, “cazzo”), riflessioni metafisiche e descrizioni poetiche. L’uso della lingua di tutti i giorni rende vivo il testo e il dolore più autentico, però una certa bellezza lirica direi che lo solleva. In fondo non sono un puritano fuori di testa, la vita è vita...
Risalta questo linguaggio eccessivo, oscillante, ma coerente con lo stato mentale alterato (febbre, sogno, nostalgia).
C’è poi la chitarra, il tramonto, la canna condivisa come gesto di comunione spirituale, metafore esistenziali (il sogno come spazio tra vita e morte).
Ci sono piccoli errori di battuta ( “pur avendo un il sapore dell’incredulo”, “guardalo” invece di “guardarlo”, “sono li” invece di “sono lì”, a una prima occhiata)  per la punteggiatura e virgole non sono sicuro, in quanto sto ancora studiando sulla mia, nella quale talvolta zoppico.
Alcune espressioni in parte si possono giustificare come stilizzazione della voce narrante, ma a volte possono indebolire il ritmo o dover rileggere.
Per i dialoghi ti consiglio di usare questo trattino ─ e non il segno meno - della tastiera. Lo trovi nei simboli di Word o anche se usi Libre Office.
I dialoghi sono plausibili, figli del loro tempo, realistici, ma talvolta troppo esplicativi. La parte finale in cui Giulio spiega la natura della vita e della morte è suggestiva, ma un po’ “a tesi”. Potrebbe essere più evocata che spiegata.
Il protagonista dovrà alla fine accettare la morte dell’amico, ma anche imparare a vivere senza di lui.
La spiaggia di Bahia è un altrove mitico,  (ci sta molto, un paradiso davvero) simile a un limbo. Luogo non cristiano, ma sacro: una visione personale dell’aldilà costruita da emozione e memoria. (Ci sta)
L’ultima scena è un addio e un inizio: Giulio lascia andare il narratore, ma gli dà una nuova mappa per affrontare la vita: “sai dove trovarmi”. Mi piace. Ma non mi piace come ragione di vita, dico per me.
Intendiamoci: non credo nemmeno nel paradiso dove “cantano quegli angeli finocchi”…
Insomma:  lutto, amicizia e memoria con una voce autentica e toccante. La forza di un sogno vero, con la logica emotiva e disordinata che i sogni portano con sé. Alcune imperfezioni formali o ridondanze strutturali possono essere riviste in sede di riscrittura, ma è un racconto commovente, sincero e capace di toccare corde profonde. La sua forza sta nella profonda umanità che traspare e trasmette, nel modo in cui racconta l’assenza trasformandola in presenza.
Devo dire che mi è piaciuto e mi ha colpito per la sua profondità, una "cosa" davvero vissuta, vera.

A risentirci

Re: Lo sognavo

Posted: Sat Jun 07, 2025 7:59 pm
by Nightafter
Ciao @Alberto Tosciri 

un bellissimo commento di cui ti ringrazio.
Sì, c'è tutto ciò che hai scritto in questo racconto-confessione autobiografico.
Mi gratifica assai che tu l'abbia gradito, pur condito dei miei famosi refusi, che nonostante l'estenuante battaglia che compio quotidianamente, non mi riesce mai di eliminate totalmente.

A presto rileggerci amico mio.