Il terrore di dovere tornare l’indomani in ufficio quando avrebbe preferito godersi quel poco tempo che gli rimaneva leggendo o guardando un film lo assalì mentre stava tornando a casa. Sentì il vagone della metro stringersi intorno a lui, l’aria farsi sempre più rarefatta, i pendolari vorticare e trasformarsi in una macchia indefinita, ma per sua fortuna le porte automatiche si aprirono sulla sua fermata, e lui riuscì a fuggire dall’ennesimo attacco di panico.
Tornato a casa si ricordò solo in quel momento che in tutta la giornata non aveva trovato il tempo per chiamare sua madre per sapere se ora stesse meglio, se le cure stessero facendo effetto e tutto il resto.
Si concesse una doccia bella calda, prese la dose serale di serotonina, si versò un bicchiere di vino e si sedette sul divano a meditare su quale fosse il metodo migliore per raggiungere il titano primigenio che governava il tempo.
Ci pensò a lungo, e più ci pensava più si ricordava di come il tempo una volta gli sembrasse infinito. Si ricordò di quando a scuola le ore di lezione passavano lente come ere zoologiche, a quanto noiosa e infinita fosse la messa della domenica, e a quanto minuscolo e dolce fosse nella sua memoria il ricordo del suo primo bacio, dato a Camilla, malnascosti dalla siepe di bambù che costeggiava la piscina comunale.
Pensò a quanto il tempo fosse elastico allora, a come un secondo potesse essere leggero e fantastico, oppure pesante e terribile. Realizzò in quel momento che era dalla maturità che non si sentiva più così, altalenante tra una libertà infinita e una promessa di felicità nelle ore più lunghe. Era da quando quel bambino se n’era andato e al suo posto era arrivato quel ragazzo un po’ acido e disilluso dal mondo che era finito per diventare un adulto qualunque.
Realizzò che era proprio quello ciò che voleva chiedere a Chronos: un po’ di tempo in più, un tempo che fosse fantastico e mutevole come quello della sua gioventù: bello lungo e pesante quanto un lungo viaggio in macchina prima di arrivare al mare.
C’era solo una persona che poteva raggiungere Chronos e implorarlo di dargli un po’ di tempo in più. Una persona che conosceva bene l’importanza del tempo, un tempo da usare ora che sentiva i secondi scivolargli via, come sudore freddo dalla schiena.
Finì il vino, chiuse gli occhi e si concentrò per un tempo che gli parve infinito, e quando li riaprì si sentì cambiato.
Scattò in piedi e si fiondò allo specchio.
Il viso lì riflesso lo guardava con una faccia strana, quasi disgustata. Dopo così tanti anni dall’ultima volta che l’aveva vista, la faccia che vedeva ogni mattina quando si spazzolava i denti prima di andare a scuola non gli sembrava più la sua.
Ma era comunque il suo volto, un volto da bambino.
Gli ci volle un istante per abituarsi all’idea che quella faccia era di nuovo la sua, ma superato il primo momento di stupore si diede subito da fare per prepararsi all’avventura che aveva deciso di intraprendere.
Rispolverò il suo vecchio zaino dall’armadio, lo riempì di tutto quello che gli poteva servire, si preparò del cibo per il viaggio (qualche panino con la marmellata, qualcuno con prosciutto e formaggio, un paio di brick di succhi di frutta e del cioccolato) e si mise in marcia.
Sapeva bene come fare a raggiungere Chronos. Del resto lo aveva letto mille volte nei libri che teneva nella sua cameretta, ma nonostante ciò il viaggio risultò più lungo del previsto.
Il primo giorno attraversò le paludi di Koor, aiutato dal gentile popolo dei pescatori di rane-elefanti, ma proprio il giorno dopo perse tutto il vantaggio guadagnato poiché fu rallentato da uno sciame di locuste carnivore che lo costrinsero a cercare riparo per la notte in una grotta.
Il terzo giorno da che era partito si alzò un po’ intirizzito per aver dormito appoggiato su quello che pensava essere nient’altro che un sasso, ma che si rivelò poi un gentile troll di pietra chiamato Sgrk. Gli raccontò la sua storia, e Sgrk, impietositosi, si offrì di accompagnarlo da Chronos, ma in cambio gli chiese di rimuovergli una lancia che gli era rimasta incastrata tra le spalle dopo che un avventuriero l’aveva attaccato credendolo una creatura pericolosa.
Il quarto giorno i due percorsero assieme mille leghe senza incontrare nulla d’interessante, eccezion fatta per un vecchietto che diceva di essere Babbo Natale in persona, ma i due lo lasciarono ai suoi vaneggiamenti e proseguirono oltre.
I problemi iniziarono a presentarsi al quinto giorno quando le provviste terminarono. Sgrk non aveva bisogno di mangiare, ma per lui continuare il cammino a stomaco fu un inferno. Per un po’ riuscì a resistere ai giramenti di testa, ma presto dovette ammettere all’amico di non essere in grado di fare un altro passo. Fortunatamente una vecchia filatrice gli indicò un albero magico i cui frutti crescevano senza mai marcire o cadere per terra. Comprese allora di trovarsi già nel regno di Chronos, dato che quelle strane mele sembravano ignorare il passare del tempo.
Il sesto giorno incontrarono uno strano tipo ammantato di nero con una grossa falce che chiese loro dove stessero andando. Quando glielo disse, quello gli rispose in maniera sibillina.
«OH BEH! NON STATE FORSE ANDANDO TUTTI LÀ, IN UN MODO O NELL’ALTRO?»
Si congedò e riprese il cammino.
Finalmente, sul calare del settimo giorno, raggiunse Chronos.
Era un tipo vecchio ma estremamente muscoloso, calvo ma con una lunghissima barba candida che spazzava il terreno. Stava spingendo a fatica contro un gigantesco muro che si estendeva all’infinito sia a destra, sia a sinistra, ed era così alto da scomparire lassù in alto tra le nuvole, così nero che sembrava costruito con la notte stessa. Ogni tanto però il muro cedeva sotto la spinta del titano, scattando in avanti con un rumore secco come lo scatto di un ciclopico ingranaggio, e quando ciò succedeva Chronos faceva un piccolo passo in avanti e ritornava a spingere.
«Ehm, signor Chronos?» chiese timidamente lui.
Il titano sobbalzò spaventato. Erano passati così tanti eoni dall’ultima volta che qualcuno gli aveva rivolto la parola che oramai si era rassegnato all’idea che l’unico suono che avrebbe sentito per il resto dell’eternità sarebbe stato lo scattare sordo del muro.
«Chi è? Dyēus, sei tu?» domandò Chronos, senza smettere di spingere.
Il bambino e Sgrk si scambiarono uno sguardo confuso.
«No, non sono Dyēus, vostra…» titubò, pensando a quale fosse il modo migliore per rivolgersi ad una creatura del genere. «…vostra eminenza.» gli suggerì la sua mente da bambino.
«E chi sei allora? Nessuno vuole venirmi a trovare da che Dyēus mi ha costretto qua.»
«COME MAI?» domandò Sgrk. La sua voce, considerata melodiosa tra i troll, alle orecchie del titano sembrò il cozzare di due massi.
«Credono tutti che io divori i miei figli.» Chronos emise un grugnito di sforzo, e il muro cedette, scattando in avanti. «Cavolate, nient’altro che propaganda di Dyēus per far credere a tutti che io sia malvagio.»
«OH! MI DISPIACE!» commentò Sgrk. Probabilmente per un troll doveva sembrare sinceramente dispiaciuto, ma alle orecchie del bambino sembrò che stesse parlando con il tono di una pietra che si spacca.
«Poco importa oramai. Ho tutto il tempo del mondo per aspettare la mia vendetta.» commentò il titano senza smettere di spingere, e sotto il suo peso il muro scattò ancora, e il suo TONK! rimbombò per tutto l’universo.
Incuriosito, il bambino trovò finalmente il coraggio di chiedere che cosa fosse quel nero muro infinito che veniva spinto dal titano.
«Questo è il muro del tempo.» rispose lui.
«Il muro del tempo?» ripeté il bambino, confuso.
«Esatto. È il muro oltre il quale nulla esiste perché non è ancora esistito, ed è mio compito spingerlo in avanti così che possa esistere.»
Il bambino, disorientato di fronte ad una spiegazione simile, inclinò il capo. Ci pensò Sgrk, il cui cervello altro non era che un grosso blocco di basalto, a spiegarla in maniera più semplice.
«È LA LANCETTA DEI SECONDI DELL’UNIVERSO!»
«Sì, è un modo per definirlo.» disse Chronos, sospirando sconfortato di fronte ad una tale banalizzazione.
Tonk! fece ancora il muro, e il titano lo indicò con un cenno del capo.
«Ogni volta che fa così è un secondo di vita in più per tutta l’esistenza.»
«E CHE SUCCEDE SE SEMTTI DI SPINGERLO?»
«Sei sicuro di volerlo sapere, troll?»
Sgrk non ebbe nemmeno bisogno di pensarci su: l’inaspettato e impossibile brivido di freddo che gli scese per la schiena rocciosa gli fece comprendere che c’era un motivo se Chronos non la smetteva mai smesso di spingere la grossa lancetta dell’esistenza.
«Allora, chi siete e che volete?» domandò il titano.
Il bambino titubò. Era riuscito finalmente a raggiungere Chronos, ma ora che se lo trovava davanti non sapeva da che parte iniziare. Cercò lo sguardo pietroso dell’amico, ma Sgrk rispose con una scricchiolante alzata di spalle.
«Beh, vedete, vostra eminenza, quello che vi chiedo è un po’ di tempo.» tagliò corto.
Chronos, senza interrompere il suo spingere, si voltò di nuovo verso di lui.
«Beh, te lo sto già dando. Non stiamo forse parlando?» domandò confuso.
«No, vostra eccellenza non avete capito.» rispose lui, la voce tremante per la tensione di chi sa che sta per chiedere uno strappo alla regola a chi la regola l’ha scritta. «Vorrei che voi mi deste un po’ di tempo. Letteralmente.»
Chronos, colpito dal una tale richiesta, smise per un istante di spingere, e nello stesso momento il titano sentì che qualcosa dall’altra parte del muro stava spingendo con forza pari alla sua. Qualsiasi cosa ci fosse al di là del muro stava cercando di muovere in senso contrario la lancetta dell’universo.
Il titano tornò immediatamente a spingere il muro con più forza di prima, e lo scatto secco di invisibili ingranaggi gli confermò che la lancetta era tornata a muoversi nella direzione giusta. Il prossimo secondo dell’universo, però, arrivò in ritardo, con grande dispiacere di tutti i ragazzi e le ragazze che in quel momento si trovavano a scuola e non vedevano l’ora che arrivasse il termine delle lezioni.
«Non puoi avere del tempo a tuo uso e consumo. È contro le regole.» rispose finalmente Chronos.
«Perché no? Non potete fare uno strappo alla regola?» domandò lui con quel tono lagnoso che solo i bambini sanno fare.
«Le regole sono l’esistenza stessa, e il tempo extra non viene dato a nessuno se non in casi estremamente rari e di estrema necessità. Le regole non possono essere “strappate” così facilmente.» rispose Chronos, ricordando Yeshua di Galilea che proprio come quel moccioso era venuto ad implorargli un po’ di tempo extra dopo che era stato crocifisso per aver predicato l’amore e la pace tra gli umani.
Il bambino sentì gli occhi riempirsi di lacrime al pensiero che il suo viaggio fino ai confini dell’esistenza potesse rivelarsi inutile.
«Ma a me serve!» si lamentò di nuovo lui.
«E sentiamo, a che cosa ti serve, marmocchio?»
«Non sono un marmocchio!» rispose stizzito, tirando su col naso. «Ho questo aspetto perché ho capito che solamente i bambini sanno giocare con il tempo, solo loro riescono a capire davvero quanto possa essere infinito o breve un istante!»
Si asciugò un po’ di moccio con il dorso della mano.
«In realtà io sono un adulto!» disse, asciugandosi una lacrima. «Quello che chiedo non è una seconda vita o chissà che cosa. Chiedo solamente un po’ di tempo in più per vivere la mia vita, fosse anche solo una manciata di secondi da godermi!»
Chronos guardò ancora quel bambino, e nei suoi occhi vide la rassegnazione dell’adulto, l’amarezza di chi comprende l’importanza e la preziosità del tempo, ma vide anche lo sconforto di chi oramai non riesce più a tenersi stretto quel poco tempo che gli rimane.
«Capisco.» sospirò il titano. «Ma spero capisca anche tu che non posso donare il tempo così facilmente al primo che passa.»
Il bambino si asciugò il naso con il dorso della mano e rispondere con un triste cenno d’assenso. Un paio di lacrime belle grosse, lucenti, lacrime da bambino, sincere, gli stavano rigando il volto.
Sospirò sconfitto. Se c’era una cosa che spezzava il cuore a Chronos era vedere un bambino piangere.
«Facciamo così, voglio metterti alla prova.» disse, indicando il muro capo con un gesto del capo. «Se riuscirai a sopportare il peso di un secondo anche solo per, beh, un secondo solo, allora ti donerò un po’ di tempo extra.»
Il bambino lo guardò confuso.
«Voglio dire che se riuscirai a spostare anche di un solo scatto il muro ti donerò un po’ di tempo extra. Che ne dici?» propose Chronos, e il muro rispose scattando in avanti.
Il bimbo boccheggiò per un istante.
«Ma dovrai farlo da solo.» puntualizzò Chronos.
«Come posso spostare in avanti un muro tanto pesante da solo?» domandò lui, sbigottito, facendo rimbalzare lo sguardo dal muro al troll.
«Come pensi di poter sopportare del tempo extra se non riesci nemmeno a sopportare la solitudine di un secondo?» fu la risposta del titano.
Guardò Sgrk, e l’amico gli rispose con un triste sorriso granitico.
Forse fu l’ingenuo coraggio dei bambini, forse la disperazione dell’adulto, ma il bimbo si avvicinò al muro, pronto a sfidare il tempo stesso.
«Va bene.» disse.
Nell’instante in cui pose le mani contro la parete nera, così fredda al tatto, sentì la forza terrificante con cui quelle cose che esistevano al di là del tempo spingevano.
«Cosa c’è al di là del muro?» chiese.
«Cosa c’è al di là del muro è un mistero che nemmeno il tempo stesso sa.» rispose Chronos, alzando le spalle. «La mia teoria è che possano essere possibilità.»
«POSSIBILITÀ?» domandò Sgrk, con un filo di voce che sembrava il rumore della ghiaia calpestata.
«Le possibilità.» ripeté il titano. «Quelle meravigliose e quelle terrificanti. Apocalissi e rinascite. Tutto quello che sarà, prima che lo sia o che venga solo pensato. Infinite domande in attesa che l’universo dia loro una risposta.»
Il bimbo sbuffò e fece un cenno per segnalare al titano di essere pronto.
Chronos si staccò dal muro, lasciando il bimbo solo a confrontarsi con la pesantezza del tempo.
Qualcosa ringhiava al di là della parete, e il bambino spinse con tutta la forza che le sue piccole braccia gli permettevano. Spinse con tutto il peso del suo corpo, ma sentì che il muro resisteva. Sentì che le possibilità al di là della parete cercavano di aprirsi un varco, e lui in risposta spinse ancora più forte, così forte che vide lampi rossi scoppiargli dietro alle palpebre.
Spinse e fece forza, in equilibrio perfetto con qualunque cosa stesse spingendo dall’altra parte, e ogni minuscolo millimetro che le incognite al di là del tempo riuscivano a guadagnare veniva subito riconquistato dal bambino. Andava ora avanti, ora indietro, ma non abbastanza perché la lancetta dell’universo scattasse, e il tempo, in tutto l’universo, smise letteralmente di scorrere.
Non seppe dire quanto tempo avesse spinto, ma quando sentì che ogni sua fibra muscolare era sul punto di scoppiare, quando era lì per arrendersi e confessare a Chronos di essere troppo debole per quel compito, realizzò una cosa.
Realizzò che per i bambini il tempo è elastico, e può essere infinito, noioso e meraviglioso come l’istante prima che suoni l’ultima campanella prima delle vacanze estive.
Smise di spingere, e tenendo le mani contro il muro aspettò. Non era con la forza bruta che avrebbe fatto scattare in avanti la lancetta.
Le incognite che spingevano al di là della parete seguirono il suo esempio e smisero anch’esse di spingere, e senza che lo volesse, senza che se ne accorgesse o lo avesse voluto, il muro scattò in avanti con il Tonk! più assordante che si fosse mai sentito, e lui realizzò in quell’istante che non ha senso lottare contro il tempo.
Puoi solo aspettarlo.
«Direi che può bastare.» disse Chronos, ritornando al suo lavoro. Riprese a spingere con una mano, e con l’altra frugò nella sua tunica. «Come promesso, ecco il tuo premio.» disse, estraendone una pepita color ambra delle dimensioni di un pugno.
«Fanne buon uso.» disse il titano. «Non ne avrai altro.»
Il bambino accettò il regalo. Quella pepita di tempo era così pesante nella sua manina, ma lui ne avrebbe fatto buon uso. Avrebbe usato quel tempo come l’avrebbe usato un bambino, decidendo volta per volta se fosse un tempo pesante, noioso e apatico, un tempo da ora di lezione, oppure un tempo leggero e dolce, carico di meraviglie e di promesse come una vacanza estiva.
Fece per girarsi e ringraziare Chronos, per mostrare trionfante a Sgrk il suo trofeo, il tesoro di chi ha combattuto le possibilità e sfidato il tempo e ne è uscito vincitore, ma si rese conto con suo grande sconforto di essere solo un adulto seduto sul divano di casa sua.
L’orologio segnava la mezzanotte e un quarto: ora di andare a dormire. L’indomani si sarebbe dovuto svegliare presto per evitare il caos dei pendolari che come lui andavano al lavoro.
Si guardò la mano che stringeva il tempo che Chronos gli aveva donato, e realizzò con sconforto che il tempo che da bambino gli era sembrato infinito ora non era altro che una minuscola pagliuzza che luccicava debolmente.
Non era molto tempo, certo, ma se l’era guadagnato.
Era il suo tempo, e sarebbe morto per esso.