[Lab12] Mal d'amore

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Alle 7.50 di un venerdì qualunque, Paride Benincasa, pallido, emaciato e con addosso solo il pigiama, entra in commissariato, arranca fino al bancone e ci si aggrappa con le mani rinsecchite.
«Voglio denunciare un assassinio, il mio» mormora con un filo di voce e si accascia a terra.
«Commissario, corra!» urla l’agente Guareschi.
Ancora col cappotto addosso, Ermete Nardelli si china sul corpo «Chiama un’ambulanza!» Mette due dita sul collo dell’uomo, scuote la testa: «È andato.»
Dieci minuti, barella, lenzuolo, il corpo sale, il portellone si chiude.
«Paride!» urla un uomo che arriva di corsa.
«Dove lo portano? Perché quel lenzuolo?» grida un altro.
«Paride!» urla un terzo. Un attimo di silenzio poi tutti dentro, sempre di corsa, sgomitando e spintonando Guareschi che cerca di fermarli: «Calmatevi, signori, calmatevi!»
«Portali da me» fa Nardelli e subito, a sentire quella voce, i tre si placano e si lasciano condurre nella stanza del commissario.
Luigi Fontana, ex farmacista, Torquato Passalacqua, ex barbiere e Clemente Arrigoni, ex giardiniere comunale, tutti ex data l’età, se ne stanno seduti davanti alla scrivania.
«Ora, con calma, mi dite quello che è successo» dice Nardelli.
«Eh no, commissario!» insorge Torquato «Siamo noi che vogliamo saperlo!»
Quello sospira e guarda l’orologio sul muro: Ora di colazione e un quarto. Invece niente, manco un caffè, cominciamo bene.
«Il vostro amico è deceduto, e questo l’avete capito.» Lo dice pacato, come farebbe con dei bambini spaventati. «Il resto ce lo dirà il medico legale.»
«Sì, ma quando?» fa Luigi.
«Appena potrà. Adesso invece ho bisogno di sapere da voi chi era Paride, perché si chiamava così, vero?»
«Sissignore» fa Clemente, «Paride Benincasa. E per noi era molto più che un amico.»
«Un fratello. Sì, un fratello!» dice Torquato.
E, un poco alla volta, tra un sospiro e un singhiozzo trattenuto, i tre riescono a dare caotica quanto accorata testimonianza dei fatti. Non tanto di come Paride sia potuto finire col cartellino al piede su un tavolo d’acciaio, ma di tutto quello che era successo prima. Perché di cose ne erano successe a quella famiglia disgraziata, che chiamarla famiglia sembra quasi deriderla.
«Mi creda, commissario» dice Luigi, «non ci fossimo stati noi a confortarlo, a strappargli un sorriso, sarebbe crollato e avrebbe fatto la stessa fine della povera Clara, che era la moglie. Oddio, moglie … »
«Bella come un angelo, era una furia dell’inferno» fa Clemente. «Pensi che una volta Paride arrivò con una mano fasciata. Un morso, capisce? Gli aveva affondato i denti fino all’osso, che fu costretto a darle un colpo in testa per liberarsi.»
«Un’altra volta» dice Torquato, «gli si avventò con una bottiglia rotta che, guardi, c’è mancato un pelo e finiva sgozzato.»
«Quindi fu costretto a darle un altro colpo in testa.»
«Questo non lo so, certo fu la goccia che fece traboccare il vaso» dice Luigi. «Dovette farla ricoverare, perché capisce, in quelle condizioni, come poteva gestirla? Fece venire l’ambulanza di notte, che nessuno vedesse, e da allora è rimasta là.»
«Una famiglia distrutta» dice Clemente. «E il bambino? Povero figlio, Paride fu costretto ad allontanarlo. «Non deve vedere in che stato è ridotta la madre!» disse e non finiva più di piangere.»
«Una creatura, nemmeno due anni» fa Luigi. «Strappato da casa e affidato a certi zii americani, vissuto e cresciuto laggiù, non è mai tornato, sicuro che non sa manco chi siano i veri genitori. Ma se l’immagina?»
«Quindi Clara adesso è…» dice Nardelli.
«No, non è» fa Torquato.
«In che senso?»
«Dopo il ricovero le crisi divennero sempre più violente e alla fine si tolse la vita.»
«Ah. Ma dove è successo?»
«Paride non ce l’ha mai voluto dire» dice Luigi.
«Quindi, fatemi capire, nessuno di voi ha visto mentre la portavano via.»
«Di notte, commissario, per decenza.»
«E nessuno sa nemmeno dove l’abbiano portata.»
«Gliel’ho detto: Paride non ha voluto. Del resto, che differenza avrebbe fatto? Un posto o l’altro nessuno ci sarebbe mai andato. A fare cosa, poi?»
«Lui invece sì, ci andava almeno una volta a settimana» dice Clemente. «Perché, nonostante tutto, continuava ad amarla. «È la donna della mia vita» diceva. Partiva a buon’ora e tornava di sera con una faccia che non le dico.»
«E quando è morta» fa Torquato, «tutti abbiamo temuto che anche lui la facesse finita.»
«Però non è successo perché voi gli siete stati vicino. Dico bene?»
«Le cene, commissario. È stata un’idea di Luigi per distrarlo. Si andava tutti a casa sua, si mangiavano cose buone e poi si giocava a carte, si chiacchierava, si beveva un bicchiere e quando ce ne andavamo lui sembrava un po’ più sereno.»
«Poi però…» fa Clemente con un sospiro «ha cominciato a deperire. Dolori terribili all'addome, non riusciva più a camminare. I medici trovarono ulcere in tutto l'intestino, anomalie nel sangue e infiammazioni a fegato e pancreas. Alla fine era così debole che le cene le facevamo in camera da letto, dato che di alzarsi proprio non ne aveva la forza. Mangiare, poi è una parola grossa. Lo imboccavamo con un cucchiaino e per bere una cannuccia.»
«Però non lo abbiamo abbandonato. Mai. C’era sempre qualcuno con lui.»
«Anche stanotte?»
Torquato e Clemente si voltano verso Luigi.
«Sì, avrei dovuto esserci io» dice quello a bassa voce.
«Come avrei?» fa Torquato «Li hai voluti tu i turni di notte perché soffri di insonnia!»
«Mi sono allontanato solo un momento, un quarto d’ora, venti minuti al massimo.»
«Quindi l’hai lasciato da solo!» inveisce Clemente.
«Ma no, è che…»
«No un cazzo!»
«Scusate!» fa il commissario e dà una manata sulla scrivania. «Se permettete, qui le domande le faccio io.»
Silenzio. I tre fissano Nardelli.
«Allora, signor Fontana…»
«È vero: mi sono allontanato, ma per poco. Giusto il tempo di una boccata d’aria che in quella stanza… insomma, commissario quel poveretto…»
«Scoreggiava e allora?» grida Torquato «Che non scoreggi tu?»
«Ma sapeva di morto, cristo santo! Tutto là dentro sapeva di morto!»
«Una boccata d’aria, va bene» fa il commissario. «Però poi è rientrato, giusto?».
«Sì, ma Paride non c’era più. L’ho cercato per tutta casa, niente. Allora sono corso fuori e, siccome di lui non c’era traccia, ho chiamato gli altri e sono venuto qui. Il resto lo sa.»
 
Rimasti soli, il commissario Ermete Nardelli e il suo vice, Pier Giacomo Carsoli, si guardano in silenzio.
«Brutta storia» fa Carsoli.
In quel momento si affaccia l’agente Guareschi: «Ci sarebbe la signora Anna Pontremoli, la governate dei Benincasa. Faccio passare?»
Il donnone biondo si accomoda e fissa corrucciata il commissario, manco le avesse fatto qualcosa.
«Mi dica tutto, signora.»
«Io non ci volevo venire, che con voi sbirri sono sempre guai, però…» tira fuori un fazzolettino ricamato e ci strombazza dentro «Però una cosa così… Prima la signora, adesso il signore, ma sant’Iddio, non c’è mai pace per quei poveri disgraziati!» dice piangendo.
«La signora sarebbe la moglie.»
«E certo! Chi sennò?» mugola stizzita «Ci sto da quindici anni coi Benincasa, che s’erano appena sposati. Lui più che benestante, viveva di rendita, lei appena ventenne, un fiore, che il marito stravedeva, guai a chi le avesse dato un’occhiata di troppo. Poi successe qualcosa, non saprei dire che, ma la signora Clara andò fuori di testa. Lui se l’è tenuta finché ha potuto, però chiusa in una stanza perché, è brutto da dire, ma si vergognava di avere una pazza in casa. E allora cominciò l’inferno. L’inferno, commissario, mi creda. Lui faceva finta di niente, ma io la sentivo gridare, persino raspare alla porta come una bestia in gabbia. Finché una mattina vidi quella porta aperta, la stanza vuota e un silenzio da ghiacciare il sangue. «È meglio così, Anna. Adesso la cureranno e troverà un po’ di pace.» Così mi disse il signor Paride. Un po’ di pace… Forse adesso l’ha trovata anche lui.»
«Va bene, grazie signora Anna.»
Lei si alza, fa per andarsene, si gira: «Prendetevela pure con calma. Tanto quello che doveva succedere è già successo.» esce e chiude la porta.
«Che avrà voluto dire?» fa Carsoli.
Il commissario si stringe nelle spalle, poi comincia a pizzicarsi il mento. «Ma non ti suona strano? Tutti sanno tutto, ma nessuno ha visto niente. Non direttamente, almeno.»
«In effetti...»
«E tutto ruota attorno a quella donna. Voglio sapere dove e come è morta.»
«Sempre che sia morta davvero.»
«Oh cristo santo!»
«Sempre sia lodato.» Corpulenta, occhi di cristallo, una suora di quelle con le maniche arrotolate, abituata a usare le mani per fare cose, più che a tenerle giunte, sorride sulla soglia. «Lo è, commissario. Clara si è schiantata dalla torretta del convento.»
«Scusi, lei è…?»
«Suor Teresa, dal convento delle Ancelle di Maria. Ho sentito al notiziario di quel poveretto, Paride Benincasa, e il cognome mi ha fatto tornare in mente un’altra brutta storia che accadde da noi. Allora ho pensato che forse avreste avuto bisogno di quel tassello, per comporre il puzzle intendo. Ed eccomi qui.»
«Le va un caffè?»
«Magari, sono sveglia dalle quattro e la corriera non arrivava mai.»
«Carsoli.»
Quello scatta in piedi e si ferma sulla porta: «Sorella, gradisce pure un cornetto?»
E così, davanti a una bella colazione, suor Teresa comincia a raccontare.
«Clara arrivò da noi in condizioni pessime: passava le giornate a fissare il muro, senza mangiare né dormire. Poi ci furono quelle telefonate e lei rifiorì. Si faceva bella, usciva e al ritorno le si leggeva negli occhi la speranza di una vita nuova.»
«Immagino che non sappia chi fosse.»
«Altrimenti glielo avrei detto, no? Quello che invece so è che un giorno tornò con la faccia scura, uscì sempre meno, finché si chiuse in camera, ricominciò a fissare il muro e a mangiare quasi niente.»
«Un momento, mi faccia capire. Mi sta dicendo che Clara all’inizio era felice di quegli incontri, poi invece no. Cos’era cambiato?»
«E non lo so, altrimenti…»
«Me l’avrebbe detto, certo. Continui.»
«Un pomeriggio di aprile, arrivò un uomo con un gran mazzo di rose. Disse di essere il fratello di Clara. Lei non sembrò affatto felice, ma quello fu così gentile che alla fine accettò di parlargli. Sembrava una situazione tranquilla: passeggiavano, parlavano serenamente e poi andarono ad ammirare il panorama su in torretta.»
«In torretta? Ma scherza?»
«Non mi dica niente» fa Teresa contrita. «Infatti è lì che è successo tutto. Non me lo sono mai perdonato.»
«Quindi i due salgono in torretta.»
«Esattamente. All’improvviso sentimmo delle grida e la voce di lui che urlava: «No, Clara non farlo! Ti prego, non farlo!» Ci fu un gran trambusto. Qualcuna cercò di raggiungerli, altre si precipitarono fuori. Clara era sul ciglio del parapetto. Aprì le braccia come per spiccare il volo e si schiantò a terra. Lui arrivò stravolto, urlava, piangeva e mostrava i segni dei tagli che le aveva fatto. Perché, vede commissario, chissà come Clara aveva preso un coltello dalle cucine. E lo usò.»
«E poi?»
«E poi ambulanza, polizia e tutto il resto.»
«Quale resto, scusi?»
«Il resto fu che Clara non aveva nessun fratello e quello era il marito: Paride Benincasa. Anche questa è una delle cose che non mi perdono, ma che le devo dire? Non siamo abituate a chiedere i documenti alle persone, quello lo fate voi. E infatti la polizia lo seppe cinque minuti dopo ch’era arrivata. Il caso venne archiviato come suicidio e la cosa non stupì più di tanto. Del resto Clara era prigioniera della sua follia e nessuno avrebbe potuto salvarla.» Mette le mani in grembo e tace. Fine delle trasmissioni.
«Grazie, sorella. Ci è stata molto utile.»
 
Rimasti soli, Carsoli guarda il commissario: «Molto utile, dice?»
«Preferivi Fanculo suora di merda potevi starci più attenta
«No è che alla fine, con tutto il rispetto, a noi di quella poveretta che ce ne frega?»
«Ce ne frega eccome, perché suor Teresa ha detto che Clara arrivò in condizioni pessime. Arrivò, non venne portata
L’altro si illumina: «Quindi tutta la faccenda del ricovero coatto è una balla!»
«E chi ce l’ha raccontata?»
«Gli amici di Paride. O meglio Paride che l’aveva raccontata a loro.»
«Bravo. Perché, come ti ho già detto, qui tutti sanno tutto, ma nessuno sa un cazzo. Poi c’è l’altra questione, quella degli incontri di Clara. In un primo tempo con effetti benefici, poi con esito tragico.»
«E questo non è chiaro e nemmeno la suora ce l’ha saputo spiegare.»
«Non è chiaro se pensiamo a un solo uomo. Ma se invece fossero due?»
«E certo: uno che l’ama davvero e l’altro che le da la caccia e la vuole morta. Ma chi? Perché?»
«Corna, Carsoli. Nei triangoli è sempre questione di corna.»
«Quindi Clara era una zoccola.»
«Ma no, perché? Questo è quello che pensava…»
«Il marito, Paride Benincasa! È lui il cornuto che però non vuole perdere la faccia e allora si inventa tutta la storia della moglie pazza, la tiene prigioniera, magari la sevizia per punizione, ma quella riesce a scappare col bambino…»
«Continua, stai andando benissimo.»
«Lo affida ai cognati americani e si rifugia nel convento di suor Teresa. Qui viene raggiunta dall’amante, ma anche il marito la trova e vuole riportarsela a casa, cioè all’inferno, lei ne ha orrore e preferisce buttarsi di sotto.» Prende fiato e guarda il commissario: «Come sono andato?»
«Alla grande. Bravo, Carsoli.»
«Sì però, chi è l’amante di Clara?»
«Ma come, non l’hai capito? È quello che ha ucciso Paride Benincasa. Ha sopportato tutto, ma quando pensava di portarsi via la sua bella, arriva l’altro e la perde per sempre. Mi pare un buon movente, non credi?»
«Va bene, ma potrebbe essere chiunque, pure l’idraulico.»
«Dice il saggio: quando senti scalpitare dietro la porta, prima di pensare alla zebra, pensa al cavallo.»
«Bello, ma che mi significa?»
«Che aspettiamo una telefonata e poi vediamo.»
Dopo poco il cellulare vibra e Nardelli risponde: «Dimmi, dottore. Sono tutto orecchi.» Sorride, annuisce e chiude.
«Come immaginavo: avvelenamento da tallio. Qualcuno glielo ha messo in corpo, giorno dopo giorno.» 
«Le cene!» fa Carsoli. «Ci vuole niente a mettere un veleno nel piatto o nel bicchiere.»
«E magari, quando le cose stavano precipitando e dunque l’opera era compiuta, si è preso pure la soddisfazione di dirglielo.»
«Ecco perché il Benincasa è venuto qui.»
«Esatto. E chi è che faceva i turni di notte, l’ultimo che l’ha visto vivo? Dai, andiamo. Non è educazione far aspettare le persone.»
«Non è necessario» dice una voce dalla porta.
Il commissario si blocca, poi torna a sedere. «Prego, si accomodi» dice e indica la sedia davanti alla scrivania.
Carsoli è allibito. Non se l’aspettava.
«Vogliamo ricominciare da capo?» dice Nardelli.
«Certo. Che se non venivo io, stavate ancora a cincischiare con le vostre scemenze. Mi domando per cosa vi paghiamo.»
«Di questo magari parliamo dopo. Carsoli, occupati del verbale. Prego, l’ascolto.»
«La porta della stanza di Clara non l’ho trovata aperta» dice Anna Pontremoli. «L’ho sfondata una sera che la bestia era fuori.»
«La bestia sarebbe…»
«Paride Benincasa. Lei me la sono caricata in braccio e l’ho portata al convento delle Ancelle di Maria.» Si gira per controllare che Carsoli abbia scritto e continua: «Gli amici, quelli delle cene per capirsi, hanno creduto a tutte le immonde bugie che diceva quello. Tutti meno uno: Luigi Fontana che invece la verità la sapeva. Gliela aveva raccontata Clara. Perché vede, commissario, quei due si sono amati fino all’ultimo. E l’avrebbe portata via, in America, a riabbracciare il figlio. Ma poi Clara è morta, schiacciata dall’orrore di ritrovarsi davanti il suo aguzzino.»
«Ma come l’aveva trovata?»
«Questo avreste dovuto scoprirlo voi, sì, figuriamoci!»
«Quindi, morta Clara, Luigi …»
«No, lui gli avrebbe sparato in faccia e si sarebbe costituito. Io. Sono abituata a far lievitare il pane, ad aspettare. Così l’ho convinto a lasciarmi fare, che avrebbe avuto comunque la sua vendetta. Non avevo niente da perdere: ho un cancro al quarto stadio.»
«Mi spiace.»
«È la vita… per così dire.»
«Quindi ha fatto tutto lei. Ma come?»
«Commissario, non faccia finta di non saperlo. Tallio. Tre volte al giorno durante i pasti. Una mano santa.»
 
 
 
 
 
 
 
 
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Re: [Lab12] Mal d'amore

3
Non mi deludi mai @aladicorvo leggo sempre con un gran piacere i tuoi racconti prima di tutto perché mi divertono molto e poi perché vorrei tanto imparare da te a far “vivere” i personaggi e le scene. Ogni personaggio si muove, ci racconta qualcosa di sé, delle proprie abitudini con pochi “colpi di penna” ben assestati.
Lo stile è inconfondibile, il ritmo trascinante, l’ironia ben calibrata. Un mix davvero ben riuscito. Ottima e ironica pure la rea confessa che si sarà fatta fornire (chissà) il tallio da Luigi ex farmacista e amante della povera Clara. Ottima, ottima, ottima  la scena iniziale. Grazie ☺️  :flower:

Re: [Lab12] Mal d'amore

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Sei riuscita a conservare il tuo stile, un marchio di fabbrica mi viene da dire, anche nel mystery (ma sì, diamo un po' di soddisfazione anche agli anglofili).
La trama tiene: c'è l'enigma e la soluzione è "giusta", né cervellotica né troppo elementare. I dialoghi eccellenti sono un valore aggiunto.
Brava davvero.
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Re: [Lab12] Mal d'amore

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aladicorvo ha scritto: la governate dei Benincasa
refuso
aladicorvo ha scritto: chissà come Clara aveva preso un coltello dalle cucine. E lo usò.»
E lo aveva usato. (Se inizi col trapassato, mantenerlo è più corretto)
aladicorvo ha scritto: e l’altro che le da la caccia
le dà la caccia
aladicorvo ha scritto: «Dice il saggio: quando senti scalpitare dietro la porta, prima di pensare alla zebra, pensa al cavallo.»
Bello! Anche la scelta del proverbio esplicativo di una situazione particolare è azzeccata: Brava!

Un ritmo che si segue con interesse e col piacere di sapere che, dovunque ti porti, sarà bello arrivarci! 

Ben costruito e attraversato da acute, singolari o ironiche rappresentazioni di personaggi e situazioni.
Non delude mai leggere un tuo pezzo, cara @aladicorvo   (y)

Grazie di essere con noi.  :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab12] Mal d'amore

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Ti avevo detto che se fossi riuscita sarei tornata, ed eccomi qua per ribadire il mio apprezzamento. Lo faccio per collegarmi anche al racconto di @sarycaine che ho appena commentato. Qui l'indagine si svolge tutta attraverso il dialogo, le battute animano la scena e danno idea della personalità di ogni partecipante. Non ci sono elementi inutili o che creano perplessità, per un giallo qualità imprescindibile. 
aladicorvo ha scritto: Bello, ma che mi significa?»
Qui hai ribato la battuta al MImì di Montalbano  :P

aladicorvo ha scritto: «No, lui gli avrebbe sparato in faccia e si sarebbe costituito. Io. Sono abituata a far lievitare il pane, ad aspettare. Così l’ho convinto a lasciarmi fare, che avrebbe avuto comunque la sua vendetta. Non avevo niente da perdere: ho un cancro al quarto stadio.»
Nella conclusione mi spiace solo che a Luigi daranno comunque il concorso in omicidio, giusto? Poteva assumersi sole lei la responsabilità dicendo che Luigi non sarebbe mai stato capace di uccidere nessuno e aveva provveduto da sola a fare giustizia. Ma questo è solo un cavillo mio, tanto per parlare.

Ancora complimenti, bavissima. 

Re: [Lab12] Mal d'amore

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Mi è piaciuta molto la tua storia, l'atmosfera e le emozioni, hai reso le scene vivide e coinvolgenti. La storia di Paride e della sua tragica famiglia si dipana attraverso i racconti dei suoi amici, creando un mosaico di eventi che gradualmente rivela la verità. Il personaggio di Paride Benincasa è affascinante e la narrazione del suo passato aggiunge profondità alla trama. I dettagli della sua vita, le sue tragedie personali e la dinamica con gli altri personaggi sono descritti con maestria e devo dire che l'uso del dialogo per far avanzare la trama è particolarmente efficace, perché mi ha permesso di sentirmi come se fossi presente nelle varie scene... che dire, mi è dispiaciuto che sia finita :lol: 

Re: [Lab12] Mal d'amore

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@aladicorvo ciao. Tu con gli intrighi ci sai fare  :D


Alle 7.50 di un venerdì qualunque, Paride Benincasa, pallido, emaciato e con addosso solo il pigiama, entra in commissariato, arranca fino al bancone e ci si aggrappa con le mani rinsecchite.
«Voglio denunciare un assassinio, il mio» mormora con un filo di voce e si accascia a terra.
«Commissario, corra!» urla l’agente Guareschi.
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In un colpo solo, abbiamo vittima e investigatori. La vittima dichiara di essere stato ucciso... Semplice, elementare, chiaro. 
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Dieci minuti, barella, lenzuolo, il corpo sale, il portellone si chiude.
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Viva la sintesi: semplice, elementare, chiaro.
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Luigi Fontana, ex farmacista, Torquato Passalacqua, ex barbiere e Clemente Arrigoni, ex giardiniere comunale, tutti ex data l’età, se ne stanno seduti davanti alla scrivania.
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Ecco chi può svelare l'arcano. Tre probabili colpevoli, ognuno con una storia appresso, in correlazione con la vittima.
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«Sissignore» fa Clemente, «Paride Benincasa. E per noi era molto più che un amico.»
«Un fratello. Sì, un fratello!» dice Torquato.
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Mi sembrano credibili. Dato che sono avanti con gli anni, non vedo il perché dubitare della fratellanza tra loro. Luigi lo tieni fuori: è un indizio...
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«Mi creda, commissario» dice Luigi, «non ci fossimo stati noi a confortarlo, a strappargli un sorriso, sarebbe crollato e avrebbe fatto la stessa fine della povera Clara, che era la moglie. Oddio, moglie … »
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Ecco che Luigi parla e mettere in dubbio il loro matrimonio.. altro indizio
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«Bella come un angelo, era una furia dell’inferno» fa Clemente. «Pensi che una volta Paride arrivò con una mano fasciata. Un morso, capisce? Gli aveva affondato i denti fino all’osso, che fu costretto a darle un colpo in testa per liberarsi.»
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Relazione burrascosa
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«Una famiglia distrutta» dice Clemente. «E il bambino? Povero figlio, Paride fu costretto ad allontanarlo. «Non deve vedere in che stato è ridotta la madre!» disse e non finiva più di piangere.»
«Una creatura, nemmeno due anni» fa Luigi. «Strappato da casa e affidato a certi zii americani, vissuto e cresciuto laggiù, non è mai tornato, sicuro che non sa manco chi siano i veri genitori. Ma se l’immagina?»
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Questo figlio allontanato puzza un po' . Va bene che la madre parrebbe malata e non curarsene: almeno da quanto poco si parli della relazione madre-figlio.. Ma mi chiedo, invece, della relazione padre-figlio: mi pare ci sia poco sentimento, in questa. Ci vedo un altro indizio.
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«Gliel’ho detto: Paride non ha voluto. Del resto, che differenza avrebbe fatto? Un posto o l’altro nessuno ci sarebbe mai andato. A fare cosa, poi?»
«Lui invece sì, ci andava almeno una volta a settimana» dice Clemente. «Perché, nonostante tutto, continuava ad amarla. «È la donna della mia vita» diceva. Partiva a buon’ora e tornava di sera con una faccia che non le dico.»
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Lei in una struttura e lui che va a trovarla. Classico.
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«Poi però…» fa Clemente con un sospiro «ha cominciato a deperire. Dolori terribili all'addome, non riusciva più a camminare. I medici trovarono ulcere in tutto l'intestino, anomalie nel sangue e infiammazioni a fegato e pancreas. Alla fine era così debole che le cene le facevamo in camera da letto, dato che di alzarsi proprio non ne aveva la forza. Mangiare, poi è una parola grossa. Lo imboccavamo con un cucchiaino e per bere una cannuccia.»
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Gli amici al capezzale dell'amico. Un bel trio di "merende" a dirla alla Pacciani.  :D Eppure continua a essere credibili. Luigi continua a parlare poco.
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«Allora, signor Fontana…»
«È vero: mi sono allontanato, ma per poco. Giusto il tempo di una boccata d’aria che in quella stanza… insomma, commissario quel poveretto…»
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Luigi, Luigi... certo che come farmacista, del carbone attivo per depurare l'intestino poteva darlo all'amico. :D
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«Brutta storia» fa Carsoli.
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A questo punto, si drammatizza!  :D
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In quel momento si affaccia l’agente Guareschi: «Ci sarebbe la signora Anna Pontremoli, la governate dei Benincasa. Faccio passare?»
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New entry? Vediamo cosa dice d'interessante.
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«E certo! Chi sennò?» mugola stizzita «Ci sto da quindici anni coi Benincasa, che s’erano appena sposati. Lui più che benestante, viveva di rendita, lei appena ventenne, un fiore, che il marito stravedeva, guai a chi le avesse dato un’occhiata di troppo. Poi successe qualcosa, non saprei dire che, ma la signora Clara andò fuori di testa. Lui se l’è tenuta finché ha potuto, però chiusa in una stanza perché, è brutto da dire, ma si vergognava di avere una pazza in casa. E allora cominciò l’inferno. L’inferno, commissario, mi creda. Lui faceva finta di niente, ma io la sentivo gridare, persino raspare alla porta come una bestia in gabbia. Finché una mattina vidi quella porta aperta, la stanza vuota e un silenzio da ghiacciare il sangue. «È meglio così, Anna. Adesso la cureranno e troverà un po’ di pace.» Così mi disse il signor Paride. Un po’ di pace… Forse adesso l’ha trovata anche lui.»
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Lei conferma quello che hanno detto i tre, in linea generale. Ma allude a qualcosa di "non detto".
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«Suor Teresa, dal convento delle Ancelle di Maria. Ho sentito al notiziario di quel poveretto, Paride Benincasa, e il cognome mi ha fatto tornare in mente un’altra brutta storia che accadde da noi. Allora ho pensato che forse avreste avuto bisogno di quel tassello, per comporre il puzzle intendo. Ed eccomi qui.»
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  Lei si pone come testimone "chiave", certo che Carsoli e l'altro ce l'hanno facile.. seduti comodi a lasciare che il caso si risolva da solo :D
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: «No, Clara non farlo! Ti prego, non farlo!» Ci fu un gran trambusto. Qualcuna cercò di raggiungerli, altre si precipitarono fuori. Clara era sul ciglio del parapetto. Aprì le braccia come per spiccare il volo e si schiantò a terra. Lui arrivò stravolto, urlava, piangeva e mostrava i segni dei tagli che le aveva fatto. Perché, vede commissario, chissà come Clara aveva preso un coltello dalle cucine. E lo usò.»
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testimonianza credibile perché non fa una piega
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«
«Il resto fu che Clara non aveva nessun fratello e quello era il marito: Paride Benincasa. Anche questa è una delle cose che non mi perdono, ma che le devo dire? Non siamo abituate a chiedere i documenti alle persone, quello lo fate voi. E infatti la polizia lo seppe cinque minuti dopo ch’era arrivata. Il caso venne archiviato come suicidio e la cosa non stupì più di tanto. Del resto Clara era prigioniera della sua follia e nessuno avrebbe potuto salvarla.» Mette le mani in grembo e tace. Fine delle trasmissioni.
«Grazie, sorella. Ci è stata molto utile.»
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Ancora conferme sulla malattia di lei e della disperata azione di lui di salvarla
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«Preferivi Fanculo suora di merda potevi starci più attenta
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:asd:
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«No è che alla fine, con tutto il rispetto, a noi di quella poveretta che ce ne frega?»
«Ce ne frega eccome, perché suor Teresa ha detto che Clara arrivò in condizioni pessime. Arrivò, non venne portata
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Non ci vedo tanta differenza tra le due. Però è una miccia che si accende.
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L’altro si illumina: «Quindi tutta la faccenda del ricovero coatto è una balla!»
«E chi ce l’ha raccontata?»
«Gli amici di Paride. O meglio Paride che l’aveva raccontata a loro.»
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Congetture
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«Bravo. Perché, come ti ho già detto, qui tutti sanno tutto, ma nessuno sa un cazzo. Poi c’è l’altra questione, quella degli incontri di Clara. In un primo tempo con effetti benefici, poi con esito tragico.»
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Congetture, siamo in una fase di stallo
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«Il marito, Paride Benincasa! È lui il cornuto che però non vuole perdere la faccia e allora si inventa tutta la storia della moglie pazza, la tiene prigioniera, magari la sevizia per punizione, ma quella riesce a scappare col bambino…»
«Continua, stai andando benissimo.»
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Si cerca di mettere assieme i tasselli.
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«Come immaginavo: avvelenamento da tallio. Qualcuno glielo ha messo in corpo, giorno dopo giorno.» 
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«Esatto. E chi è che faceva i turni di notte, l’ultimo che l’ha visto vivo? Dai, andiamo. Non è educazione far aspettare le persone.»
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Il farmacista Luigi Fontana
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«Certo. Che se non venivo io, stavate ancora a cincischiare con le vostre scemenze. Mi domando per cosa vi paghiamo.»
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Troppo forte! :D
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«Paride Benincasa. Lei me la sono caricata in braccio e l’ho portata al convento delle Ancelle di Maria.» Si gira per controllare che Carsoli abbia scritto e continua: «Gli amici, quelli delle cene per capirsi, hanno creduto a tutte le immonde bugie che diceva quello. Tutti meno uno: Luigi Fontana che invece la verità la sapeva. Gliela aveva raccontata Clara. Perché vede, commissario, quei due si sono amati fino all’ultimo. E l’avrebbe portata via, in America, a riabbracciare il figlio. Ma poi Clara è morta, schiacciata dall’orrore di ritrovarsi davanti il suo aguzzino.»
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Qui non si spiega il ricovero tra le suore, al posto di una clinica, e senza consenso del marito... Piccolo buchino... :D
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«Ma come l’aveva trovata?»
«Questo avreste dovuto scoprirlo voi, sì, figuriamoci!»
«Quindi, morta Clara, Luigi …»
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Ecco la soluzione per bocca della complice o dell'autore diretto?
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«Quindi ha fatto tutto lei. Ma come?»
«Commissario, non faccia finta di non saperlo. Tallio. Tre volte al giorno durante i pasti. Una mano santa.»
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Ecco! L'autrice materiale. Che dire? Il giallo è leggero e andare verso la deriva dell'umor. Però gli elementi del giallo ci sono, dato che anch'io come te, ho preso una strada diversa, ma credo necessaria, considerato i tempi e spazi. L'unica cosa è la soluzione del caso, che si sviluppa sotto gli occhi degli inquirenti: giustamente e coerentemente al registro del racconto. Sapevi i limiti di simile percorso narrativo e da qui la tua linea sul filo del rasoio, una miscela ben dosata di mistero e leggerezze tutte umane.
Tutto bene, quindi. Ciao e grazie :sss:
 
 
 
 
 
 
 
 
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab12] Mal d'amore

11
Grazie a te @bestseller2020. Specie se, come leggo, ci sei dentro fino al collo:
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"Non lo faccio di professione, ma ho all'attivo tante risoluzioni casi"
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 Non so se te ne rendi conto, ma il popolo rumoreggia: Lui? Come? Perché?  :o
Pensi di continuare ad ammantarti di mistero o dobbiamo assoldare qualcuno per saperlo? 
bestseller2020 ha scritto: Qui non si spiega il ricovero tra le suore, al posto di una clinica, e senza consenso del marito...
Il ricovero dalle suore non è una soluzione originalissima dato che la meschina, al netto del Gaslighting, viene semplicemente messa in salvo dalle angherie del signor LaBestia, il consenso del quale evidentemente non è previsto  :nono: 

<3
 
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
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Re: [Lab12] Mal d'amore

12
@aladicorvo sono un fan dei testi dialogici, poi scritti così... non vale, abbassi il livello di tutti. A parte gli scherzi, very compliments.
aladicorvo ha scritto: «Poi però…» fa Clemente con un sospiro «ha cominciato a deperire. Dolori terribili all'addome, non riusciva più a camminare. I medici trovarono ulcere in tutto l'intestino, anomalie nel sangue e infiammazioni a fegato e pancreas. Alla fine era così debole che le cene le facevamo in camera da letto, dato che di alzarsi proprio non ne aveva la forza. Mangiare, poi è una parola grossa. Lo imboccavamo con un cucchiaino e per bere una cannuccia.»
«Però non lo abbiamo abbandonato. Mai. C’era sempre qualcuno con lui.»
Qui, ho un pochino intuito che potesse trattarsi di avvelenamento. Credo che potessero intuirlo anche i medici.


aladicorvo ha scritto: «Appena potrà. Adesso invece ho bisogno di sapere da voi chi era Paride, perché si chiamava così, vero?»
Molto sottile, non l'ho capita subito.


aladicorvo ha scritto: «Mi creda, commissario» dice Luigi, «non ci fossimo stati noi a confortarlo, a strappargli un sorriso, sarebbe crollato e avrebbe fatto la stessa fine della povera Clara, che era la moglie. Oddio, moglie … »
Il mistero si infittisce. Alla fine mi sembra che sia morto. Ma in effetti la morte potrebbe essere anche un sollievo alle sofferenze infinite.


aladicorvo ha scritto: «Oh cristo santo!»
«Sempre sia lodato.» Corpulenta, occhi di cristallo, una suora di quelle con le maniche arrotolate, abituata a usare le mani per fare cose, più che a tenerle giunte, sorride sulla soglia. «Lo è, commissario. Clara si è schiantata dalla torretta del convento.»
Che chicca!


Mi associo ai complimenti. Scrittura perfetta. Ogni parola, frase, trova sempre il suo posto preciso, con un senso, quasi musicale. Non si vedono parole o frasi usate solo per riempire. Una trama ben tessuta che con un finale inaspettato che mi ha tenuto incollato. La cosa bella è che non ho dovuto rileggere nulla per capire. Un valore in più per un tardone come me.
Forse dovendo fare un appunto, non ho trovato molti riferimenti alla traccia della città.
A rileggerti con piacere.

Re: [Lab12] Mal d'amore

14
È piaciuto molto anche a me, @aladicorvo, complimenti!
Ti dico solo due sensazioni che potrebbero aiutarti  nella revisione:
Il figlio, io per tutto il racconto mi aspettavo di vederlo apparire, invece, che fine ha fatto?
Una stranezza che non accade mai, è il fatto che i poliziotti non fanno granché. Il caso si risolve per la prontezza, un po' esagerata, di tutti quelli che conoscono Benincasa.
Perfino l'assassina spiattella tutto, forse ci sta per la vena comica del testo, ma a me non è sembrato armonico. Che lei sia malata terminale non giustifica il fatto di voler passare gli ultimi giorni della sua vita in carcere, anzi, chissenefrega del caso e di Benincasa, io penso ai fatti miei, direi. 

Re: [Lab12] Mal d'amore

15
Gran bel racconto, complimenti.
@aladicorvo a mio parere la tua scrittura merita gli scaffali delle librerie.
Trama coinvolgente, ironica, scorre meravigliosamente, ben strutturata.
Il tuo racconto mi è piaciuto tantissimo.
aladicorvo ha scritto: Poi ci furono quelle telefonate e lei rifiorì. Si faceva bella, usciva e al ritorno le si leggeva negli occhi la speranza di una vita nuova
La citazione sopra, nella lettura, mi era stonata come un refuso, invece era un indizio su come stavano veramente le cose!

Ora qualche critica, spero costruttiva.
aladicorvo ha scritto: Quello che invece so è che un giorno tornò con la faccia scura, uscì sempre meno, finché si chiuse in camera, ricominciò a fissare il muro e a mangiare quasi niente.»
Questo punto non l' ho capito 
Si vedeva con Luigi, giusto? Successivamente la domestica spiega anche che si sono amati fino all' ultimo, allora perché dopo un incontro tutto cambia e torna nei suoi incubi?

Secondo me da rivisitare anche la parte della torretta, mi ha lasciato qualche dubbio il coltello rubato in cucina e poi il suicidio. Mi sarebbe sembrato più credibile che la buttasse giù il marito, ma la suora dichiara che era sul parapetto con le braccia spiegate.

Infine, come detto ho amato il testo, ritengo potrebbe diventare un gran bel libro, ma per il laboratorio manca la città, inoltre sono in difficoltà per l'allungamento dei caratteri in corsa.
Chiaramente un 50% di caratteri in più fanno tanta differenza, soprattutto considerando il genere.
Considera che non avevo neanche letto il post con la concessione, ho iniziato il tuo racconto e mi sono detta "quanti nomi e quanto sono lunghi! Forte, ma quanti caratteri sprecati!  :o

Comunque ti sei attenuta alle regole, quindi nulla da eccepire, sono io che nel commentare i diversi racconti mi sento in difetto, perché sento che ci sono due pesi e due misure.

In ogni caso, ribadisco, gran bel racconto!
A rileggerti.
<3
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