I mercanti del tempio

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 Il telefono squilla.
- Ciao, come va?
Cesare risponde lesto: - A parte la febbre direi bene. 
Marco sembra quasi non sentire la risposta, ha troppo da raccontare per perdersi nelle formalità.
- Hai sentito il terremoto che è successo in ditta?
 - Sono in malattia da tre giorni. ho spento ogni cosa. perfino i brutti pensieri.
 - Stai tranquillo: il Direttore HR e i suoi accoliti si sono affondati da soli, senza bisogno di essere aiutati.
 - Chi hanno tentato di uccidere?
 - Peggio, li hanno beccati ubriachi ad un festino con prostitute e cocaina. Qualcuno li ha fotografati e la cosa è arrivata sulla scrivania del Presidente. ora per loro c’è solo la fucilazione senza onore.     
- Per noi cambia poco, salirà il solito raccomandato o figlio di qualche potente amico del  gran capo.
- E qui ti sbagli, hai poca fiducia nella considerazione che gli altri hanno di te: la maggioranza ha fatto il tuo nome e il Presidente non ha proferito parola contraria.
- Tutto questo mi spaventa, sei sicuro?
- Certo che lo sono, quando ci vediamo dobbiamo brindare.
- Certo, non mancherà l’occasione.  
Quando riattacca pensa che se fosse vero non ci sarebbe motivo di festeggiare, ma per fortuna la sua diffidenza lo rassicura: Marco è uno che trasforma il falso in vero, è un credulone in buona fede che non si accerta mai della veridicità delle cose, non sarebbe certo la prima volta che grida al lupo senza neanche averlo visto.
 Pensieroso cammina dentro il perimetro di casa, in tutto solo tre stanze, ma ben arredate: la sua preferita  è il salotto dai colori accesi che tanto piacevano a Tommaso. Cesare non ha neanche il tempo di afferrare i ricordi che risuona il cellulare. E’ la segretaria del Presidente .
- Il dottor Malimbeni vorrebbe conferire con Lei. Lunedì le potrebbe andare bene?
Cesare è preso dall’ansia, è spiazzato e colpito da un dubbio: da quando Malimbeni chiede se uno può o non può, di solito ordina senza possibilità di replica, e perciò risponde sospettoso. 
- Va bene per lunedì. Sa per caso di cosa si tratta?
La segretaria ha un attimo di silenzio: - Mi spiace, ho solo avuto la comunicazione di avvisarla se le andasse bene il lunedì.
La solita storia delle tre scimmie, diventano tutti sordi, ciechi e muti anche se poi sanno e sparlano di tutto. Non può essere solo una coincidenza.
Il suo cuore è disorientato: mai un sorriso se non fatto in maniera distante e beffarda, se fosse morto se ne sarebbero accorti forse dopo una settimana come con il povero Tommaso, neanche si  erano presentati al funerali  vigliacchi, meschini, ignobili. Ora sono allo sbando, hanno paura di affondare sapendo di non saper nuotare nel mare di melma dove si sono arenati: si sono guardati in giro e si sono ricordati di lui, qualcuno di loro avrà sicuramente alzato il sopracciglio, qualcuno avrà chiesto chi fosse, ricordandolo come quello amico di Tommaso Berni, quello che insomma, si dai che ci siamo capiti, quello diverso. Dicono diverso per non dire frocio, ricchione, e forse lo sospettano anche di lui.
Tommaso era un mare limpido, c’era in lui una varietà infinita di nuvole e sole, dava serenità vederlo  camminare deciso in un mondo corrotto. Aveva le sue contraddizioni, lontano certo dalla perfezione  amava la pace, ma era sempre nel conflitto, si definiva un guerriero in tanga fucsia. Aveva la forza di sostenere lo sguardo di tutti: fiero, acuto, intelligente, eppure, dietro questa apparenza marmorea, c’era un essere che soffriva e spesso quando calava la maschera lo confessava. Un giorno disse guardandolo con gli occhi accartocciati nel pianto: - Cesare sto male mi sento risucchiare dal buio.
Cesare  gli dava dei consigli, ma erano negli ultimi tempi poca cosa rispetto al dolore che lo stava  soffocando.
La notizia del suicidio l’aveva appresa  per telefono perché prima di morire aveva scritto a chi lo avrebbe trovato di avvertirlo. “Suicidio”, la sola parola dava i brividi. Ne avevano  parlato, ma Cesare deviava i suoi pensieri, lo faceva ridere continuando a circondarlo di parole come se fossero un recinto dal quale non potesse scappare. Alla fine aveva deciso, aveva fatto una scelta, il suicidio non come fuga, ma come atto di ribellione plateale, per urlare forte il suo sdegno verso l’ipocrisia, perché ormai il suo cuore registrava ferite che non si rimarginavano. In ditta avevano detto che lo aveva fatto per un esaurimento nervoso che da tempo lo tormentava, ma probabilmente chi pensava questo non lo conosceva. Tommaso l’aveva fatta grossa, omosessuale e suicida, troppo per persone che avevano percorso tutta la loro vita stando dentro le righe. Se Tommaso avesse visto i partecipanti al suo funerale si sarebbe alzato dalla bara per terrorizzarli e fino all’ultimo Cesare  aveva sperato di sentire bussare da dentro quel legno di mogano e vederlo uscire con la solita calma per mettersi sui fianchi le corone di fiori dei dolenti parenti  e ballare come fosse un hawaiano che accoglie i turisti.
 Certe volte a Cesare pareva di sentire la sua voce e gli sembrava che dall’alto Tommaso lo stesse  aiutando  come ridendo gli aveva fatto promettere.
- Chi dei due muore prima, dall’alto aiuta l’altro.
E intanto che lo diceva rideva come se parlasse di qualcosa di leggero. Cesare crede in Dio, ma quelle parole suonavano stonate come una moneta di cioccolata che cade a terra. Tommaso era sempre molto critico nei confronti del padrone dell’universo, spesso diventava blasfemo e sorrideva con gli occhi quando si parlava dell’aldilà. In due si riparavano dalle stonature dell’azienda, prendevano sempre strade deserte mentre gli altri seguivano sui binari la loro vita quotidiana.
 Cosa vuole il mondo da Cesare? Nonna Carla e Tommaso erano stati gli unici che non gli avevano  mai chiesto nulla, lo accettavano nonostante i suoi silenzi .
Che bella era sua nonna, aveva la pelle color di luna, vellutata, i modi gentili e le orecchie vicino al cuore per ascoltare il suono del vento dei suoi  pensieri: quando era scomparsa non aveva perso solo la nonna, ma l’unica voce che lo comprendeva senza portarlo ogni volta sotto processo. Poi, dopo tanti volti, arrivò Tommaso. Dopo una iniziale riluttanza, preda anche lui del giudizio degli altri, scoprì che essergli amico era la cosa più semplice. Tommaso gli si avvicinò al bar sotto la ditta, dove qualche volta si fermava a fare la colazione e sentendo  che aveva  dimenticato il portafoglio si offrì di pagare la colazione. A Cesare però non piacciono i debiti e dunque il giorno dopo era davanti a lui con i soldi in mano.
- Lascia stare, i soldi fanno solo danni, parliamo che ci fa bene.
Da allora le parole furono le rotaie sulle quali correva il loro treno. Cesare rimaneva sconcertato per come Tommaso scardinava le sue  paure e la corazza che nel tempo aveva eretto.
 
 
Lunedi è arrivato dopo una domenica di pioggia fitta, sottile e dolorosa come aghi sulla pelle. Arrivato  come sempre in anticipo è entrato nella sala riunioni. C’era solo l’uomo delle pulizie che rassettava  tra le sedie al buio e dava l’impressione di un essere impaurito che non riusciva ad evitare le fauci aperte delle sedie. Sono arrivati tutti alla spicciolata, mai insieme, ma a piccoli gruppi, ogni gruppo una sua realtà che vive di una sua personale identità: quando si incontrano con altri gruppi si salutano, sorridono, qualcuno si odia a distanza di sguardo, altri si ignorano e questo molte volte per trent’anni, fino alla pensione.
 Cesare si è subito defilato in disparte verso l’uscita, quasi stesse lì giusto per scappare, cosa che in effetti vorrebbe fare. In un attimo il tramestio di voci si è spento: è arrivato il Presidente. Quando entra nella sala pare lo faccia con fatica, ma poi riparte con piglio da cavaliere e avanza tra la gente che lo guarda deferente. Il Direttore Marketing gli si avvicina e gli stringe la mano, due passi indietro c’è il Vicepresidente, un uomo grigio che anche facendo sforzo di fantasia non si riesce ad immaginare giovane. Tutti si sono seduti come si fa ad una pièce teatrale. Il Presidente si è schiarito la voce e poi ha cominciato a parlarsi addosso facendo un discorso banale che tra l’altro aveva già fatto, poi ha spiegato che sono in corso dei cambiamenti e alla fine ha detto un nome: Cesare Tamburini.
Cesare ha sentito il peso in chilogrammi degli sguardi di chi lo cercava, si è dovuto a forza muovere, qualcuno ha fatto i complimenti, Bosi, che è il più sfrontato, passando lo ha afferrato per la manica e gli ha sussurrato qualcosa, ma Cesare non l’ha neanche guardato in faccia e ha tirato dritto. Ovazione, Cesare Tamburini è il nuovo Responsabile delle Risorse Umane, applausi e baci: a casa se lo era ripetuto cento volte e per cento volte avrebbe  tanto voluto rispondere no, mi dispiace lo faccia fare ad un altro. Invece si è allineato, perché per navigare contro corrente bisogna essere marinai esperti e Cesare è uno  invece che affoga nella vasca da bagno. Non ha  mai voluto essere Direttore, ma rifiutare lo avrebbe messo in una situazione di conflitto con il Presidente e i suoi repubblicani e lui odia le tensioni. Le ha  provate  indirettamente con Tommaso, ma lui era una tempesta di parole e di sorrisi che dopo un po’ facevano  saltare ogni barriera.
 
 
Sono passati sei mesi e a parte la stanchezza e i soliti sorrisi plastificati della segretaria tutto prosegue:  oggi però c’è una novità, il Presidente lo ha convocato. Quando è entrato in quell’ ufficio con quadri e larghe poltrone  c’era un bel sole e si sentiva stranamente contento, non sapeva che da lì a poco sarebbe arrivato il diluvio. Il Vicepresidente era stranamente anche lui presente pronto  a dar man forte al suo capo. Dopo i complimenti per l’ottima gestione fatti con una caramellosa cerimonia è arrivato il vero motivo della sua convocazione. 
- Deve licenziare, l’azienda  deve fare dei tagli.
Cesare, dopo lo smarrimento iniziale, ha provato a replicare, ma ormai la ghigliottina era pronta, doveva tagliare delle teste. Uscendo la segretaria ha abilmente evitato il suo sguardo, il sole era sempre lì, ma sembrava che i dardi di fuoco si fossero gelati.
 Per giorni ha cercato una soluzione, ma il Presidente non c’era mai e il Vicepresidente aveva risposto seccato.
- Mio caro l’azienda è come un albero, si tagliano dei rami per farlo sopravvivere.
 Il paragone con l’albero gli era parso azzardato e lo aveva anche fatto notare, qui si trattava di mandare a casa padri di famiglia non rami, ma il vicepresidente non ha replicato, è suonato il telefono, si è messo a parlare e Cesare si è allontanato. Alla fine ha dovuto avvisarli e ad ogni telefonata il cuore perdeva colpi. Dopo ogni telefonata Cesare si doveva fermare e tentare di riprendere a respirare. Ha  tenuto per ultimo Paolo Narducci, una montagna d’uomo con un lontano passato da pugile.
Nessuno aveva accettato di perdere il posto senza replicare, lo hanno perfino minacciato, hanno messo di mezzo i sindacati, caro Tommaso, si ripeteva Cesare, servo a fare il paralume a questi  rapinatori d’anime. Narducci non si rassegna, è quello più coriaceo, ha mille ragioni per opporsi, ma Cesare è impotente, non sa più come spiegarlo che ha lo stesso potere di un lombrico sotto una suola, ma Narducci pare sordo.
-Dottore, lei mi deve aiutare se no faccio una sciocchezza. 
Cesare fa fatica ad ammettere a se stesso che minacce e urla non lo hanno per nulla indurito, anzi davanti a Narducci si sente intimorito da quello sguardo diretto che non vuole e non conosce repliche. Torna con la precisione di un treno svizzero, lo ha anche aspettato due volte fuori, è anche entrato e per quanto la segretaria abbia cercato di placcarlo nulla è valso a fermarlo.
 -Devo parlare con il Dottore.
Urla con quella voce bitonale e da vicino sembra ancora più grosso, ha le mani appoggiate sulla scrivania intanto che parla, se lo colpisse di Cesare rimarrebbe ben poco.
 Non è tipo da girare intorno: - Dottore lei mi deve aiutare, mi dia una possibilità.
Cesare ha capito che, dopo averglielo detto venti volte, ogni spiegazione con lui sarebbe naufragata e allora alle strette mente come fanno i bambini per evitare le botte dai genitori. Se ne è andato, ma prima di farlo ha voluto affondare la mano nella sua facendola scomparire in quella morsa di carne e ossa.
Una volta a casa dopo aver bevuto tre bicchieri di vino pensa a lungo a Narducci, alle sue parole, a come lo  guardava poi si addormenta  come un sasso e non sente per il momento le urla della sua coscienza.
Sono passati mesi, ma quei volti spaventati  ogni tanto tornano in sogno, ha tentato di seppellire ogni rimorso spiegando a se  stesso che non c’entra nulla riuscendoci solo in parte. Narducci nel frattempo continua a chiamare e visto che ormai in azienda non lo fanno più entrare è arrivato a chiamare sotto falso nome, Per la prima volta nella sua  vita Cesare era stato scortese.
 - Narducci sta esagerando, sarò costretto a porre dei rimedi e sia chiaro che se chiama ancora avverto  la polizia.
- Faccia pure se devo morire ne porto almeno qualcuno con me. 
 Cesare ha avuto il sospetto che non stesse scherzando, cosi ha pensato di mandare una mail al Presidente che puntualmente non ha risposto.
La domenica si è confessato: Don Pietro dopo averlo ascoltato lo ha perdonato  con un po’ di Ave Maria  e ha promesso che se può aiuterà lui Narducci. Uscendo si è sentito sollevato.   
 Si avvicina il venerdì l’isola settimanale su cui tutti vogliono approdare quando in azienda arriva una voce che presto diventa notizia: Narducci si è tolto la vita gettandosi sotto un treno. A Cesare la notizia arriva dalla segretaria che glielo dice sussurrando con voce da bambina. Cesare rimane come folgorato, immobile, ha un attacco d’ansia, lo devono fare sdraiare  tra la gente che vocia e qualcuno incurante del dramma  parla, ridacchia e fa battute. La notte la passa al Pronto Soccorso, poi stanco, sentendosi naufragare ha dato retta a chi gli parlava e via con due, tre pastiglie.
Le notti a casa da solo sembrano panni appesi che nessuno viene mai a ritirare, andare a lavorare è ora impossibile, la finzione da teatro finirebbe in una tragedia. Alla fine si è dimesso prima che gli chiedessero di farlo. La guerra, gli elmetti, le granate non sono per lui. Ha accettato una generosa buona uscita e se ne è andato, la sua presenza ormai elettrica come quella di Tommaso disturbava l’efficienza e la produttività . Andandosene non ha salutato nessuno, aveva  pensato come vendicarsi  nei vari momenti di sofferenza e ora che sta per prendere le sue cose in ufficio non sa cosa fare. Ha chiesto più volte aiuto a Tommaso, ma stavolta è solo e tocca a lui. Vestito di una tristezza che gli spegne la luce del cuore si infila non visto nel bagno della Direzione  e con forza  scrive in rosso  “Narducci Pietro e Tommaso Domini restano presenti anche se assenti”.  

Re: I mercanti del tempio

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Sarano ha scritto: Certe volte a Cesare pareva di sentire la sua voce e gli sembrava che dall’alto Tommaso lo stesse  aiutando  come ridendo gli aveva fatto promettere.a
Questa frase mi sembra incompleta
Sarano ha scritto: come sempre in anticipo è entrato nella sala riunioni
Dopo anticipo, metterei una virgola
Sarano ha scritto: Il Vicepresidente era stranamente anche lui presente pronto  a dar man forte al suo capo
Anche qui metterei una virgola dopo presente
Sarano ha scritto: Se ne è andato, ma prima di farlo ha voluto affondare la mano nella sua facendola scomparire in quella morsa di carne e ossa.
Una volta a casa dopo aver bevuto tre bicchieri di vino pensa a lungo a Narducci, alle sue parole, a come lo  guardava poi si addormenta  come un sasso e non sente per il momento le urla della sua coscienza
Ho dovuto leggere due volte, mancano delle virgole e si perde la fluidità del racconto
Sarano ha scritto: notti a casa da solo sembrano panni appesi che nessuno viene mai a ritirare
Molto bello, rende perfettamente l'idea
Sarano ha scritto: Vestito di una tristezza che gli spegne la luce del cuore
Bello anche questo

Ciao @Sarano scusa se ho iniziato subito con le citazioni, ma le ho inserite mentre leggevo il testo e poi non mi è stato possibile scrivere sopra   :scusa:  
Mi è piaciuto il tuo racconto, bella la storia, molto attuale e veritiera secondo me.
La prima parte mi sembra scritta con più calma, come se avessi avuto più tempo per rileggere e mettere in bella copia, la seconda parte mi sembra più frettolosa, a mio parere mancano diverse virgole e il racconto scorre meno bene 
La trama però regge, virgole e qualche frase non chiarissima a parte, scritta molto bene, coinvolge, stimola l'empatia.
Mi ha un pochino deluso il finale, mi sembra un pochino banale rispetto ad un racconto che ho reputato profondo. Forse è fin troppo realistico, ma essendo un esercizio letterario, avrei preferito un riscatto più eclatante.
Nel complesso, mi è piaciuto molto.
Non so quale fosse la traccia, o il laboratorio, quindi su questo non mi posso esprimere.
Alla prossima
<3

Re: I mercanti del tempio

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Sarano ha scritto: dom apr 02, 2023 6:33 pmVestito di una tristezza che gli spegne la luce del cuore si infila non visto nel bagno della Direzione  e con forza  scrive in rosso  “Narducci Pietro e Tommaso Domini restano presenti anche se assenti”.  
Bentrovato, @Sarano
Ho collocato in apertura la frase finale del tuo racconto perché mi pare che essa spieghi il titolo, dove fai riferimento all'episodio evangelico in cui Gesù, in visita al Tempio di Gerusalemme, lo trova affollato di mercanti di animali e cambiavalute. 
Gesù caccia tutti fuori con una frusta di cordicelle e rovescia i tavoli dei cambiavalute: "Non fate della casa del Padre mio un mercato". 
In che modo la vicenda evangelica tocca il tuo racconto? Forse mettendo in relazione l'episodio del titolo anche al versetto della Lettera agli Ebrei in cui si dice: "casa di Dio siamo noi se custodiamo libertà e speranza". Ecco che, allora, la parola di Gesù raggiunge i personaggi del tuo racconto, vigliacchi mercanti della persona, dissacratori della vita, comprata e venduta per denaro, profanatori del vero tabernacolo di Dio. La scritta in rosso del protagonista equivale dunque, in qualche modo, alla frusta che si prepara Gesù per cacciare i mercanti dal Tempio.
(Piccola nota formale: uniformerei la sequenza cognome/nome o viceversa: pertanto, "Narducci Pietro e Domini Tommaso" oppure il contrario.)
Dal punto di vista generale, ho ritrovato nel testo gli stessi elementi che in passato mi sono permessa di segnalarti: sciatteria nell'uso dell'interpunzione e dei tempi verbali; tendenza a raccontare gli eventi a mo' di riassunto anziché a rappresentarli. Mi è sembrato inoltre che vi sia uno squilibrio tra la prima parte del racconto e la seconda: nella prima prevalgono i dialoghi, a volte non indispensabili, mentre nella seconda predomina una narrazione che riassume i fatti.
  ha scritto:Sarano- Sono in malattia da tre giorni. ho spento ogni cosa. perfino i brutti pensieri.
Qui sopra, ad esempio, e anche in altri luoghi del testo, oltre all'uso inesatto del trait d'union, dopo il punto fermo le iniziali sono minuscole anziché maiuscole.
  ha scritto:SaranoQuando riattacca pensa che
Espliciterei il soggetto: Cesare.
  ha scritto:Saranocome con il povero Tommaso, neanche si  erano presentati al funerali  vigliacchi, meschini, ignobili.
Qui sopra la mancanza d'interpunzione e il refuso "funerali/funerale" dà origine a un qui pro quo: per assurdo, difatti, pare che gli aggettivi vadano concordati con "funerali". Tale è l'importanza della punteggiatura.
  ha scritto:SaranoNon ha  mai voluto essere Direttore, ma rifiutare lo avrebbe messo in una situazione di conflitto con il Presidente e i suoi repubblicani e lui odia le tensioni. Le ha  provate  indirettamente con Tommaso, ma lui era una tempesta di parole e di sorrisi che dopo un po’ facevano  saltare ogni barriera.
Con periodi del genere metti a dura prova il lettore: i sottintesi e la punteggiatura ballerina rendono faticosa la comprensione.
Mi fermo qui, sperando di ritornare: grazie per la lettura e un saluto.
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Re: I mercanti del tempio

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Ciao @Sarano  :)
Sarano ha scritto: Sono in malattia da tre giorni. ho spento ogni cosa. perfino i brutti pensieri.
Ci vanno due virgole, visto anche che son tutte minuscole le parole, ma per distrazione sono punti quelli che hai messo.
Sarano ha scritto: - Peggio, li hanno beccati ubriachi ad un festino con prostitute e cocaina
Stanno parlando al telefono e nessuno userebbe l'eufonica in quel contesto.
Sarano ha scritto:
  ha scritto:con il povero Tommaso, neanche si  erano presentati al funerali  vigliacchi, meschini, ignobili.
Dopo "funerali" ci vanno almeno i due punti.

Sarano ha scritto: hanno paura di affondare sapendo di non saper nuotare nel mare di melma dove si sono arenati: 
Ripetitivo. Magari sostituisci il primo con la parola "consci" o similare.
Sarano ha scritto: dava serenità vederlo  camminare deciso in un mondo corrotto
Ti segnalo un esempio di frase in cui metti più spazi al posto di uno solo tra una parola e l'altra.
Sarano ha scritto: dietro questa quella apparenza marmorea, c’era un essere che soffriva e spesso quando calava la maschera 
Ormai è lontana, è un ricordo: meglio "quella" per dare l'idea.
Sarano ha scritto: Un giorno disse virgola guardandolo con gli occhi accartocciati nel pianto: - Cesare virgola sto male virgola mi sento risucchiare dal buio.
Sembrano troppe, ma te le consiglio tutte e tre quelle virgole.
Sarano ha scritto: Ne avevano  parlato, ma Cesare deviava i suoi pensieri, lo faceva ridere continuando a circondarlo di parole come se fossero un recinto dal quale non potesse scappare.
Sarano ha scritto: Che bella era sua nonna, aveva la pelle color di luna, vellutata, i modi gentili e le orecchie vicino al cuore per ascoltare il suono del vento dei suoi  pensieri:
Ho molto apprezzato le due frasi che ti ho evidenziato sopra: sai trovare dei periodi che denotano sensibilità e delicatezza d'animo e la tua penna li sa trasferire con stile originale e mai banale.  (y)
Sarano ha scritto: facendo un discorso banale che tra l’altro aveva già fatto
facendo un discorso banale, tra l'altro riciclato...
Sarano ha scritto: Sono passati sei mesi e virgola a parte la stanchezza e i soliti sorrisi plastificati della segretaria virgola  tutto prosegue:
per fare l'inciso
Sarano ha scritto: Mio caro virgola l’azienda è come un albero, si tagliano dei rami per farlo sopravvivere.
Sarano ha scritto: Faccia pure due punti se devo morire ne porto almeno qualcuno con me. 
Sarano ha scritto: Si avvicina il venerdì virgola  l’isola settimanale su cui tutti vogliono approdare virgola quando in azienda arriva una voce che presto diventa notizia: 
anche qui ci va l'inciso
Sarano ha scritto: Le notti a casa da solo sembrano panni appesi che nessuno viene mai a ritirare, andare a lavorare è ora impossibile, la finzione da teatro finirebbe in una tragedia. Alla fine si è dimesso prima che gli chiedessero di farlo. La guerra, gli elmetti, le granate non sono per lui. Ha accettato una generosa buona uscita e se ne è andato, la sua presenza ormai elettrica come quella di Tommaso disturbava l’efficienza e la produttività . Andandosene non ha salutato nessuno, aveva  pensato come vendicarsi  nei vari momenti di sofferenza e ora che sta per prendere le sue cose in ufficio non sa cosa fare. Ha chiesto più volte aiuto a Tommaso, ma stavolta è solo e tocca a lui. Vestito di una tristezza che gli spegne la luce del cuore si infila non visto nel bagno della Direzione  e con forza  scrive in rosso  “Narducci Pietro e Tommaso Domini restano presenti anche se assenti”.  
A me è piaciuta la costruzione del racconto sul terribile ruolo dei "cacciatore di teste" dove il primo protagonista, Tommaso, si suicida, non reggendo alla crudeltà di un ruolo che non gli appartiene, il secondo, Cesare, soggiace agli ordini del capo su un subalterno, Pietro, anch'egli suicida perché vittima di un licenziamento e di troppe responsabilità familiari che altri gli fanno disattendere. Cesare, dopo questo, in preda al senso di colpa, si licenzia, dichiarando la sua rabbia verso il sistema e come stanno le cose di fronte alla comunità dei colleghi.
Grazie per la lettura, bravo @Sarano  :)

Volevo anche dirti che, all'inizio, nella chiacchierata telefonica di Cesare col collega, mi è parso strano che la voce del suo "avanzamento" circolasse già in ufficio senza che lui, assente per malattia, ne fosse stato comunque avvisato prima dal capo. 
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: I mercanti del tempio

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Sarano ha scritto: Cesare è preso dall’ansia, è spiazzato e colpito da un dubbio: da quando Malimbeni chiede se uno può o non può, di solito ordina senza
qui, dopo "non può" serve il punto interrogativo, se no sembra un'affermazione
Sarano ha scritto: a casa se lo era ripetuto cento volte e per cento volte avrebbe  tanto voluto rispondere no, mi dispiace lo faccia fare ad un altro.
qui sarebbe stato opportuno usare il corsivo oppure gli apici alti, per distinguere e mettere in evidenza la risposta immaginaria. 
Sarano ha scritto: Urla con quella voce bitonale e da vicino sembra ancora più grosso
suppongo sia un refuso, il tuo intento era baritonale? avere la voce bitonale è manifestazione di una patologia alle corde vocali. 
Sarano ha scritto: cosi
Refuso: così
Sarano ha scritto: Andandosene non ha salutato nessuno, aveva  pensato come vendicarsi  nei vari momenti di sofferenza e ora che sta per prendere le sue cose in ufficio non sa cosa fare. Ha chiesto più volte aiuto a Tommaso, ma stavolta è solo e tocca a lui. Vestito di una tristezza che gli spegne la luce del cuore si infila non visto nel bagno della Direzione  e con forza  scrive in rosso  “Narducci Pietro e Tommaso Domini restano presenti anche se assenti”.  
Ok, non mi pare azzeccatissimo, ma con forza, tutto sommato, rende lo stesso l'idea di rabbia, si rifà più all'incisione sul muro. 
Del finale posso dire che Cesare, alla fine, – impotente come era sempre stato nel trattare i licenziamenti – abbia fatto un pur debole atto di "ribellione" lasciando lì, in bagno, il suo grido. Questo, quantomeno, è ciò che ho percepito io. E mi è piaciuto. Diciamo che l'ho trovato coerente con il personaggio che hai creato.

Ciao @Sarano  ho trovato il tuo pezzo molto realistico, scritto bene a livello di dinamiche ed evoluzione della trama, buona la definizione dei personaggi, anche dei secondari. Hai saputo ricreare atmosfera, ambientazione, contesto sociale. La scelta del Presidente ricaduta su Cesare, mai tenuto in vera considerazione – così come Cesare stesso dice all'inizio – al fine di lasciare nelle sue mani la patata bollente. 
Il pastrocchio, invece, l'ho trovato nella punteggiatura, negli spazi lasciati vuoti, nelle minuscole che andavano in maiuscola, insomma un po' di tutto. Ma devo farti i complimenti perchè, nonostante ciò, il testo mi ha conquistata, il che significa che la bellezza del contenuto e la scorrevolezza di trama e scrittura hanno superato per valore le tante imprecisioni. 
La pigrizia e la fretta sono nemici difficili da combattere, ma dobbiamo sempre impegnarci a tenerli a bada puntando sempre al miglior lavoro possibile.
Tecnicamente nel testo non fai grande uso dello show don't tell, questo è circoscritto solo nelle battute iniziali, ma io comincio ad essere un  po' scettica circa la necessità di esagerare con questa formula (non me ne vogliano i fervidi sostenitori), in fondo, la parola "racconto" non dice già che una storia si possa più semplicemente raccontare? Io immagino quando un'amica vuole parlarmi di ciò che le accaduto il giorno prima, non me lo riferisce sfruttando lo show don't tell, e allora se parliamo di racconto e non di romanzo perchè non trattare il testo come meglio ci ispira? Ho detto una cavolata? Non lo so, ma qualche dubbio comincia a venirmi. 

Grazie per la bella lettura
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