La musica salva

1
La mansarda della nonna era interamente coperta da lenzuola bianche. Sua nipote non osava entrarci dopo il tragico avvenimento di quel giorno. L'aria sembrava più rarefatta e la luce passava flebile attraverso gli infissi, una coltre di polvere si era depositata sull'arredo di mogano. In un angolo Eloisa aveva lasciato l'oggetto a sé più caro, uno dei suoi amori sepolti tra le macerie. Su un mobiletto era riposta una foto incorniciata. La strofinò con la manica del maglione: era la foto di famiglia, raffigurante lei bambina, suo padre ancora pieno di vita, sua madre e la nonna paterna. Bei tempi andati! Guardandola le si inumidirono gli occhi, fu assorbita da quel ricordo e i suoi pensieri furono risucchiati come in un buco nero, nell'eclissi del tempo...
Eloisa aveva compiuto i suoi ventidue anni la settimana prima, fantasticava sul futuro, come tutti i giovani della sua età. Aveva riempito gli anni migliori dell'adolescenza con le note del suo violoncello, ascoltando in cuffia la musica dei classici. Al calare del sole Eloisa estraeva il suo strumento dalla custodia, pesante come un armadio, ma che trascinava appresso incespicando ovunque.
Non era capace di suonare alla perfezione, come i maestri ostentavano, ma spesso suonava per sé stessa. Pomeriggi interi trascorsi a maneggiare l'arco in noiosi esercizi non la ripagavano dell'attimo in cui si scrollava del peso di suonare per gli altri e si abbandonava al flusso animato dalle viscere. Istanti nitidi in cui il cuore mostrava uno sprazzo di cielo puro. Le corde vibravano con destrezza, il dolore scorreva lungo l'arco come onde che si increspavano in orde di anime dannate. E la notte clemente si mostrava nuda col suo drappo astrale. Eloisa si riscopriva inerme sulla sabbia oscura, umida e soffice nel litorale del suo grembo, immergendosi completamente nel mare buio, illuminato soltanto dai bagliori di luna. Il rumore dei sassi e delle correnti le riempivano la testa mentre giocava sott'acqua. Nuotava libera nell'assenza di forme, ammirando quel teatro di nulla con una platea di pesci e spettri abissali. Il suo cadavere vagava sul palco salmastro, svuotato della sua intima essenza, mentre le alghe si appiccicavano, viscide. Gli occhi sgranati sul fondale contemplavano l'abisso che si schiudeva a poco a poco dalla sua conchiglia a spirale, col suo fulcro di perla. I riflessi lunari si infrangevano frastagliati sui segreti del mondo, e lei diventava una goccia d'acqua, come parte di una vita più grande.
Quel pomeriggio tirò un sospiro di sollievo. La suite in Sol maggiore di Bach si concluse con una lunga arcata, migliaia di ineffabili voci fuse all'unisono. Tesseva la sua musica come faceva la cara vecchia nonna all'uncinetto, scaldata dalla luce del focolare, mentre l'odore di stufato impregnava la stanza. Era così che Eloisa entrava in un tempo e uno spazio che non le appartenevano – lontana dalla voce degli altri.
Una sera di quelle la nonna lasciò cadere lo stufato, scossa dalla notizia appena ricevuta. «Eloisa, cara» singhiozzò, «tuo padre dice di non stare molto bene...»
Eloisa si precipitò istantaneamente nell'ospizio, dedicato alla cura dei pazienti terminali. Aveva condotto delle ricerche sul web in merito a quel posto, la madre omise i dettagli sulle condizioni del padre, e solo così apprese della tipologia dei pazienti cui era dedicata la struttura. Medici e infermieri non si arrischiavano a formulare sentenze nette, tanto meno se suonavano come condanne a morte.
«Guarirà? Quanto gli rimane ancora da vivere?» domandava, supplichevole.
«Mi dispiace, signorina» rispose l'oncologo, «non possiamo formulare delle stime sull'evoluzione della patologia. Suo padre soffre di cancro epatico.»
Non aveva parlato di guarigione. Nessuno tra i sanitari aveva menzionato ad un miglioramento della patologia, del resto non c'era da aspettarsela dal momento che era terminale.
Sarebbe rimasta orfana, a ventidue anni. Gli strinse la mano, fissando il suo vecchio. Giovanni, straziato, enunciò fievole: «Eloisa, adesso comprendo perché mi hanno spostato in questa casa di cura!» e tossì. «Forse la loro speranza è di gran lunga minore della mia. Ma, in cuor mio, avrei ancora un'ultima speranza per te: che tu ti senta realizzata e faccia davvero ciò che ti ispira. La vita è un soffio, e io sento di andarmene...»
Giovanni singhiozzò sommessamente, poi trasse un profondo respiro: «Devi perdonarmi, non sono pronto a lasciare te e tua madre. Siete state la mia gioia più grande... Eloisa, continua a suonare, non lasciarti abbattere e vai avanti per la tua strada. Sei una ragazza assennata, figlia mia!»
Si abbracciarono a lungo, consapevoli di quegli effimeri istanti. Eloisa si aggrappò al suo affetto più caro con tutte le forze che aveva.
«Così facendo riempiremo un'intera tinozza con tutte queste lacrime...» ridacchiò il padre, sistemandosi le lenzuola.
«Oh, papà! Anche in queste circostanze non perdi mai la tua vena umoristica!» sorrise, malinconica. Guardò le pareti anguste della piccola stanza: non vi erano finestre e sul comodino erano poggiate le stoviglie della colazione, non ancora rimosse.
«Suonerò per te.»
Lasciò la stanza, precipitandosi fuori da quel posto. Se fosse stata abbastanza celere, vi sarebbe stata un'ultima possibilità di realizzare il suo ultimo desiderio – abbracciare il padre con la musica, accompagnarlo al trapasso, confortarlo e stringerlo tra le note, aprire un varco tra i due mondi e, velatamente, pregare di sottrarlo alla sorte. La musica salva, ne era profondamente convinta. Valeva la pena di fare un tentativo!
Strada facendo, Eloisa incrociò l'oncologo dell'equipe. Disse di chiamarsi Mario.
«Signorina, devo chiederle il consenso per la somministrazione della sedazione palliativa, in caso si renda strettamente necessario. È solo una precauzione...»
Eloisa acconsentì, e una goccia di lacrima bagnò il foglio, sul proprio nome.
«Devo andare, non ho molto tempo» proseguì, e percorse a ritroso la strada per casa. In tutta fretta varcò la porta d'ingresso e il viale alberato – che paradosso! La sua stagione preferita, l'autunno, si apriva con uno spettacolo di foglie dorate. Ma sentiva la morte incombere in ogni dove. Quel giorno la nebbia si infittì, aumentando la sua voglia di non saperne più nulla, di rintanarsi in casa dei genitori, riscaldata dal focolare, e fingere che nulla, nulla di tutto ciò stesse realmente accadendo! Forse c'era ancora una speranza. Forse. Cuore duro, ripeteva tra sé, ora doveva sostenere il peso di quella situazione. Caricò il violoncello sulle spalle e si imbarcò nuovamente in quel tugurio. L'unica cosa che le fu concesso di fare era viverlo fino in fondo, prima di salutare il padre. Afferrò le chiavi dell'auto, ripose lo strumento nel portabagagli, chiudendolo con un tonfo, e girò le chiavi, azionando la locomotiva. Diede un colpo al cambio per la retromarcia e invertì il corso dei suoi pensieri – ci sarebbe mai stata un'altra soluzione a tutto ciò?
Spinse il piede sull'acceleratore, ebbe cura di procedere a velocità moderata a causa della nebbia. La sua mente suonava durante il tragitto. Questa volta erano note di dolore, abbandonata nella solitudine. Era sola sul palco, illuminata da una flebile luce lontana, il teatro vuoto. Non c'era nessuno. Suonava l'Estate di Vivaldi, bruciando nel calore infernale della sua collera. Migliaia di corde laceravano la sua pelle, sfilacciando la carne inerme, ancorata alla speranza con le catene di Efesto. Il suo corpo nudo era esposto a mezz'aria, sospeso sul magma esangue. Se avesse smesso di sperare, la sua condanna sarebbe scemata. Doveva rassegnarsi, ma non voleva. Parcheggiò nell'anfratto retrostante l'ospizio e si precipitò col peso dei ricordi nella stanza numero cinque.
Giovanni era immobile. L'ECG tracciava una linea retta, il filo di vita che sottende l'arco tra il suono e il silenzio. Il personale sanitario iniziò la trafila per addobbare e ripulire il cadavere.
Eloisa scoppiò in lacrime.
«Signorina, non è orario di visite. Lei non può sostare nella stanza!» proferì un operatore sanitario.
«Lo so, ma avevo bisogno di vederlo un'ultima volta.»
«Capisco. Credo, però, non sia consigliabile assistere finché il personale non abbia concluso le prassi igieniche.»
Mario la accompagnò accoratamente alla porta. Il suo desiderio di suonare sfumò vorticosamente.
La salma di Giovanni fu esposta nella sala mortuaria. Il silenzio accompagnava quei momenti, riportando il filo della memoria a ritroso. Aveva un'espressione tutto sommato serena.
Eloisa afferrò il violoncello, impugnò l'arco e bruciò i suoi crini con fuoco. Il suono venne a galla dalle viscere della terra, mutando l'aria e il suo paesaggio. La suite per violoncello disegnò la sua trama idillica, fatta di colline, monti e distese azzurre di cielo. Vide attraversare quello spazio blu dai ricordi vaporosi, intangibili castelli di nuvole incassati sullo sfondo del mondo. Impugnò una di quelle e osservò l'ultimo abbraccio di suo padre, poi ne afferrò un'altra e si rivide piccola, quando a sei anni lui la portò a fare una passeggiata al parco. Era felice, negli attimi in cui, bambina, tutto scorreva nel capriccio delle infinite possibilità creative della fanciullezza. Eloisa si avvicinò al lago, stringendolo per mano.
Alla vista di un'anatra strabuzzò gli occhi. Cos'è quella?, si domandava. Era la prima volta che vedeva un'anatra e si meravigliava di quante creature potessero popolare la Terra, note e ignote. Chissà quanti altri animali ci saranno in giro, pensava. Quella scoperta la riempì di stupore. Un'anatra! Quei piccoli dilemmi da fanciulla erano dei veri e propri rompicapo. Invidiava quell'età in cui i veri dilemmi della vita erano questi: Chissà quanti altri animali ci saranno in giro. Avrebbe pagato fior di danaro per tornare a quel momento e sigillarlo per sempre in un diamante, da poter vivere e rivivere più volte, incolume alle crepe del tempo.
Afferrò un'altra nuvola – il padre le insegnò a cucinare i pancake. Osservava le bollicine che scoppiavano lasciando dei fori nell'impasto. Era divertente, e gustoso! Ma forse sarebbe venuto ancora più buono con un cuore di cioccolato fondente.
Le nuvole evaporarono tra le mani, impalpabili. Eloisa ritornò coi piedi a terra, schiantandosi contro la realtà all'ultimo vibrato. Il silenzio avvolse la sala. Era sola, la salma immobile. Realizzò il suo ultimo tributo e schioccò un bacio sulla sua fronte.
«A presto, papà.»
Lasciò la porticina della sala alle sue spalle. Le mani fredde e sudate stringevano quell'ammasso voluminoso di legno. Avrebbe desiderato lanciarlo dalla finestra, bruciarlo e complottare col diavolo per una resurrezione. Lontano dalle voci altrui, Eloisa percepì la sua annegare nelle profondità dell'oceano. Il crocchio per le condoglianze dei giorni seguenti in casa paterna fu estremamente doloroso. Indossava gli abiti austeri e sobri da concerto, indifesa, impreparata. Ma non avrebbe suonato questa volta. La messa si svolse in lutto, mentre l'aria veniva strappata unicamente dall'omelia del prete. Nero, buio, era tutto ciò che riusciva a sentire – e non v'era tributo che colmasse tale perdita. Il suo calice di vino spezzava il confine tra la materia e l'oltretomba, vuoto.
Qualcosa di sottile era cambiato.
Sedeva quieta, sullo scranno mediano tra i due mondi, dove luce e oscurità si mescolano, mostrando le linee di una stanza, coperta da lenzuola bianche, con al centro un leggio. La foto raccontava di una vita spezzata: Eloisa non avrebbe mai più suonato. Guardò il violoncello un'ultima volta. Osservò le forme delle memorie sgretolarsi come soffioni al vento, e seppellì la foto – la sua – sotto un velo bianco.

commento della giornata

Re: La musica salva

2
Ben scritto, a tratti struggente.

Alcune considerazioni, di cui solo la prima veramente importante.

Innanzitutto: l'incontro tra Eloisa e suo padre risulta forse troppo melodrammatico.
Il motivo è che il lettore non ha ancora avuto tempo di entrare in sintonia con i personaggi. D'altra parte, Eloisa è comparsa solo qualche paragrafo più in alto, ed è la primissima volta che vediamo Giovanni.
Scene di questo tipo tendono a funzionare bene quando sono "guadagnate", per così dire. E per essere guadagnate il lettore deve conoscere bene i personaggi coinvolti: a quel punto, indipendentemente da come la scena è scritta, il lettore riceverà il fatidico "pugno nello stomaco". È la stessa differenza che passa tra l'andare a trovare in ospedale una persona che non conosciamo o un amico carissimo.

Per rimediare, l'ovvio suggerimento sarebbe quello di caratterizzare di più i personaggi, aggiungendo altre scene e facendo sì che il lettore ci si affezioni.
Ma questo può non essere adatto alla forma scelta, specie se si vuole un racconto breve e non una novella o un romanzo.
L'altra opzione è quella di "sterilizzare" la scena, rimuovendo la maggior parte degli elementi più drammatici e lasciando fluire le emozioni nel sottotesto invece di renderle esplicite. I lettori le sapranno cogliere comunque. Qui sotto un esempio di come lo farei io. Nota - non sto dicendo che sia il modo migliore di farlo, sto solo cercando di mostrare che non è necessario essere espliciti per far trasparire il sentimento:
bonsaitales92 ha scritto: Giovanni enunciò fievole: «Eloisa, adesso comprendo perché mi hanno spostato in questa casa di cura!» e tossì. «Forse la loro speranza è di gran lunga minore della mia.» Un istante di silenzio, poi riprese: «E la tua, di speranza? Il violoncello?»
Eloisa non rispose.
Giovanni trasse un profondo respiro: «Continua a suonare, non abbatterti e vai avanti per la tua strada. Sei una ragazza assennata, figlia mia!»
Si abbracciarono a lungo. Eloisa si aggrappò con tutte le forze che aveva.
«Riempiremo un'intera tinozza con tutte queste lacrime...» ridacchiò il padre, sistemandosi le lenzuola.
«Oh, papà!» Eloisa guardò le pareti anguste della piccola stanza: non vi erano finestre e sul comodino erano poggiate le stoviglie della colazione, non ancora rimosse.
«Suonerò per te.»
Seconda considerazione.
bonsaitales92 ha scritto: «Signorina, non è orario di visite. Lei non può sostare nella stanza!» proferì un operatore sanitario.
Che stronzo.
Chiedo scusa, non potevo trattenermi. :P 
Volevo solo sottolineare che in genere in queste circostanze gli operatori tendono ad avere comunque un certo tatto, a parte pochissime eccezioni. Se un operatore dicesse questo in presenza del resto della squadra verrebbe probabilmente redarguito dai responsabili (a meno che non siano stronzi anche loro).
Si può comunicare lo stesso concetto senza essere così insensibili. Ma questa è una scelta narrativa, quindi puoi benissimo tenere l'operatore sanitario stronzo... però io volevo sfogarmi, ecco. :D 

Ultima considerazione.
Ma di tutti i pezzi di violoncello... proprio la Suite in Sol di Bach e l'Estate di Vivaldi?!  :asd:
Questa è una nota extra-narrativa, ma da amante della musica classica avrei preferito scelte meno "cliché". Ovviamente nessuna critica al racconto, ma... non solo mi perseguitano tra i "Suggeriti" di YouTube, ora me li ritrovo perfino in quello che leggo! :D 

Un buon lavoro, ben scritto ed emozionante.

A rileggerti. :) 

Re: La musica salva

3
@Mid grazie per l'osservazione. Anche io percepivo che qualcosa era affrettato nella narrazione, come ad esempio l'introduzione di Giovanni, ma effettivamente avrei dovuto dilungarmi aggiungendo altri paragrafi o pagine di racconto. Questo può essere un ottimo spunto per migliorarlo, perché in qualche modo lo sto ancora "testando". 

L'operatore sanitario stronzo lo volevo nel mio racconto. è vero, il più delle volte sono gentili, ma ci sta anche lo stronzo di turno. Mi serviva qualcuno che spezzasse un po' con le varie personalità dei personaggi. Anche io non è che sia stato molto gentile con i miei personaggi, quella giornata avevo deciso di fargliene passare di tutti i colori...

Sui pezzi di Bach e di Vivaldi, sì, saranno anche comuni, ma se sono rimasti famosi un motivo ci sarà! A me interessava più il finale in verità, dove lei seppellisce tutto (ricordi, violoncello, ecc.). Ma cambiare i brani adesso significherebbe stravolgerlo eccessivamente. 

In questi giorni proverò a fare delle modifiche e a vedere come "gira".

Grazie per il supporto.

Re: La musica salva

4
@bonsaitales92 



Mi ripeto. Il racconto è scritto correttamente in un linguaggio e un'esposizione quasi perfetti, ma non è calato nei fatti. Personalmente, consiglio di trascorrere del tempo con un malato terminale per comprendere cosa significhi esserlo. Non seguire delle regole, scegliere degli argomenti vicini e facili, per cominciare vanno bene e testano. Avresti potuto usare altre trame, per esempio riguardanti te, per sviluppare il titolo. Sono perfettamente d'accordo sul fatto che la musica salvi, e non è mia intenzione darti dell'insensibile, anzi... Ciò che il testo mi trasmette è una sensazione di cliché che non volevi far arrivare. Allora, come inserire il messaggio attraverso la scrittura? Trovando la strada che ti calzi a pennello, seguendo le tue inclinazioni e ascoltandoti. Il risultato convincerà te e ti soddisferà. A rileggerti!

Re: La musica salva

5
Salve, @confusa  , sia la musica che la morte mi appartengono e le conosco entrambe. Entrambe mi sono vicine.
La realtà è molto più variegata e complessa delle idealizzazioni che ci facciamo attraverso le storie.
Soprattutto la realtà non segue degli schemi.
La protagonista abbandona il violoncello.
La vita non è fatta di eroi.
E soprattutto non va come vogliamo.
In questo racconto ho seguito le mie inclinazioni, perché i miei racconti sono spesso ispirati alla realtà. Cruda. Pertanto invito ad una rilettura per meglio comprendere le inferenze nascoste tra le righe.
Non riesco a comprendere quando dici 'cliché' a cosa ti riferisci... io ho preso come punti di riferimento fatti reali.

Re: La musica salva

6
@bonsaitales92 Ho riletto il commento fatto e il testo. Non intendevo dar lezioni di vita a nessuno. Mi basavo sulla scrittura e quel che è arrivato a me.
 LA MUSICA SALVA, secondo quello che ritengo, e non starò a raccontare la mia, anzi le mie, di esperienze. D'accordo con te sul fatto che non viviamo nel paese dei balocchi e che la vita non vada come vogliamo. Non d'accordo sulla musica che NON salva; più di una volta suonare o ascoltare dei, secondo me, pezzi di musica o leggere mi ha aiutata a dimenticare o superare le brutture dalle quali siamo circondati. Le opinioni personali contano, anche nella lettura e mi sono limitata ad esporre il mio parere su un racconto. A rileggerti!

Re: La musica salva

7
Ri-ciao @bonsaitales92, arrivo qui dopo l'ottimo racconto relativo alle arance rosse. In realtà non c'è molto da dire, anche questo è un buon racconto al quale mi spiace fare le pulci, ma provo a essere utile. È comunque un racconto che non riesco ad apprezzare appieno perché non credo sia molto credibile nelle vicende, ma voglio leggerlo in quanto tale, lasciando la vita vera al di là della scrittura. Poi, comunque, dipende dai tuoi intenti perché se vuoi un racconto sentimentale-esistenziale senza che sia preciso nel realismo va più che bene.
Intanto apprezzo molto la scelta della suite per violoncello di Bach: uno tra i brani più "interiori" per violoncello (oppure in generale), proprio l'espressione di un'anima secondo me. Questo che dici
bonsaitales92 ha scritto: migliaia di ineffabili voci fuse all'unisono
vale per tutta la suite secondo me. Però dal mio nick puoi magari vedere che sono di parte quando si parla di Bach...
Per il resto, anche qui trovo molte descrizioni affascinanti e, più che altro, una sensibilità nei sentimenti - secondo me - che è figlia da chi ha vissuto intimamente questo tipo di situazioni. Non intendo per forza un parente in linea retta ma un legame forte, questa è una cosa che, in misura minore, ho pensato nel racconto delle arance rosse.
Ho parlato all'inizio del realismo, ma comunque voglio citare questo passaggio che davvero non mi convince
bonsaitales92 ha scritto: Giovanni, straziato, enunciò fievole: «Eloisa, adesso comprendo perché mi hanno spostato in questa casa di cura!» e tossì. «Forse la loro speranza è di gran lunga minore della mia. Ma, in cuor mio, avrei ancora un'ultima speranza per te: che tu ti senta realizzata e faccia davvero ciò che ti ispira. La vita è un soffio, e io sento di andarmene...»
che, sì, rende una certa teatralità ed è funzionale al racconto. Per lo meno spero possa essere così in qualche caso, le persone a me care in lungodegenze negli ultimi giorni a malapena aprivano gli occhi.
D'altra parte, cito anche questo passaggio (taglio per non fare un post inutilmente lungo)
bonsaitales92 ha scritto: Le corde vibravano con destrezza, il dolore scorreva lungo l'arco come onde che si increspavano in orde di anime dannate. [...] I riflessi lunari si infrangevano frastagliati sui segreti del mondo, e lei diventava una goccia d'acqua, come parte di una vita più grande.
che credo sia una delle immagini/sentimenti più belli ed espressi meglio nero su bianco che abbia mai letto. In assoluto.

Per il resto, giusto poche cose.
bonsaitales92 ha scritto: L'aria sembrava più rarefatta e la luce passava flebile attraverso gli infissi, una coltre di polvere si era depositata sull'arredo di mogano
Qui avrei invertito la virgola con la "e".
bonsaitales92 ha scritto: fu assorbita da quel ricordo e i suoi pensieri furono risucchiati come in un buco nero, nell'eclissi del tempo...
Eloisa aveva compiuto i suoi ventidue anni la settimana prima, fantasticava sul futuro, come tutti i giovani della sua età. Aveva riempito gli anni migliori dell'adolescenza con le note del suo violoncello, ascoltando in cuffia la musica dei classici. Al calare del sole Eloisa estraeva il suo strumento dalla custodia, pesante come un armadio, ma che trascinava appresso incespicando ovunque.
Qui troppi possessivi.
bonsaitales92 ha scritto: Non era capace di suonare alla perfezione, come i maestri ostentavano, ma spesso suonava per sé stessa.
Che poi la perfezione è solo una questione di tecnica, poi serve il cuore (qui cito alla meglio Beethoven).
bonsaitales92 ha scritto: Caricò il violoncello sulle spalle e si imbarcò nuovamente in quel tugurio.
Il violoncello è uno strumento lungo un metro e mezzo. Per carità, ho una tastiera (standard, circa un metro e trenta) in una custodia con l'imbracatura ma penso che sia una delle cose più scomode portarla in spalla.
bonsaitales92 ha scritto: Suonava l'Estate di Vivaldi, bruciando nel calore infernale della sua collera.
Questa te la contesterei per questioni tecniche. Si tratta di un pezzo per quartetto d'archi e non so se il violoncello sia sensato per una parte singola o una trascrizione... ma lascia stare, è in più.

Non aggiungo nulla sull'ottimo finale. Alla prossima lettura.
https://www.facebook.com/curiosamate

Re: La musica salva

8
@bwv582 Cari lettori e scrittori, 
ritorno sul forum dopo una breve assenza. Non ho avuto granché da scrivere in questo periodo, la mia voce la sento ancora "chiacchierina", ma da quando ho messo mano ad un racconto sono entrato così tanto in antipatia col personaggio da me stesso creato da bloccarmi completamente nel processo di scrittura. L'ho odiato. E ancora mi sto qui a domandare come si può odiare qualcosa creato con le proprie mani! Mi ci sto ancora raccapezzando. Piuttosto, mi sono concesso il tempo di leggere, di comprendere che la scrittura è fatta anche di strutture narrative più o meno convincenti, e che in qualche modo bisogna possedere questi strumenti per avere una mappa in cui orientarsi. Allora sto andando a caccia di modelli di esempio, anche per il racconto breve, che bisogna sperimentare le potenzialità e i limiti della propria scrittura (e della propria fantasia).
In questo periodo ho incontrato un muro. Mi ci sono fermato, ho fermato un attimo la penna. Ho constatato che il mio "censore interiore" sta iniziando a diventare critico e che le parole vengono stroncate sul nascere: "è una pessima idea, è poco realistica. Un racconto del genere non vale la pena di essere scritto, sarebbe troppo dispendioso in tempo ed energie."
Per quanto io abbia (sicuramente) qualcosa da raccontare, sedersi e fare i conti con la paternale interiore è un fatto di disciplina a cui, credo, molti di voi saranno già abituati.
E nel frattempo il vortice della vita quotidiana mi risucchia, dando priorità ad altre cose e lasciando nel cassetto quella scintilla letteraria (che spero di recuperare a breve). 
Nel mentre che la mia penna tocca il foglio, lascio un caro saluto a tutti voi. E spero di leggervi presto. 

Re: La musica salva

9
Questo racconto bello e ben scritto affronta tematiche di non facile sviluppo come il ruolo salvifico dell'arte, ideale a cui si aggrappa la giovane Eloise costretta a confrontarsi con la perdita di Giovanni, suo padre .Di questa figura non si sa praticamente nulla, solo si perde lentamente in un silenzio angosciante : personalmente ritengo sarebbe stato positivo riservare maggiori informazioni sulla sua figura, che, anche se involontariamente, è il punto nodale da cui consegue tutto lo svolgersi della vicenda. La traumatica disillusione di Eloisa scuote la sua esistenza dalle fondamenta portandola alla drammatica scelta di " rifiutare" ciò che prima era per lei ragione di sollievo. Tale scelta è raffigurata come irreversibile e qui assume il valore poetico di un lungo addio senza illusioni e speranze. Ribadisco che il racconto è ben costruito e scritto in maniera coinvolgente. Mi auguro di leggerti ancora. 

Re: La musica salva

10
bonsaitales92 ha scritto: @bwv582 Cari lettori e scrittori, 
ritorno sul forum dopo una breve assenza. Non ho avuto granché da scrivere in questo periodo, la mia voce la sento ancora "chiacchierina", ma da quando ho messo mano ad un racconto sono entrato così tanto in antipatia col personaggio da me stesso creato da bloccarmi completamente nel processo di scrittura. L'ho odiato. E ancora mi sto qui a domandare come si può odiare qualcosa creato con le proprie mani! Mi ci sto ancora raccapezzando. Piuttosto, mi sono concesso il tempo di leggere, di comprendere che la scrittura è fatta anche di strutture narrative più o meno convincenti, e che in qualche modo bisogna possedere questi strumenti per avere una mappa in cui orientarsi. Allora sto andando a caccia di modelli di esempio, anche per il racconto breve, che bisogna sperimentare le potenzialità e i limiti della propria scrittura (e della propria fantasia).
In questo periodo ho incontrato un muro. Mi ci sono fermato, ho fermato un attimo la penna. Ho constatato che il mio "censore interiore" sta iniziando a diventare critico e che le parole vengono stroncate sul nascere: "è una pessima idea, è poco realistica. Un racconto del genere non vale la pena di essere scritto, sarebbe troppo dispendioso in tempo ed energie."
Per quanto io abbia (sicuramente) qualcosa da raccontare, sedersi e fare i conti con la paternale interiore è un fatto di disciplina a cui, credo, molti di voi saranno già abituati.
E nel frattempo il vortice della vita quotidiana mi risucchia, dando priorità ad altre cose e lasciando nel cassetto quella scintilla letteraria (che spero di recuperare a breve). 
Nel mentre che la mia penna tocca il foglio, lascio un caro saluto a tutti voi. E spero di leggervi presto. 
Ciao Bonsai!
Mi spiace realmente per questa reazione che hai avuto. Leggerò il tuo racconto e ti inserirò nelle citazioni le parti che risultano strane così che potrai avere gli strumenti per comprendere e sbloccarti. Purtroppo condividere i propri racconti, se da una parte può essere utile, dall'altra può letteralmente distruggere la fantasia e la creatività quando le critiche non sono spiegate o sono spietate senza motivo.

All'inizio ti metto le parti che non sono gravi e facilmente aggiustabili, poi arriverò al problema focale del testo.
bonsaitales92 ha scritto: La musica salva

Qui tu scrivi letteralmente il titolo del racconto. È strano perché si capisce che è stato fatto di proposito e fa uscire il lettore con prepotenza da quello che sta leggendo per formulare delle riflessioni sul perché tu lo abbia fatto. Ti consiglio di riformulare la frase.
bonsaitales92 ha scritto: e il viale alberato – che paradosso! La sua stagione preferita, l'autunno, si apriva con uno spettacolo di foglie dorate. Ma

Allora questo è un errore di interpretazione delle emozioni. Se lei sta pensando al padre che sta per morire, puoi scommetterci entrambe le tue mani sul fuoco che non si metterebbe mai a notare le foglie dorate e lo spettacolo dell'autunno.
bonsaitales92 ha scritto: Cuore duro, ripeteva tra sé, ora

Questa frase fa lo stesso effetto di 'la musica salva', si vede che è una frase inserita di proposito e fa uscire il lettore dalla storia perché ci si chiede come mai è stata utilizzata proprio un pensiero del genere.
bonsaitales92 ha scritto: azionando la locomotiva.

??? Perché l'auto si trasforma in un treno?
bonsaitales92 ha scritto: corpo nudo

Non specificare l'essere nuda perfavore.
bonsaitales92 ha scritto: Eloisa si avvicinò al lago, stringendolo per mano.
Alla vista di un'anatra strabuzzò gli occhi. Cos'è quella?, si domandava. Era la prima volta che vedeva un'anatra e si meravigliava di quante creature potessero popolare la Terra, note e ignote. Chissà quanti altri animali ci saranno in giro, pensava. Quella scoperta la riempì di stupore. Un'anatra! Quei piccoli dilemmi da fanciulla erano dei veri e propri rompicapo. Invidiava quell'età in cui i veri dilemmi della vita erano questi: Chissà quanti altri animali ci saranno in giro.

Questo paragrafo ha due problemi. 
Prima di tutto manca un piccolo enunzio sul fatto che lei stia ricordando. So che il paragrafo precedente lo scrivi e anche nel finale ma ribadirei il concetto prima di 'Eloisa si avvicinò al lago, stringendolo per mano.' perché a leggerlo la prima volta sembra letteralmente che lì vicino ci sia un lago e lei vede un'anatra proprio in quel momento. E questo sembra molto cringe.
Io che ho riletto due volte il tuo racconto ho capito che lei sta rivangando il passato ma anche così non va bene lo stesso perché lei si sta soffermando su un ricordo dove non c'è il padre. Nel senso: si sta chiedendo di quanti animali esistono al mondo ma non è questo il momento per farlo.
Bene, arriviamo alla parte più complicata da sistemare.
Allora, tutta questa situazione ha due problemi: uno di temporaneità e l'altro di interpretazione delle emozioni. 
Non c'entrano nulla le tue idee  che fanno schifo, sono irrealistiche o tutto quello di cui ti sei lamentato.

Gli atti fra quando la protagonista scopre che il padre è malato, il nome della patologia e l'epilogo della morte sembrano accadere in un lasso di tempo di un'ora o massimo due. Accade tutto a grande velocità e il lettore non ha tempo per comprendere cosa stia accadendo e perché.
Lo stesso equivale fra quando la protagonista è in orario di visita e quando ritorna con il violino. Dal testo sembrano passati sì e no quindici o venti minuti ma il padre in quel lasso di tempo è già morto e l'orario di visita è concluso.
 
D'altra parte, esiste una incongruenza anche  fra quello che dicono i medici e la reazione dei protagonisti. 
I medici dicono: «Non possiamo fare deduzioni sul decorso della patologia.» 
Il padre replica: «Addio... Avrei voluto avere più tempo per stare con la mia famiglia ma ormai è troppo tardi.» 
La figlia si scapicolla fuori dall'ospizio per il terrore perché sa che il padre sta lì lì per morire.

Risulta irrealistica questa reazione perché noi non abbiamo abbastanza informazioni per capire quanto è grave la situazione. Ti consiglio di cambiare il modo abbottonato che hanno i medici per fare comprendere meglio la drammaticità di cosa stiamo leggendo. 

Codice: Seleziona tutto

Eloisa scoppiò in lacrime.
«Signorina, non è orario di visite. Lei non può sostare nella stanza!» proferì un operatore sanitario.
Aggiungo che anche questa parte contiene un errore di interpretazione delle emozioni. Puoi scommettere tutti i mignoli del tuo corpo che nessun essere umano nell'intero globo terrestre si soffermerebbe a pensare all'orario di visita in quel momento.

Ti assicuro che le tue idee non hanno niente di malvagio ma fai piccoli errori, come hanno tutti i nostri racconti, che possono essere sistemati!

Ciao!

Re: La musica salva

12
Il racconto è ben scritto, le parole sono ricercate con cura e i tempi della punteggiatura mi piacciono.
A parte questo ho trovato il tono un po' freddino, e i personaggi  non creano mai un rapporto empatico con il lettore, trovo il ricorso alla metafora un attimo troppo frequente per il mio gusto letterario (ma magari è un pregio per altri).
Una storia drammatica così drammatica deve essere una sassata nel vetro del lettore.
Un bel racconto scritto molto bene ma nonostante il tema trattato un po'  troppo poco coinvolgente a mio parere.

Re: La musica salva

13
Vorrei commentare anch'io, se psoso. Devo dire la verità, questo testo non mi ha preso per niente. Mi sarebbe piaciuto capire quali brani suona questo personaggio: le Sonate di Ysaye? Le Sonate per violino e pianoforte di Brahms? Le Sonate per violino e pianoforte di Schumann? Per quanto mi riguarda, sarebbe interessante menzionare cosa suona questo personaggio. In più, sarebbe bello capire cosa fa questa persona nella sua vita privata. Per quanto riguarda la scrittura, mi sembra molto pesante, per cui farei tutto quanto è in mio potere per poterla alleggerire il più possibile.
Rispondi

Torna a “Racconti lunghi”