La scelta

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Matteo si alza con fatica dal letto: in piedi guarda la stanza spoglia, non ha tempo nemmeno per costruire un pensiero che la porta si apre ed entra l’infermiera per i soliti controlli di routine. “Buongiorno, come sta?”
“Bene grazie, Lei come va?”
Non che la cosa gli interessi particolarmente, d’altra parte gli è uscita una costruzione che ha imparato fin da piccolo come salutare o darsi la mano, finzioni del vivere sociale che solo un bambino non ancora incasellato è libero di ignorare. L’infermiera risponde veloce come se stesse per fuggire. “Bene, grazie.”  
Prima che l’infermiera si allontani Matteo ha una domanda da porle.
“Lei trova che questa clinica mi abbia migliorato? Secondo Lei sto meglio?” 
Due domande fatte in una stessa frase, troppe per una sola testa: l’infermiera per un attimo sembra stupita, le suona strano che la si interpelli, non è un dottore e a lei non spetta dare giudizi, Matteo però attende una risposta, la scruta con i suoi occhi magnetici costringendola a rispondere.
“Certo che sta meglio.”
In quell’istante suona un campanello, sembra quasi contenta, si gira, accenna un sorriso dicendo: “Torno dopo.”
Matteo lo sa che sicuramente non tornerà, è accerchiato da mille pensieri, quando l’infermiera chiude la porta lancia il cuscino all’indirizzo della porta. Cosa mai si aspettava che rispondesse? Quale verità mai le sarebbe potuta uscire dalla bocca? A un soldato non si chiede mai se è giusta la guerra nella quale magari morirà: o non lo sa o non lo vuole sapere, l’infermiera ha scelto la strada tracciata da altri, meglio raccontare la verità come gli hanno ordinato, anche se sembra giovane è vecchia del mestiere, in questi posti si arriva giovani e in poco tempo si diventa vecchi.
Forma, si ripete tra sé Matteo, forma per nascondere quello che non si può o non si vuole dire, che lo uomo celebrato come ‘pittore trascendentale’, quotato nelle varie gallerie, ora sia un uomo con un forte senso di autodistruzione, senza un buon equilibrio mentale, disarmato, inerme, troppo fragile per aver la fiducia nel domani. Gli psichiatri si mostrano comprensivi, cauti nella definizione del suo malessere, i termini che non lasciano margini di errore li riservano ai poveri, anonime ombre che non hanno niente e nulla possono fare se non far sentire il rumore delle lacrime dei loro famigliari.
Sempre gli stessi dottori affermano che Matteo sia in ripresa, ma questo è ridicolo, se sapessero cosa passa nei suoi pensieri smetterebbero con le loro inutili parole, perché lui sogna di avere una mazza chiodata e di inseguirli per i corridoi. Se qualcosa ha imparato da quando è in questo posto è mentire, lo fa continuamente, è il suo modo di non farsi spogliare per poi diventare un numero in una pratica. Quando i dottori cercano di scavare nei suoi pensieri, Matteo si rilassa, annulla tutto e immagina di essere su una spiaggia bianchissima e mentre loro indagano sulla sua mente lui si abbronza al sole di una probabile spiaggia dei caraibi. La recita riesce quasi sempre, mezz’ora passata a dialogare con dottori con occhi che paiono attenti, ma hanno la testa distratta dai loro impegni, ogni tanto pongono domande, aria fritta nemmeno buona per un vero malato mentre Matteo è solo un uomo in fuga.
Non tutti però sono uguali: una volta un dottore, uno dei pochi che amava il suo mestiere, gli disse: “Lei non è malato, dovrebbe lasciare il posto a quelli che stanno veramente male, lei non vuole affrontare il presente.”  
La clinica è un mare senza stelle, Alfonso il suo vicino di camera, però pare riconoscere la strada anche bendato, è la quarta volta in due anni che viene ricoverato: ogni volta tenta di suicidarsi tagliandosi le quattro vene dei polsi, ma fino ad ora non c’è mai riuscito, perché fondamentalmente, come lui stesso dice, vuole abituarsi a morire a tappe. Così, dopo essersi reciso le vene chiama l’ambulanza: l’ultima volta però lo hanno preso per i capelli, l’ambulanza aveva sbagliato indirizzo e solo grazie ad un vicino è stato salvato. E’ un buon uomo che cerca attenzione, uno di quelli con cui puoi pescare in una vasca da bagno immaginandosi di essere sul mare, ha una grande ironia, ma non basta a sostenere il peso della sua anima angosciata.
Immaginare Alfonso come un pover’uomo con dei fil staccati si sbaglia, sa fare un milione di cose: è un drago nel biliardo, ha vinto anche molte gare, sa cantare l’opera con voce da baritono, sa costruire storie piene di fantasia, se c’è qualcosa di bello in questo posto è proprio Alfonso, in giro non si trovano persone così interessanti. Matteo a parte un tempo dipingere sa fare ben poco ha vissuto solo per ritrarre non quello che vedeva ma quello che si immaginava, sciogliendosi il sangue in colore e ora che la sua mano destra dopo l’incidente in auto era rimasta lesionata è rimasto nudo in mezzo a gente che gli dà il terrore.
Guarda l’orologio, tra poco arriverà sua moglie, una donna a cui è difficile stabilire un’età, tutta spirito, curve, yoga, con sempre accanto il suo vasetto di crema antirughe che si porta dietro come un totem. Quando viene a trovarlo non sa mai cosa dire, ormai hanno talmente poco da dividere, è così lontana , ha sempre in testa qualcosa diverso da quello che dice, distaccata ai lamenti del cuore, maestra con cattedra ad honorem nello spendere in pochi minuti lo stipendio di un direttore di banca. Se qualcosa di Marina riesce ancora ad ammirare è il suo slancio vitale verso la ricerca di inutili distraenti scopi che la tengono impegnata. Matteo sa che prima o poi le primavere si trasformano in tristi autunni nessuno ha colpa se non lui, che ha preso la ferocia di una fiera, divorando se stesso e chi gli sta vicino perché non accetta di guardare la realtà senza il filtro della fantasia.
Ecco la verità mai detta ai dottori che fanno finta di pensare per poi naufragare nelle facili soluzioni. Per scrivere, per dipingere, per curare ci vuole un qualcosa di speciale e lui fino a qualche anno fa ce l’aveva: una sensibile intuizione che faceva brillare di luce la mente, ma a questi dottori non può spiegarlo, non capirebbero. Maledizione deve smettere di pensare, è tardi si deve muovere, meglio cominciare a prepararsi.
Un’ombra lo tormenta: da quant’è in questo posto? Non lo ricorda, come tante altre cose che sembrano essersi perse nella sua mente, potrebbe essere un mese o un anno poco cambierebbe. Apre l’armadio e guarda i suoi vestiti, fuori dalla finestra serrata c’è il gran spettacolo dell’inverno, i suoi vestiti sono leggeri, ma non importa, deve andarsene da questa prigione. Vestito in borghese davanti allo specchio gli pare quasi di non riconoscersi e indossando le scarpe riprende anche la sua giusta altezza. Si pettina e poi si siede ad aspettare, è tutta una vita che attende un qualcosa che lo porti lontano. Sa già che quando uscirà sua moglie accanto gli farà da scudo, è meraviglioso vederla nella parte della moglie-infermiera, recita così bene che quando si muovono insieme meriterebbe di avere ai lati una folla plaudente. Certe volte vorrebbe cancellare ogni deduzione e provare a illudersi, tentare di non ascoltare sempre il suo dolore, provare a vivere, ma il suo mare nero si muove perfettamente anche in pieno giorno. Scapperà via come fa il vento senza salutare né ringraziare, ha avvisato solo Alfonso, ma si è fatto giurare che non si sarebbe presentato: aldilà della durezza che mostra è un uomo fragile, se incontrasse gli occhi di  chi resta non avrebbe la forza di dire nulla  scivolerebbe via salutando e promettendo di rivedersi, una bestemmia che lo tormenterebbe la notte. 
Si avvicina alla finestra: il cortile pare un eden, un parco pieno di rose  e piante, una colorata bugia di questo posto dove per andare in cortile ci vuole il permesso del caposala. “Villa Eugenia”: un nome accattivante  che ricorda nell’immaginario feste e serate danzanti in estate quando il tempo concede tregua e si resta ad annusare l’aria e non si ha mai voglia di andare a dormire. In verità il nome è stato imposto da una nobildonna che donò la villa dove lei stessa era stata ricoverata per una forte depressione data dall’uso del troppo alcool. Depressione e alcolismo, due malattie sottili che entrano  come uno spiffero dentro la testa: chissà cosa mai pensava, forse che l’alcool lo potesse aiutare, o forse solamente che il pianto si potesse trasformare in una risata. Quando lo psicologo glielo aveva chiesto aveva atteso a rispondere:” Era così facile entrare in un bar e bere e allora il mondo si colorava e diventava sopportabile, le traverse prese divenivano goal, le labbra spesso serrate si aprivano ad un sorriso.
Di quel periodo Matteo rammentava poco, non era quasi mai lucido, ricordava solo di essersi colpito la mano destra con il martello per ben dieci volte fino a ridurla come una cosa strana similare ad un piatto fondo. Marina appena lo scoprì svenne, c’era tanto di quel sangue per terra da far sembrare il pavimento di casa un lago. Poi solo ospedali, cliniche, dottori, professori, infermieri e una veloce discesa verso gli inferi con la mano che restava attaccata, ma non era più la sua mano. Un senso di colpa universale lo tormentava, un peso che non riusciva a scaricare se non urlando in faccia a chiunque il male che lui stesso si era creato. Un pugno in faccia preso in un bar da uno che si era stufato delle sue intemperanze lo fece tornare a casa sanguinante, Marina appena tornata da una seduta di yoga  fu presa dallo sconforto come soluzione  si mise a piangere. Non aveva capito che qualcosa si era rotto dentro Matteo e non c’era modo di aggiustarlo. 
“Devi tornare a dipingere” gli continuava a ripetere, ma non capiva che non era certo la mano a fermarlo: i suoi occhi che incantavano e trasformavano si erano seccati e questo era un qualcosa di ben prima della mano ridotta a disco lunare.  Avrebbe potuto fare come fanno molti, riprodursi nelle stesse cose, rifare una cosa e dirla nuova, i critici l’avrebbero probabilmente applaudito come facevano per tanti altri, restar fecondo seppur sterile questo mai, il pittore era morto e ad un uomo modesto era toccato portare sulle spalle la sua bara. Aveva anche provato a essere come quelli che conosceva , tutti dicevano che era meglio essere flessibili, adeguarsi, andare a qualche conferenza dicendo le stesse cose davanti a giovani  con vecchi e noiosi pittori o  presenziare a qualche mostra  per dare pareri favorevoli a quadri dai colori tormentati, ma poi il residuo di quello che era stato gli rimbombava  nella testa ed era una lotta quotidiana che gli lacerava le carni, così presto mollò ogni cosa senza spiegazione. 
Una sera aveva sentito Marina lamentarsi al telefono con la madre, parole difficili da digerire ma forse giuste, un’altra volta percepì di nascosto a bassa voce la conversazione con il suo amante:” Non ce la faccio più, è ormai diventato un inutile vecchia scarpa.” Matteo sentendola aveva apprezzato il suo sforzo di fantasia nel paragonarlo a una scarpa vecchia, anche se il suo nuovo amore più che una scarpa sembra una caffettiera, ma in questi pensieri non c’era nessuna gelosia, ognuno ha un modo personale di distrarsi .
Ore 12 il tempo è arrivato: Matteo si avvicina alla finestra, eccola che attraversa il cortile con quel suo passo inconfondibile che mantiene in perfetto equilibrio sui soliti tacchi, guarda l’orologio, di solito ci mette tre minuti, quattro se non prende l’ascensore. Si specchia un’ultima volta. prende la sua valigia, si asciuga le labbra e poi prende un piccolo vasetto di marmellata che ha nascosto: si dipinge le labbra come se fosse rossetto poi se la spalma con attenzione sulle labbra e si mette vicino alla porta finché non ode i passi. Tre metri, due, uno la porta si apre lenta come se chi avanza non volesse disturbare, un attimo prima compare un corridoio di luce poi Marina è nella camera.
Lo intercetta con i suoi occhi color miele che ancora inghiottono emozioni, un’onda spumeggiante di profumo invade la stanza, Matteo le si para davanti e lei lo abbraccia. Matteo ha una leggera scossa, poi con le mani la scosta dicendo:” Andiamo.”
Marina si mette stranamente seduta sul bordo del letto.
“Ma cos’hai sulle labbra?”
“Veleno per te.” 
“Smettila di fare il matto e comunque complimenti per la fantasia. Sono pronta a morire, vieni fatti baciare.”
In un attimo alibi, ragioni, torti, si annullano, lei si avvicina e Matteo nuota nei suoi occhi; meglio ricordarsi che non ha ancora imparato a galleggiare. Lei non attende e lo bacia, la luna costruita nella mente diventa sole. Camminando nel corridoio che porta all’uscita, Matteo vede l’albero di Natale con le sue lucine da luna park e ricorda che una sera era sgattaiolato fuori dalla sua camera e nel semi buio quelle luci gli avevano dato angoscia. Si avvicina all’albero e gli assesta un calcio facendolo rovinare a terra.
Marina lo strattona: “Cosa diavolo fai?”
 Matteo si mette ad urlare e a dare pugni sul muro fino a farsi uscire il sangue. Marina prova a fermarlo, ma è inutile. Arrivano due infermieri, lui li vede e fugge, ha un’insolita e inaspettata velocità, il tutto sembra quasi una di quelle barzellette raccontate al bar, il paziente che corre con due infermieri che lo inseguono. Matteo raggiunge camera sua, vi si infila dentro e poi si barrica, i due infermieri forzano la porta, ma prima di sfondarla vogliono avere l’autorizzazione dal direttore. Intanto lui in camera se la ride, si era dimenticato che senza qualcuno che muova i fili le marionette restano ferme.
Arriva di corsa il Direttore, un uomo di mezza età, mellifluo, con la voce stridula che facilmente diventa collerico assumendo il colore di un pomodoro. Matteo appoggia l’orecchio alla porta: il Direttore accusa gli infermieri, i due si giustificano, poi uno prova a forzare la porta.
“Se entrate mi impicco con la cinta dei pantaloni.”
“Mi dica, cosa vuole?”
”Voglio solo rimanere qui nella mia camera.”
Marina entra nella discussione: “Amore, ma perché, non vuoi tornare a casa?”
“Perché qui sto bene.”
Passano minuti angoscianti, poi Marina prova ancora: “Amore sei proprio sicuro di voler restare?” Matteo urla: “Siiiii!”, poi si sdraia sul letto lasciando entrare gli infermieri e il Direttore. Marina resta sulla porta, le lacrime gli fanno gli occhi più belli.
Alla fine il Direttore rivolgendosi a lei dice: “Signora, se lei non ha nulla da eccepire il paziente vuole restare di sua volontà.”
Marina non prova a dire altro, la cosa l’ha resa esausta, si avvicina a Matteo, lo vorrebbe abbracciare, ma lui evita il contatto e per difendersi si mette a cantare a squarcia gola. Lei lo guarda triste e poi, accompagnata da un infermiere, si allontana.
La stanza si svuota e Matteo resta solo. Dalla piccola finestra vede il teatro che si anima di attori: Marina che parla nel cortile con i dottori e poi allarga le braccia, arriva anche, chiamato sicuramente da lei, l’amante che la sorregge mentre piange. E’ interessante, Matteo lo osserva come uno studioso fa con gli insetti; è nervoso, sembra seduto su dei bracieri ardenti, vorrebbe essere in tutt’altro posto, ma la forma e la richiesta d’aiuto lo legano a questo teatrino. Piano si allontanano lei alza la testa e guarda all’indirizzo della camera di Matteo che lesto si ritrae come una chiocciola nella sua conchiglia. Passa un’ora, fuori tutto rimane com’è, il mondo è tutto qui finisce dove i pensieri non riescono ad arrivare. Matteo ha fatto una scelta, ormai ha capito che è come una lucertola che ama sdraiarsi al sole, ma che se qualcuno si avvicina fugge: dentro il mondo non ci sa più stare, è troppo grande, lo stordisce con le sue false propagande di libertà e di giustizia, con il suo progresso incessante, con le illusioni delle sue pillole magiche vendute in ogni angolo, sovvertire la società è un’utopia come tentare di  volare, dunque ha deciso, resterà di guardia come un soldato a osservare dal piccolo rettangolo di vetro l’incedere lento dell’inverno.

Re: La scelta

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Ciao @Sarano

con questo racconto mi hai fatto entrare nella testa confusa di Matteo. Una personalità complessa che si scopre man mano che procede la narrazione.
Non si tratta di una vera e propri storia, ma di un “quasi” flusso di pensiero e, come tale, rivela aspetti psicologici e caratteriali che portano il protagonista alla scelta finale di restare nella clinica psichiatrica dove sembra si sia voluto internare nonostante tutti (dai dottori, agli infermieri, alla moglie) gli continuino a dire che non ha bisogno di trattamenti di quel tipo.
Il testo è disturbante per certi contenuti, si percepisce bene il disagio mentale e affettivo di Matteo. 
Il finale è molto efficace e mi è piaciuta tanto l’ultima frase (la precede uno spiegone che potevi evitare)
Sarano ha scritto: dunque ha deciso, resterà di guardia come un soldato a osservare dal piccolo rettangolo di vetro l’incedere lento dell’inverno.
Un aspetto migliorabile è la formattazione del testo. Il cosiddetto muro di parole allontana il lettore e se aggiungi il fatto che non succede quasi  niente (se non nella testa di Matteo), la lettura risulta abbastanza faticosa. Bisogna stare concentrati e alla lunga questo stanca. C’è anche qualche errore di consecutio temporum (trapassato prossimo e p. remoto nello stesso periodo) e qualche virgola fuori posto.
Si avverte anche la necessità di “sfrondare” il testo. Ci sono frasi ridondanti che esprimono lo stesso concetto più volte, sostantivi ripetuti nel giro di poche righe che necessiterebbero l’uso almeno di sinonimi. Sono pensieri in libertà ed è particolare che non si stata utilizzata la prima persona per la narrazione, ma un narratore esterno con focalizzazione interna (ma non sempre riuscita) sul protagonista.
Mi è piaciuto anche l’inserimento della figura di Alfonso che risulta ben caratterizzato
Sarano ha scritto: Se qualcosa di Marina riesce ancora ad ammirare è il suo slancio vitale verso la ricerca di inutili distraenti scopi che la tengono impegnata.
in poche righe.
Appare nel quindi un testo interessante ma ancora acerbo, una lavorazione grezza che può migliorare una volta sfoltita e meglio formattata.
Sarano ha scritto: L’infermiera risponde veloce come se stesse per fuggire. “Bene, grazie.”  
Prima che l’infermiera si allontani Matteo ha una domanda da porle.
“Lei trova che questa clinica mi abbia migliorato? Secondo Lei sto meglio?” 
Due domande fatte in una stessa frase, troppe per una sola testa: l’infermiera per un attimo sembra stupita, le s
Sarebbe da usare un pronome o un sinonimo per il sostantivo infermiera (per es.)
Sarano ha scritto: La clinica è un mare senza stelle,
Strana questa similitudine. Hai trasformato un luogo comune abusato in un “nonsense”
Sarano ha scritto: nello spendere in pochi minuti lo stipendio di un direttore di banca.
Da ex direttore di banca ti dico che questo è un luogo comune bello e buono  :facepalm:

Sarano ha scritto: Matteo a parte un tempo dipingere sa fare ben poco ha vissuto solo per ritrarre non quello che vedeva ma quello che si immaginava, sciogliendosi il sangue in colore e ora che la sua mano destra dopo l’incidente in auto era rimasta lesionata è rimasto nudo in mezzo a gente che gli dà il terrore.
Uno sprazio di verità? Matteo era un pittore affermato, un uomo ricco. Ha avuto un incidente per cui ha dovuto smettere di dipingere (per la mano lesionata) oppure si è procurato egli stesso la lesione?
Sarano ha scritto: Se qualcosa di Marina riesce ancora ad ammirare è il suo slancio vitale verso la ricerca di inutili distraenti scopi che la tengono impegnata.
Questa frase ho dovuto rileggerla più volte. Marina viene dipinta come una donna arida, anaffettiva, dalle mani bucate, eppure Matteo di c’è di ammirarla perché si tiene impegnata con “inutili distraenti (bruttino) scopi”.
Sarano ha scritto: Di quel periodo Matteo rammentava poco, non era quasi mai lucido, ricordava solo di essersi colpito la mano destra con il martello per ben dieci volte fino a ridurla come una cosa strana similare ad un piatto fondo
Incidente o follia auto distruttiva? Il dubbio resta.
Sarano ha scritto: Si asciuga le labbra e poi prende un piccolo vasetto di marmellata che ha nascosto: si dipinge le labbra come se fosse rossetto poi se la spalma con attenzione sulle labbra e si mette vicino alla porta finché non ode i passi
Anche l’idea di dipingersi le labbra con la marmellata è parecchio forte.

Certo che alla fine Matteo dice di aver scelto di restare, ma forse la possibilità di scegliere stava solo nella sua testa considerato il livello di follia dei suoi pensieri. Avrei immaginato di vederlo suicida, dunque il finale mi ha favorevolmente sorpresa.

Re: La scelta

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Premetto che non è il mio genere, ma andando avanti la follia del protagonista mi ha incuriosito.
Matteo è un pittore e come molti artisti della tela è pazzo, questo è uno stereotipo un po' scontato forse, ma certo ma il suo "male" non è banale, accosta atteggiamenti sani e insani con un' "armonia" insolita, cosa che lo rende un buon personaggio: Mi piace la lucidità con la quale chiede all'infermiera se secondo lei è migliorato, sa benissimo della falsità della risposta, ma in fondo tutte le persone sane hanno bisogno di qualche buona bugia per vivere meglio. 
Non mi piace la punteggiatura del racconto e poco armoniosa, e non trovo il senso dell'uso della virgola così cadenzato, rivedrei l'uso della pausa breve in tutto il racconto, ma potrebbe darsi che sono io valutare male visto che non leggo mai, e dico mai, cose simili.
La parte che più mi piace è questa:

"La clinica è un mare senza stelle, Alfonso il suo vicino di camera, però pare riconoscere la strada anche bendato, è la quarta volta in due anni che viene ricoverato: ogni volta tenta di suicidarsi tagliandosi le quattro vene dei polsi, ma fino ad ora non c’è mai riuscito, perché fondamentalmente, come lui stesso dice, vuole abituarsi a morire a tappe. "

Alfonso con il suo suicidio a rate è forse alla ricerca delle stesse bugie di Matteo, che da artista matto si è comunque legato in modo molto avveduto a una donna bella alla moda e contemporanea, il massimo della sanità mentale insomma.

Un bel racconto al quale farei una manutenzione straordinaria in termini di punteggiatura e dialoghi (questi dovrebbero essere molto più imprevedibili visti i personaggi), continuerei a far fare cose a Matteo per scoprire se riesce a resistere in questo straordinario equilibrio.

Grazie di aver pubblicato, spero di leggerti ancora, mi auguro di non aver scritto nulla di male.

Ettore

Re: La scelta

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Bel pezzo, un racconto godibile da un punto di vista molto interessante; mi è piaciuto molto come il protagonista "vede" o crede di vedere il mondo e come se lo auto-rappresenta, dando a tratti la sensazione che lui stia descrivendo cose inesatte, e che si stia leggendo solo la sua percezione di chi e ciò gli ruota attorno.
La forma andrebbe un poco rifinita, molte frasi hanno pochissime virgole o potrebbero essere spezzettate in più segmenti per renderle più scorrevoli; potresti anche andare a capo più spesso, per evitare l'effetto "muro". In particolare andrei sempre a capo per i dialoghi, così da renderli più evidenti al lettore, complici anche le virgolette alte che usi e che a volte possono passare inosservate se non si presta troppa attenzione.
Sarano ha scritto: Matteo si alza con fatica dal letto: in piedi guarda la stanza spoglia
Non mi convincono troppo i due punti, consiglierei o un punto fermo o un punto e virgola, ma è una preferenza 
Sarano ha scritto: l’infermiera ha scelto la strada tracciata da altri, meglio raccontare la verità come gli hanno ordinato
Se non ho capito male la costruzione della frase, qui si sta parlando della infermiera, quindi ci andrebbe il le
Sarano ha scritto: Saranochiude la porta lancia il cuscino all’indirizzo della porta.
Porta ripetuto due volte a strettissimo giro, forse si potrebbe omettere la seconda menzione e usare un'altra forma, "all'indirizzo del legno" o "dietro di lei"
Sarano ha scritto: La clinica è un mare senza stelle, Alfonso il suo vicino di camera, però pare riconoscere la strada anche bendato, è la quarta volta in due anni che viene ricoverato: ogni volta tenta di suicidarsi tagliandosi le quattro vene dei polsi, ma fino ad ora non c’è mai riuscito, perché fondamentalmente, come lui stesso dice, vuole abituarsi a morire a tappe.
Prendo questa come frase d'esempio; secondo me è troppo lunga e con troppi concetti all'interno, dividerla o almeno "rallentarla" potrebbe aiutare il lettore. Ti consiglierei, evitando anche la ripetizione, una cosa del tipo: "La clinica è un mare senza stelle. Però Alfonso, il suo vicino di camera, pare riconoscere la strada anche bendato. È il quarto ricovero in due anni: ogni volta tenta di suicidarsi tagliandosi le quattro vene dei polsi, ma finora non c'è mai riuscito. Fondamentalmente perché, come lui stesso dice, vuole abituarsi a morire a tappe"
Sarano ha scritto: Matteo a parte un tempo dipingere sa fare ben poco ha vissuto solo per ritrarre non quello che vedeva ma quello che si immaginava, sciogliendosi il sangue in colore e ora che la sua mano destra dopo l’incidente in auto era rimasta lesionata è rimasto nudo in mezzo a gente che gli dà il terrore.
La prima riga della citazione è un po' complessa, e va riletta per essere compresa bene. Potresti provare: "Matteo, a parte dipingere, un tempo, sa fare ben poco. Ha vissuto solo per ritrarre non quello che vedeva, ma quello che si immaginava, sciogliendosi il sangue in colore. E ora, con la mano destra lesionata dopo l'incidente in auto, è rimasto nudo in mezzo a gente che gli dà il terrore"
Sarano ha scritto: si dipinge le labbra come se fosse rossetto poi se la spalma con attenzione sulle labbra
Qui non ho ben capito: "dipinge" le labbra con la marmellata e poi la spalma sempre sulle labbra? Non ho capito se l'azione di dipingerle viene fatta con un altro oggetto o se sempre con la marmellata, perché se così fosse sarebbe una ripetizione dello stesso concetto, che potresti sintetizzare. Se invece dipinge con qualcos'altro e poi ci spalma sopra la marmellata, sarebbe meglio specificarlo per evitare confusione 
Sarano ha scritto: il Direttore, un uomo di mezza età, mellifluo, con la voce stridula che facilmente diventa collerico
Pare che a "diventare collerico" sia la voce del direttore, sostituirei il "che" con una virgola, così da riferire la frase direttamente al soggetto 
Sarano ha scritto: Marina resta sulla porta, le lacrime gli fanno gli occhi più belli.
Se è Marina a piangere, "le fanno gli occhi più belli"; se è Matteo, andrebbe scritto prima, per evitare confusione 

Re: La scelta

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Ciao @Sarano  
inizio dai dettagli e poi proverò a esprimere un'opinione più generale.
Sarano ha scritto: per i soliti controlli di routine.
Se sono di routine, sono ripetuti regolarmente, quindi è inutile aggiungere l'aggettivo "soliti". In genere, è preferibile non abbondare in parole e espressioni che hanno lo stesso significato, anche se sembra contro-intuitivo, il troppo toglie alla narrazione invece di favorirla.

Sarano ha scritto: L’infermiera risponde veloce come se stesse per fuggire. “Bene, grazie.”  
Prima che l’infermiera si allontani Matteo ha una domanda da porle.
Non serve ripeterlo, si capisce che è a lei che si riferisce.
Sarano ha scritto: la scruta con i suoi occhi magnetici
Il tuo racconto è narrato in terza persona, ma a focalizzazione interna: vediamo tutto attraverso la percezione e le reazioni di Matteo. Che gli occhi sono magnetici, al massimo, potrebbe pensarlo l'infermiera, ma noi seguiamo il punto di vista di Matteo ed è poco naturale che lui si soffermi a pensare "la guardo con occhi magnetici". Eviterei il dettaglio, che non aggiunge nulla, oltretutto.
Sarano ha scritto: Forma, si ripete tra sé Matteo, forma per nascondere quello che non si può o non si vuole dire, che l'uomo celebrato come ‘pittore trascendentale’, quotato nelle varie gallerie, ora sia un uomo con un forte senso di autodistruzione, senza un buon equilibrio mentale, disarmato, inerme, troppo fragile per aver la fiducia nel domani.
Non ho capito cosa intendi con "forma": formalismo? usare le buone maniere e le formalità per nascondere che ecc? E perché "si ripete? Non mi sembra che abbia già usato l'espressione prima. La usa ora per la prima volta. La punteggiatura del periodo è da rivedere: è troppo lungo per essere gestito solo da virgole. Faccio un esempio, ma a te di vedere come migliorare la punteggiatura a tuo gusto. "Forma, ripete tra sé Matteo, forma per nascondere quello che non si può o non si vuole dire: che l'uomo celebrato come ‘pittore trascendentale’, quotato nelle varie gallerie, ora sia vittima di un forte senso di autodistruzione, senza un buon equilibrio mentale. Disarmato, inerme, troppo fragile per aver fiducia nel domani."
Sarano ha scritto: immagina di essere su una spiaggia bianchissima e mentre loro indagano sulla sua mente lui si abbronza al sole di una probabile spiaggia dei caraibi.
si abbronza al sole di una spiaggia, probabilmente dei Caraibi.
(Non è la spiaggia a essere probabile, quella la immagina per certo, è dove stia quella immaginaria spiaggia a non essere sicuro ma solo probabile)
Sarano ha scritto: Immaginare Alfonso come un pover’uomo con dei fil staccati si sbaglia, sa fare un milione di cose:
Qui la sintassi è sbagliata.
"A immaginare Alfonso [...] si sbaglia"
"Se si immagina Alfonso [...] si sbaglia"
"Chi immagina Alfonso [...] si sbaglia"
Scegli tu.
Sarano ha scritto: Matteo a parte un tempo dipingere sa fare ben poco ha vissuto solo per ritrarre non quello che vedeva ma quello che si immaginava, sciogliendosi il sangue in colore e ora che la sua mano destra dopo l’incidente in auto era rimasta lesionata è rimasto nudo in mezzo a gente che gli dà il terrore.
"A parte dipingere, Matteo sa fare ben poco. Ha vissuto solo per ritrarre non ciò che vedeva ma che immaginava, sciogliendo il sangue in colore. Da quando la sua mano destra è rimasta lesionata in un incidente d'auto, si ritrova nudo in mezzo a gente per cui prova terrore."
Devi fare attenzione alla punteggiatura, alle ripetizioni e ai tempi verbali. Quel trapassato non ha ragion d'essere, qui.
Sarano ha scritto: una donna a cui è difficile stabilire un’età
Anche qui: il narratore ci mostra tutto visto dal pov di Matteo, lui conosce sicuramente l'età di sua moglie, la frase è un po' forzata. Forse, puoi dire: "a vederla è difficile capire la sua età", o una cosa simile, vedi tu. (Tra l'altro, la costruzione "stabilire a" non mi convince.)
Sarano ha scritto: Depressione e alcolismo, due malattie sottili che entrano  come uno spiffero dentro la testa: chissà cosa mai pensava, forse che l’alcool lo potesse aiutare, o forse solamente che il pianto si potesse trasformare in una risata. Quando lo psicologo glielo aveva chiesto aveva atteso a rispondere:” Era così facile entrare in un bar e bere e allora il mondo si colorava e diventava sopportabile, le traverse prese divenivano goal, le labbra spesso serrate si aprivano ad un sorriso.
Tutto questo passaggio, come si capisce nel paragrafo successivo, è riferito a Matteo. ma scritto così, senza specificarlo, inserito dopo la spiegazione sulla donna cui deve il nome la clinica, sembra riferito a lei. Dovresti chiarire la cosa, per esempio inserendo il soggetto, Matteo, nella frase "chissà cosa pensava" o vedi tu come.
Sarano ha scritto: Avrebbe potuto fare come fanno molti, riprodursi nelle stesse cose, rifare una cosa e dirla nuova, i critici l’avrebbero probabilmente applaudito come facevano per tanti altri, restar fecondo seppur sterile questo mai, il pittore era morto e ad un uomo modesto era toccato portare sulle spalle la sua bara.
Nella prima parte, l'onnipresenza del verbo fare è cacofonica, dovresti riformulare con sinonimi o meno verbi. La seconda parte è molto riuscita: ottime immagini sia il fecondo sterile che la bara del pittore scomparso retta dalle spalle dell'uomo che è rimasto, scomparsa la sua arte.
Sarano ha scritto: un'inutile vecchia scarpa
Sarano ha scritto: si mette stranamente seduta sul bordo del letto
"Stranamente" non rivela nulla al lettore. O rendi visibile questa stranezza: Si siede rigida? Di sghembo? Scomoda? A metà? Con una gamba piegata e l'altra tesa? (o quel che avevi in mente tu), e scrivi in che modo strano è seduta, oppure lasci stare, perché stranamente non ci dice nulla. Rifletti anche se questa stranezza abbia un ruolo nella narrazione. Se non ce l'ha, evita.
Sarano ha scritto: un uomo di mezza età, mellifluo, con la voce stridula che facilmente diventa collerico
servirebbe una seconda virgole, tra stridula e che.
Mellifluo, voce stridula e tendente alla collera mi sembrano caratteristiche che difficilmente vanno assieme. Uno mellifluo tende ad addolcire la voce e dissimulare la collera. Urlare e diventare paonazzi è tutt'altro che mellifluo.
Sarano ha scritto: Matteo che lesto si ritrae come una chiocciola nella sua conchiglia. Passa un’ora, fuori tutto rimane com’è, il mondo è tutto qui finisce dove i pensieri non riescono ad arrivare. Matteo ha fatto una scelta, ormai ha capito che è come una lucertola
Le due metafore animali ravvicinate rischiano di avere un effetto comico, che non credo sia il tuo intento.

Vengo al commento complessivo: l'idea è interessante, il personaggio di Matteo è ben presente, ci appassioniamo alle sue elucubrazioni e alla sua sofferenza. Però, anche se parliamo di qualcuno con la mente confusa e in sofferenza, ci sono dei passaggi che mi paiono contraddittori e poco chiari. Per due terzi del racconto dice che vuole andarsene, non può più stare lì, vuole fuggire; ma alla fine decide di restare rinchiuso è tutto ciò che vuole. Perché? Quando ha cambiato idea?
Dici che con la moglie non hanno più nulla da dirsi, più nulla in comune, ma poi immagina alla complicità perfetta con cui fuggirebbero; dimenticano rancori, ragioni e torti e si perdono in un bacio appassionato e assoluto.
Lei esce, scortata dai medici e arriva l'amante: quando l'avrebbe chiamato, dato che la "crisi" di Matteo è appena finita? L'aveva accompagnata e aspettava in auto? Improbabile, dato che lei pensava di venire a prendere Matteo e portarlo a casa.
Ci sono altri punti che mi lasciano perplessa: il problema di Matteo sembrerebbe aver perso l'intuizione, il talento, l'arte (chiamiamolo come preferisci), ma nel finale il problema sembra essere diventato il suo essere inadatto al mondo attuale: troppo grande, troppo progresso, ecc. 
Insomma, ci sono delle belle idee e delle immagini e intuizioni davvero riuscite, ma secondo me il racconto merita d'essere ripreso e ripensato per renderlo più coerente ed efficace. Decidere qual è "il male" di Matteo, quale il suo rapporto con la moglie e col mondo, e concentrarsi a raccontarli. Senza volerci mettere troppe cose, i massimi sistemi e profusione di immagini a effetto.
Per quanto riguarda la forma, ci sono molte ripetizioni inutili e facilmente rimediabili. Fai attenzione anche ai tempi verbali: ogni tanto passi indifferentemente dal passato prossimo al remoto al trapassato, in modo ingiustificato.
A livello sintattico, usi spesso dei periodi eccessivamente lunghi retti solo da virgole, anche quando il soggetto e il tema cambia: devi rivedere la punteggiatura, perché così sono difficilmente leggibili.

Spero di non averti rotto troppo le scatole, vedi tu cosa ti sembra utile in tutto quel che ti ho detto, ignora il resto :)
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)
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