[MI 177] Recondite fughe

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Traccia n° 3 - Incipit -
Commento
In pensione



Spinsi la porta ed entrai.
Seduta in poltrona con indosso soltanto un pareo variopinto, i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle, lei si girò lentamente verso di me. Aveva un rossetto rosso scuro,  come sangue su un volto pallido, sensazione di  profumo di rose rosse antiche, dolce, struggente. Portatore di misteri. Non era cambiata molto dai tempi della scuola e anche da quando all’inizio avevamo cominciato a lavorare insieme. Non si era mai aperta alle confidenze, all’allegria, all’amore. Non era disponibile. Per questo la ricordavo,  per questo mi era sempre piaciuta. Per questo non mi ero mai avvicinato a lei.
Sapevo cosa faceva da prima che io entrassi nella cerchia ristretta di Niko e forse, non potevo però ammetterlo se non a me stesso, mi ero offerto volontario per entrare in quel giro solo per incontrarla, perché mi era mancata molto. Tra le poche donne che avevo conosciuto, non ce n’era una che valesse come lei, che fosse preziosa come lei.
Se i miei superiori avessero saputo come la pensavo su Elisa, il suo nome di copertura, non userò il suo vero nome, per proteggerla, mi avrebbero impedito di entrare nel giro di Niko, potevo compromettere tutto. Ovvio che sapevano che ci conoscevamo, ma il tutto era circoscritto a rapporti informativi, burocrazia. Non potevano arrivare a fondo e né io né Elisa ne avevamo mai dato il motivo.
Ero l’uomo ideale per entrare nella cosca, ero nato respirando quell’aria, difficile trovarne altri con i miei requisiti.  Che poi erano i requisiti di un poveraccio, soltanto bene addestrato, ma non voglio addentrarmi. Per Elisa era stato più facile, lei non aveva avuto problemi a infiltrarsi nella cosca lavorando come segretaria in una delle sue diramazioni legali che conducevano al capo dei capi: Niko. Diventare la sua donna era stato un passaggio quasi obbligato: Elisa si occupava dei figli piccoli di Niko, che era stato abbandonato dalla moglie, perciò era più vulnerabile dal punto di vista umano. Poteva avere tutte le donne che voleva, ma si sperava, si sapeva che avrebbe scelto Elisa.  C’erano voluti quasi due anni di lavoro occulto, faticoso, pericoloso, sempre al limite del fallimento. Avevo seguito l’evolversi della situazione nei sotterranei di sale operative invase dal fumo di sigarette e dall’odore del caffè. Fino a quando qualcuno aveva notato che il dialetto degli uomini di Niko era anche il mio. E come il cerchio si stringeva intorno a Niko qualcuno aveva deciso che dovevo entrare nel suo giro, per agire dall’interno. Elisa non poteva farlo. Ora so perché.
Ebbi l’impressione che le mancasse il fiato nel vedermi. Ero l’ultima persona al mondo che si aspettava, non era stata informata della mia presenza per motivi di sicurezza, ma forse era stato uno sbaglio. Fece per parlarmi ma la prevenni
 ― Devo darti disposizioni. Dobbiamo andare sul balcone ―  le feci cenno di uscire. Lei capì. Attraversammo un largo corridoio di quella vecchia villa,  poi un salone che dava a un grande balcone  contornato da balaustre dal quale si poteva ammirare il paese che declinava verso il mare. Era una splendida giornata, ma tutto passava in secondo piano.
― Come hai fatto a trovarmi? ― disse, senza pensare che se ci avessero sentiti sarebbe stata la fine per entrambi. Ma sapevo, e certo lo sapeva anche lei, che il balcone era l’unico posto della villa senza microfoni, né di Niko né di altri.
La guardai senza rispondere, sono convinto che rivide il mio sguardo di qualche anno prima, quando eravamo in ben altra situazione. Abbassò gli occhi per un attimo, poi mi fissò severa. Eravamo cambiati. Non parlava, osservava il mio abito firmato, l’orologio d’oro, l’auto di lusso parcheggiata nel cortile della villa con alcuni uomini intorno che chiacchieravano all’ombra delle palme.
― Ci vedranno… ― la sua voce era un sussurro.
― Questo va bene. Devono vederci. Riferiranno che ti sei affacciata al balcone mentre io venivo a portarti un ordine. È previsto.
― Quale ordine?
― Di Niko.
― Lui non mi da ordini.
― Lo so. Sei la sua donna.
Mi accesi una sigaretta sbirciandola. Non fece una piega. Non gliene offrii una. Nella parte che interpretavamo le donne non fumano e gli uomini non offrono nulla.
― Non posso restare molto. Niko vuole che domani mattina vai  a prendere i bambini e li porti da lui . Verranno a prenderti.
 ― Ma tu…
― Dove sono i bambini, Elisa?  ― dissi sottovoce mascherandomi la bocca con la mano mentre espiravo il fumo.
― Non posso dirtelo.
― Sei pazza? Perché?
― Soffrirebbe se venissero trovati.
― Niko è al capolinea. Sarà catturato. Vuoi che i bambini siano presenti? Potrebbe esserci un conflitto a fuoco, è pericoloso.
― Vorrei che tutto fosse finito.
― Anche noi. Dove sono i bambini? Dimmelo!
― No, Luca.
Mi aveva chiamato con il mio vero nome. Per un attimo fui felice. Si ricordava. Ma qui mi chiamavo Salvatore. Glielo dissi. Annuì con noncuranza. Guardò il mare, evitava di guardare gli uomini sotto, che a loro volta fingevano di non vederla.
― Non posso dirlo. Sarebbe pericoloso. Mi dispiace.
Mi stavo innervosendo, ma era inutile insistere, dovevo andarmene.
Dario, uno degli scagnozzi di Niko, suo autista di fiducia, era giù con gli altri e mi fece cenno di scendere indicando l’orologio. Sorrideva dentro la barba nera, sembrava innocuo ma era un killer e da sempre mi squadrava in un modo che non mi piaceva. Feci un cenno.
― Non posso più restare. Devo andare con loro alla masseria di Santa Placida, dove ti porteranno domani… con i bambini.
― Quindi sarà lì che…
Tagliai corto, gettai la sigaretta e rientrai dentro la villa. Elisa prima di entrare sussurrò ― Mi dispiace, Luca ― poi mi seguì senza parlare e ci separammo con un frettoloso, doloroso sguardo.
La situazione era compromessa. Elisa ci teneva ai bambini di Niko. Solo ai bambini? Non era stato possibile approfondire. E sarebbe stato difficile per me comunicare con l’esterno. Inutile mandare messaggi con il cellulare, spesso gli uomini di Niko lo dovevano consegnare a un “tecnico” che era capace di resuscitare i morti e se avessero scoperto un mio messaggio mi avrebbero sgozzato sul posto.
 
Il mattino dopo Niko con pochi uomini fra i quali io, giunti alla spicciolata in abiti ordinari e grosse jeep,  aspettavamo in questa masseria, una come tante, circondata da un dedalo di strade sterrate. Poco lontano, nello spiazzo antistante la chiesetta di campagna, si teneva la festa di santa Placida, che portava quel posto solitamente calmo e semideserto a essere frequentatissimo, circostanza favorevole per Niko.
Aspettavamo l’arrivo di Elisa e dei bambini e questo dovevano saperlo tutti. C’era il rischio che fossero intercettati prima di arrivare alla masseria, in quel caso l’irruzione sarebbe stata istantanea. La zona doveva essere controllata da droni e satelliti, ma nemmeno quelli possono addentrarsi nei sentieri di fitta macchia mediterranea, sotto la quale si poteva ancora passare inosservati. Bastava saperlo. E Niko lo sapeva bene. Appariva abbastanza calmo, passava diverse volte accanto a noi e faceva l’occhiolino, come a volerci tranquillizzare.
Ogni volta che Niko ci passava vicino, eravamo sparsi in un salone e guardavamo dalle finestre, Dario mi lanciava uno sguardo. Come lo ricambiavo mi sorrideva con uno sfolgorio di denti bianchi che risaltavano sulla barba nera.
Quasi fin dal primo momento con cui avevo avuto a che fare con Dario mi accorgevo che talvolta sembrava mettermi alla prova parlandomi in dialetto stretto,  usando termini arcaici particolari, tipici di certi rioni  della nostra città e io rispondevo sempre a tono, generando in lui un  guardingo stupore. Per evitare pericolose dimenticanze avevo detto loro buona parte della verità sulla mia vita: i miei erano emigrati al nord che io avevo dieci anni e lì ero cresciuto e avevo iniziato a studiare, diplomandomi. Poi avevo deciso di tornare. Non avevo raccontato che nel frattempo ero diventato un poliziotto. Dario affermava che eravamo coetanei e probabilmente eravamo stati assieme alle elementari, ma non ricordava nessun Salvatore e dannazione poteva essere anche vero, c’erano due scuole elementari in quel quartiere, potevamo essere entrambi in una di quelle scuole. Intuivo che nella mente di Dario, e non solo nella sua, rodeva come un tarlo, l’ombra di un sospetto. Un’ombra che poteva uccidere.
 
Elisa venne su un’utilitaria, accompagnata da un uomo mai visto che si unì silenziosamente a noi. Vidi i bambini correre  festosi incontro a Niko, Elisa sorridente, apprensiva, che lo abbracciava.
― Non guardare così la donna del capo ― mi disse Dario.
― Io non guardavo niente!
― Non ne hai conosciuto donne al nord? Studiavi dai preti? Dillo che studiavi dai preti, mica c’è da vergognarsi!
Gli altri ridacchiavano, ma non smettevano di dare uno sguardo all’esterno.
 
La casa dove eravamo aveva diverse stanze, Niko andò nella camera padronale con Elisa e i bambini, poi dopo un po’ uscirono e andarono in cucina dove era stata allestita una tavola con cibo cotto comprato in una rosticceria da qualcuno. Non c’era tempo per mettersi a cucinare.
Dario era rimasto a parlare sottovoce con Niko, poi uscì.
― Vuole parlare con te ― mi disse serio.
Sentii un sudore freddo scendermi nella schiena.
 
― Vuoi mangiare con noi? Siedi. Non è un pranzo di lusso ma ci arrangiamo. Franchino, Gioele: mettetevi dall’altra parte ― disse Niko rivolto ai figli che si spostarono  senza smettere di addentare dei panini imbottiti.
― Eh! Eh! Sono come i gattini! Non hanno pazienza!  È da un po’ che volevo parlarti, Salvatore.
La porta della cucina era aperta, sentivo senza vederli gli sguardi degli uomini di Niko.
― Hai sempre il ferro? ― mi chiese adocchiando la spalla dove sotto il giubbotto avevo l’ascellare con la pistola. Annuii.
 ― Bravo. Meglio essere pronti. Oggi è un giorno particolare. Lo sai vero Salvatò?
―  Da un po’ so che sono intorno.
Elisa sembrava non respirare.
― Lo sai perché è spaventata? ― disse guardandola con tenerezza.
― È preoccupata…
― Siamo tutti preoccupati. Anche tu, Salvatò.
Diceva queste cose mettendo in bocca ogni tanto un pezzo di pollo, si affaccendava nel farlo, mangiava con gusto.
― Peccato non ci sia del vino! Non riesco a mandare giù senza un sorso di vino!
Tu che dici: lo danno il vino in cella d’isolamento?
― Non ne ho idea. Penso di sì.
― Lo penso anche io. Magari la domenica, con un dolce. Come da militari. Hai fatto il militare Salvatò?
― Si. Volontario in esercito, due anni.
― Ah già! E poi a casa?
― Sì.
― Ma a parte questo, Salvatò, io cerco una raccomandazione. Non per me, no. La cerco per Elisa e i bambini. Si sono affezionati a lei come a una madre  ― queste ultime parole le disse sottovoce.
― Vorrei che Elisa potesse tenere i bambini se succedesse qualcosa a me. Tu mi capisci, vero Salvatò? Senza tanti documenti, autorizzazioni, permessi dei giudici e compagnia cantante… Anche andando all’estero. America Latina! Bella! Perché no?
― Ci vogliono tanti soldi…
― Non sono un problema. Elisa sa come fare. Deve solo avere il tempo di… sparire prima che mi prendano. Mi capisci, Salvatò?
Ormai si giocava a carte scoperte. Niko sapeva di me. Ma non ero sicuro che sapesse di Elisa.
― Cosa si potrebbe fare? ― dissi fingendo di non aver ancora capito.
 Niko mi guardava fisso negli occhi.
― Cosa puoi fare tu… Luca.
Mi mossi sulla sedia, ma sentii una mano sulla spalla e l’altra dentro il giubbotto che mi tolse la pistola.
― Luca. Si chiamava Luca quel bambino al primo banco. Io era all’ultimo. E così siamo rimasti, vero Luca? ― disse Dario con una punta di tristezza.
― Adesso ascoltami, Luca.
― Prima voglio parlare con Elisa ― dissi sottovoce. Ero convinto che mi avrebbero ucciso, ma non davanti ai bambini.
―  Elisa mi ha detto tutto di te e di lei. Eravate  volontari nell’esercito. Lì il grande amore… e dall’esercito siete passati alla polizia.
Guardai Elisa, che chinò lo sguardo.
― Andrai con Dario incontro ai tuoi colleghi qui intorno. Ti manderei solo ma devi capire… devo essere sicuro.
―  Perché?
― Ho bisogno di tempo. Non per me. Per Elisa e i bambini. Dirai ai tuoi che voglio consegnarmi con i miei uomini. Sarà così. Nessuna sparatoria. Io mi arrendo. Ma Elisa e i bambini devono andarsene via. Via da qui.
― Perché  non l’hai fatta fuggire prima?
― Avevo bisogno di tempo.
Niko sorrise e fece un cenno a Dario che cominciò a sospingermi fuori.
― Aspetta! Elisa! Cosa vuoi fare? Elisa, guardami! Ti rendi conto…
― Si Luca. Mi rendo conto. Mi dispiace.  Addio Luca.
 
Guidavo la jeep nervoso, con Dario che mi ingiungeva di andare piano.
Ogni tanto incontravamo altre macchine che andavano alla festa di campagna. Dario conosceva quel labirinto di strade sterrate a occhi chiusi, mi diceva dove svoltare, dove andare dritto. Poi mi disse di fermarmi  ai lati della strada.
― Chiama i tuoi. Digli che stiamo arrivando. Che non ci sparino addosso.
― Non lo faranno, ma dovrai arrenderti. Consegnami la pistola.
Rimase un po’ a pensarci, ma aveva avuto ordini precisi. Prese la sua pistola, si fece scivolare il caricatore fra le gambe, tirò indietro il carrello e fece saltare fuori il colpo in canna.
― Scarica è più sicura. Anche se stai al primo banco, Luca. ― disse consegnandomela con un sorriso.
Telefonai e dissi al mio capo che stavamo andandogli incontro, che c’erano novità, che aspettassero prima di intervenire.
Dario annuiva.
― Proprio come se fossi dei nostri! Niko voleva tempo e tu glielo dai! Sei bravo!
― No. Sono fregato!
― Ti daranno una medaglia! ― e rideva.
 
Non fu facile per me tornare a quella che avrebbe dovuto essere la mia realtà, la mia parte. A un dato punto venimmo circondati da una dozzina di uomini vestiti di nero con i cappucci che ci puntavano le mitragliette. Uscii con le mani in alto assieme a Dario, sapevo che ogni minimo movimento poteva essere male interpretato e non tutti conoscevano la mia faccia. Eppure non potevo fare a meno di guardare Dario, con il quale avevo vissuto assieme nella cosca, nonostante tutto. Avevamo mangiato assieme, con lui e con altri, fatto guardie e appostamenti, riso assieme, nonostante i suoi puntigliosi interrogativi. Non avevo partecipato ad atti delittuosi, solo a riscossioni di pizzi, estorsioni, minacce, sempre crimini, ma non potevo esimermi e anche per quello ci sarebbero state inchieste. Avevo commesso atti illegali sotto copertura, non sempre questo veniva compreso in sede di giudizio, ma se uno è infiltrato deve andare fino in fondo o salta tutto. Io sarei stato capace di andare fino in fondo? Come era stata capace Elisa? In quei momenti mi chiedevo cosa mi stesse saltando in mente.
Era strano che mi ostinassi a guardare Dario che aveva alzato le mani anche lui e poi si era messo in ginocchio quando gli era stato ordinato, per essere ammanettato dietro la schiena. Ostentava una calma, una dignità, un’indifferenza che non avrei mai sospettato.
― Non parlare Salvatò! Non dire niente Salvatò! Tranquillo Salvatò!
Chiamandomi così voleva evidenziare che la mia vera identità non era stata scoperta. Perché? Avrei poi giustificato la telefonata fatta in un momento in cui mi ero appartato, mentre giravamo intorno alla masseria.
 
Quando la polizia irruppe nel covo non trovò nessuno. Dileguati. Inutile fare ricerche per mare, per cielo o per terra. A poco più di un centinaio di metri era in corso una festa con migliaia di persone; per bloccare e controllare tutti bisognava militarizzare la zona con altre migliaia di uomini  e un numero cospicuo di mezzi e non era fattibile.
Niko mi aveva mentito. Era fuggito anche lui con Elisa e i bambini. Lo invidiavo.  Lo vedevo nei vicoli, nelle case, nei cortili, con il cibo, il caldo, il sole, la libertà ed Elisa al fianco. L’eccitazione di averla fatta franca,  non finire in prigione.
Rimaneva Dario che, come seppi in seguito, rideva in continuazione nella sua cella. Lo avrebbero dichiarato fuori di testa, magari dopo qualche anno finiva in un ospedale e da lì si sarebbe dileguato, come una fiera nella giungla, libero di vivere come voleva lui.
E io? Ah già. Io sono un eroe: sto dalla parte della legge.
 
 
 
 
 
 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 177] Recondite fughe

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Ciao @Alberto Tosciri. Un intreccio particolarmente complesso; avvincente per il tipo di ambientazione, ma con qualche pecca.
Inizierei proprio dall'incipit. Quello è stabilito a priori e propone la scena in cui lei si gira verso il protagonista. Il fatto che lui noti il rossetto e il profumo è perfettamente in linea con quello che sta accadendo, ma improvvisamente la scena si interrompe per dare spazio a un lungo periodo esplicativo di tutto quello che era successo nel passato.
La scena riprende solo qui:
Alberto Tosciri ha scritto: Ebbi l’impressione che le mancasse il fiato nel vedermi
A mio avviso un po' troppo lontano rispetto a dove l'avevamo vista girarsi, con l'effetto di aver perso di vista il momento presente e di doverlo riacciuffare.
Alberto Tosciri ha scritto: prima che io entrassi nella cerchia ristretta di Niko...
Diventare la sua donna era stato un passaggio quasi obbligato...
Ero l’ultima persona al mondo che si aspettava, non era stata informata della mia presenza per motivi di sicurezza...
Riferiranno che ti sei affacciata al balcone mentre io venivo a portarti un ordine.
Che lei non fosse stata informata dalla polizia della sua presenza va bene, ma se lui era entrato nella cerchia ristretta di Niko e lei era diventata la sua donna è difficile che non l'abbia mai visto prima in quel contesto, tanto più se Niko manda lui a riferirle un suo ordine.
Alberto Tosciri ha scritto: ― Devo darti disposizioni. Dobbiamo andare sul balcone ―
...
Ma sapevo, e certo lo sapeva anche lei, che il balcone era l’unico posto della villa senza microfoni, né di Niko né di altri.
Se è così, il luogo dove viene pronunciata la prima frase avrebbe potuto essere controllato da qualche microfono, e quella sarebbe stata una frase molto compromettente.
Alberto Tosciri ha scritto: Quasi fin dal primo momento con cui avevo avuto a che fare con Dario mi accorgevo che talvolta sembrava mettermi alla prova parlandomi in dialetto stretto,  usando termini arcaici particolari, tipici di certi rioni  della nostra città e io rispondevo sempre a tono, generando in lui un  guardingo stupore. Per evitare pericolose dimenticanze avevo detto loro buona parte della verità sulla mia vita: i miei erano emigrati al nord che io avevo dieci anni e lì ero cresciuto e avevo iniziato a studiare, diplomandomi. Poi avevo deciso di tornare. Non avevo raccontato che nel frattempo ero diventato un poliziotto. Dario affermava che eravamo coetanei e probabilmente eravamo stati assieme alle elementari, ma non ricordava nessun Salvatore e dannazione poteva essere anche vero, c’erano due scuole elementari in quel quartiere, potevamo essere entrambi in una di quelle scuole. Intuivo che nella mente di Dario, e non solo nella sua, rodeva come un tarlo, l’ombra di un sospetto. Un’ombra che poteva uccidere.
...
― Luca. Si chiamava Luca quel bambino al primo banco. Io era all’ultimo. E così siamo rimasti, vero Luca? ― disse Dario con una punta di tristezza.
Se Dario si ricorda di Luca, possibile che Luca non si ricordi di Dario? E comunque, se anche Luca a un certo punto ha iniziato a pensare che forse Dario avrebbe potuto riconoscerlo, perché rispondergli a tono? non sarebbe stato meglio dissimulare e far finta di essere di un paese vicino?

Nel finale c'è invece qualcosa che va salvato. Se quell'amarezza e quella disillusione sul valore dell'eroe fosse trasparsa anche nel resto del racconto, tutto avrebbe assunto più spessore.
Alla prossima.

Re: [MI 177] Recondite fughe

4
Ciao @bestseller2020
Ti ringrazio. La storia è un po’ ingarbugliata, necessitava di approfondimenti, non riesco mai a mettere tutto nei caratteri previsti.
 
Ciao @Poldo
Grazie e sì: riconosco le pecche.
Tempo e spazio per esprimere quello che vorrei non mi sono mai sufficienti e io sono lento a elaborare.
Da sempre mi sono reso conto che per esprimere gli accadimenti di una vita, oltre a valutarli bene e tutti, occorre anche essere in grado di farlo e io non sempre ci riesco. Ci ragiono troppo a lungo, scrivo e in men che non si dica mi accorgo di aver superato i limiti concessi. Poi il tempo per rileggere e riscrivere non basta mai.
Poldo ha scritto: Che lei non fosse stata informata dalla polizia della sua presenza va bene, ma se lui era entrato nella cerchia ristretta di Niko e lei era diventata la sua donna è difficile che non l'abbia mai visto prima in quel contesto, tanto più se Niko manda lui a riferirle un suo ordine.
Giusto. Luca-Salvatore era però entrato nella cosca da poco tempo, da meno di Ely e bisognerebbe considerare che Niko, come dirà più tardi nella masseria, era perfettamente al corrente della vera identità di Luca e anche di Ely.
Niko sapeva che il cerchio si stava chiudendo intorno a lui e usa l’infiltrato come una pedina e lo manda da Ely, sapendo bene chi sono entrambi, solo al momento opportuno, quando decide di fuggire. Non è poi impossibile che Ely non lo abbia visto prima, lei non vive nei rifugi ma in abitazioni normali e pur vedendo molti uomini di Niko, se Niko vuole che non veda qualcuno come Luca può fare in modo che non lo veda.
Poldo ha scritto: Se è così, il luogo dove viene pronunciata la prima frase avrebbe potuto essere controllato da qualche microfono, e quella sarebbe stata una frase molto compromettente.
Molto vero. Ma spesso quando si mettono microfoni, anche davanti a frasi del genere non si fanno irruzioni, sono irrilevanti perché talvolta tutti sanno, spiati e spioni, dell’esistenza di questi microfoni. Così come, è intuibile dalle cronache giornalistiche e dai libri d’inchiesta, che sia nella malavita che nella polizia, genericamente parlando, da entrambe la parti possono esserci talpe e fughe di notizie.
Poldo ha scritto: Se Dario si ricorda di Luca, possibile che Luca non si ricordi di Dario? E comunque, se anche Luca a un certo punto ha iniziato a pensare che forse Dario avrebbe potuto riconoscerlo, perché rispondergli a tono? non sarebbe stato meglio dissimulare e far finta di essere di un paese vicino?
Dici benissimo. Bisognava approfondire. È però plausibile che qualche volto o nome di compagni delle elementari possa affievolirsi, specie se da bambini si va a vivere in un altro luogo. Ma Luca non poteva dire di essere di un paese vicino per un semplice motivo: la sua inflessione dialettale sarebbe stata diversa. Impercettibile per un estraneo, ma non per chi era esattamente di quel luogo. L’inflessione cambia nell’ambito di una città, da quartiere a quartiere. Lo colgono bene coloro che ci sono nati. Luca aveva esattamente l’inflessione del quartiere di Niko, di Dario e degli altri, nell’ambito della loro città.
Sono particolari che mi permetto di ritenere non insignificanti, per quanto non suffragati da miei studi particolari ma appurati personalmente e non solo dalle mie parti. Anche nel mio paese di 3.500 abitanti, suddiviso per quartieri, ci sono leggere differenze espressive da uno all’altro. Un altro paese, distante quattro chilometri, ha il dialetto uguale, ma una tonalità completamente diversa e riconoscibile. Senza considerare innumerevoli altri particolari che non mi dilungo a illustrare per non sfiorare nella logorrea… forse già superata…
 
Poldo ha scritto: Nel finale c'è invece qualcosa che va salvato. Se quell'amarezza e quella disillusione sul valore dell'eroe fosse trasparsa anche nel resto del racconto, tutto avrebbe assunto più spessore.
Hai perfettamente ragione, con il tuo solito acume. Avevo già questi dubbi e ti ringrazio per avermeli prospettati, son un incentivo per cercare di cambiare qualcosa.
Ti ringrazio.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
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