[CDP1] Ramòn

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Traccia n. 3 "Passaggio dall'adolescenza alla maturità".

Commento:
Adenike
Don Pedraus era Rettore del seminario Minore di Acantàla. Quel giorno la sveglia era avvenuta come al solito per i giovani seminaristi, l’autunno appena iniziato era caldo e piacevole. Erano una cinquantina.
Avevano tutti sentore dei disordini che erano scoppiati in varie provincie, degli scontri fra militari, contadini ed operai, ma si sentivano al sicuro dentro quelle antiche mura consacrate e Acantàla era sempre stata una cittadina tranquilla e devota.
Don Pedraus celebrò il mattuttino all’alba, con la luce che cominciava a entrare dalle austere finestre ad arcate.
Dopo colazione fece adunare i seminaristi nel cortile per una comunicazione importante.
— Ragazzi, sapete che il nostro paese è in guerra… Sono momenti molto brutti…
— Verrà anche qui la guerra? — chiese Louisito, appartenente a una delle sezioni più giovani, aveva dodici anni, lo sguardo acceso e curioso.
— No… Ecco… Il vescovo ha stabilito che per prudenza, solo per prudenza, dobbiamo trasferirci nel seminario di Amerullas…
— Amerullas è lontana, padre. Come ci andiamo? — disse Ramòn con voce rauca e agitata. Aveva quindici anni, lo sguardo cupo e preoccupato mentre si guardava intorno nel cortile e guardava Louisito che conosceva da sempre perché erano dello stesso paese.
— Il vescovo ha dato incarico a due autocorriere di accompagnarci in città, dove prenderemo il treno. Ecco… volevo dirvi che io andrò a prendere contatti con gli autisti, scenderò in paese, mentre voi aspetterete qui con don Saubò. Partiamo questa mattina stessa. Salite nei dormitori e preparate i vostri bagagli, una valigia con le cose più necessarie.
— Dobbiamo lasciare le cose in più? — domandò curioso Louisito.
— Si. Lasciatele.
— Dobbiamo lasciare anche la talare? — chiese con fare provocatorio Ramòn.
— No. Cioè, se proprio dovesse…
— Io non toglierò mai la talare padre. Nemmeno tu Ramòn, vero?
Ramòn chinò il capo in silenzio, con un sospiro.
I ragazzi salirono nelle loro camerate per preparare le valigie, mentre padre Saubò, si aggirava nervosamente nel corridoio.
Si radunarono infine nel cortile, alcuni all’ombra di un nespolo che cominciava a dare i suoi frutti, altri intorno al pozzo adiacente. I seminaristi avevano formato vari gruppetti e chiacchieravano intensamente fra di loro, ma sottovoce.
Louisito, aiutato da Ramòn, si era arrampicato sull’albero e raccoglieva i frutti più in alto; alcuni li mangiava voracemente sputando i semi divertito, altri li metteva in tasca per il viaggio, qualcuno lo dava a Ramòn e altri li lanciava ad alcuni compagni affollati sotto di lui.
Si sentì un rumore di motori avvicinarsi. Padre Saubò, facendosi aiutare da alcuni ragazzi più grandi fra i quali Ramòn, aprì il pesante portone. Di solito queste mansioni venivano eseguite da personale laico che lavorava in seminario, ma quel giorno non si era presentato nessuno.
Ramòn si accorse subito che qualcosa non andava. Le vecchie autocorriere locali erano piene di uomini, con qualche donna in mezzo, che urlavano e cantavano agitando le mani. Si vedevano le loro facce attraverso i vetri appannati emergere come dalla nebbia.
Anche don Saubò si rese conto, si voltò verso i ragazzi e con una voce stentorea che nessuno aveva mai sentito in quel mite prete urlò: — Scappate! Nascondetevi! In nome di… — Non fece in tempo a finire che un uomo gli si avvicinò e don Saubò cadde a terra con la gola squarciata. Subito dopo qualcosa fu scaraventato sopra sopra di lui, era il corpo di don Pedraus, la faccia coperta di sangue.
— Fatevi buona compagnia! — disse qualcuno ridendo.
Ramòn e altri seminaristi si inginocchiarono pietrificati dal terrore, mentre nel cortile era uno svolazzare di piccole tonache nere che si dileguavano fra le urla. Ben presto il cortile fu vuoto.
Diversi uomini e donne scesero dalle corriere, chiusero il portone e si radunarono vicino all’entrata principale. Gli uomini, alterati dal vino, sporchi, armati di moschetti e pistole, alcuni ostentavano lunghi coltelli alle cintole; le donne disarmate, ma incutevano più paura. Non era delle donne il loro sguardo famelico, e non era solo per il vino.
— Sono tutti scappati questi piccoli corvi neri! — gridava qualcuno ridendo, sparando raffiche di mitra in aria, subito seguito dagli altri.
Una donna che era scesa per ultima da una corriera, barcollante, vestita come tutte le donne di paese ma con la gonna alzata e legata alla vita a mostrare le gambe bianche, noncurante dei capelli appiccicosi che le cadevano in fronte si abbracciò a un uomo e sorridendogli gli disse
— Estebàn, amore mio! Fammi divertire!
— Sicuro che ti divertirai! Sgozzeremo tutti questi criminali nemici dell’uomo!
— Ma dove sono finiti, Estebàn?
— Li troveremo. Da qui non scappano.
— Per non perdere tempo c’è un modo per farli venire! — disse un giovane che sembrava uno studente di città.
— Quale?
— Fate suonare la campanella dell’obbedienza! Obbediranno al suono e si presenteranno tutti!
— Che stupidi!
— Ma dov’è questa campanella? — chiesero ai tre seminaristi inginocchiati che avevano aperto il portone.
Guidon rispose di non saperlo e gli spararono in testa. Hamerio non rispose, spararono in testa pure a lui. Ramòn si alzò in piedi a fatica dicendo con voce tremolante — Va bene. Ve lo dico.
In quel momento echeggiò un urlo di bambino rimbalzando sulle mura.
— No! Non dirlo Ramòn! Non dirlo!
Tutti si voltarono nella direzione dell’urlo, ma non videro nessuno. I rami del nespolo si mossero, qualcuno puntò il fucile nello stesso momento in cui una piccola tonaca nera saltava giù. Era Louisito.
Vedendo quanto era piccolo gli uomini scoppiarono a ridere, poi si voltarono verso Ramòn che si mise a camminare verso un angolo dell’ingresso principale, dietro una colonna, dove stava la campanella dell’obbedienza.
— Suonala!
Ramòn la suonò. Lento. Ogni suono era un colpo al cuore.
Poco alla volta, da tutti gli angoli del seminario uscirono gruppi di ragazzi con le loro lunghe tonache nere, il capo chino, le mani raccolte in preghiera.
— Ma quanto sono stupidi!
— Sono dei pericolosi fanatici! Non devono diventare preti!
— Non lo diventeranno!
— Fammi divertire Estebàn!
Ordinarono ai seminaristi di dirigersi verso il nespolo e spintonarono anche Ramòn in quella direzione. 
Estebàn e la sua donna presero Louisito.
— Questo è il più pericoloso di tutti!
La donna sorrideva guardando Louisito.
Gli uomini si scambiavano bottiglie di vino rubato, ballavano con le poche donne che avevano e fra di loro. Sembrava una festa.
Si creò confusione, polvere che si alzava in aria, seminaristi che andavano da tutte le parti terrorizzati. Ramòn si trovò vicino al pozzo, dietro l’albero del nespolo. Fu un attimo. Si sedette sul bordo e si lasciò scivolare dentro. Nel rumore che si era creato nessuno sentì il suo corpo precipitare urtando lungo le pareti di pietra, scorticandosi mani e gambe. Con un tonfo arrivò all’acqua, infilò la testa in una cavità naturale delle pietre per meglio nascondersi, immergendo con furia la tonaca che gonfia d’aria tendeva a risalire. Il pozzo era profondo e buio, sperava di non essere visto.
Sentiva urla, spari, ancora urla, risate. Per quanto tempo… Era un eterno presente di dolore, paura,  freddo, sapore di ferro in bocca.
Cominciarono le urla dei suoi compagni, si mordeva la lingua per non gridare a sua volta. Ma quanto gridavano? Ma cosa gli stavano facendo? Ma quanto gridavano?
Dopo un tempo infinito le urla cominciarono a indebolirsi, diminuire, salvo a levarsi ancora grida isolate; c’era ancora chi urlava e lo faceva a lungo… Perché i suoi compagni urlavano così tanto? Perché?
Ramòn chiudeva gli occhi, si mordeva le labbra, si tappava le orecchie, ma sentiva sempre, sempre…
Alla fine nel pozzo risuonò un clangore metallico lacerante. In mezzo al rumore, chiaro un urlo: 
— Ramooon!!! Ramooon!!! — La voce di Louisito.

La luce della sera era penetrata fino in fondo al pozzo e Ramòn, muovendosi con fatica, tremante, vedeva l’acqua intorno a lui macchiarsi del rivoletto di sangue che gli usciva dalle labbra e dal naso. Si perdeva a vedere il suo sangue contorcersi nell’acqua come un serpentello sinuoso.
Le sue mani erano scavate come quelle di un vecchio per la lunga permanenza in acqua. I denti battevano in modo incontrollabile. Da sopra rumori di motori, poi un lungo silenzio. Altri rumori. Urla e pianti di uomini si avvicinavano e si allontanavano. Se piangevano… Se piangevano… pensava Ramòn, non erano quelli di prima. Non potevano essere loro. Sentì urlare — Madre de Diòs! Madre de Diòs!
Lo sentì diverse volte. Allora ebbe la certezza che non erano gli uomini di prima.
Immerso nell’acqua vide il secchio di metallo con la fune agganciata alla trave sopra il pozzo, lo prese e cominciò a sbatterlo sulle pareti di pietra, urlando come un animale ferito a morte, non riconoscendo più la sua voce che risaliva in alto, verso la luce.
Lo tirarono fuori. Erano soldati casualmente da quelle parti, avvisati degli spari nel seminario, giunti troppo tardi.
— Madre de Diòs! — urlavano girando in lungo e in largo — Madre de Diòs!
— Copritelo! Che non veda! — gridava uno di loro, mentre adagiavano Ramòn per terra, sbottonandogli la talare.
Ma Ramòn vide. I corpi sparsi ovunque dei suoi compagni, seminudi, sanguinanti, alcuni con le bocche e gli occhi spalancati, le braccia aperte, le gambe divaricate. Un attimo prima che gli mettessero una coperta in faccia vide l’albero del nespolo e il corpo nudo di Louisito coperto di sangue, le mani levate in alto, inchiodate ai rami, la testa reclinata, la talare ammucchiata ai suoi piedi in una pozza di sangue. Gliela avevano tolta la talare a Louisito che lo chiamava mentre lo martirizzavano… 
Allora Ramòn non fu più Ramòn. Mai più.


Lo chiamavano padre Ramòn, ma non era un prete.
Stava sempre seduto in cortile sotto un nespolo.
Nessuno lo aveva mai sentito parlare.
Si trovava in manicomio dalla fine della guerra civile.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [CDP1] Ramòn

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Ciao @Alberto Tosciri

Anche tu hai descritto un turpe massacro affidandoti alla descrizione fotografica dell'evento. Sei stato più prolisso di me, però :D

I nomi delle località ricondurrebbero a un fatto avvenuto durante la guerra civile spagnola: spero di non sbagliarmi. D'altronde i comunisti furono quelli che si accanirono particolarmente sul clero. Anche la Spagna ha pagato il suo contributo di sangue alla causa cattolica. Ma se mi permetti, e sono sicuro di sì, che entrando in quella filosofia che spesso ci accomuna, vorrei entrare nel merito di quella "Croce di Cristo" che i conquistadores portarono in America latina, con l'uso della spada. Quanto sangue sparso per portare quello che era un semplice messaggio di pace e amore. Credo, a questo punto, che il tributo di sangue dei cattolici nelle rivoluzioni rosse, debbano essere viste come un contraltare, una bilancia che mette sul piatto, torti e vendette varie, in nome di Dio.  Questo lo dico cercando di capire il senso del tuo racconto. Sulla traccia, hai evidenziato un passaggio all'età matura di Ramon che non è neanche un passaggio, ma un vero capolinea che si presenta improvviso e letale. La tua scrittura è ricca e spesso mette in difficoltà per la lunghezza delle frasi, qualche virgola che avrebbe aiutato. Ma io, di certo, non sono uno che ti può fare le pulci, in quanto sono l'ultimo della classe in questo lato. Comunque sei sempre sul tema della sofferenza umana, e spesso rappresentata come quella esperienza di gruppo, in seno alle varie comunità, laiche o atee, cristiane. Anche questa volta stai sul pezzo. Grazie per esserci, Alberto. A si biri :D
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CDP1] Ramòn

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Ciao @bestseller2020  e grazie del commento.
Sì, ho immaginato durante la guerra civile spagnola, ho inventato questa storia, i nomi delle località non si troveranno mai, non esistono, ma fatti del genere con vittime seminaristi sono  accaduti davvero, molti sono stati beatificati decenni e decenni dopo, nell'indifferenza generale.
Poi io sono il primo a deplorare i massacri che i cristiani portarono nelle Americhe e in altri luoghi, purtroppo obbedivano al potere e alla politica che da sempre si sono infiltrati nella chiesa cattolica, così come in tutte le confessioni religiose.
Ma io guardo anche ai singoli rappresentanti della cristianità, alcuni degni di rispetto e avulsi dalle logiche di potere, ma hai ragione: innumerevoli infamie sono state commesse con la copertura della religione.
I miei sospetti, a proposito di quello che chiami "contraltare", una sorta di pena del contrapasso che i cristiani hanno pagato in seguito nella storia, nascono dal fatto che i cristiani hanno cominciato a essere perseguitati da sempre, fin da quando era vivo il loro Messia. Non hanno mai vissuto a lungo nella storia senza subire persecuzioni e massacri. E allora mi viene il dubbio che forse danno fastidio a qualcuno, lo hanno sempre dato e se danno fastidio loro e non altri allora vuol dire che possono interferire su qualcosa, possono cambiare qualcosa che si vuole non venga cambiato.
Una religione che dice di non rubare, non vendicarti, non uccidere, non commettere atti impuri, non rubare le donne degli altri, onora il padre e la madre... anzichè rinchiuderli nelle rsa... a qualcuno avrà pur dato fastidio, impedendo di fare tutte le cose che gli uomini vogliono fare... (pensiero mio)
Ramòn cresce all'improvviso tutto d'un colpo ed è una crescita letale, hai detto bene:  coinciderà con la sua pazzia, non si può vivere normali dopo aver assistito o perpetuato l'orrore, dopo esserne stati involontariamente o volontariamente anche artefici...
Poi molti vivono ugualmente anche dopo aver assistito all'orrore, succede. Ma prima o poi l'orrore viene a chiedere conto.
In quanto alle virgole... hai perfettamente ragione. È possibile controllare tutto o quasi, ma ci vuole troppo tempo, faccio quello che posso, in fondo sono solo uno che si arrangia...
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [CDP1] Ramòn

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Un testo che impressiona e stringe il cuore, scritto con la maestria che ti contraddistingue. Bravo, @Alberto Tosciri  (y)

C'è da dire che le persecuzioni ai cristiani sono cominciate al Colosseo o altre arene simili, utilizzando le belve feroci, le fiere senza colpa.

Nei secoli, chi le ha compiute e le compie tuttora non ha più bisogno di controfigure.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [CDP1] Ramòn

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Ciao @Alberto Tosciri. Complimenti. Nell'inventiva riesci a creare storie sempre cariche di verismo, di ricchezza di particolari, di drammaticità, in un crescendo che non stanca mai e verrebbe voglia che continuasse. Credo di averlo già espresso: tanti tuoi racconti potrebbero diventare dei romanzi, tale è la capacità di addentrarti nei particolari, nelle descrizioni dettagliate che suscitano sempre interesse, grazie alla tua scrittura.
C'è da rimanere increduli di fronte a tanta crudeltà immotivata. Eppure è successo e succederà sempre. La trasmetti molto bene.
Grazie.
A rileggerti

Re: [CDP1] Ramòn

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Eccomi, Alberto.
Inizio dall'ultima riga:
Si trovava in manicomio dalla fine della guerra civile.
Per quanto la spiegazione sia necessaria (quella del manicomio, perché che si tratti della guerra civile è piuttosto evidente e se proprio lo si desidera specificare lo si può fare in parecchi punti del racconto), rende il finale troppo raccontato e raffredda l'emozione che hai abilmente creato nelle righe precedenti. Il racconto è molto bello e merita di concludersi in maniera più "calda". Mi permetto di consigliarti questa variazione, allora:

Stava sempre seduto sotto un nespolo, nel cortile del manicomio.
Nessuno lo aveva mai sentito parlare.
Lo chiamavano padre Ramòn, ma non era un prete.

Il racconto è un susseguirsi di scene che tu descrivi usando tutti i sensi; sei un maestro in questo e sai che io amo le tue descrizioni. C'è un punto però dove mi permetto di suggerirti un'altra piccola modifica: quello dell'arrivo delle autocorriere, che dovrebbero essere vuote e invece si rivelano piene di un'accozzaglia di gente dagli intenti tutt'altro che amichevoli. È la scena focale del racconto, quello che trasforma l'attesa timorosa dei giovani nella carneficina che scoppierà di lì a qualche istante; se fosse un film, nonostante la mia totale incompetenza nel settore, sono convinto che il regista mostrerebbe l'arrivo delle corriere che, sequenza dopo sequenza, si avvicinano e mostrano il loro carico. In questo punto allora dovresti spogliare il racconto di tutto il superfluo e mostrare soltanto la scena (che il personale laico preposto all'apertura del pesante portone non si sia presentato è di troppo qui, a mio avviso). Mi limiterei a scrivere:

Si sentì un rumore di motori avvicinarsi. 
Aiutato da Ramòn e un paio dei ragazzi più grandi, Padre Saubò aprì il pesante portone. 
Qualcosa non andava. 
Le corriere erano piene di uomini che urlavano e cantavano agitando le mani, tra loro anche qualche donna. Attraverso i vetri appannati i loro visi sembravano emergere dalla nebbia.
.
Chiudo le segnalazioni con questa:
Nel rumore che si era creato nessuno sentì il suo corpo precipitare urtando lungo le pareti di pietra, scorticandosi mani e gambe. 
Così com'è costruita la frase, quello "scorticandosi" si riferisce grammaticalmente al corpo, anziché a Ramòn; semplificherei così, allora:
Nel rumore che si era creato nessuno lo sentì precipitare urtando lungo le pareti di pietra, scorticandosi mani e gambe. 
.
Per il resto ho ben poco da segnalarti; non sto a fare l'analisi rigo per rigo: che una virgola si possa togliere da una parte e aggiungere da un'altra o che una ripetizione si possa evitare con l'uso di un sinonimo, sono cose su cui non vale la pena soffermarsi, sei perfettamente in grado di vederle anche tu a una semplice rilettura.
Mi preme invece sottolineare ancora una volta la tua capacità di creare scene di un realismo tale che portano in scena il lettore e gli fanno vivere il racconto come se ne fosse un protagonista.
Un dettaglio su tutti:
immergendo con furia la tonaca che gonfia d’aria tendeva a risalire.
Un particolare che non mi sarebbe mai venuto in mente se avessi dovuto descrivere la scena e che la rende estremamente vivida.
Sono tanti i quadretti nel disegno generale che meriterebbero di essere analizzati: la donna con la gonna sollevata in cerca di un rapporto carnale col soldato, il panorama che si presenta agli occhi di Ramòn quando emerge dal pozzo, Louisito inchiodato al nespolo come Gesù sul Golgota...
E poi c'è Ramòn, il protagonista assoluto, che dà il nome al racconto e interpreta il dettato della traccia, per quanto il suo passaggio dall'adolescenza alla maturità sia del tutto singolare. Quel passaggio è tutto legato a un gesto, che è la chiave di volta del racconto:
Ramòn la suonò. Lento. Ogni suono era un colpo al cuore.
Ramòn ha appena visto uccidere i due compagni e sa che la sua unica possibilità di salvarsi è compiere quel gesto. Sa anche perfettamente cosa quel gesto comporterà. Nonostante il suo giovane amico lo scongiuri di non farlo, Ramòn suona la campanella e decreta la morte dei suoi compagni, la cui sorte era comunque pressoché segnata.
Che la sua fede fosse meno salda di quella di Lousito il lettore lo aveva già capito dal modo in cui aveva evitato di rispondere alla domanda dell'amico:
– ... Nemmeno tu Ramòn, vero?
Ramòn chinò il capo in silenzio, con un sospiro.
C'è rassegnazione in lui e manca il senso profondo della missione che vestire quella tonaca comporta; forse non sarebbe stato un prete eccezionale, mi azzardo a dire. 
Chi è allora Ramòn? Semplicemente un ragazzo, disilluso, senza grandi ideali. Non sappiamo perché si trovi in seminario, ma possiamo immaginarci che provenga da una famiglia povera, con tante bocche da sfamare: farsi prete probabilmente è un modo per trovare un posto nel mondo. Non è cattivo, tutt'altro: non c'è alcun compiacimento in lui nel cercare di salvarsi a scapito degli altri, ma solo umana rassegnazione. Il suo sacrificio sarebbe inutile, quel suonare la campanella è un arrendersi all'ineluttabile, un chinare di nuovo il capo di fronte alle avversità. Anche il tuffo nel pozzo avviene quasi per caso: si ritrova lì, vicino al bordo, e nessuno bada a lui, perché dunque non cercare di salvarsi la vita?
C'è un prezzo da pagare, però, un prezzo altissimo di cui non può essere consapevole in quell'istante. Se ne renderà conto soltanto al riemergere dal pozzo, nel vedere lo scempio dei suoi compagni e, più di ogni altro, quello di Louisito, crocifisso al vecchio nespolo. Un altro nespolo, non a caso, ritorna nella scena finale. Il prezzo da pagare era stato più alto di quanto la sua mente fosse in grado di sopportare, il passaggio dall'adolescenza alla maturità è un trauma che non riuscirà mai a superare.

Grazie per il bellissimo racconto.



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Re: [CDP1] Ramòn

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Ti ringrazio tanto @Marcello  per il tuo bellissimo commento che condivido parola per parola in tutte le modifiche che mi hai fatto notare, a cominciare dal finale che, come da te espresso, suona molto più incisivo. Anche le altre varianti sono perfette, suonano molto, molto meglio.
Marcello ha scritto: dom apr 30, 2023 8:07 pm
Mi preme invece sottolineare ancora una volta la tua capacità di creare scene di un realismo tale che portano in scena il lettore e gli fanno vivere il racconto come se ne fosse un protagonista.
Un dettaglio su tutti:
immergendo con furia la tonaca che gonfia d’aria tendeva a risalire.
Un particolare che non mi sarebbe mai venuto in mente se avessi dovuto descrivere la scena e che la rende estremamente vivida.
Ti ringrazio, detto da te è più che un complimento.
Mi viene voglia di dire... che solo chi da ragazzino ha davvero indossato una talare ed è caduto in acqua durante una banale e pacifica gita sulle rive di un fiume possa aver notato e ricordare un simile particolare che manco ci si sognerebbe nella vita di tutti i giorni...
Marcello ha scritto: dom apr 30, 2023 8:07 pmChi è allora Ramòn? Semplicemente un ragazzo, disilluso, senza grandi ideali. Non sappiamo perché si trovi in seminario, ma possiamo immaginarci che provenga da una famiglia povera, con tante bocche da sfamare: farsi prete probabilmente è un modo per trovare un posto nel mondo. Non è cattivo, tutt'altro: non c'è alcun compiacimento in lui nel cercare di salvarsi a scapito degli altri, ma solo umana rassegnazione. Il suo sacrificio sarebbe inutile, quel suonare la campanella è un arrendersi all'ineluttabile, un chinare di nuovo il capo di fronte alle avversità. Anche il tuffo nel pozzo avviene quasi per caso: si ritrova lì, vicino al bordo, e nessuno bada a lui, perché dunque non cercare di salvarsi la vita?
Conosco bene il personaggio Ramòn, qui romanzato, ma non è tutta invenzione.
Non sarebbe stato un buon prete. Se avesse avuto possibilità di scelta avrebbe lasciato perdere quella vita, come altri hanno fatto. Ma, ti assicuro, il tormento di non avere avuto il coraggio di vivere quella vita fino in fondo, anche fino alle estreme conseguenze, lo avrebbe accompagnato per sempre, giorno dopo giorno, qualunque cosa fosse accaduta, qualunque uomo fosse diventato...
Marcello ha scritto: dom apr 30, 2023 8:07 pmGrazie per il bellissimo racconto.
Sono io che ti ringrazio per avermi fatto notare cose importanti, variazioni da apportare.
E per averlo apprezzato e compreso. 
 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
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