[CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare
Seguito de La cena di Natale di @Kasimiro
Genere sentimentale


“È finita, Marco. Lascia andare.” La mia voce è strozzata mentre mi avvicino all’uomo. Ha appena lanciato la campanella nei rovi di sotto e ora stringe il davanzale fino ad avere le nocche bianche, lo sguardo perso nella notte. Un ultimo dlin attutito quando la campanella atterra.
“Carla” mi chiama con apprensione Gloria, la responsabile del centro. Il suo tono è chiaro: stai lontana, sei l’ultima assunta qui dentro e non sai come gestire Marco. Guardo le braccia dell’uomo nascoste dal maglioncino natalizio e penso che forse Gloria ha ragione.
Restiamo tutti a fissarlo in un silenzio irreale. Marco ha gli occhi sbarrati in cerca dell'ignoto, come immerso in un sogno. Poi chiude la finestra e si siede alla tavolata. L’atmosfera torna a rilassarsi, Antonio riprende a cantare e gli altri ragazzi a fare caos.
“Cosa ne dite se passiamo al pandoro col mascarpone?” chiede Gloria. “Dallo sguardo direi che l'idea vi possa piacere. Andate a chiamare Linda.”
Mi dirigo in cucina e passo accanto a Marco, che sta piluccando qualche patata. Gli sfioro un braccio con la mano e sussurro: “Hai fatto la cosa giusta”. Poi, prima che possa rispondere, vado.
A parte quell’episodio, Marco è senza dubbio l’ospite più tranquillo, qui. La sua camera è sempre in ordine e, quando c’è da pulire, basta solo una spolveratina. Qualche giorno dopo, a gennaio, lo sorprendo in camera mentre è a terra a fare piegamenti.
“Cosa stai facendo?” Chiedo, sorpresa.
“Mi alleno” ribatte lui. Si alza, mi guarda un attimo negli occhi. Non posso non notare i segni delle cinghiate del padre sul suo busto. Lui si rimette la maglietta.
Ha un bel fisico e io mi sento arrossire ma non so come nasconderlo, né come reagire. Ci sono un’infinità di situazioni, qui, a cui per forza di cose non si può essere preparati. Ma Marco non sta facendo del male a nessuno, quindi semplicemente abbozzo un sorriso e chiedo: “Perché ti alleni?” Intanto, prendo l’annaffiatoio e bagno il vaso col fico.
“Per sconfiggere i draghi” dice come fosse ovvio.
Spolvero le mensole e osservo le pile di fogli con i suoi disegni. Sono meravigliosi. Ha rappresentato più volte la pianta che ha in camera, ma non solo: ci sono draghi, creature bizzarre, paesaggi incantati che non appartengono a questo mondo, e che non so dove possa aver visto. Non c’è disegnata alcuna persona, mai; è questa l’impressione che lui mi ha dato, in effetti: il suo sguardo è rivolto oltre, a qualcosa di più grande.
In bella vista in mezzo ai fogli, la custodia di pelle vuota in cui una volta stava la campanella. Mi sono fatta raccontare la storia da Luciana, a Natale: suo padre, quando Marco era piccolo, aveva la sadica abitudine di avvisarlo con lo scampanellio prima di infliggergli una punizione corporale. Marco è ospite del centro da allora, ed è diventato adulto qui. La storia mi provoca una fitta al cuore, non solo per empatia verso l’uomo, ma anche per i miei stessi dolorosi ricordi. Per allontanare i pensieri cupi, gli dico: “Raccontami di questi draghi”.
Marco mi guarda, mi guarda davvero, e vedo interesse nei suoi occhi. Decide di aprirsi, di iniziare a raccontare, ed è come un fiume in piena. Penso che, forse, la pulizia delle altre camere può aspettare, e mi siedo sul letto accanto a lui.
Quando sono arrivata in città per la prima volta ero triste, persa, sola. Mi sentivo una persona importante perché avevo studiato per fare un buon lavoro, ma un tarlo in testa mi teneva sveglia la notte, e lo fa tuttora: a cosa serve tutto questo, se non riesco neanche a salvare la mia famiglia? Mi vergogno, sì. Mi vergogno di essere fuggita, di aver abbandonato la mamma e i miei fratelli a un padre alcolizzato e violento. È stato facile andarsene, abbandonare la realtà, vivere in un nuovo mondo costruito da me, dove ho potere, controllo, libero arbitrio.
È anche questa l’entità del legame che sta sbocciando tra me e Marco. Le nostre energie sono in sintonia. So quello che prova, capisco perché fugge nella sua realtà immaginaria e vive nel suo mondo. E così come io ho lasciato alle spalle il passato, vorrei che lui facesse lo stesso. Gettare la campanella non basta, ma non so allora quale sia la via, e voglio trovarla assieme a lui, voglio passare il tempo con lui.
Una parte di me dice che sono pensieri assurdi, che lui è diverso da me, ma un’altra dice invece che è questo a essere assurdo, che lui è un essere umano come me, e che non c’è niente di male ad accettare i miei sentimenti. Lui è un uomo, abbiamo più o meno la stessa età, e mi fa imbestialire quando gli altri lo chiamano ragazzo, come a sminuirlo. Però lui è pur sempre un ospite e io un’operatrice, e questo è insormontabile.
Un giorno, in camera sua, noto un disegno in più. Il soggetto sono io che innaffio il vaso col fico. La prima volta che disegna una persona. Le lacrime agli occhi, non posso fare altro che sorridere come una cretina e abbracciarlo.
Quando arriva la primavera, nei ritagli di tempo che ho, usciamo in giardino a fare lunghe camminate e parlare. Gli racconto dei diversi fiori che sbocciano e appassiscono, dei diversi alberi, della meraviglia del mondo attorno a noi. Lui mi parla della realtà che gli è esclusiva, di viaggi e panorami che pur non esistendo lasciano senza fiato, e del silenzio e della tregua che copre quei reami da quando sono liberi della campanella. Stiamo a lungo davanti all’imponente fico accanto al muretto; gli piace dipingerlo, e io resto lì, a sbirciare i raggi di sole che baciano la sua pelle in silenzio, cullati dal canto degli uccelli e dal profumo dei fiori. Un pochino mi manca, quando si perde di là.
“Sai” gli dico, in un giorno d’estate, “esistono tantissimi fichi, al mondo. In Australia ce n’è persino uno che si chiama strangolatore. Lo conosci?”
Lui scuote la testa. “No. Cos’è?”
“Cresce attorno a un albero più grande. È una piantina, tutto qui, e fa affidamento sull’altro albero per crescere. Pian piano diventa alto e forte e, alla fine, lo è talmente tanto che è in grado di reggersi da sé, e allora uccide la pianta su cui è cresciuto.”
“Ma è terribile! Perché fa una cosa del genere?”
“Secondo me non lo è. Deve farlo per forza, è il modo in cui è nato e cresciuto il fico che lo impone. A volte si può lasciare alle spalle il passato, ma molte altre, invece, no.”
È un pomeriggio di fine estate, mentre raccogliamo i frutti, con il vento caldo che porta il canto dei grilli e l’odore del prato appena tosato, che capisco di essere innamorata. Capisco anche, però, che siamo in uno stallo, e che la paura ci frena. Paura delle conseguenze sul mio lavoro. Paura di dover lasciar andare il ricordo del padre per aprirsi a una nuova relazione. Il suo sorriso, il suo tocco, il modo in cui mi chiama per nome sono tutti segnali che lui prova lo stesso per me, e per un po’ ci basta questo per essere felici. Ma bisogna passare oltre e tornare alla realtà.
Lo capisco subito, ma mi ci vuole qualche mese per comprenderlo. A questo punto, non ho alcun dubbio su quale scelta compiere.
“Marco” lo chiamo. È in sala da pranzo, solo, e sta disegnando la finestra da cui, quasi un anno fa, ha lanciato la campanella, fuggendo dal passato. “Ho dato le dimissioni”.
“Cosa?” Alza lo sguardo, sconvolto, e stringe compulsivamente la matita. “Ma tu, io, noi...”
“Lo so. È per questo che l’ho fatto. Tu vuoi qualcosa di più, non è vero? Lo voglio anch’io. Non dobbiamo temere di prendercelo.”
“Ora cosa farai?”
“Come prima cosa, me ne andrò per un po’. Torno dove sono nata. Ho lasciato alcune faccende in sospeso, e non posso passare oltre finché non le affronto. Vorrei che tu facessi lo stesso. Puoi fare questo per me?”
“Ecco, veramente...”
“E quando tornerò, se tu dovessi fare la proposta, potrei accettare”.
“La proposta?” Arrossisce fino alla punta del naso.
“Dai, hai capito”. Prendo la sua mano che stringe la matita, abbasso lo sguardo, sorrido. “Il matrimonio”. Finalmente alzo gli occhi, li punto nei suoi, siamo vicinissimi ora e riesco a sentire il suo respiro. “Tutto quello che devi fare, Marco, è svegliarti. Lascia andare la finzione e accetta la realtà.”
“Posso farlo, Carla” mormora.
“Vuoi tornare al mondo reale, per me?”
“Sì, Carla”.
“In tal caso...” Con l’altra mano frugo in tasca e tiro fuori la campanella d’ottone che ho recuperato mentre potavo le siepi. Lui si irrigidisce, ma io carezzo le sue dita con le mie e gli sorrido, cercando di trasmettergli che va tutto bene, che è al sicuro. “Smetti di fuggire, Marco. Affronta. Svegliati.”
Lui non sta più guardando me, ma la campanella. Gli faccio un cenno, lui annuisce. Non c’è bisogno di parlare, ci capiamo, sappiamo già cosa fare. Lui chiude gli occhi e io agito la campanella.
Dlin dlin dlin dlin
“Sveglia, Marco”.
Dlin dlin dlin dlin

... Dlin dlin dlin dlin.
L’odore di sangue impregnava la sala da pranzo. Dalla finestra spalancata soffiava un vento gelido sui cadaveri silenti che fino a poco prima banchettavano. Tutti i bambini, tutti i ragazzi. Pietro, Gabriele, Antonio, Giuseppe, Linda. Tutte le operatrici. Gloria, Luciana, persino Ernesto. Marco non aveva risparmiato nessuno, la sera della cena di Natale. Aveva vissuto un anno di vita in un istante, vite intere e mondi interi in pochi secondi, ma, alla fine, aveva dovuto tornare a casa.
Dlin dlin dlin dlin
Agitava furiosamente la campanella, a cavalcioni sopra il corpo di Carla, mentre con l’altra mano, le nocche bianche, stringeva il coltello piantatole in pancia. Carla sorrise dolcemente, ignara del mondo che Marco aveva costruito e in cui l’aveva collocata, ignara della vita immaginaria in cui la sua immagine si era trovata protagonista, ma connessa con l’altrove.
Carezzò la mano dell’uomo che impugnava l’arma che la stava uccidendo, la sua voce era strozzata. “È finita, Marco. Lascia andare.”

Re: [CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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Oh, my god @Mina che finale agghiacciante.
Mi è piaciuta tanto la parte iniziale che s’inserisce come un guanto al racconto di @Kasimiro. Le immagini scorrono vivide e trovo che tu abbia la preziosa capacità di trasportare subito il lettore dentro qualsiasi storia tu scriva. 
La parte centrale mi ha convinta un po’ meno. L’amore quasi ossessivo di Carla verso Marco, un amore difficile da capire, tutto vissuto dal pdv di lei. Marco lo vediamo attraverso i sentimenti di Carla e in effetti non c’è alcun momento in cui lui sembra ricambiarla davvero. Un’illusione che lui possa essersi innamorato, un’illusione che possa essere guarito. C’è un senso d’inquitudine che si avverte leggendo, sento più la tensione di un thriller che il sentimento di una storia d’amore. E il finale, in effetti, mi è arrivato come una conferma della sensazione che ho avuto tutto il tempo leggendo.
Un ottimo racconto, un piacere come sempre leggerti.  :sss:

Re: [CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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Anche io credo che la parte iniziale sai migliore, @Mina .
Per quanto riguarda l'infatuazione di Carla verso Marco, invece, credo che ci siano voluti più caratteri per mostrare il suo stato psicologico.
Voglio dire che una ragazza serena e libera avrebbe serie difficoltà a pensare a Marco come un uomo da sposare.
Insomma, Marco non sta bene, disegna draghi, vive in un mondo a parte, e Carla? Che ha studiato per svolgere quel lavoro, non sa che il malessere di Marco non si cancella con un colpo di spugna? Per me è chiaro che anche lei deve essersela vista brutta da bambina, l'hai scritto, ma non è bastato a giustificare il suo innamoramento verso una persona disturbata fino a quel punto.
Il finale ci sta, la punizione che il padre di Marco infligge a suo figlio, distruggerebbe la mente di qualsiasi bambino.
La metafora del fico strangolatore è un po' contorta per la mente di Marco, uccidere il passato per vivere con serenità il presente va bene, ma uccidere chi ti ha aiutato a crescere, come fa la vittima del fico strangolatore, è una cosa terribile, come dice Marco,
Il racconto è scritto molto bene, ottime le immagini e le sensazioni che suscitano.

Re: [CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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@Mina
racconto molto particolare.
Quando all'inizio ho letto "sentimentale" ho sorriso e per un po' ci ho anche creduto. Ma è durato poco in realtà perché credo che da malattie così profonde non si possa guarire con l'amore, credo non si possa guarire e basta, purtroppo.
Carla è una sognatrice, mi sono detta; Carla vuole cambiare il mondo, ho sperato; forse Carla ha qualche disturbo e dovrebbe farsi far visitare dal medico [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]di Trieste, quello che conosce @bestseller2020[/font]
Carla non farà una bella fine, ho immaginato e infatti...
Buon proseguimento Mina e grazie per questa bella lettura.
Nessun timore, nessun favore, nessun rancore.

Re: [CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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Metto le mani avanti, la risposta è un po' polemica, non mi interessa. Non ha a che fare col racconto, so che potevo esprimere meglio il tema, il punto è un altro.
Ho mostrato il lato emotivo solo di Carla, quello di Marco è rimasto intuibile dalle sue azioni (dovevo essere più esplicito, evidentemente), ma anche lui prova lo stesso. Si tratta di due persone innamorate. Questo cosa dovrebbe dire su Carla? Quali informazioni possiamo trarre sullo stato mentale di Carla dal fatto che ami una persona nello stato mentale di Marco? Nessuna. Nessuna ipotesi, nessuna supposizione. Marco è un essere umano come tutti e come tutti può provare amore romantico e può essere oggetto di desiderio romantico. Non c'è da capire, con l'amore, né da cercare giustificazioni, c'è solo da avere fede. Non importa del malessere di Marco, Carla lo ama per l'essere umano che sta dietro questo trauma. E anche col termine disturbo sarei cauto. Marco ha subito un trauma, e okay, ma molte delle persone che vivono lì con lui sono solo in uno stato mentale diverso, e non andrei più in là del termine "diverso", senza connotazioni negative o positive.
È facile dimenticare le emozioni che ci accomunano tutti o quasi, dall'alto della nostra razionalità.
Non ce l'ho con nessuno in particolare, volevo solo specificare come mi ha fatto sentire leggere alcune parole o frasi specifiche. Passerò con calma a rispondere in maniera puntuale ai commenti.

Re: [CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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Ciao @Mina

Una storia ben scritta e a quanto ho visto dal tuo commento, sei molto sensibile alle varie situazione della vita umana nelle diverse fasi-evoluzioni della sua emotività. Fasi che non tutti, come Marco e Carla attraversiamo o superiamo allo stesso modo. Molto dipende anche se ci si incontra e come avviene questo incontro. Qui si sono incontrati. Due sensibilità diverse. Io non guardo Marco in modo “particolare”, so che ha avuto una vita drammatica, anche dal racconto di @Kasimiro, non per colpa sua, e ritengo meritasse di meglio anche dal punto di vista curativo, brutto termine, preferirei riabilitativo, per quanto non esistano posti del genere degni davvero in totale di questo nome o se ci sono esistono ad alti livelli, non raggiungibili dalla gente comune.  
Non abbiamo la sensibilità di ascoltare il nostro prossimo, o ce l’hanno pochi, mentre altri che hanno studiato appositamente hanno una sensibilità “tecnica” o se si vuole anche scientifica, termine che va alla grande di questi tempi. Carla ha studiato e come la maggioranza nel suo campo credo, voglio credere, fa un buon lavoro. Ma a Carla lo studio non è stato sufficiente. Lei non si è spogliata della sua componente umana e come tale si è comportata. Per me questo è notevole, perché è un comportamento umano. Poi va bene che dicono che il medico/operatore troppo pietoso fa marcire la piaga, e potrà anche essere così, ma so per esperienza diretta, purtroppo, che una buona parola, una mano sulla spalla possono se non guarire  almeno lenire molte ferite dell’anima. Per chi non crede nell’anima si scelga un organo del corpo deperibile a suo piacimento, cuore, cervello…
Carla ha voluto essere solo umana e spesso, come in questo caso, non si è corrisposti. A chi vogliamo dare la colpa, alla vita?
La storia dell’uomo è sempre stata una immane tragedia.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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@Mina. Parto subito con il scrivere che il sentimento, l'amore, nel tuo racconto, io l'ho sentito forte, entrare dentro. E questo è il bello. Banalmente inspiegabile. Ogni aggettivo per definire o paragonare qualcuno rispetto a un altro rischia di essere riduttivo. Mi verrebbe da dire di disagi (e chi non li ha?), problematiche (e chi non le ha?), diversità (e chi non lo è?). Forse potremmo definirli particolarmente fragili. Io ho coniato un termine che ho inserito nel titolo di una raccolta: Storie di uomini extra-ordinari. Che alla fine non mi dispiace. Ma entriamo nel personale. Poi ci sono tutte le accezioni di patologie mediche che sono infinite, definizioni che non entrano nell'umanità della persona.
Mi è molto piaciuto il tuo sequel anche se profondamente amaro, che sa di sconfitta. L'amore rimane un'illusione, purtroppo, perché il peso della vita passata è insormontabile. Sarebbe stato bello aver potuto dare speranza, sarebbe... ma la realtà può essere anche questa, quella che ci hai spiattellato fredda e cruda con la tua superba scrittura. Complimenti.
Una cosa bella che ho riscontrato venendo a contatto con alcune persone da diversi anni è stato il bisogno e la spontaneità con cui chiedono l'amore. Un amore puro, senza condizionamenti, rivolto con la stessa intensità a persone dello stesso sesso o diverso, giovani o meno giovani. Che non segue la ricerca per un canone di bellezza o di una pulsione sessuale.
Ci sarebbe da imparare.
Grazie anche perle tue belle parole che hai scritto sul racconto che ti ha preceduto.
A rileggerti.

Re: [CN23-2] La fuga di Carla, o il fico strangolatore: sul lasciare andare – seguito de "La cena di Natale"

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Ringrazio tutti quanti per il passaggio e i preziosi consigli  :love:
Alberto Tosciri ha scritto: ven gen 12, 2024 6:39 pm Lei non si è spogliata della sua componente umana e come tale si è comportata. Per me questo è notevole, perché è un comportamento umano.
Hai colto un punto per me importantissimo

@Kasimiro grazie delle bellissime parole. La tua raccolta di racconti la recupero più che volentieri, finite un paio di letture che ho in coda :) 
Kasimiro ha scritto: ven gen 12, 2024 9:59 pmUna cosa bella che ho riscontrato venendo a contatto con alcune persone da diversi anni è stato il bisogno e la spontaneità con cui chiedono l'amore. Un amore puro, senza condizionamenti, rivolto con la stessa intensità a persone dello stesso sesso o diverso, giovani o meno giovani. Che non segue la ricerca per un canone di bellezza o di una pulsione sessuale.
Ci sarebbe da imparare.
Lo capisco... È un bisogno fondamentale, e spesso io stesso lo sento, più forte anche del "semplice" amore romantico
Kasimiro ha scritto: ven gen 12, 2024 9:59 pmMi è molto piaciuto il tuo sequel anche se profondamente amaro, che sa di sconfitta. L'amore rimane un'illusione, purtroppo, perché il peso della vita passata è insormontabile. Sarebbe stato bello aver potuto dare speranza, sarebbe... ma la realtà può essere anche questa, quella che ci hai spiattellato fredda e cruda con la tua superba scrittura. Complimenti.
Su questo ho avuto dei dubbi, perché mi sono detto che in un'opera di narrativa avrei anche potuto modellare un po' gli eventi verso una direzione più ottimista... Ma la realtà alla fine ha preso il sopravvento. Non per forza sempre un male, ci mancherebbe, ma può benissimo esserlo
Grazie di tutto  :sss:
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