[LAB 16] Infanzie Crepuscolari

1
“Mio papà non mi lascia”. Era un ritornello familiare a Gaia. Non ci vedeva nulla di strano, lei era la bambina e lui l’adulto; spettava a lui decidere cosa fosse adatto a lei o no. Comunque, lei, da sola, non l'avrebbe saputo. I pericoli che si celavano dietro certe azioni ancora non avevano perso agli occhi di Gaia la loro aura sacrale. Per esempio, sapeva che aprire lo sportello della stufa per mettere nuova legna era pericoloso, ma allora non capiva perché il fuoco bruciasse solo i bambini e non gli adulti, che aggiungevano in continuazione nuovi ceppi. Quei divieti creavano come una cortina di mistero che rendeva il mondo degli adulti inaccessibile e poco appetibile. Gaia era una di quelle poche bambine che il fantasma della fretta di crescere aveva risparmiato. Era contenta, a nove anni, di dare il tè agli orsacchiotti nelle tazzine di plastica e far muovere marionette di cartone nel teatro di una scatola da scarpe. Non era infantile, indietro nello sviluppo, come si suol dire. Al contrario, era ben consapevole dei suoi privilegi di infante, che saggiamente cercava di prolungare il più possibile. Aveva iniziato a sentirsi a disagio coi divieti paterni solo con l'ingresso alla scuola elementare, e, in particolare, per colpa del corso di nuoto. Gaia non si era mai avvicinata all'acqua. La sua famiglia non faceva vacanze al mare, ma solo in montagna o, più di rado, nelle città d’arte. Ora, che Gaia non sapesse nuotare non era grave alla sua età: nella sua classe c'erano altri due bambini che ancora non avevano imparato. Era a questo che serviva il corso di nuoto proposto dalla scuola. Solo che lei, a differenza loro, non avrebbe avuto la possibilità di imparare perché suo padre non aveva firmato l'autorizzazione. Era allora che erano cominciate le domande e che la sua formula magica abituale, "mio papà non mi lascia", non era più bastata. I compagnetti avevano fatto spallucce e subito perso interesse per la questione, ma non era così per gli adulti. La maestra, se non altro, aveva captato il suo imbarazzo e, dopo un po’, l'aveva lasciata in pace. Non era stato lo stesso con le due mamme rappresentanti di classe. Avevano interesse a vederci chiaro in quella faccenda anche perché il consiglio di classe aveva delegato a loro il compito di trovare un'alternativa per Gaia durante le due ore del corso. Una piccola spiegazione, Gaia si era sentita di fornirla, perlomeno onde evitare che le congetture delle due rappresentanti si spingessero troppo lontano. Aveva detto: «È perché è pericoloso. Nuotando si può annegare, per questo mio padre non mi lascia». In cuor suo, era contenta del buon senso del suo papà che la voleva lontana dai pericoli. Aveva un sacrosanto terrore dell'acqua, ma non sarebbe stato esatto dire che era quella la ragione per cui il mercoledì se ne stava seduta sugli spalti della piscina, stretta tra Mamma Rosa e mamma Martina, cercando di completare le parole crociate per bambini che le due le consegnavano con fierezza alla mattina. Dico "cercando di completare" perché Gaia era costantemente interrotta dalle loro domande, poste con regolarità come se fossero casuali.
«E tuo padre, sa nuotare?»
«E al mare come fai, stai tutto il tempo sotto l'ombrellone?»
«Lo sai che hanno detto in televisione che il nuoto è lo sport più completo e quindi più adatto nella fase della crescita?»
Gaia sentiva quelle domande più o meno retoriche risuonarle nella testa ben più a lungo delle due ore del corso. Un sabato pomeriggio decise di affrontare la questione direttamente con suo padre. Non riuscì a scoprire molto: il padre sapeva nuotare, sì, e sì, aveva imparato da piccolo. No, non gli aveva insegnato suo padre, ma suo nonno. Era strano vedere il padre, di solito così affabile e chiacchierone, schivo e laconico. Per sfuggire all'interrogatorio, si era alzato dal divano ed era scappato e riparare qualcosa in garage. Gaia ebbe un po' di timore di quella reazione insolita, sentiva che si stava addentrando su un sentiero delicato, un sentiero che scorreva lungo la schiena di suo padre e su cui lei camminava con tacchi a spillo di ferro. Ogni passo in quella direzione gli faceva del male, era questa la sensazione. Decise quindi di lasciarlo in pace e rivolgersi a zia Marina, sorella di suo padre. Zia Marina al mare ci andava in vacanza tutti gli anni, Gaia lo sapeva perché ad Agosto arrivava sempre una cartolina con su scritto: “Saluti salati da Loano". Gaia aveva sempre pensato che forse c'era qualcosa, nel nome della zia, a proteggerla dai pericoli del mare. Suo padre da piccola le ripeteva spesso che l'aveva chiamata Gaia così non sarebbe mai stata triste. Se quel nome proteggeva lei dalla tristezza, allora anche zia Marina era protetta dalle insidie del mare. Erano sedute insieme alla caffetteria delle Mura, davanti a una cioccolata fumante, come ogni lunedì. La zia allungò un braccio sul tavolino e le fece una carezza sulla mano. «E tuo padre, non ti ha risposto?». Gaia la guardo fissa, e quello servì come risposta. La zia sorrise mestamente: «Parlagli seriamente una volta che ha tempo. Digli che è importante per te capire. Non spetta a me spiegartelo».
Nelle settimane che seguirono, il papà di Gaia sembrava non avere un secondo libero. Persino le storie della sera erano più corte del solito, i finali affrettati e a volte poco credibili. Gaia si chiedeva se erano le qualità di cantastorie di suo padre a essere peggiorate o se non fosse semplicemente lei che stava crescendo. Una sera, Gaia prese coraggio e disse: «Niente storia stasera, Pa’».
Il padre restò per un attimo interdetto. Nel suo sguardo passarono, nell'ordine, tristezza, risentimento e una serena esultante comprensione, come di chi crede di aver risolto un enigma; sua figlia stava crescendo. Fece per alzarsi e spegnere l'abat-jour, ma Gaia sporse un braccio fuori dalle coperte ben rimboccate e lo toccò per fermarlo.
«Aspetta. Al posto della storia, spiegami perché non hai dato l'autorizzazione al corso di nuoto». Esitò un attimo, poi riprese, supplicante: «Ci metterà lo stesso tempo della storia».
Il padre si risedette con lentezza sulla sedia a fianco del lettino di Gaia. Guardava qualcosa davanti a sé, e taceva. Quando cominciò a parlare doveva essere passato molto tempo, perché Gaia sobbalzò: nonostante la tensione del momento il sonno aveva quasi avuto la meglio.
«Io non sono il minore dei miei fratelli. Zia Marina era la più grande, io ero quello di mezzo, e... Eravamo in tre, da piccoli. C'era anche Osvaldo. Passavamo i mesi delle vacanze scolastiche a Loano, nella casa che i nostri nonni affittavano tutta l'estate. È lì che ho… Che abbiamo, tutti, imparato a nuotare. Osvaldo aveva la tua età, io tre anni di più, eppure era lui il più bravo. Sapeva fare lo stile libero, il delfino, dorso e rana, e vinceva sempre le gare di apnea. Al tramonto, quando le spiagge si svuotavano dei turisti alla giornata, facevamo delle spedizioni per cercare i ricci tra gli scogli. Li portavamo ai pescatori, che li avrebbero rivenduti al mercato del pesce all’alba. Coi quattro soldi che ci davano ci pagavamo i baracconi la sera. Il riccio, la femmina, quando è la stagione si mangia; è una prelibatezza»
Solo in quell’ultima frase Gaia riconobbe il tono che ben conosceva, di chi è sempre pronto a spiegare, a raccontare usi e costumi di altrove o di altre epoche. Ma la voce cambiò repentinamente mentre continuava: «C'era uno scoglio che conoscevamo, che era sempre pieno di ricci. Non si accedeva dalla riva, e a nuoto non era vicinissimo. Era un blocco di rocce a circa un metro di profondità. Ci andavamo col canotto, poi ci immergevamo con la maschera e a mano a mano che prendevamo i ricci li buttavamo a bordo, nei secchi. Quella sera il tempo non era bello, minacciava pioggia. Era già fine settembre. Il sole vicino alla linea dell’orizzione era ridotto ad una piccola palla rossa offuscata, troppo debole per tingere il cielo dei colori del tramonto. Il mare era grosso, ma non troppo, avevamo fatto di peggio. Quando col canotto arrivammo in prossimità della roccia, vidi un'esitazione in Osvaldo e gli dissi «Dai, facciamolo e torniamo indietro». Mentre lavoravamo per riempire il canotto il mare si alzò e noi non ce ne accorgemmo. A un certo punto riemergemmo contemporaneamente con due ricci ciascuno e il canotto non c'era più, o eravamo noi che eravamo stati spostati dalle onde. Lo vedevamo appena, parecchi metri più in là. Faticavamo a stare a galla, le onde erano troppo alte. Persi di vista Osvaldo e continuai a fare bracciate in quella che pensavo fosse la direzione del canotto e della riva, pensando che sicuramente mio fratello, che era un nuotatore migliore, mi precedeva. Ricordo che in testa avevo che dovevo nuotare il più veloce possibile per raggiungerlo, perché non si preoccupasse per me. Io ero il più grande, ma in mare era lui che proteggeva me. Quando finalmente sentii la sabbia sotto i piedi, vidi che sulla spiaggia c'era tanta gente, e in mare aperto dei motoscafi della Guardia costiera. Mi stavano cercando. Ancora pensavo che Osvaldo fosse già sano e salvo a riva da un pezzo. Invece no, trovarono il corpo tre ore più tardi frantumato sugli scogli del molo. La corrente era stata più forte di lui e l'aveva trascinato in quella direzione. Lui, che nuotava meglio e più veloce». Tacque per un attimo, poi disse a voce più bassa, come se stesse ripetendo tra sé e sé una sorta di mantra: «Nuotare è pericoloso. Anche i migliori possono affogare». Il padre non piangeva, non esternava emozioni, e il che era terrificante. Nei suoi occhi vuoti e nella rigidità della mascella Gaia poteva leggere la profondità di un dolore inestinguibile e incondivisibile. La testa le ronzava, respirava a fatica e tutto in lei era tristezza e pena. Forse per la prima volta, provava sulla sua pelle che nessun nome ha il potere di proteggere dalla vita.

Re: [LAB 16] Infanzie Crepuscolari

2
In generale:
Il trauma di un adulto limita le esperienze della figlia (nulla di nuovo) fino a un chiarimento finale che svela le ragioni. Come racconto mi sembra un pochino incompiuto: non c’è una vera storia, e questa bambina vaga fra l’essere infantile (così la descrivi all’inizio) e il pretendere un confronto in maniera fin troppo adulta, forse in parte sobillata da insegnanti e rappresentanti di classe che mi sono parse un pochino poco credibili (ma se, invece, mi dici che è vita vissuta, ti ringrazio per avermi fatto ricredere che le peggiori fossero qui, dalle mie parti). Questa sostanziale vacuità della narrazione si accentua se cerchiamo di puntare lo sguardo su tema del laboratorio, il conflitto. Onestamente, qui non lo vedo. Non mi pare si possa definire in tal modo il divieto del padre al nuoto della figlia, né la reazione della bambina è definibile come conflitto. Credo che il problema (che ho riscontrato anche altrove, altri luoghi e altri contesti) sia di natura semantica, ovvero che senso si dà al termine. Se alla richiesta di passare il sale, il coniuge sbuffa e dice “Ma è lì, prendilo da solo!”, siamo in presenza di un conflitto? Se - alziamo il tiro - il medesimo coniuge sbotta “Tu mi tradisci!”, siamo in presenza di un conflitto? Le baruffe interpersonali quando sono comportamenti nevrotici, quando giochi erotici (perché no?) e quando conflitti? Perché l’incruento “conflitto di competenze” è un conflitto? Lo è nello stesso senso del conflitto in Ucraina? No, evidentemente. E il marxiano “conflitto di classe”? Altra cosa ancora. Mi fermo per dire che l’estensione semantica di |conflitto| è enorme, e il mandato scritto nel Topic ufficiale non chiarisce, lasciando a chi scrive il compito di declinarlo a piacere (diversi Autor* - compreso il sottoscritto - hanno optato per il conflitto interiore, altra cosa ancora). Cerco di concludere: malgrado questa ampiezza del concetto onestamente fatico a farci rientrare questo rapporto padre-figlia; ti suggerisco di dare un’occhiata alle definizioni Treccani che trovi qui: https://www.treccani.it/vocabolario/conflitto/
Questioni specifiche:
decisamente molte virgole di troppo.
Mirna Lacadai wrote: Suo padre da piccola le ripeteva
crea un piccolo corto circuito; meglio “Quando era piccola suo padre le ripeteva (se no fa l’effetto ‘Si confezionano impermeabili per bambini di plastica’)
Mirna Lacadai wrote: Sat Feb 08, 2025 10:19 pmgli dissi «Dai, facciamolo e torniamo indietro».
Hai usato virgolette francesi (o sergenti) per il discorso riportato dal padre ad Osvaldo, dentro identiche virgolette che identificano la narrazione fatta alla bambina. Non va bene. Ci sono molte soluzioni, ma le une e le altre devono essere differenti; per esempio sergenti per tutti i dialoghi - come fai tu - e poi italiane (“) per i discorsi riferiti.
Mirna Lacadai wrote: Sat Feb 08, 2025 10:19 pmtrovarono il corpo tre ore più tardi frantumato sugli scogli d
forse ‘frantumato’ non è il verbo migliore in questo caso.

Re: [LAB 16] Infanzie Crepuscolari

3
@Mirna Lacadai ciao. Solo per dirti che come dice @bezzicante non vi è proprio un conflitto, ma vi è un deciso "colpo di scena". Se tu lo avessi gestito meglio, infilandolo nel momento giusto, sarebbe stato più efficace. Si sbaglia Bezzi nel credere che il tema del contest sia "Il conflitto" inteso come scontro interiore. Il conflitto è l'ago della bilancia, quello che sposta la consapevolezza del protagonista. Che fuorvia le sue decisioni, le sue aspettative. Sono fatti che accadono, che portano a prendere decisioni o a subire quelle degli altri. Insomma, è la benzina del racconto, nell'altalena del vissuto quotidiano, nella economia del racconto. Generalmente è chiamato "confronto", quel momento in cui tutto cambia, o può cambiare, piano piano, o in un secondo. Tranquillizzati. A mio parere, hai affrontato meglio il tema proposto, di chi ti ha mosso la osservazione.. Ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [LAB 16] Infanzie Crepuscolari

4
Ciao, @Mirna Lacadai .
Racconto gradevole, ben scritto, disegna con toni pastello uno scenario dove il lettore si aggira come fosse a casa.
Ci sono tuttavia aspetti che non mi hanno convinta del tutto.
Azzardo un’analisi.
È una storia che pare riferita, che non dice, ma parla di, a cui forse sarebbe spettato un io narrante, ma non ne ha avuto il coraggio, come se dall’eccesso di vicinanza potesse scaturire un’emotività fuori controllo, e dunque si è adattata al grigiore di un lessico adulto che la penalizza.
È una storia che dai conflitti si tiene alla larga, una storia di fughe e di interdetti
 
Mirna Lacadai wrote: Era strano vedere il padre, di solito così affabile e chiacchierone, schivo e laconico. Per sfuggire all'interrogatorio, si era alzato dal divano ed era scappato e riparare qualcosa in garage.
Una storia di aggiustamenti e di autoinganni perché tutto possa restare com’è.
 
Mirna Lacadai wrote: «È perché è pericoloso. Nuotando si può annegare, per questo mio padre non mi lascia».
Infanzie crepuscolari. Il titolo sembra voglia collocarci proprio al centro del nucleo tematico. Ma se per crepuscolo intendiamo il compimento di un ciclo, al netto delle malinconie che si attagliano ad ogni addio, ci si aspetterebbe l’accesso a un nuovo inizio, qui inteso come stagione della vita.
Ci si aspetterebbe il guizzo/trasformazione/crescita, qualcosa come: ti faccio vedere che m’hai detto cazzate, non solo imparo a nuotare, ma divento pure una campioncina, tiè.
Invece no. La bimba, ostaggio dei traumi paterni, si aggrappa alla sua condizione di infante scambiandola per un salvagente, manca in pieno il disvelamento della figura genitoriale (a proposito, ma la mamma? Uno straccio di modello femminile, magari l’avrebbe aiutata, dato che Zia Marina s’è chiamata fuori) Figura genitoriale che, in quanto umana, sarebbe destinata a precipitare dall’iperuranio dove s’era comodamente allocata.
Poi la chiusa:
 
Mirna Lacadai wrote: nessun nome ha il potere di proteggere dalla vita.
Eccolo il conflitto! In nove parole tutto il senso del racconto: la contrapposizione spietata tra vivere ed esistere a cui è così facile, persino dolce soccombere. 
Nessun nome, nessun linguaggio con cui fingere di poter decifrare il mondo. Solo la condanna a vivere un eterno crepuscolo dove i frutti dell'esistere avvizziscono senza maturare.
Solo nove parole. Avrebbe meritato decisamente di più.
Mirna cara, hai posato lo sguardo su questioni molto interessanti e tu sai scrivere.
Dai al racconto una seconda possibilità.
<3
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... ataccia-2/
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
https://www.facebook.com/profile.php?id=100063556664392
https://emanuelasommi.wixsite.com/manu

Re: [LAB 16] Infanzie Crepuscolari

5
Ciao @Mirna Lacadai

a me il tuo racconto è piaciuto anche se lo trovo incompleto. Cioè è come se ci fosse ancora una parte da scrivere (e che avrei letto volentieri).
Ci sento verità. Forse quella che hai scritto è una storia vera, ne percepisco l’emotività. Inoltre, in alcuni aspetti, è molto simile alla mia storia personale.
Anch’io non sono mai stata mandata in piscina per imparare a nuotare, anch’io restavo sotto l’ombrellone senza poter fare giochi in acqua. Anche mio padre (ho scoperto più tardi) aveva avuto un’esperienza negativa (fortunatamente non tragica come quella descritta da te) e, a suo modo, aveva l’intenzione di proteggermi. In totale non ho mai imparato a nuotare (ho ancora un sano terrore dell’acqua alta) ma ho sposato un insegnante di nuoto… eh eh. Verità. 
Di Gaia sappiamo poco, soprattutto di quel “ritardo” nella crescita. Una maggiore indagine sul personaggio avrebbe aggiunto ulteriori e necessari elementi per comprendere a fondo il disagio della bambina. Che tipo di ritardo era?  Te lo chiedo perché se mi presenti una bambina con questo tipo di problema, faccio fatica a comprendere il suo “risveglio” a consapevolezza. 
La scrittura è semplice e corretta.( qualche consecutio da sistemare)  Avrei evitato il “muro” di parole. Qualche a capo faciliterebbe l’ingresso al lettore.

Re: [LAB 16] Infanzie Crepuscolari

6
Una storia tenera, una trama di pressioni esterne che obbligno ad affrontare ostacoli in famiglia.
Forse il punto di vista della bambina é un pochino troppo adulto, si accontenta in fretta senza troppi perché, é comprensiva come una madre. E infine lo mette alle strette come una piccola moglie troppo cresciuta.
La storia del padre é un velo sottile con piccoli tratti ad acquarello. Si limita ai fatti senza lasciarsi trasportare, a mio avviso.
Sono d'accordo con Aladicorvo, quelle nove parole salvano tutto il significato di questa storia. Nove parole che andavano, sempre a mio modesto avviso, svolte con un po' piú di ampiezza, di respiro.
Nel complesso tutti i personaggi sono ben tratteggiati con poche ma decise linee, in modo particolare le "bravi madri" e le pressioni che hanno esercitato su di lei.
Strano e poco realistico che le insegnanti non abbiano richiesto un colloquio con il padre, ma capisco che questo avrebbe risolto la trama in maniera diversa e non adeguata a ció che volevi dire.
In ogni caso la lettura é assolutamente scorrevole e gradevole, non sono mai inciampata ed é una bella storia. Si poteva farne di piú.

Re: [LAB 16] Infanzie Crepuscolari

7
  
Ciao @Mirna Lacadai piacere di leggerti, credo per la prima volta. Ti faccio i complimenti per il modo di narrare, semplice, coinvolgente; si legge d'un fiato.
Forse mi è sfuggito qualcosa a riguardo, ma ho una domanda da porti: la mamma di Gaia? Non viene mai nominata. Forse  dai per sottinteso che non c'è, magari le è successo qualcosa? Però credo che un minimo di accenno alla questione andava fatto. Di solito le attività dei figli sono oggetto di lunghe disquisizioni tra i genitori, su cosa sia meglio, se è il caso, ecc.
Nella parte finale si intuisce quale sia l'epilogo, forse si dilunga un po' troppo intuendo appunto come andrà a finire il racconto del padre, ma è descritto molto bene, si riesce a immaginare fotograficamente quello che succede. Immersivo.
Bello il finale. Forte. Potente. C'è tutto il racconto.
Una piacevole lettura.

Re: [LAB 16] Infanzie Crepuscolari

8
Mirna Lacadai wrote: Gaia ebbe un po' di timore di quella reazione insolita, sentiva che si stava addentrando su un sentiero delicato, un sentiero che scorreva lungo la schiena di suo padre e su cui lei camminava con tacchi a spillo di ferro.
Se il narratore onnisciente sta rispecchiando gli atteggiamenti e i pensieri di una bambina, quest'immagine non mi sembra appropriata all'età della protagonista.
Mirna Lacadai wrote: lo sapeva perché ad Agosto arrivava sempre una cartolina
ad agosto
Mirna Lacadai wrote: una cartolina con su scritto: “Saluti salati da Loano".
Che bello leggere il nome del mio paese natio!
Mirna Lacadai wrote: suo padre da piccola le ripeteva spesso che l'aveva chiamata Gaia così non sarebbe mai stata triste. Se quel nome proteggeva lei dalla tristezza, allora anche zia Marina era protetta dalle insidie del mare.
Questo è un bel pensiero per una bambina che sa di logica!
Mirna Lacadai wrote: Gaia la guardo guardò fissa, e quello servì come risposta. 
Mirna Lacadai wrote: Nelle settimane che seguirono, il papà di Gaia sembrava non avere un secondo libero. Persino le storie della sera erano più corte del solito, i finali affrettati e a volte poco credibili. Gaia si chiedeva se erano le qualità di cantastorie di suo padre a essere peggiorate o se non fosse semplicemente lei che stava crescendo. Una sera, Gaia prese coraggio e disse: «Niente storia stasera, Pa’».
Mi sembra impossibile che una bambina si tenga per tanto tempo un rovello simile: io la frase che citi alla fine del periodo sopra citato gliel'avrei fatta dire la prima sera disponibile!
Mirna Lacadai wrote: Nel suo sguardo passarono, nell'ordine, tristezza, risentimento e una serena esultante comprensione, come di chi cred
Ti suggerisco, dopo "nell'ordine", i due punti esplicativi.
Mirna Lacadai wrote: poi ci immergevamo con la maschera e virgola a mano a mano che prendevamo i ricci virgola  li buttavamo a bordo, nei secchi. 
Meglio fare un inciso, te lo suggerisco.
Mirna Lacadai wrote: Il mare era grosso, ma non troppo, avevamo fatto affrontato di peggio.
suggerimento
Mirna Lacadai wrote: Mentre lavoravamo per riempire il canotto virgola il mare si alzò 
Mirna Lacadai wrote: Persi di vista Osvaldo e continuai a fare bracciate in quella che pensavo fosse la direzione del canotto e della riva, pensando che sicuramente mio fratello, che era un nuotatore migliore, mi precedeva avesse preceduto.
Trattandosi comunque di supposizione, userei il congiuntivo.
Mirna Lacadai wrote: Invece no, trovarono il corpo tre ore più tardi frantumato sugli scogli del molo.
suggerimento dei due punti dopo Invece no ma solo come mia preferenza
Mirna Lacadai wrote: Anche i migliori possono affogare». Il padre non piangeva, non esternava emozioni, e il che era terrificante. Nei suoi occhi vuoti e nella rigidità della mascella Gaia poteva leggere la profondità di un dolore inestinguibile e incondivisibile. La testa le ronzava, respirava a fatica e tutto in lei era tristezza e pena. Forse per la prima volta, provava sulla sua pelle che nessun nome ha il potere di proteggere dalla vita.
Finale in tema con il dramma che si è prospettato sin dall'inizio.
Eccepisco, però, che la sensibilità di una bambina come Gaia, così come ce l'hai presentata e fatta vivere nel racconto, dovrebbe riservare un abbraccio finale al padre, rappresentativo del dolore che la piccola capisce convivere da sempre nel cuore del papà. Con lo stringerlo a sé gli avrebbe comunicato la comprensione e il suo affetto, di essergli vicina.  
Mirna Lacadai wrote: il mercoledì se ne stava seduta sugli spalti della piscina, stretta tra Mamma Rosa e mamma Martina
P.S.: Sono tornata sopra questa frase per chiederti perché parlare di una coppia di madri di cui il racconto non avrebbe bisogno se citate solo in questa riga.
Infatti, già di una madre sola si sente l'assenza per tutto il tempo, e basta e avanza, non trovi?

Comunque, al netto delle note che ti ho espresso, e che spero ti siano utili, ti faccio tanti complimenti, @Mirna Lacadai  :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Return to “Racconti lunghi”