CDP2] Duri a morire
Inviato: mer apr 03, 2024 11:51 pm
[CDP2]
Traccia 1 L’Uovo – La sorpresa
Titolo: Duri a morire
Guardo mio marito che non prende pace, anche quando si ferma dal suo girovagare nel salotto, muove il piede con una frenesia ipnotica.
È sempre bello, ma ora ha tendini e nervi perennemente tesi. Sorride davvero raramente.
Non ho voglia di farmi trascinare nel suo vortice di recriminazioni, ho voglia di leggerezza. Vorrei bloccarlo con un abbraccio, ma è meglio buttarla in caciara:
“Lo sai che mia madre non mi comprerà l’uovo perché dice che ormai sono grande?”
Si è fermato, mi guarda stralunato, bocca semi aperta, già rido mentre continuo:
“Ma io devo mangiarlo, mica entrarci dentro!” rido sguaiatamente, di cuore. Ho letto la battuta su facebook e mi ha fatto morire, ho le lacrime. Riesco a coinvolgerlo, vedendomi in questo stato sorride. Lo bacio con passione, intenzionata a finire a letto, ma mi gela subito.
“No Titta, dobbiamo andare da zia, se non stiamo attenti, quella ci frega bene bene.”
Non posso fare a meno di girare indietro le orbite oculari e fare tremolare le palpebre, trattengo uno sbuffo, questa storia ci sta logorando. Non mi piace questo attaccamento ai soldi di Titto, è una novità, non siamo mai stati avidi, mai avuti grilli per la testa, ma da quando la zia materna super ricca ci ha comunicato di avere preso una dama di compagnia, lui sembra un animale in gabbia. È diventato sospettoso e arido.
“Scusa Titto, tua zia è ancora giovane, ha poco più di sessant’anni, è lucidissima. Avrà diritto di spendere i suoi soldi come meglio crede?”
Ora è lui ad alzare gli occhi al cielo. Mi viene da sorridere perché a lui non tremolano le palpebre, è come se avessi vinto.
L’allegria svanisce quando sento il suo tono aggressivo.
“Prima ha detto che voleva la dama di compagnia, perché si sentiva sola e aveva bisogno di un aiuto a casa, poi, quando le ho fatto notare che doveva dirlo a noi, i suoi unici nipoti, che l’avremmo accudita, ho visto come si è irrigidita la badante ed è venuto fuori che in realtà sta male e la dama sarebbe qualificata in campo medico. Sicuro è grave e quella ha già visto il malloppo a portata di mano.”
Sono pietrificata. Mi sento avvampare, ho conficcato le unghie malcurate nella pelle, stringendo i pugni fino a fare diventare bianche le nocche. Mi esce una voce acidula che mi fa montare la rabbia.
“Tu hai visto il malloppo!
Come ti sei permesso di coinvolgermi dicendo che l’avremmo accudita noi? L’abbiamo frequentata esclusivamente ai compleanni e a Natale e tu proponi entrambi per una cosa del genere? Ma non ti vergogni? Cosa sei diventato? Speri in una fantomatica eredità?”
Mi guarda stupito, è strano, non sembra arrabbiato, né ferito, oserei dire che è scioccato, ma non mi sembra ci siano i presupposti.
“Ma tu lo sai che possiede una fortuna? Palazzi interi, negozi al centro affittati, azioni, un vero patrimonio. Io non me ne sono mai interessato, ma ora questa storia della badante non mi va giù, si vede che prova a circuirla, non mi sta bene. Non è per i soldi, non solo. È una questione di principio e ora andiamo che è tardi.”
Lo seguo un po’ imbambolata, l’idea che venga truffata non va giù neanche a me, anche se ancora sento l’eco delle parole di Titto che mi mette in mezzo per accudire la zia.
Sono frenata da un sentimento ambiguo.
Mi sale dalla gola un rospo ingoiato qualche giorno prima, quando non avevo potuto sfogarmi perché c’era tutta la famiglia.
“Secondo te è normale che ci facciamo ospitare tutti da una donna che sta male, che secondo te è prossima alla morte? Potevamo andare in un ristorante e invitarla, almeno!”
Titto fa la sua espressione buffa, quando gli finisce sul naso la farfalla delle occasioni perse. Stringe le labbra di lato, piega la testa, colto in fallo, ma si riprende subito:
“Facciamola lavorare questa badante, la zia ha detto che le serviva un aiuto, questa mica penserà che le facciamo fare la bella vita facile facile!”
Ora ha un sorrisetto trionfante veramente puerile. Mi dà fastidio, non posso fare a meno di lanciare un attacco gratuito:
“Guarda che tua zia sarà dura a morire, vola basso con i tuoi sogni!”
Mi guarda evidentemente offeso, ma non proferisce parola.
Quando arriviamo ci sono già i genitori di Titto, oltre ad una decina di parametri più o meno lontani, curiosamente apparsi per stare vicini alla zia ricca ammalata. Imbarazzante.
È ora di metterci a tavola, a quanto pare non eravamo gli ultimi, il posto vicino alla zia è libero, non riesco a leggere il nome sul segnaposto, io e Titto le sediamo di fronte.
Scopriamo che per il pranzo ha ingaggiato un cuoco, un aiuto cucina e un cameriere.
La sua dama di compagnia si siede al posto lasciato libero, con buona pace dei commensali che non riescono ad evitare di ballare sulle sedie.
Io trovo questa Pasqua con sorpresa divertente.
Mio marito fissa la dama con sguardo ferino, io sorrido, ottenendo alcune delle sue occhiatacce.
Il pranzo è suntuoso e gustosissimo, le conversazioni stucchevoli ed interessate, la zia risponde distrattamente a tutti i lecchini, ma sembra a suo agio con la dama, che chiama confidenzialmente Lili, ridono e scherzano.
Percepisco ostilità nei suoi confronti da parte di tutti gli imbucati, perché questo siamo, non c’è dubbio.
Mi sembra veramente sgarbato l’ atteggiamento generale, decido di parlarle, dandole la dignità dell’ unica commensale gradita in questo giorno che dovrebbe essere di festa.
“Lili è il diminutivo del suo nome?” Mio marito mi molla una ginocchiata sotto al tavolo.
La dama ha uno sguardo dolce, mi risponde sorridendo:
“È un doppio diminutivo, mi chiamo Liliana Lila, che genitori creativi, non trovi?”
Ora è la zia ad agitarsi sulla sedia, la sta guardando con riprovazione? Forse non ritiene opportuno che mi dia del Tu, di certo è quello che pensa mio marito, che ora usa un tono astioso e insinuante.
“Lei, signora Lila, come avrebbe conosciuto la zia? Fa parte di una cooperativa? In genere le badanti non sono tutte rumene?”.
Vorrei sprofondare sotto il marmo del pavimento, assesto un calcio a mio marito che non ha nemmeno il buon gusto di incassare in silenzio, mentre mia zia, con tono decisamente alterato, afferma che la signora Lila, sottolineando signora, lavora all’ ospedale Biomedico, sta quasi urlando che è stimatissima, mentre Lili impone la sua calma solo poggiandole la mano sul braccio e conducendola verso la camera, rassicurandoci che va a somministrarle le medicine.
Sento che si sta alzando un mormorio generalizzato, spostamenti di sedie, mezze parole. Ho la voce fin troppo decisa nel ringraziarla e assicurando che l’avremmo aspettata, scusandomi io per eventuali malintesi
Eccoci, tutti intorno al tavolo, ci guardiamo pronti a fare ripartire la musica e togliere man mano una sedia alla volta, nella speranza che l’ultima rimasta non sia quella saldamente incollata al sedere di Lili.
Io me ne tiro fuori.
Li guardo uno ad uno, inchiodando alla fine lo sguardo su mio marito
“Non mi sono mai vergognata tanto. Non ti riconosco più. Abbiate tutti un po’ di rispetto.”
Neanche provano a controbattere, vorranno farsi trovare scodinzolanti al ritorno della zia.
Titto se ne esce che deve andare a prendere le sigarette, il mio disappunto raggiunge vette dall’ aria rarefatta, anche se credo sia meglio che esca per sbollire. Ne avrei bisogno anche io.
“Dove vai a Pasquetta a prendere le sigarette?”
Mi risponde veloce, ha fretta di uscire:
“Il bar dell’ ospedale è sempre aperto. Cinque minuti e torno”.
Mentre si chiude la porta alle spalle tornano Lili e la zia, non fanno domande, si siedono tranquille come se nulla fosse.
Apriamo le uova di cioccolata, qualche battuta sulle sorprese insulse, frasi banali, ammiccamenti residuali.
Il campanello premuto troppe volte e troppo a lungo cattura la nostra attenzione, spero non sia Titto, non è veramente modo.
Va la cameriera ad aprire, Titto entra come una furia, dito puntato contro Lila, con il petto la sovrasta.
“Giù la maschera impostora! Ti ho scoperta, ora ci dici chi sei veramente, voi intanto chiamate la polizia!”.
Guardo la scena incredula, azzardo:
“Titto sei impazzito? Ma cosa dici?”
*Dico che sono andato al Biomedico a chiedere le referenze dell’ infermiera Liliana Lila e mi hanno detto che non è affatto un’ infermiera, ecco cosa! Prendete tutte le medicine che somministra a questa povera donna, le facciamo esaminare dalla polizia, come minimo la sta avvelenando!“
Ha gli occhi fuori dalle orbite, anzi, è totalmente fuori di sé, vorrei urlargli di tacere, vorrei non essere qui, vorrei non avere nulla a che fare con nessuno.
Per assurdo cerco conforto nello sguardo di zia, sta gonfiando il petto come un piccione in amore, gli occhi segnati, colorito violaceo, credo possa esplodere letteralmente.
Lancia un urlo prima di parlare.
“Basta, basta, basta! La colpa è mia che mi sono preoccupata della vostra sensibilità” – ho gli occhi sbarrati nel vedere come scrolla la testa sillabando con una cantilena la parola sensibilità; sembra un mocio Vileda prima di essere strizzato.
Lili prova a cingerle le spalle, ma lei alza la voce ancora di un tono.
“Fammi fare l’indovina. Hai chiesto notizie sull’infermiera Liliana Lila e ti hanno risposto che non è un’ infermiera, tutto fiero sei corso qui a screditarla vero?
Non può essere andata altrimenti, perché al Biomedico tutti sanno che Lili è il direttore sanitario pro-tempore, mandato direttamente dalla fondazione, che tra l’altro è di sua proprietà, in Florida.
Doveva assicurarsi che tutto fosse perfetto per l’imminente vendita al gruppo spagnolo!”
Interviene la mamma di Titto, così ingenuamente che appena finisce di chiedere per quale motivo una persona con un lavoro simile dovesse fare la sua badante, io scoppio a ridere.
La zia mi guarda, forse sollevata, sgravata di un peso, complice.
Prima di parlare guarda Lila.
“Sono anni che torno in Italia solo per qualche giorno, quattro-cinque volte l’anno.
Non volevo sconvolgere nessuno, né essere nominata in infiniti rosari, ma ora basta.
Io e Lila stiamo insieme da nove anni, è stata la mia rinascita dopo la morte di Fausto. Non è la mia dama di compagnia, è la mia compagna di vita”.
Come seguendo un copione, la madre di Titto e almeno la metà dei presenti hanno schifato la rivelazione con frasi becere, al limite dell’ insulto.
Ho guardato mio marito, tremendamente imbarazzata per la sua sortita di pochi minuti prima e l’ho visto contrito, stretto nelle spalle.
Si è fatto coraggio con un sospiro prima di rivolgere nuovamente la parola alla zia.
“Scusami, ti prego perdonami. Sono un idiota totale. Anche tu Liliana… vorrei solo nascondermi per la vergogna. Sono stato tremendamente meschino, pieno di pregiudizi.”
Eccolo il mio vero Titto.
Corro ad abbracciare lui e poi vado a schioccare un bacio a zia e a Liliana.
In fondo non è poi stata così tanto male questa Pasquetta in famiglia, le sorprese non tutte insulse e i pregiudizi sempre duri a morire!
Traccia 1 L’Uovo – La sorpresa
Titolo: Duri a morire
Guardo mio marito che non prende pace, anche quando si ferma dal suo girovagare nel salotto, muove il piede con una frenesia ipnotica.
È sempre bello, ma ora ha tendini e nervi perennemente tesi. Sorride davvero raramente.
Non ho voglia di farmi trascinare nel suo vortice di recriminazioni, ho voglia di leggerezza. Vorrei bloccarlo con un abbraccio, ma è meglio buttarla in caciara:
“Lo sai che mia madre non mi comprerà l’uovo perché dice che ormai sono grande?”
Si è fermato, mi guarda stralunato, bocca semi aperta, già rido mentre continuo:
“Ma io devo mangiarlo, mica entrarci dentro!” rido sguaiatamente, di cuore. Ho letto la battuta su facebook e mi ha fatto morire, ho le lacrime. Riesco a coinvolgerlo, vedendomi in questo stato sorride. Lo bacio con passione, intenzionata a finire a letto, ma mi gela subito.
“No Titta, dobbiamo andare da zia, se non stiamo attenti, quella ci frega bene bene.”
Non posso fare a meno di girare indietro le orbite oculari e fare tremolare le palpebre, trattengo uno sbuffo, questa storia ci sta logorando. Non mi piace questo attaccamento ai soldi di Titto, è una novità, non siamo mai stati avidi, mai avuti grilli per la testa, ma da quando la zia materna super ricca ci ha comunicato di avere preso una dama di compagnia, lui sembra un animale in gabbia. È diventato sospettoso e arido.
“Scusa Titto, tua zia è ancora giovane, ha poco più di sessant’anni, è lucidissima. Avrà diritto di spendere i suoi soldi come meglio crede?”
Ora è lui ad alzare gli occhi al cielo. Mi viene da sorridere perché a lui non tremolano le palpebre, è come se avessi vinto.
L’allegria svanisce quando sento il suo tono aggressivo.
“Prima ha detto che voleva la dama di compagnia, perché si sentiva sola e aveva bisogno di un aiuto a casa, poi, quando le ho fatto notare che doveva dirlo a noi, i suoi unici nipoti, che l’avremmo accudita, ho visto come si è irrigidita la badante ed è venuto fuori che in realtà sta male e la dama sarebbe qualificata in campo medico. Sicuro è grave e quella ha già visto il malloppo a portata di mano.”
Sono pietrificata. Mi sento avvampare, ho conficcato le unghie malcurate nella pelle, stringendo i pugni fino a fare diventare bianche le nocche. Mi esce una voce acidula che mi fa montare la rabbia.
“Tu hai visto il malloppo!
Come ti sei permesso di coinvolgermi dicendo che l’avremmo accudita noi? L’abbiamo frequentata esclusivamente ai compleanni e a Natale e tu proponi entrambi per una cosa del genere? Ma non ti vergogni? Cosa sei diventato? Speri in una fantomatica eredità?”
Mi guarda stupito, è strano, non sembra arrabbiato, né ferito, oserei dire che è scioccato, ma non mi sembra ci siano i presupposti.
“Ma tu lo sai che possiede una fortuna? Palazzi interi, negozi al centro affittati, azioni, un vero patrimonio. Io non me ne sono mai interessato, ma ora questa storia della badante non mi va giù, si vede che prova a circuirla, non mi sta bene. Non è per i soldi, non solo. È una questione di principio e ora andiamo che è tardi.”
Lo seguo un po’ imbambolata, l’idea che venga truffata non va giù neanche a me, anche se ancora sento l’eco delle parole di Titto che mi mette in mezzo per accudire la zia.
Sono frenata da un sentimento ambiguo.
Mi sale dalla gola un rospo ingoiato qualche giorno prima, quando non avevo potuto sfogarmi perché c’era tutta la famiglia.
“Secondo te è normale che ci facciamo ospitare tutti da una donna che sta male, che secondo te è prossima alla morte? Potevamo andare in un ristorante e invitarla, almeno!”
Titto fa la sua espressione buffa, quando gli finisce sul naso la farfalla delle occasioni perse. Stringe le labbra di lato, piega la testa, colto in fallo, ma si riprende subito:
“Facciamola lavorare questa badante, la zia ha detto che le serviva un aiuto, questa mica penserà che le facciamo fare la bella vita facile facile!”
Ora ha un sorrisetto trionfante veramente puerile. Mi dà fastidio, non posso fare a meno di lanciare un attacco gratuito:
“Guarda che tua zia sarà dura a morire, vola basso con i tuoi sogni!”
Mi guarda evidentemente offeso, ma non proferisce parola.
Quando arriviamo ci sono già i genitori di Titto, oltre ad una decina di parametri più o meno lontani, curiosamente apparsi per stare vicini alla zia ricca ammalata. Imbarazzante.
È ora di metterci a tavola, a quanto pare non eravamo gli ultimi, il posto vicino alla zia è libero, non riesco a leggere il nome sul segnaposto, io e Titto le sediamo di fronte.
Scopriamo che per il pranzo ha ingaggiato un cuoco, un aiuto cucina e un cameriere.
La sua dama di compagnia si siede al posto lasciato libero, con buona pace dei commensali che non riescono ad evitare di ballare sulle sedie.
Io trovo questa Pasqua con sorpresa divertente.
Mio marito fissa la dama con sguardo ferino, io sorrido, ottenendo alcune delle sue occhiatacce.
Il pranzo è suntuoso e gustosissimo, le conversazioni stucchevoli ed interessate, la zia risponde distrattamente a tutti i lecchini, ma sembra a suo agio con la dama, che chiama confidenzialmente Lili, ridono e scherzano.
Percepisco ostilità nei suoi confronti da parte di tutti gli imbucati, perché questo siamo, non c’è dubbio.
Mi sembra veramente sgarbato l’ atteggiamento generale, decido di parlarle, dandole la dignità dell’ unica commensale gradita in questo giorno che dovrebbe essere di festa.
“Lili è il diminutivo del suo nome?” Mio marito mi molla una ginocchiata sotto al tavolo.
La dama ha uno sguardo dolce, mi risponde sorridendo:
“È un doppio diminutivo, mi chiamo Liliana Lila, che genitori creativi, non trovi?”
Ora è la zia ad agitarsi sulla sedia, la sta guardando con riprovazione? Forse non ritiene opportuno che mi dia del Tu, di certo è quello che pensa mio marito, che ora usa un tono astioso e insinuante.
“Lei, signora Lila, come avrebbe conosciuto la zia? Fa parte di una cooperativa? In genere le badanti non sono tutte rumene?”.
Vorrei sprofondare sotto il marmo del pavimento, assesto un calcio a mio marito che non ha nemmeno il buon gusto di incassare in silenzio, mentre mia zia, con tono decisamente alterato, afferma che la signora Lila, sottolineando signora, lavora all’ ospedale Biomedico, sta quasi urlando che è stimatissima, mentre Lili impone la sua calma solo poggiandole la mano sul braccio e conducendola verso la camera, rassicurandoci che va a somministrarle le medicine.
Sento che si sta alzando un mormorio generalizzato, spostamenti di sedie, mezze parole. Ho la voce fin troppo decisa nel ringraziarla e assicurando che l’avremmo aspettata, scusandomi io per eventuali malintesi
Eccoci, tutti intorno al tavolo, ci guardiamo pronti a fare ripartire la musica e togliere man mano una sedia alla volta, nella speranza che l’ultima rimasta non sia quella saldamente incollata al sedere di Lili.
Io me ne tiro fuori.
Li guardo uno ad uno, inchiodando alla fine lo sguardo su mio marito
“Non mi sono mai vergognata tanto. Non ti riconosco più. Abbiate tutti un po’ di rispetto.”
Neanche provano a controbattere, vorranno farsi trovare scodinzolanti al ritorno della zia.
Titto se ne esce che deve andare a prendere le sigarette, il mio disappunto raggiunge vette dall’ aria rarefatta, anche se credo sia meglio che esca per sbollire. Ne avrei bisogno anche io.
“Dove vai a Pasquetta a prendere le sigarette?”
Mi risponde veloce, ha fretta di uscire:
“Il bar dell’ ospedale è sempre aperto. Cinque minuti e torno”.
Mentre si chiude la porta alle spalle tornano Lili e la zia, non fanno domande, si siedono tranquille come se nulla fosse.
Apriamo le uova di cioccolata, qualche battuta sulle sorprese insulse, frasi banali, ammiccamenti residuali.
Il campanello premuto troppe volte e troppo a lungo cattura la nostra attenzione, spero non sia Titto, non è veramente modo.
Va la cameriera ad aprire, Titto entra come una furia, dito puntato contro Lila, con il petto la sovrasta.
“Giù la maschera impostora! Ti ho scoperta, ora ci dici chi sei veramente, voi intanto chiamate la polizia!”.
Guardo la scena incredula, azzardo:
“Titto sei impazzito? Ma cosa dici?”
*Dico che sono andato al Biomedico a chiedere le referenze dell’ infermiera Liliana Lila e mi hanno detto che non è affatto un’ infermiera, ecco cosa! Prendete tutte le medicine che somministra a questa povera donna, le facciamo esaminare dalla polizia, come minimo la sta avvelenando!“
Ha gli occhi fuori dalle orbite, anzi, è totalmente fuori di sé, vorrei urlargli di tacere, vorrei non essere qui, vorrei non avere nulla a che fare con nessuno.
Per assurdo cerco conforto nello sguardo di zia, sta gonfiando il petto come un piccione in amore, gli occhi segnati, colorito violaceo, credo possa esplodere letteralmente.
Lancia un urlo prima di parlare.
“Basta, basta, basta! La colpa è mia che mi sono preoccupata della vostra sensibilità” – ho gli occhi sbarrati nel vedere come scrolla la testa sillabando con una cantilena la parola sensibilità; sembra un mocio Vileda prima di essere strizzato.
Lili prova a cingerle le spalle, ma lei alza la voce ancora di un tono.
“Fammi fare l’indovina. Hai chiesto notizie sull’infermiera Liliana Lila e ti hanno risposto che non è un’ infermiera, tutto fiero sei corso qui a screditarla vero?
Non può essere andata altrimenti, perché al Biomedico tutti sanno che Lili è il direttore sanitario pro-tempore, mandato direttamente dalla fondazione, che tra l’altro è di sua proprietà, in Florida.
Doveva assicurarsi che tutto fosse perfetto per l’imminente vendita al gruppo spagnolo!”
Interviene la mamma di Titto, così ingenuamente che appena finisce di chiedere per quale motivo una persona con un lavoro simile dovesse fare la sua badante, io scoppio a ridere.
La zia mi guarda, forse sollevata, sgravata di un peso, complice.
Prima di parlare guarda Lila.
“Sono anni che torno in Italia solo per qualche giorno, quattro-cinque volte l’anno.
Non volevo sconvolgere nessuno, né essere nominata in infiniti rosari, ma ora basta.
Io e Lila stiamo insieme da nove anni, è stata la mia rinascita dopo la morte di Fausto. Non è la mia dama di compagnia, è la mia compagna di vita”.
Come seguendo un copione, la madre di Titto e almeno la metà dei presenti hanno schifato la rivelazione con frasi becere, al limite dell’ insulto.
Ho guardato mio marito, tremendamente imbarazzata per la sua sortita di pochi minuti prima e l’ho visto contrito, stretto nelle spalle.
Si è fatto coraggio con un sospiro prima di rivolgere nuovamente la parola alla zia.
“Scusami, ti prego perdonami. Sono un idiota totale. Anche tu Liliana… vorrei solo nascondermi per la vergogna. Sono stato tremendamente meschino, pieno di pregiudizi.”
Eccolo il mio vero Titto.
Corro ad abbracciare lui e poi vado a schioccare un bacio a zia e a Liliana.
In fondo non è poi stata così tanto male questa Pasquetta in famiglia, le sorprese non tutte insulse e i pregiudizi sempre duri a morire!