[H23] Così è scritto

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Traccia: Percorso del mistero

Commento 1 e Commento 2
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Howth, County Dublin, 1898
Venerdì, 25 novembre, S. Caterina d’Alessandria.

Gli orologi batterono l’ora alle sue spalle, proprio mentre entrava nel salone. Máire sussultò, teiera e tazze si rovesciarono. Gemette, posando il vassoio a terra. Si chinò e si affrettò ad asciugare prima che il tappeto si macchiasse. I rintocchi scoccarono nel corridoio, e presto si spensero.
— Mi spiace m’lady.
— Cara, è tutto a posto.
Lady Aoife Carew le toccò un braccio. Máire sollevò lo sguardo, incontrò quello della sua signora: sorrideva, ma con gli occhi lucidi e le rughe tremanti. Máire singhiozzò. Si trattenne. Sir James Carew fumava, impassibile, osservando fuori dalla finestra: l’erta della scogliera di Thormanby Hill a poche iarde, e il faro di Baily con il suo occhieggiare intermittente, più in basso, che illuminava di lampi il mare grigio della baia di Dublino.
— È tutto a posto —, continuò lady Carew, e il tocco divenne una carezza sulla divisa di velluto nero. Máire poté sentire il rosario della sua signora sulla cicatrice. Si asciugò rapidamente gli occhi.
— Chiedo scusa. Vado a preparare altro tè, m’lady.
— Sì, cara. Stai tranquilla.
Máire annuì, sistemò le tazze sul vassoio, e si sollevò. Mentre usciva dalla stanza vide Sir Carew passarsi una mano sulla fronte, espirando dalla sua pipa, e Lady Carew rimettersi a sedere, aggiustando il crespo nero della gonna e dei polsini, il rosario attorno alle dita.
Era nel corridoio, in quel lungo andito male illuminato sulle cui pareti spiccavano le pendole della collezione del suo signore. Decine e decine, appese o appoggiate alla pietra di Casa Carew, tutte a tema religioso. Sir James amava parlarne. Almeno, lo aveva fatto fino all’anno passato.
Tic. Toc. Máire camminò accanto a un orologio a torre in mogano e noce del Settecento, italiano, la cui anta recava scolpito un crocifisso. Poco più avanti un altro, spagnolo, i cui smalti dipinti della Via Crucis ruotavano in una sfera, indipendenti da ore e minuti.
Tic. Toc. Gli ingranaggi, le catene, gli scappamenti: echi metallici tra pesi dorati, quadranti con numeri romani, lancette di ferro battuto sincronizzate in rigida preghiera. Tic. Toc.
Máire superò l’arco della sala da pranzo. Poco prima della porta della cucina, subito accanto alla rampa che conduceva ai piani superiori, il suo sguardo si soffermò sull’ultimo orologio. Un Facini, veneziano, grande quanto un carillon, rifinito d’oro e d’argento, vecchio più d’un secolo, con una Natività rappresentata sopra la mostra. Emetteva un ticchettio leggero e quasi impercettibile tra gli altri.
Ave Maria, gratia plena.
Un’immagine fugace, occhi azzurri dietro gli ingranaggi, al di là delle pendole… Le cicatrici sul braccio e sull’addome bruciarono per un istante. Strinse i denti, scosse la testa e affrettò il passo.
***
— No! — urlò Sir Carew, — Mi rifiuto!
Lady Carew piangeva seduta sulla sua poltroncina, con le mani a coprirle gli occhi sotto un velo di crespo nero.
— Era un orco, un diavolo! Non porterò il lutto per un diavolo!
Colpì con un manrovescio il vaso sopra il tavolino. Clangore d’argenteria. L’acqua si riversò sul tappeto, i gladioli si sparsero a terra. Lady Carew gemette.
— Quello non era nostro figlio. QUELLO NON ERA NOSTRO FIGLIO!
Máire boccheggiò, sveglia di colpo, madida di sudore.
La cicatrice sull’addome le doleva. Il rumore della pioggia si sovrapponeva al ticchettio delle pendole. Afferrò la bugia e accese a tentoni la candela: la luce tremolò nella mansarda. Lassù l’unica sua compagnia erano i letti vuoti della servitù che aveva abbandonato la Casa. Dimenticata in un angolo, una culla che non volle guardare. Iniziò a piangere, ma soffocò i singulti. Le venne la nausea.
Sentì il bisogno di bere. Terse le lacrime, e percorse l’assito a passi misurati, smorzando ogni scricchiolio per non svegliare i suoi padroni: loro, che un tempo avevano il sonno così pesante, ora si destavano per un nonnulla. Scendeva le scale, lo scroscio della pioggia si attutiva a ogni gradino, mentre a poco a poco il battito dentellato degli orologi si accentuava. Tic. Toc. Tic. Toc.
Fu infine nel corridoio. Aprì la porta della cucina, posò la candela sul tavolo, e con il mestolo bevve acqua dal secchio. Una, due volte, con avidità. La nausea si calmò. Si asciugò sulla manica, raccolse con un gesto i lunghi capelli rossi. Riprese il lume, e uscì richiudendo la porta. Tic. Toc. Mentre risaliva il primo scalino, un raggio di luce sfarfallò sulla doratura del Facini: il riflesso rivelò occhi azzurri, capelli biondo cenere, un sorriso beffardo dietro una delle pendole a torre.
Máire trasalì, lo stomaco si chiuse. Corse su per la rampa, incurante del rumore dei suoi passi. Gli orologi batterono l’ora.
***
Sabato, 26 novembre, S. Corrado di Costanza.

Il sole basso e livido si rifrangeva come spuma sul Mare d’Irlanda prima di illuminare il salone. Sir James and Lady Aoife sedevano al tavolino, intenti a consumare pudding, uova e fagioli.
— Sei pallida, mia cara —, disse la sua signora.
— Non ho dormito bene, m’lady.
— Perché non prendi una giornata di riposo? Potresti andare a trovare i tuoi. Non stanno a Kilbarrack?
— Grazie, m’lady. Ma starò meglio dopo la colazione.
— Sicura? Hai anche gli occhi gonfi.
— Sì, m’lady, sono stati solo… incubi, ecco.
— Aoife ha ragione —, intervenne Sir Carew, con aria severa. — Non devi preoccuparti per noi. Per un giorno ce la possiamo cavare.
Lady Aoife annuì con convinzione nel suo abito nero. Máire tacque. In realtà preferiva evitare la compassione moralista di sua madre, l’ira bigotta di suo padre, e le chiacchiere della gente che avrebbe incontrato per strada. Ma le parve scortese ribattere ancora.
— È deciso, dunque —, Sir James si pulì le labbra col tovagliolo. — Portaci il tè, dopo sarai libera.
Máire fece una riverenza. Prese i coperti, li posò sul vassoio, e si diresse in cucina.
Tic. Toc. Gli orologi nel lungo corridoio scandivano il tempo al ritmo di un De profundis. Le barre dei pendoli recitavano quel salmo con severità, mentre lei camminava tra le loro ombre, tra le casse di legno laccato, cercando di non far loro caso.
Tic. Toc.
Benedicta tu in mulieribus.
Et benedictus fructus ventris tui.
È l’Agnello che toglie il peccato del mondo.
Io lo risusciterò nell’ultimo giorno, così è scritto.
Si fermò un istante a esaminare l’orologio presso la rampa. La Natività era incisa in argento, con i vestiti e le finiture in oro. Il volto di Maria era addolorato, e piangeva piccole lacrime di sangue. Dopo quella notte Máire non era riuscita a lavare via tutte le macchie.
— È un Facini, padre mio. Un pensiero, anche in onore della nostra Máire.
Il Reverendo Gabriel le sorrise, dando le spalle alla finestra sulla baia. Gli occhi azzurri brillavano di luce inquieta. Lei arrossì, mentre sistemava tazze e cucchiaini sul vassoio.
— È meraviglioso. Dev’essere costato una fortuna.
— Un dono del vescovo, in realtà, per i miei servizi. L’avevo notato nella curia e ho pensato a voi.
D’un tratto, un lampo di occhi azzurri, alla sua destra, dietro le sfere e gli ingranaggi di bronzo, contro il muro. Un abito nero.
Il cuore mancò un battito. Guardò meglio, ma la visione era svanita.
***
Fuori dalla misera finestra si scorgeva il cimitero, dietro alle rovine di Mariners Church. Nella brughiera oltre la strada, più a destra, si intuivano i suoni e le voci di ragazzini che giocavano a hurling. A sinistra si aprivano le acque della baia e le basse rive di Bull Island. La luce al di là delle nubi iniziava a scemare.
Seduta a quel tavolo grezzo, cercava conforto in un paesaggio che un tempo apparteneva anche a lei.
— Non ringrazi il Signore abbastanza, ecco cos’è —, pontificò sua madre. — E Lui ti manda incubi. Tuo padre avrebbe dovuto spedirti a un istituto, senza tante storie.
— Ma non l’ha fatto perché non aveva le palle.
Sua madre si segnò.
— Una vita di preghiera ti avrebbe tolto di bocca certe oscenità. È solo preoccupato per te.
— Strano modo di dimostrarlo.
Rumori di un carretto appoggiato contro il muro della casa. Un uomo fischiettava una melodia popolare. Passi sulla rena. L’uscio si aprì, ed entrò suo padre: tozzo, barbuto, gli occhi chiari e sorridenti. Non appena la vide, il sorriso si spense e la musica si interruppe.
Istanti di silenzio imbarazzato.
— Bene, bene, la signora si degna di uscire dal castello —, scimmiottò una riverenza. Máire si alzò.
— E nel castello torna immediatamente, dato che non è più gradita.
— La figlia è sempre gradita. La sgualdrina, no. Grazie al cielo, Nostro Signore è giusto.
— Pa’, ma’, arrivederci —, accennò un inchino e uscì.
Suo padre stava per ribattere. Máire vide sua madre posargli una mano sulla spalla. Udì borbottare, e la porta si richiuse.
Si incamminò verso Casa Carew, trattenendo le lacrime.
Il tramonto si perdeva dietro di lei, mentre il cielo oltre Thormanby Hill si incupiva. Sulla strada in mezzo alla campagna di Kilbarrack incrociò diverse persone, ma nessuno la salutò. I più la guardavano appena e mormoravano insulti alle sue spalle. L’appellativo più cortese era maddalena. Un vecchio la chiamò “la rovina dei Carew”. Ebbe un conato di vomito. Nel vento fresco e umido della sera la cicatrice sul braccio tornò a dolerle.
Erano seduti nel salone, il più ricco che avesse mai visto. Il fuoco di quella sera di gennaio era acceso, confortevole. 
— Come ti chiami? — chiese Sir James.
— Máire O’Kelly, signore.
— È “sir” o “my Lord”. Tuo padre è Michael O’Kelly, di Kilbarrack?
— Sì, sign… m’lord.
— Cosa sai fare?
— Cucinare e pulire, m’lord.
— Per quale motivo hai chiesto un colloquio con noi? È Conor che si occupa di queste faccende.
— Ecco… Padre Gabriel me l’ha suggerito. M’lord.
— Sei sposata, Máire?
— No, m’lord.
— Ma aspetti un figlio.
Máire arrossì e abbassò il capo. Davanti a sé vide le mani di Lady Aoife accarezzare quelle del marito. Forse si stavano guardando, ma lei non osò alzare gli occhi per confermarlo. Si udiva solo lo scoppiettare nel camino, e quell’inconsueto, ininterrotto ticchettio delle pendole. Le mani della coppia si strinsero l’una nell’altra.
— Come hai intenzione di chiamare il bambino? — chiese Lady Aoife.
— Se è femmina non so, m’lady. Se è maschio, Íosa.
Infine Sir James sospirò.
— In fondo, anche San Giuseppe prese con sé la Vergine Maria già gravida. Vieni domattina, Conor ti spiegherà cosa fare.
Una fresca pioviggine le bagnava appena il vestito. Era quasi buio quando giunse al bivio di Sutton Cross. Iniziò a percorrere Thormanby Road, tra le brughiere, la strada più veloce per Casa Carew. Poi, in lontananza, scorse una figura nell’erica: abito talare, colletto bianco, cappello romano, la tesa che nascondeva il volto nel crepuscolo. Máire non attese che quell’ombra sollevasse il capo, sapeva già chi avrebbe visto. Corse indietro, e prese la strada che passava per il paese.
Sancta Maria, mater Dei.
Ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, così è scritto.
***
Girò la chiave e aprì la porta d’ingresso. Tutto era oscurità.
La pioggia cadeva fine e silenziosa. Tic. Toc. L’unico suono era il Kyrie meccanico recitato dalle pendole.
— M’lady? M’lord? Sono tornata —, chiamò Máire.
Nessuna risposta.
Entrò e richiuse. Le tende del salone non erano accostate, e dall’esterno penetrava la tenue luce notturna riflessa dalle nubi. Nel camino le braci erano spente.
— M’lady? M’lord?
Prese un candeliere dal salone, ma non trovò nulla per accenderlo. Tornò nel corridoio.
Tic. Toc. Figure di Cristo, intagli di personaggi biblici, smalti con le effigi dei santi: le tenebre erano un sudario, e di quelle pie scene non restavano che smorfie vaghe, grottesche, irreali, accompagnate da una litania di ruote dentate.
Máire camminava con prudenza, orientandosi nel buio. Poi un’ombra comparve alle sue spalle, eclissando la larva di luce che proveniva dal salone. Si voltò.
Un profilo nero, la tonaca, gli occhi che appena lampeggiavano d’azzurro, il cappello a larga tesa sopra i lunghi capelli.
Máire sussultò, arretrò, brancolò. Inciampò contro qualcosa, lasciò cadere il candelabro, rovinò all’indietro, batté il capo. Sotto di lei, due corpi. Sangue? Tutto si confondeva. Udì, ovattata, la voce del Reverendo Gabriel Carew.
— Et ingressus ad eam dixit: Ave, gratia plena, Dominus tecum.
La figura si avvicinò, si chinò su di lei. Occhi azzurri. Frasi mormorate all’orecchio, che lei non intese.
Eppure Padre Gabriel era stato condannato. E impiccato. 
Gli orologi scoccarono la mezzanotte. Máire perse i sensi.

Si svegliò di soprassalto. Credette di aver avvertito un rumore nel sonno.
Si sollevò sul letto.
Il consueto ticchettio degli orologi, due piani più in basso. Il respiro profondo delle domestiche addormentate, nei letti lì accanto. La pioggia che batteva leggera sul tetto. Nulla era fuori posto.
Poi si voltò verso la culla. Non percepiva il respiro di Íosa.
Afferrò la candela, l’accese. Il cuore diede un balzo: il bambino non c’era.
Udì uno strillo, infantile, lontano. Un pianto acuto, poi un colpo.
Íosa!
Máire si gettò fuori dal letto, candela in mano, si precipitò giù per le scale. Udiva una voce, al pianterreno, dissennata come una messa infernale.
— Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno! Così è scritto! Giovanni, sei, cinquantaquattro!
Giunse al corridoio. Gabriel schiacciava Íosa contro il muro, tra gli orologi. La mano affondava un coltello nel corpicino. Sangue ovunque. Macchie sulla pelle, sulla stoffa, sulla pietra, sul legno, sull’oro e sull’argento.
Máire gli si lanciò contro. Urlò.
Gabriel lasciò cadere Íosa come una bambola rotta, respinse il suo assalto con un fendente. Il braccio bruciò, il sangue colò sulla veste da notte.
— Ave, o piena di grazia! Il Signore è con te! — gridò Gabriel, e le cacciò il coltello nell’addome.
Una fitta lancinante. Il respiro le sfuggì. Un fiotto caldo sgorgò dalla ferita. Vacillò e cadde.
Tic. Toc.
— Il frutto del tuo ventre è benedetto! — ruggì Gabriel, sollevando Íosa esanime per un polso. — È l’Agnello che toglie il peccato del mondo. Così è scritto! Chi mangia la sua carne e beve il suo sangue avrà la vita eterna!
Máire cercò di sollevarsi, ma la vista le si offuscava. Recitando l’Ave Maria, Gabriel scaraventò Íosa contro il muro. Con il coltello lo lacerò, con i denti ne strappò le carni.
Máire stava ormai perdendo i sensi. Vide il suo amore diventar frattaglie, quella parte di sé fatta a brani come rognone.
Gente che scendeva dalle scale.
— Infame! Maledetto! Che stai facendo?
La voce di Sir Carew tuonava, ma distante come un temporale sulle coste d’Inghilterra.
Poi il buio.
***
Domenica, 27 novembre, Prima d’Avvento.

Tic. Toc. Tic. Toc.
Máire si riebbe, accarezzata dai riflessi dell’alba che si insinuavano dalle finestre del salone. Il capo le doleva.
Poi il ricordo di quella visione: si sollevò di scatto. Guardò intorno.
Sotto di lei, Sir James con la pipa ancora in mano, e Lady Aoife nella sua veste di crespo nero. Gli occhi sbarrati, sgozzati come maiali. Sangue secco sul pavimento, sui muri, sulle pendole che, inesorabili, cantavano il Requiem aeternam.
Strisciò all’indietro, gridò, il cuore le martellava. Vomitò. Si asciugò sulla manica, mentre gli occhi dardeggiavano per il corridoio, temendo una nuova apparizione di quel fantasma. La Natività del Fucini era interamente imbrattata. Come quella notte di oltre un anno fa.
Poi, nella sua testa, l’eco d'una voce nota, mormorata mentre lei stava perdendo conoscenza.
Ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno…
E l'angelo le disse: Non temere, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
Máire, con un moto di nausea, passò la mano sul suo ventre.

Re: [H23] Così è scritto

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Bentrovato, @Mid , nel nostro contest annuale.
Il tuo racconto merita tutta l'attenzione possibile, per la ricerca dei particolari precisi che hai usato.
Ne è nato un racconto molto articolato, la trama in due parole:
Una ragazza madre trova rifugio presso una prestigiosa famiglia irlandese. Il figlio dei due signori uccide il neonato della ragazza e in un secondo tempo anche il padre e sua madre. La storia si svolge in una casa inquietante. 
Hai tessuto una storia intricante, c'è il mistero, la paura, e tensione ma hai usato fili che non definisco bene il ricamo.
Nel complesso il racconto mi è piaciuto, mi piace come hai pensato di sfruttare l'immagine che ti è toccata e le descrizioni degli ambienti, dei luoghi dove si svolgono i fatti.  anche se a volte sono un po', come dire, invadenti, smorzano la tensione.
Se posso permettermi, ti segnalo alcuni punti che trovo si possano migliorare:
Mid ha scritto: sab nov 04, 2023 4:22 pmGemette, posando il vassoio a terra. Si chinò e si affrettò ad asciugare prima che il tappeto si macchiasse. I rintocchi scoccarono nel corridoio, e presto si spensero.
— Mi spiace m’lady.
La scena come la vedo io. La ragazza sussulta il vassoio si rovescia. Prima di tutto lei asciuga il tappeto, con cosa? Portava con se l'occorrente? Va in cucina di corsa a procurarsi qualcosa? Comunque passano dei minuti, la battuta;
 — Mi spiace m’lady. Arriva tardi secondo me, per una questione cronologica, prima chiede scusa e poi provvede ad asciugare.

Mid ha scritto: sab nov 04, 2023 4:22 pmMáire poté sentire il rosario della sua signora sulla cicatrice. Si asciugò rapidamente gli occhi.
In che modo? Non sappiamo dove ha la cicatrice, non sappiamo come teneva il rosario la signora, l'immagine non mi è arrivata subito chiara. Il movimento è interrotto dallo sguardo perso nel panorama del signor Carew
Ma se correggi tutto il periodo in questo modo: 

Mid ha scritto: sab nov 04, 2023 4:22 pmLady Aoife Carew le toccò un braccio. Máire sollevò lo sguardo, incontrò quello della sua signora: sorrideva, ma con gli occhi lucidi e le rughe tremanti. Máire singhiozzò. Si trattenne. Sir James Carew fumava, impassibile, osservando fuori dalla finestra: l’erta della scogliera di Thormanby Hill a poche iarde, e il faro di Baily con il suo occhieggiare intermittente, più in basso, che illuminava di lampi il mare grigio della baia di Dublino.
— È tutto a posto —, continuò lady Carew, e il tocco divenne una carezza; i grani del rosario che la signora teneva tra le dita, sfiorarono la  cicatrice sotto la divisa di velluto nero. Si asciugò rapidamente gli occhi.
Così la scena chiarisce che la signora le fa una carezza con una fila di perle intrecciata nella mano. La divagazione sul panorama puoi inserirla dopo ma sempre che il tutto non stoni o appesantisca il testo.

Mid ha scritto: sab nov 04, 2023 4:22 pmSi fermò un istante a esaminare l’orologio presso la rampa. La Natività era incisa in argento, con i vestiti e le finiture in oro. Il volto di Maria era addolorato, e piangeva piccole lacrime di sangue. Dopo quella notte Máire non era riuscita a lavare via tutte le macchie.
— È un Facini, padre mio. Un pensiero, anche in onore della nostra Máire.
Il Reverendo Gabriel le sorrise, dando le spalle alla finestra sulla baia. Gli occhi azzurri brillavano di luce inquieta. Lei arrossì, mentre sistemava tazze e cucchiaini sul vassoio.
— È meraviglioso. Dev’essere costato una fortuna.
— Un dono del vescovo, in realtà, per i miei servizi. L’avevo notato nella curia e ho pensato a voi.

Qui solo in una seconda lettura ho capito a quale notte fa riferimento il narratore. 

— È un Facini, padre mio. Un pensiero, anche in onore della nostra Máire.
Questa parte del dialogo fa pensare a un coinvolgimento tra il reverendo e la domestica. Forse il figlio che aspetta è del reverendo?
Mi era sfuggito anche il fatto che fosse il figlio del signor Carew l'ho capito più avanti.

Molte cose le lasci solo intuire. Come è morto il reverendo, il perché i genitori la trattano male, la nausea e la mano sul ventre alla fine, forse aspetta già un altro bambino? Questo per tutto il racconto che ho dovuto rileggere per mettere tutto a fuoco. Hai saputo creare la tensione, l'angoscia, un buon ritmo ma io purtroppo mi sono persa diverse volte a tornare indietro nella lettura, credo che il testo si possa asciugare in diversi punti, mostrare di più e raccontare di meno. 
Comunque una bella prova.


 

Re: [H23] Così è scritto

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@Albascura, grazie del tuo commento. :)

Leggendo quanto mi hai scritto, è chiaro che non sono riuscito a veicolare la storia che intendevo raccontare, e quindi ho fallito il mio obiettivo come autore. Forse sono stato troppo criptico. O forse, come dici tu, ho appesantito troppo la storia con immagini.

Non cercherò di spiegarmi qui, perché non vorrei influenzare altri lettori. Se hai tempo e ti fa piacere, puoi lasciarmi un PM e ti spiego meglio lì (ovviamente puoi anche ignorare questo invito se hai di meglio da fare :P ).

In ogni caso ti ringrazio molto, perché anche capire di aver sbagliato è importante per migliorarsi.

Buona domenica!

Re: [H23] Così è scritto

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Ciao :D Trovo tu abbia un ottimo stile e ho trovato davvero ispirata l'idea con cui hai sviluppato l'immagine, che non era di facile interpretazione.

Ho trovato anche io che le descrizioni minuziose andassero a volte ad appesantire il racconto, rischiando in certi punti di trasformarlo in un esercizio di stile e rallentando la narrazione.
Inoltre, ho fatto fatica a immedesimarmi nella protagonista: anche se ha una storia che ti porta decisamente a tifare per lei, nel racconto si percepisce comunque una sorta di distacco nei suoi confronti.

Sei però riuscito a creare delle belle atmofere, molto inquietanti a tratti (tra orologi e immagini a tema religioso), e a immergermi nell'atmosfera irlandese.

Re: [H23] Così è scritto

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ciao @Mid . Hai scritto un pezzo difficile da capire. Troppe pendole, troppe indicazioni latine, appesantiscono il tutto. Credo che la prima cosa che si debba fare e agevolare la comprensione del lettore. Solo nel finale, apprezzo l'idea di questo infanticidio per una possibile rinascita, velato di misticismo e religiosità. La donna dietro a un ingranaggio ti ha troppo condizionato. Credo che l'idea di ingranaggio la potevi elaborare in maniera diversa. Ma è andata così e comunque non è venuto male. Ciao a presto.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [H23] Così è scritto

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bestseller2020 ha scritto: dom nov 05, 2023 5:35 pmTroppe pendole, troppe indicazioni latine,
 Umberto Eco è entrato nella chat.

Peccato che io, chiaramente, non sia bravo quanto lui. :asd:

In ogni caso hai ragione, se tutti i lettori mi hanno indicato che lo stile è troppo pesante... beh, è troppo pesante, c'è poco da fare. A parte riscrivere tagliando le parti più pesanti. :)

Ti ringrazio per il commento e la lettura! :D

Re: [H23] Così è scritto

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Mid ha scritto: dom nov 05, 2023 5:42 pm  Umberto Eco è entrato nella chat.

Peccato che io, chiaramente, non sia bravo quanto lui. :asd:

In ogni caso hai ragione, se tutti i lettori mi hanno indicato che lo stile è troppo pesante... beh, è troppo pesante, c'è poco da fare. A parte riscrivere tagliando le parti più pesanti. :)

Ti ringrazio per il commento e la lettura! :D
Non mi dirai che ti sei rifatto al "pendolo di Foucault" di Eco?. Quando mi misi a leggerlo, non resistetti dieci pagine di quella "Coreografia di parole" e lo misi da parte. ciao :asd:
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [H23] Così è scritto

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@Mid
"[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Umberto Eco è entrato nella chat."  :asd:[/font]

Allora, no, non è che la lettura è stata un tormento di noia da staccarsi le palpebre. Penso che una ventina di anni fa il tuo stile sarebbe andato benissimo, ma temo che in questo periodo storico, in cui il passatempo-tipo sono i video di tre secondi su tiktok, rischi di non essere molto vendibile.
Poi, se a te non importa stare a farti le pare sulla vendibilità, tanto meglio  :D

Ecco, sicuramente ti consiglio di aggiungere una traduzione (a piè di pagina, o nel testo) delle frasi in latino!
Mio papà adora leggere Eco, ma si lamenta sempre che non traducono le frasi per chi non sa il latino/greco/inglese/aramaico... Non seguire Eco su questa brutta strada!  :sorrisoidiota:

Re: [H23] Così è scritto

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Ciao @Mid,
hai avuto una carta tosta!
Ti hanno già scritto che hai appesantito un po' troppo il racconto e devo unirmi a questa critica.
Ti scrivo senza essere tornata indietro a rileggere, ma ti confesso che, con una sola lettura, non credo di avere ben capito la trama.

Innanzitutto solo leggendo i commenti ho collegato che il reverendo Gabriel fosse il figlio dei signori, anche se accenni ad un lutto e ad un figlio che si era rivelato in mostro, ma m'lady mi sembra affermi che non era figlio loro... Sono in confusione, perché c'è in ballo anche la vita eterna... Quindi il reverendo Gabriel ha bevuto il sangue del piccolo per avere vita eterna?
È stato impiccato, ma ha ucciso i suoi genitori (perché?) 
Chi rinasce nel ventre di Maire, di nuovo pieno di vita?

Di sicuro mi hai incuriosita, snellendo riveleresti meglio un'ottima scrittura per me, per la trama, forse sempre snellendo, potrebbe diventarmi più chiara.

A rileggerti 
<3

Re: [H23] Così è scritto

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@Modea72, mi sa che ho esagerato qui. Lo dicono tutti. :P
 
Non rispondo a tutte le domande, perché un po' era mia intenzione anche solo sollevarle, quelle domande: il resto è lasciato all'immaginazione del lettore.
Rispondo a questa:
Modea72 ha scritto: lun nov 06, 2023 2:09 amÈ stato impiccato, ma ha ucciso i suoi genitori (perché?)
Qui penso sia un errore mio. Dovessi riscrivere il racconto, non farei morire i genitori. Semplicemente avevo bisogno della casa vuota per l'ultima scena, ma mi rendo conto non sia 100% coerente col resto.
Modea72 ha scritto: lun nov 06, 2023 2:09 amChi rinasce nel ventre di Maire, di nuovo pieno di vita?
:pedosguardo: 

Grazie per il commento, gentilissima! :)

Re: [H23] Così è scritto

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A me il tuo stile piace, mi piae come costruisci scene ed atmosfere, ma la trma mi é risultata poco chiara.
Ho capito che la cameriera era incinta, ho capito che é stata accolta dai signori e che lí ha potuto partorire il figlio. Ho anche caoito che il reverendo ha fatto una cosa molto brutta e per quella é stato impiccato, e alla fine qualcuno ha ucciso i due signori lasciando sopravvivere lei.
Mi manca un ragionevole perché per tutte queste azioni.
Mi manca anche un ragionevole perché per tutti gli orologi che scandiscono il tempo e danno un amtosfera cosí piena di suspence.

Re: [H23] Così è scritto

14
Almissima ha scritto: lun nov 06, 2023 10:23 amHo anche caoito che il reverendo ha fatto una cosa molto brutta e per quella é stato impiccato, e alla fine qualcuno ha ucciso i due signori lasciando sopravvivere lei.
Nelle mie intenzioni, il reverendo e il "qualcuno" sono la stessa persona, nonché il figlio dei Carew.

Il fatto che così tanti lettori non l'abbiano capito mi fa pensare che l'abbia scritto proprio male. :facepalm:
Almissima ha scritto: lun nov 06, 2023 10:23 amMi manca anche un ragionevole perché per tutti gli orologi che scandiscono il tempo e danno un amtosfera cosí piena di suspence.
È nel primo paragrafo, Sir Carew ne fa collezione. Infatti anche suo figlio gliene regala uno (il Facini).

Ti ringrazio per la lettura e il commento! :D 

Re: [H23] Così è scritto

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Ciao @Mid !
Piacere di averti letto.
Come gli altri confermo la distrazione narrativa portata da alcuni passaggi eccessivamente descrittivi, ma devo dire che io la trama l’ho compresa subito.
Rimane l’inutilità dell’omicidio dei due signorotti e la necessità di spiegare meglio chi fosse Gabriel e i suoi scopi e la perfetta ambientazione irish-gothic!

A rileggerti!
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Re: [H23] Così è scritto

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Ciao, @Mid , credo sia la prima volta che ti leggo e sono rimasto molto favorevolmente impressionato dalla tua scrittura.
Il racconto è convincente, ma la scrittura lo è di più. L'abilità con cui immagini un irlandese del passato bere da un mestolo e non da un bicchiere, sono i famosi particolari che fanno la differenza. 
Per me è un pollice in su  (y)
Scrittore maledetto due volte

Re: [H23] Così è scritto

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Ciao @Mid  
piacere di leggerti per la prima volta.
L'idea è molto interessante e ben pensata. Devo ammetter però che la lettura è un po' faticosa, e non per le scritte in latino o l'attenzione ai dettagli "scenografici", che invece contribuiscono all'atmosfera gotica e inquietante. Quello che a mio avviso appesantisce la lettura è un eccesso di verbi, e secondariamente di aggettivi. prende le tazze, le posa sul vassoio, le porta di là (almeno una delle azioni tra prendere e posare potrebbe essere implicita senza nulla togliere alla comprensione del tutto). Si china e si affretta ad asciugare (si china per asciugare, che lo faccia di fretta è evidente anche senza esplicitarlo). mi sono venuti in mente questi due esempi, ma il testo ne è denso. Lo stesso vale per gli aggettivi e o i complementi di qualificazione, onnipresenti, che a volte mi sembrano davvero smorzare la tensione del tutto, invece di contribuire a tenerla alta.
Un esempio su tutti:
Mid ha scritto: sab nov 04, 2023 4:22 pmUdì uno strillo, infantile, lontano. Un pianto acuto, poi un colpo.
Íosa!
Máire si gettò fuori dal letto, candela in mano, si precipitò giù per le scale. Udiva una voce, al pianterreno, dissennata come una messa infernale.
siamo concentrati sull'assenza del bambino: serve precisare che il grido è infantile? o l'acuto del pianto? M. ha già la candela in mano, perché precisarlo nella corsa per le scale? La voce dissennata la "sentiamo" subito dopo recitare versi dai vangeli compiendo un rito sacrificale su un neonato: perché spiegarci a chiare lettere che siamo in una scena di messa infernale? 
Insomma, secondo me, questo eccesso descrittivo, quasi didascalico, nuoce all'atmosfera opprimente e terribile che dovrebbe scaturire dal racconto.
Naturalmente, puoi non essere d'accordo con la mia sensazione, ci mancherebbe.
Sullo sviluppo della storia, invece, ho una sola piccola obiezione: il fatto che i flashback si succedano in ordine cronologico sparso rende più difficile ricostruire la storia. In generale non è un problema la lettura che richiede di concentrarsi e riflettere per comprendere, ma trattandosi di una storia di orrori in cui tensione e angoscia dovrebbero andare in crescendo, il dover fermarsi più volte per tornare indietro e rimettere in ordine gli episodi mi sembra controproducente.
Mid ha scritto: sab nov 04, 2023 4:22 pm— È un Facini, padre mio. Un pensiero, anche in onore della nostra Máire.
Il Reverendo Gabriel le sorrise, dando le spalle alla finestra sulla baia. Gli occhi azzurri brillavano di luce inquieta. Lei arrossì, mentre sistemava tazze e cucchiaini sul vassoio.
— È meraviglioso. Dev’essere costato una fortuna.
— Un dono del vescovo, in realtà, per i miei servizi. L’avevo notato nella curia e ho pensato a voi.
In questa conversazione ho fatto fatica a riconoscere chi dice cosa (avevo inteso quel "padre mio" come rivolto al reverendo. E "nostra Maire" detto dal Lord). E che Gabriel fosse il figlio dei due signori l'ho dedotto a lettura finita, cercando di ricostruire il tutto. Dal testo non mi era risultato palese.
Questo può essere un problema solo dei miei neuroni, non lo escludo.
Probabilmente sempre per via dei neuroni fatiscenti, ho un dubbio anche sul finale: la voce del reverendo le annuncia una nuova gravidanza o, scossa dal trauma del nuovo crimine, ricorda l'annuncio della prima gravidanza? Propendo per la seconda spiegazione, ma senza certezze.

Prendi le mie per quello che sono: sensazioni e riflessioni personali, nulla più. Di sicuro è un racconto che non lascia indifferenti e ben fatto.
A rileggerti.
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: [H23] Così è scritto

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Ciao @Mid trovo che hai una scrittura di gran classe. Per niente pesante, piuttosto complessa, articolata, ricercata. Forse a volte con una ricerca eccessiva, ma fa parte del tuo stile, immagino. Molte cose mi sono sfuggite anche dopo aver letto i commenti. Per es. la citazione dei santi. E io sono un lettore distratto. Ho letto che sei appassionato di Eco e si percepisce la scrittura colta, ricca di significati, misteriosa.
Ogni frase è studiata ma scivola con naturalezza. Se scrivi che dovrai rimettere mano al testo, io sicuramente dovrò rimetterci l'occhio e collegarlo per bene al cervello per riuscire ad apprezzare appieno.
Alla prossima.

Re: [H23] Così è scritto

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Mid ha scritto: mar nov 07, 2023 4:12 pm e con i miei prossimi horror).
Non so se considerarla una minaccia...
Ad ogni buon conto è la cosa più terrifica che hai scritto in questa pagina, per tutti gli scellerati epigoni di Umberto Eco!

Ordunque, vediamo: hai scelto una via di accesso razionale ai labirinti mantali della paura, anziché colpirmi diretto all'amigdala.
Non so se esserne lieto o disgustato, perché il rischio che hai corso è quello di risultare mortalmente soporifero.


Bah! Come ho già detto a un altro tuo compare di sventura, anche qui il lettore è troppo impegnato a non capirci nulla per provare davvero paura, o anche solo inquietudine, dannazione!

Il tuo intreccio sembra un tranquillo incubo di quel tale che risponde al nome di Quentin Tarantino, con la differenza che qui, anche alla fine, risulta troppo complicato mettere assieme il pezzi della storia.

E non mi riferisco all'Ave Maria (ché non servono un latinista o un tradizionalista cultore del Rito Tridentino, per decifrarla e inquadrarla correttamente), ma proprio all'eccesso di rimescolamento della trama, che porta al disordine negli indizi e negli elementi che offri al povero lettore.

Così, leggendoti, ho nuovamente accusato il colpo già subito nella lettura di altri dannati racconti di questo contest e mi sono addormentato. Per risvegliarmi solo tre giorni dopo (e non lo dico certo per giustificare il mio ritardo nei commenti, ché lo Stregone commenta quando vuole, per l'animaccia vostra!)

E dire che la tua scrittura non è da gettare nella fossa comune delle pagine che sarebbe meglio non fossero mai state scritte, per tutti i maceri! Solo non lasciarti impossessare dal demone della ricercatezza. Almeno quando tenti di scrivere un racconto horror, se davvero vuoi mettere in atto la tua terribile minaccia e qualche brivido vuoi provare davvero a suscitarlo.



E ora torno a dormire un po' nel mio sotterraneo, perché non ho ancora del tutto smaltita la botta di catalessi che mi hai procurato...
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