Una luce nel bosco

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Una luce nel bosco
 
 
«Comunque, guarda, se qualcuno può parlarti così, sono io: ve ne farete entrambi una ragione.»
Ecco, se c’era una cosa che temevo di questa gita in montagna, iniziata di prima mattina e della quale sono già stufo, era che gli amici si mettessero a farmi sermoni. Guardo Carlo con un’espressione inequivocabile.
Forse ha capito.
«Se permetti conosco Camilla» prosegue lui che no, evidentemente non ha capito «e so che non devi sentirti in colpa. D’accordo, adesso è a terra, come del resto lo sei tu. Ma io che ci sono passato ti dico: vedrai che…»
Basta, non ce la faccio più. Prima Daniela, ora Carlo. Se allungo il passo, lungo il sentiero raggiungo gli altri. Avranno anche loro da dispensarmi sapienza?
Però li capisco: si è appena separata una coppia che tutti loro consideravano granitica e so cosa pensano: “Se è capitato a loro può davvero capitare a tutti.”
Proseguo senza più ascoltare. Passiamo a poca distanza da un costone che dà a strapiombo sul fondovalle. Mi avvicino, guardo in basso e provo un irrefrenabile desiderio di spingere giù Carlo che continua nel suo monologo. Se lo faccio le sue parole mi tormenteranno per l’eternità: desisto. Potrei buttarmi giù io ma non penso ne valga la pena, basta continuare a non ascoltare.
«Sta’ attento,» s’interrompe «non sei un po’ troppo vicino al bordo? …ATTENTO!»
 
Ok, tranquillo, adesso mi allontano.
Carlo guarda oltre me e poi verso lo strapiombo con uno sguardo strano, quasi costernato. No, di più: terrorizzato. Che mi abbia letto nel pensiero?
Toh, leggi anche questo: “scherzavo, dai”.
Gli passo di fianco e riprendo la salita. Mi segue o rimane lì?
«Ehi, guarda il rifugio, finalmente un caffè!» lo sento dire. Ok, mi segue.
Uh, “finalmente” davvero: qualcosa per il momento ha distratto Carlo, che accelera il passo e si premura di levarmi ogni speranza sul fatto che la sua consulenza psicologica sia finita, perché lo sento aggiungere: «Continuiamo dopo; non ti spiace, vero?».
Certo che mi spiace, stronzo. Potremmo invece non parlarne mai più, dovessimo campare ancora cent’anni dovendoci sopportare fino all’ultimo dei nostri giorni?
Trattengo a fatica il ringhio che rappresenterebbe bene questo mio pensiero e gli sorrido storto.
Ma non posso sopportare oltre: mi siedo e cerco un’idea per liberarmi di lui senza guastare in modo irreparabile la nostra amicizia.
Carlo, intanto, mi ha già staccato di parecchi metri. «Coraggio, acceleriamo il passo!» dice, e mi pare entusiasta come un bambino.
Tutto per un caffè? Strano, questo suo repentino cambio d’atteggiamento: un attimo fa, sullo strapiombo, pareva stravolto.
«Ascolta, guarda» rispondo, «c’è ancora un bel dislivello da qui al rifugio e io non ho le scarpe adatte. Lo so, ho fatto una cazzata, me lo avevate pure detto. Però, adesso, dietro al calcagno ho una vescica grossa come un fagiolo. Se accelero mi si apre e allora son dolori davvero. Io mi fermo qui per un po’. Mi riposo e ci penso su, vedo come va il mio piede e poi farò quest’ultima parte di salita da solo. E se non mi vedrete arrivare vorrà dire che ho deciso di tornare giù e raggiungere Luigi e Daniela per pranzare con loro.
Lui si è voltato e mi squadra, credo stia valutando se può abbandonarmi e se ce la potrò fare da solo.
Poi riprende la marcia di gran lena: evidentemente si fida, nonostante giudichi scarse le mie capacità di sopravvivenza in montagna e nella vita da single.
Finalmente sono solo. Mi guardo intorno e vedo il silenzio, ora che non c’è più la voce di Carlo. Dietro me il bosco, di fronte montagne imponenti, più giù il fondovalle: bellissimo.
Mi rialzo e prendo la via del ritorno. Ancora un’occhiata a destra: il bosco mi tenta con il suo buio. Che bello sarebbe poterci entrare e perdersi, e non avere nessuno che ti viene in soccorso con la sua esperienza e con le sue certezze.
Faccio ancora qualche passo.
No, dai, che senso ha? Poi quel buio mette quasi paura.
Però la tentazione è forte: il folto del bosco mi chiama.
Se faccio un giro là dentro non arrivo in tempo per pranzo.
Poi qualcosa, da uno dei punti più scuri, attira la mia attenzione: sono certo di aver visto un bagliore.
Guardo meglio, esco dal sentiero, supero i primi alberi. Non mi sono sbagliato e non può essere stato un raggio di sole filtrato fra le cime.
Sì, c’è qualcosa; ma gli occhi non sono ancora abituati all’oscurità e non posso esserne certo, questa volta.
Vado verso la direzione dalla quale ho visto provenire quella strana luce. Il freddo si fa intenso, ho i brividi, probabilmente è il sudore che mi si raffredda addosso.
Proseguo ancora un po’ ma non c’è proprio nulla e decido di tornare sul sentiero.
Mi volto e proprio in quell’istante eccolo di nuovo.
I brividi che sento adesso non sono dovuti al sudore. Basta, esco dal bosco, volevo stare un po’ da solo e credevo fosse questo il modo. Ma non mi piace più.
Ciao bosco inquietante! Io me ne vado, vorrei dire, ma mi si stringe un nodo in gola: dove vado?
Mi guardo attorno, sgomento: da dove sono venuto?
Ok, calma: basta seguire l’inclinazione del terreno. Faccio una cinquantina di passi in discesa poi il terreno diventa pianeggiante. Ancora un centinaio di passi e inizia a salire. Qualcosa non torna. Dunque, ragiono sui punti cardinali: per come è rivolto questo versante devo andare a ovest. Guardo verso l’alto ma non riesco a capire da che parte possa essere il sole, la coltre di rami e di verde è troppo spessa. Di muschio sui tronchi nemmeno a parlarne, qui è una perenne penombra.
Sono immobile, trattengo il respiro, sono prossimo a una crisi di panico. Perché non è tanto l’idea di essermi perso che mi spaventa, quanto quella strana attrazione che ho provato, e quei bagliori dai quali, adesso, mi pare quasi di essere stato ipnotizzato. Non vorrei, ma devo confessare a me stesso che qualcosa proprio non va in questa situazione.
Mi guardo ancora intorno e, senza nemmeno scegliere da che parte, mi metto a correre. Ho preso la direzione giusta, il terreno torna a scendere, presto ritroverò la fine del bosco e con essa il sentiero. Poi mi fermo con orrore. Questa volta ne sono certo: era un lampo di luce quello là sotto. Allora mi volto e riprendo a correre dalla parte opposta. Adesso il terrore mi attanaglia e ha preso il controllo dei miei movimenti. Passo accanto ai tronchi ed evito i rami più bassi come se fossi trasportato.
Vivo una scena, non sono io che corro. Non so cosa mi sta capitando, il tempo pare rallentare, mi guardo intorno e vedo gli alberi passarmi accanto e il terreno scorrermi sotto i piedi. Non so nemmeno più se sto correndo in salita o in discesa. Poi guardo nuovamente avanti e vedo quel bagliore che so essere un lampo, ma che non si spegne e continua a crescere di intensità. Gli sto andando incontro. Non posso farne a meno e tutto si fa luce.
Non voglio!
 
L’ho urlato?
Mi risveglio, il sole è già tramontato. Sono a fondovalle. Proprio sotto allo strapiombo da cui io e Carlo, oggi, guardavamo giù.
«Cosa mi è successo?» chiedo.
«Nulla, stai tranquillo: ci sono qua io.»
Mio padre? Cosa ci fa mio padre, qui?
Mi guarda con occhi che non ricordavo e mi prende una mano. Il contatto è caldo e nemmeno questo ricordavo: da quanto tempo mio padre non mi prende per mano in questo modo? E perché a un certo punto della mia vita ha smesso di guardarmi con tanta dolcezza? Va bene, si cresce, si prende la propria strada, ma perché queste cose, così belle, un giorno ti accorgi che non ci sono più fra te e tuo padre?
Lo guardo anch’io e pure il mio sguardo è carico di dolcezza. Capisco che lui è triste ma non so il perché. Non mi guarda più ma è come se continuasse a guardarmi ed è una sensazione strana.
Indica con una mano ciò che sta contemplando. Dev’essere capitato un incidente: vedo un’ambulanza ferma a luci spente, i Carabinieri e tanta confusione.
Poi vedo Daniela che piange e poi Carlo e altri della compagnia. Si abbracciano, hanno le facce sconvolte.
«Papà scusa, devo andare!» dico concitato «è successo qualcosa a uno dei miei amici!»
Lui mi fa cenno di no e mi guarda un’ultima volta, teneramente.
Mio padre è morto dieci anni fa.
ringraziamenti
Questo è il risultato di anni di decantazione dell'antica :asd:  mia partecipazione a un Mezzogiorno d'Inchiostro (nientemeno che il n.33!) del Writer's Dream.
Un sincero mio grazie è dovuto ai commentatori di allora, per il contributo alla revisione che mi hanno offerto. Alcuni di loro sono ancora attivi su questo forum, quindi il ringraziamento non è solo un'astratta formalità.
commento:  viewtopic.php?p=47084#p47084

Re: Una luce nel bosco

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@queffe Ciao. Mi fa un certo effetto ritrovare qui, in questo racconto, diversi punti sui quali mi sono soffermato anch'io in Lili. La separazione, una condizione di solitudine, l'idea e la determinazione a farla finita. La prima questione che mi sono posto, in seguito ai pensieri formulati dalla voce narrante è se il gesto estremo sia frutto del venir meno di una presenza fisica, cioè della donna con cui ha  presumibilmente  condiviso un considerevole periodo della propria vita, o del consolidato modello di vita che non ha dato le risposte auspicate alle aspettative in esso riposte. Anzi di più, forse a un'acquisita consapevolezza in merito che vanifica qualsiasi prospettiva di speranza futura. Perché a volte è di questo che si vive, forse, della speranza di un'evoluzione esistenziale nella quale a un certo punto si cessa di credere.
D'altra parte, il racconto non esclude, mi pare, la possibilità che il gesto non sia stato intenzionale, anche se i passaggi successivi della fase intermedia e onirica tra la caduta e l'incontro col padre - l'oscurità del bosco, la strana luce che attrae e respinge -, sembrano suggerire che invece sì. 
A me pare che il tema del racconto sia proprio la presa di coscienza di un uomo che scopre, a un certo punto della propria vita e per cause forse nemmeno così essenziali, come non ci sia via d'uscita alla solitudine. Me lo suggerisce tra le altre cose la scarsa empatia con la quale Carlo continua a tormentarlo, ottusamente più concentrato a parlare di sé, della propria esperienza, che non a sollecitare e ad ascoltare quella dell'amico. O  perlomeno a starsene zitto e rispettare il momento di dolore altrui. Oppure l'incontro col padre, il ricordo di quella perdita di contatto che avviene quando un figlio diventa adulto e sviluppa esigenze e necessità proprie che spesso non soddisfano le aspettative dei genitori, ovvero l'incapacità di relazionarsi a qualcuno diverso da sé.
Tante belle tematiche, quindi, in questo bel racconto velato di una stanchezza esistenziale che si muove sullo sfondo di una natura indifferente se non addirittura ostile. La claustrofobica corsa nel bosco mi ha dato questa sensazione. Piaciuto!  :super:  

Re: Una luce nel bosco

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@Bob66 Grazie della lettura e del commento.
Come accade spesso, il lettore in un racconto può trovare (ed è, naturalmente, bontà sua) risvolti, interpretazioni e significati che l'autore non ha inserito consapevolmente.
Io amo le ghost stories, adoro i morti che non sanno di esserlo e qui, semplicemente, ho provato a cimentarmi con questi elementi.
Poi, sì, il contesto è la vita reale, con ciò he ci ho messo dentro io (una relazione che finisce, un protagonista che forse dissimula il proprio dolore, amici che pretendono di venire in soccorso), oppure con ciò che (di più profondo e "problematico") vi hai trovato tu. E che va benissimo, eh!
Ma il nucleo di questa storia, secondo le mie intenzioni, è proprio e solo "il passaggio". Che io, qui, immagino e interpreto come mal riconoscibile da chi lo vive.
Una cosa sulla quale ho puntato molto (non so se sia da apprezzare, o se confonda solo la storia) è che il lettore (esattammente come il protagonista) non doveva accorgersi esattamente quando arriva il momento della morte. Nè importa se la morte sia stata causata da un incidente o da un atto voluto (anche questo lo lascio alla libera interpretazione di chi legge). Perché di fronte alla morte questo non conta più.
Ed è vero quello che cogli: c'è un velo di stanchezza esistenziale, e la natura, prima cercata e accogliente, alla fine pare rivelarsi come per lo più ostile (o agente per conto di un mandante ostile). Ma non è così nella "realtà" che il racconto svela: queste sono le nostre interpretazioni. Nostre (di vivi) e del protagonista (che crede di esserlo ancora per un po'). Invece c'è solo la morte, che nel momento in cui ti reclama ti travolge e dimentichi tutto, sei costretto a dimenticare. Perché tutto, ormai, è cosa da vivi.
Il finale è sospeso, ma per me il padre potrebbe essere lì per anche solo per dirgli: "Lascia perdere, lascia fare. Nuje simmo serie, appartenimmo à morte!"
 

Re: Una luce nel bosco

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@queffe  
Io che amo i plot twist per un momento ho pensato che Carlo, l'insistente Carlo, avesse la coscienza sporca forse perché amante di Camilla. Ma proseguendo la storia della separazione svanisce assorbita dal racconto della superficiale necessitá di ognuno di noi di commentare con frasi fatte i dolori maggiori altrui. Come se non si potesse guardare la sofferenza di chi ci sta di fronte per puara di vedere noi stessi. Un consolare egoistico che serve piú a compiacere se stessi nella culla del "io che ho giá passato tutto ció generosamente condivido la mia esperienza". Un modo che agli occhi del protagonista fa solo risaltare la solitudine, l'incapacitá di comunicare il proprio dolore, che forse é anche solo un dolore meschino fatto di abitudini che non ci sono piú e non il dolore quasi eroico per un amore consumato. In questo male che erode si fa strada l'idea di individuo, della impossibilitá di condividere davvero la propria interioritá, la consapevolezza che bisogna farci i conti da soli, che la compagnia é solo il momentaneo sollievo che permette di raccolgiere energie per riaffrontare i propri demoni.
Questi bagliori misteriosi nel bosco, cosí attraenti e al contempo terrificanti, richiamano tutte le favole e leggende che hanno come tema il perdersi per ritrovarsi, il passaggio fa una fase ad un altra, una sorta di upgrade del personagio principale.
Ma qui no, in un crescendo di suspence e terrore, quando ci si aspetta che queste luci facciano qualcosa, si rivelino e abbiano la loro parte attiva nella trama, il protagonista é sconfitto. Sconfitto perché non in grado di affrontare il mistero, sconfitto perché troppo debole per affrontare di petto le proprie paure e dominarle come ci si aspetta in tutte le storie di trasformazione.
Il nostro protagonista si lascia andare al panico, alla paura, confida di salvarsi per caso per il semplice fatto che non é in grado di concepire qualcosa di diverso.
È solo nel momento in cui la tragedia é compiuta che parzialmente si svela la chiave: é lo sguardo amorevole del padre che mai in vita lo aveva guardato cosí. Uno sguardo che fa scattare una sorta di nostalgia per ció che mai era stato vissuto.
Pur avendo io fatto la mia scelta di lettrice, rimane il dubbio se questa assenza di amore paterno, e amore in generale, fosse reale o solo dovuta al'incapacitá del protagonista di coglierla.
Una storia dell'orrore, genere che amo, molto intima che si svolge in un ambiente sereno, ai miei occhi bellissimo e quindi ancora piú paurosa.
Come una piccola Gretel mi sono fatta portare in questo incubo, fatto di solitudine, relazioni inconsistenti e di incapacitá di affrontare sé stessi, ma soprttutto privo di lieto fine. Cosa che ho apprezzato di piú.

Grazie per questa soddisfacente lettura!

Re: Una luce nel bosco

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@Almissima (perdonami il ritardo nella risposta), grazie a te della lettura e dell'interessante interpretazione.
Devo dirlo anche a te: vai al di là delle mie intenzioni, almeno quelle razionali che mettiamo nella scrittura narrativa.
Vero, vero... però, mi dico. Hai colto aspetti che ci sono, come negarlo rileggendo(mi) sotto la luce del tuo commento?

Solo per quanto riguarda il rapporto con il padre, la mia intenzione è non "negoziabilmente" diversa dalla tua lettura: il mio protagonista, come in un sogno, non ricorda nemmeno che suo padre è già trapassato. Ne ricorda solo lo sguardo e il contatto (che non c'era più semplicemente perché il padre non era più). Ma ci fu, eccome. Non è detto, però che si sia perduto solo per sopraggiunta morte del papà: nella mia visione certe cose si perdono nel passaggio dall'infanzia all'età adulta. Per tornare, forse, quando è il genitore, ormai anziano, a dover essere accudito da un figlio. Ma non a tutti è dato di poter rendere al proprio genitore ciò che nell'infanzia si è avuto in dono da lui (cura, amore, carezze, preoccupazioni). Non è il caso di questa storia, infatti.
Quindi:
Almissima ha scritto:é lo sguardo amorevole del padre che mai in vita lo aveva guardato cosí. Uno sguardo che fa scattare una sorta di nostalgia per ció che mai era stato vissuto.
per me lo aveva guardato (eccome!) e la nostalgia è proprio per ciò che davvero è stato e a un certo punto ha cessato di essere.
Si tratta, sempre nella mia interpretazione (che però, alla fine, vale quanto la tua), di una sorta di rappresentazione del cliché della "scarica di endorfine", che ti fa passare davanti agli occhi tutta la tua vita. Qui il protagonista (pur già fantasma) non vede tutta la sua vita in un istante, ma dedica tutto quell'istante solo a una cosa bella della sua vita (forse la più bella?): il ricordo dello sguardo che il padre aveva per lui, e il contatto caldo della sua mano (mi denuderò e confesserò anche che il sentimento che ispira questa parte è autobiografico).

Però sì, ribadisco: la tua lettura, pur diversa, ci sta senz'altro e ciò mi inorgoglisce: (per sbaglio :asd: ) devo aver scritto qualcosa di abbastanza valido, se può essere così intensamente e puntualmente interpretato dal lettore.

Grazie ancora e a rileggerci.

Re: Una luce nel bosco

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@Ciao queffe , do anche io il mio parere sul racconto, parto da due note sulla scrittura in sé, per poi passare al mio pensiero sul racconto, con la doverosa premessa che quanto segue è un mio parere personale :) 
queffe ha scritto: a coltre di rami e di verde è troppo spessa.
Qua mi pare un po' ridondante; io metterei solo uno dei due.
queffe ha scritto: : evidentemente si fida, nonostante giudichi
Io toglierei quella virgola, mi pare non necessaria.

Per il resto a livello di suggerimenti non mi viene in mente altro, e penso che sia già stato detto abbastanza. 

Mi è piaciuto il plot twist, anche se mi immaginavo che continua sotto spoiler 
SPOILER
fosse stato il protagonista a buttare giù Carlo
[…] per cui applauso per avercela fatta ad ingannarmi(ci)?

Sul subito ho trovato un po' frenetica la narrazione quando il protagonista è nel bosco, ma vista la conclusione direi che è più che doverosa. 
Se posso solo permettermi una piccola nota stilistica d'impaginazione io non lascerei uno spazio prima e dopo l'a capo della parte nella foresta. Comprendo che cosa volessi fare, ma secondo me da' un po' troppo via al lettore il fatto che qualcosa contenuto in quel paragrafo diverge, è un Setup per il colpo di scena troppo marcato (non so se mi son spiegato bene), ma ripeto, è un parere personale, e tutto sommato il racconto funziona lo stesso, per cui complimenti :) 

In conclusione mi è piaciuto; mi piacciono i plot twist così, e mi piacciono quelle esperienze un po' borderline tra realtà e quello che succede in questo racconto. 
Mi piace anche tanto il fatto che continua sotto spoiler 
SPOILER
SPOILERnon si capisca se il protagonista si è suicidato o se è stata una caduta accidentale
Ovviamente quello del racconto è un tema "pesante", ma credo che vincolato dalla lunghezza massima del racconto e del forum tu abbia fatto un bel lavoro; con una lunghezza massima del genere si riesce bene a giocare sull'immediatezza e sulla mancanza di lucidità di momenti e fatti del genere.

Re: Una luce nel bosco

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@Zouks ti ringrazio della lettura e del commento. Devo dire che condivido tutte le tue note, delle quali farò tesoro.
Per quanto dai miei ringraziamenti sotto spoiler possa sembrare che questa sia una stesura definitiva, no: non riesco mai a finire davvero i miei racconti. Questo, ad esempio, è stato successivamente pubblicato da una rivista e ha subito (beneficiato di) un ulteriore editing. Che, immagino, non sarà neppure l'ultimo...

Per quanto riguarda i tuoi spoiler, in entrambi i casi, come ho già detto in una delle risposte sopra, ci ho giocato un po', cercando di fare in modo che fossero punti indefiniti e, soprattutto, non servissero strettamente ai fini del senso della storia, lasciando, eventualmente, al lettore che ne senta il bisogno, la scelta delle ipotesi che gli sembrino più congeniali.

Grazie ancora e a rileggerci.

Re: Una luce nel bosco

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@queffe ho letto il tuo racconto e l'ho trovato molto interessante. Provo a lasciarti anch'io alcune mie considerazioni.
queffe ha scritto:
«Comunque, guarda, se qualcuno può parlarti così, sono io: ve ne farete entrambi una ragione.»
Ecco, se c’era una cosa che temevo di questa gita in montagna, iniziata di prima mattina e della quale sono già stufo, era che gli amici si mettessero a farmi sermoni. Guardo Carlo con un’espressione inequivocabile.
Forse ha capito.
«Se permetti conosco Camilla» prosegue lui che no, evidentemente non ha capito «e so che non devi sentirti in colpa. D’accordo, adesso è a terra, come del resto lo sei tu. Ma io che ci sono passato ti dico: vedrai che…»
Basta, non ce la faccio più. Prima Daniela, ora Carlo. Se allungo il passo, lungo il sentiero raggiungo gli altri. Avranno anche loro da dispensarmi sapienza?
Però li capisco: si è appena separata una coppia che tutti loro consideravano granitica e so cosa pensano: “Se è capitato a loro può davvero capitare a tutti.”
Proseguo senza più ascoltare. Passiamo a poca distanza da un costone che dà a strapiombo sul fondovalle. Mi avvicino, guardo in basso e provo un irrefrenabile desiderio di spingere giù Carlo che continua nel suo monologo. Se lo faccio le sue parole mi tormenteranno per l’eternità: desisto. Potrei buttarmi giù io ma non penso ne valga la pena, basta continuare a non ascoltare.
«Sta’ attento,» s’interrompe «non sei un po’ troppo vicino al bordo? …ATTENTO!
Mi piace questo inizio nel mezzo di un dialogo, come se si fosse aperta una pagina a caso di un libro più ampio. Si evidenzia nel protagonista un malessere e una insofferenza (giustamente) verso i suoi amici che vorrebbero manifestare vicinanza, che lui proprio non sembra averne bisogno. Si deduce che sia stato lui a interrompere il rapporto, ma non vuol di che non si debba soffrire come la persona lasciata. Di fatto questa gita sembra essere iniziata maluccio e il protagonista si sente già “stufo” come evidenzia. Poi, quest'ultima parola  in maiuscolo non lascia presagire niente di buono.

queffe ha scritto:
Ehi, guarda il rifugio, finalmente un caffè!» lo sento dire. Ok, mi segue.
Uh, “finalmente” davvero: qualcosa per il momento ha distratto Carlo, che accelera il passo e si premura di levarmi ogni speranza sul fatto che la sua consulenza psicologica sia finita, perché lo sento aggiungere: «Continuiamo dopo; non ti spiace, vero?».
Certo che mi spiace, stronzo. Potremmo invece non parlarne mai più, dovessimo campare ancora cent’anni dovendoci sopportare fino all’ultimo dei nostri giorni?
Trattengo a fatica il ringhio che rappresenterebbe bene questo mio pensiero e gli sorrido storto.
Ma non posso sopportare oltre: mi siedo e cerco un’idea per liberarmi di lui senza guastare in modo irreparabile la nostra amicizia.
Carlo, intanto, mi ha già staccato di parecchi metri. «Coraggio, acceleriamo il passo!» dice, e mi pare entusiasta come un bambino.
Tutto per un caffè? Strano, questo suo repentino cambio d’atteggiamento: un attimo fa, sullo strapiombo, pareva stravolto
Se posso permettermi mi sembra curioso che dopo ore di camminata, arrivati finalmente al rifugio si abbia così voglia di un caffè. (ma ci può stare benissimo, al caffè è difficile rinunciare) Normalmente dopo lo spreco di calorie si è divorati dalla fame e dalla sete. Un bel piatto di polenta con qualche animale brasato di solito è molto ambito (a parte per i vegetariani). Poi dipende anche dalla stagione in cui si cammina: se è autunno o inverno, oppure estate o primavera, che perdendo litri di sudore, si può avere più voglia di qualcosa di fresco.
queffe ha scritto: «Ascolta, guarda» rispondo, «c’è ancora un bel dislivello da qui al rifugio e io non ho le scarpe adatte. Lo so, ho fatto una cazzata, me lo avevate pure detto. Però, adesso, dietro al calcagno ho una vescica grossa come un fagiolo. Se accelero mi si apre e allora son dolori davvero. Io mi fermo qui per un po’. Mi riposo e ci penso su, vedo come va il mio piede e poi farò quest’ultima parte di salita da solo. E se non mi vedrete arrivare vorrà dire che ho deciso di tornare giù e raggiungere Luigi e Daniela per pranzare con loro.
Ottima scusa per sganciarsi.
queffe ha scritto:
Mi rialzo e prendo la via del ritorno. Ancora un’occhiata a destra: il bosco mi tenta con il suo buio. Che bello sarebbe poterci entrare e perdersi, e non avere nessuno che ti viene in soccorso con la sua esperienza e con le sue certezze.
Faccio ancora qualche passo.
No, dai, che senso ha? Poi quel buio mette quasi paura.
Però la tentazione è forte: il folto del bosco mi chiama.
Se faccio un giro là dentro non arrivo in tempo per pranzo
Interessante questo passaggio: la tentazione del bosco. Giustamente il buio viene percepito maggiormente per effetto del sole al quale è sottoposto il protagonista. Il buio può essere disorientante, come il bosco, senza riferimenti, facile perdersi. Ma questo buio verso il quale è attratto ha qualcosa di più profondo, oscuro. Sembra proprio una metafora della morte che sta chiamando.

queffe ha scritto:
Poi qualcosa, da uno dei punti più scuri, attira la mia attenzione: sono certo di aver visto un bagliore.
Guardo meglio, esco dal sentiero, supero i primi alberi. Non mi sono sbagliato e non può essere stato un raggio di sole filtrato fra le cime.
Sì, c’è qualcosa; ma gli occhi non sono ancora abituati all’oscurità e non posso esserne certo, questa volta.
Vado verso la direzione dalla quale ho visto provenire quella strana luce. Il freddo si fa intenso, ho i brividi, probabilmente è il sudore che mi si raffredda addosso.
Proseguo ancora un po’ ma non c’è proprio nulla e decido di tornare sul sentiero.
Mi volto e proprio in quell’istante eccolo di nuovo.
I brividi che sento adesso non sono dovuti al sudore. Basta, esco dal bosco, volevo stare un po’ da solo e credevo fosse questo il modo. Ma non mi piace più.
Ciao bosco inquietante! Io me ne vado, vorrei dire, ma mi si stringe un nodo in gola: dove vado?
Mi guardo attorno, sgomento: da dove sono venuto?
    L'ho dovuto rileggere per capire il senso di questa luce. Mi sembra che il protagonista abbia intrapreso un viaggio senza ritorno e lo trasmetti bene in pochi semplici “passaggi”. La luce la vedo come l'aldilà dal quale è attratto e terrorizzato, in questo sottile margine indefinito.
queffe ha scritto: Non vorrei, ma devo confessare a me stesso che qualcosa proprio non va in questa situazione.
Non male questa auto ironia, a questo punto.

queffe ha scritto:
Vivo una scena, non sono io che corro. Non so cosa mi sta capitando, il tempo pare rallentare, mi guardo intorno e vedo gli alberi passarmi accanto e il terreno scorrermi sotto i piedi. Non so nemmeno più se sto correndo in salita o in discesa. Poi guardo nuovamente avanti e vedo quel bagliore che so essere un lampo, ma che non si spegne e continua a crescere di intensità. Gli sto andando incontro. Non posso farne a meno e tutto si fa luce.
Non voglio!
Chissà, forse un attimo di barlume che lo spinge verso l'istinto di sopravvivenza. Ma è troppo tardi.
queffe ha scritto:
L’ho urlato?
Mi risveglio, il sole è già tramontato. Sono a fondovalle. Proprio sotto allo strapiombo da cui io e Carlo, oggi, guardavamo giù.
«Cosa mi è successo?» chiedo.
«Nulla, stai tranquillo: ci sono qua io.»
Mio padre? Cosa ci fa mio padre, qui?
Mi guarda con occhi che non ricordavo e mi prende una mano. Il contatto è caldo e nemmeno questo ricordavo: da quanto tempo mio padre non mi prende per mano in questo modo? E perché a un certo punto della mia vita ha smesso di guardarmi con tanta dolcezza? Va bene, si cresce, si prende la propria strada, ma perché queste cose, così belle, un giorno ti accorgi che non ci sono più fra te e tuo padre?
Che dire, questo secondo me è il momento più alto del racconto. Il mondo dei morti come una prosecuzione naturale del mondo dei vivi. Un luogo dolce, sereno, dove si possono incontare i propri cari e lasciarsi andare ai ricordi, alle riflessioni, continuare a vedere la vita che scorre. Vista così sarebbe un gran privilegio.
Il ricordo del padre mi ha fatto venire in mente un'intervista a Pasolini, quando ricordava il padre come dolcissimo, fino ai suoi primi tre anni. Poi completamente assente; un rapporto difficile, duro, drammatico.
queffe ha scritto: Mio padre è morto dieci anni fa.
La frase finale mi ha fatto pensare, mi ha tenuto in sospeso, come se ci fosse qualcosa che non mi tornasse. Come fa a ricordare che il padre è morto dieci anni prima? Quando lo ha appena sentito presente? Forse, in quell'istante ha raggiunto la consapevolezza della morte?
Il pregio di questo racconto, secondo me, è che dice poco ma fa pensare molto.
Molto apprezzato

Re: Una luce nel bosco

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@queffe  

Ho visto, con attenzione, il testo. Ottimo lavoro! La scrittura è curata. Il linguaggio e lo stile, anche. I dialoghi riusciti. La trama si srotola sino alla fine, senza intoppi o inceppamenti. Il fatto che ognuno la interpreti a modo proprio, fornisce alla storia più bellezza. Lo scritto è ben congeniato e ogni interpretazione è valida. Calibrati in modo perfetto ricordi e vissuti. Unico appunto: perché specificare la morte del padre? Avrei chiuso a "teneramente", personalmente. Non ha importanza la vita o la morte del genitore. Da quanto c'è nelle parole si comprende che l'uomo, anche se vivo, non è, fisicamente, presente alla camminata. Ho ricavato una sensazione di realtà. La rappresentazione della luce può indicare, sempre per me, qualunque cosa, anche un segno reale della presenza dell'ambulanza. Un piacere, per me lettrice, questo racconto. 

Re: Una luce nel bosco

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queffe ha scritto:
Lui si è voltato e mi squadra, 
Qui non sarebbe meglio usare lo stesso tempo verbale? Lui si volta e mi squadra

Non ho letto i commenti quindi rischio di ripetermi. Probabilmente non ho un occhio capace di penetrare la trama e l'ordito di un racconto, personalmente, mi lascio trascinare più dall'atmosfera che mi si è creata intorno leggendo e la sensazione che mi lascia un testo a lettura finita. Ho seguito il racconto con molta curiosità, condividendo il fastidio dei consigli dell'amico. Ogni esperienza è talmente personale che ogni suggerimento ricevuto, fosse anche da chi c'è già passato, risulta del tutto inutile, anzi irritante. Le esperienze non sono esportabili e per questo non possono essere comparate con quelle degli altri (se non in linea di massima). il tuo stile mi piace, si percepiscono i sentimenti di entrambi i personaggi, perfino Daniela si uniforma a Carlo nell'atteggiamento, lo capiamo dalla battuta del tuo personaggio. Carlo dispensa consigli preconfezionati, senza essere partecipe fino in fondo del malessere dell'amico. Piaciuta anche l'ambientazione. Mi hai fatto ricordare una canzone di Renato Zero, dove dice: "da certe altezze sai non ci si salva mai". Più è importante l'amore vissuto più rovinosa e la sua fine. Ed ecco che la montagna offre quel precipizio dove non ci si può salvare.
Nella parte iniziale hai riportato un modo realistico la passeggiata e la conversazione tra i due, nella seconda, invece, riporti la frenesia... di una caduta? Non si capisce alla perfezione, c'è il tentennamento, la voglia di tornare indietro, l'impossibilità di ritrovare il sentiero giusto. Quindi un suicidio vero non lo vedo. Ammetto: mi manca qualcosa, un piccolo dettaglio che funzioni da "aringa rossa", cioè sembra davvero che si sia inoltrato incuriosito dal luccichio che, a pensarci bene, potrebbe essere la fatidica luce in fondo al tunnel (quella che alcuni dicono di avere visto incondrando la morte). Mi arrampico sugli specchi? Non so, ma questo è ciò che ho pensato. La parte finale, invece, è dedicata al sentimento vero, l'incontro con il padre, lo sguardo pieno d'affetto rappresenta quel desiderio infinito di essere consolato da chi ci ha veramente amato. Per me questo è il culmine della bellezza del tuo racconto, l'apice. Il personaggio è senza dubbio morto (il padre, quando dice "no", intende dire al figlio che non può tornare indietro). 
Bravo, complimenti
Ciao

Re: Una luce nel bosco

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Ciao, sono un nuovo utente. Mi chiamo Antonio, mi appresto a leggere il tuo racconto estratto a sorte nel forum dei Costruttori.
Ti riassumo brevemente le mie impressioni, fermi restando che si tratta di ciò che è arrivato a me attraverso il testo. 

Dunque, a livello narrativo segue un modello che credo possa essere rappresentato con un triangolo, e che nel racconto breve mi sembra ricorrente: incipit, svolgimento, chiusa. A meno di non voler infrangere questo modello, la tensione narrativa sfocia nel finale che doveva prevedere necessariamente una sorpresa, e qui è stata emblematica l'ultima frase Mio padre è morto dieci anni fa.
queffe ha scritto: queffe
«Comunque, guarda, se qualcuno può parlarti così, sono io: ve ne farete entrambi una ragione.»
Ecco, se c’era una cosa che temevo di questa gita in montagna, iniziata di prima mattina e della quale sono già stufo, era che gli amici si mettessero a farmi sermoni. Guardo Carlo con un’espressione inequivocabile.
Forse ha capito.
Ho avuto modo di apprezzare questo incipit che entra a gamba tesa con un dialogo. Il narratore in prima persona consente di esprimere direttamente i pensieri del personaggio, e lo stile di scrittura, nella scelta lessicale e nell'elaborazione del linguaggio, esprime pienamente la personalità del protagonista diretta, senza troppi fronzoli, un tipo che non tollera il giudizio degli altri e preferisce la solitudine alle compagnie di circostanza. 
queffe ha scritto: Passiamo a poca distanza da un costone che dà a strapiombo sul fondovalle. Mi avvicino, guardo in basso e provo un irrefrenabile desiderio di spingere giù Carlo che continua nel suo monologo. Se lo faccio le sue parole mi tormenteranno per l’eternità: desisto. Potrei buttarmi giù io ma non penso ne valga la pena, basta continuare a non ascoltare.
Probabilmente nella realtà sarei stato Carlo e sarei già finito a fondovalle, in compenso avrei buttato già molte amicizie oltre il parapetto.
Un passaggio gustosissimo, ironico e dilettevole.
queffe ha scritto: dom mar 05, 2023 12:15 pmPoi qualcosa, da uno dei punti più scuri, attira la mia attenzione: sono certo di aver visto un bagliore.
Qui si inizia a comprendere che qualcosa sta andando storto. è l'inizio della fine. Non ci si aspetta dal racconto, considerato si trattasse di una scampagnata tra amici, che potesse ripiegare in un incidente, addirittura una morte. Ma senza questo ingrediente non vi sarebbe "nulla da raccontare", e quindi non vi sarebbe tensione drammatica.
queffe ha scritto: dom mar 05, 2023 12:15 pm
I brividi che sento adesso non sono dovuti al sudore. Basta, esco dal bosco, volevo stare un po’ da solo e credevo fosse questo il modo. Ma non mi piace più.
Ciao bosco inquietante! Io me ne vado, vorrei dire, ma mi si stringe un nodo in gola: dove vado?
Mi guardo attorno, sgomento: da dove sono venuto?
Il protagonista si trova nei guai senza un aiuto o un aiutante. In un racconto più lungo l'epilogo non sarebbe stato tanto veloce, ma il racconto è breve e il protagonista deve passare ogni guaio di sorta. Ci sta, no? E funziona. 
queffe ha scritto: dom mar 05, 2023 12:15 pm
Mi guarda con occhi che non ricordavo e mi prende una mano. Il contatto è caldo e nemmeno questo ricordavo: da quanto tempo mio padre non mi prende per mano in questo modo? E perché a un certo punto della mia vita ha smesso di guardarmi con tanta dolcezza? Va bene, si cresce, si prende la propria strada, ma perché queste cose, così belle, un giorno ti accorgi che non ci sono più fra te e tuo padre?
Questo aggiunge un impatto emotivo non indifferente. Mi è rimasta impressa la frase: "Va bene, si cresce, si prende la propria strada, ma perché queste cose, così belle, un giorno ti accorgi che non ci sono più fra te e tuo padre?". Solleva una questione psicologica e culturale di grande rilievo, oltre all'aspetto emotivo. Un tocco di delicatezza unico. 
queffe ha scritto: dom mar 05, 2023 12:15 pm
Poi vedo Daniela che piange e poi Carlo e altri della compagnia. Si abbracciano, hanno le facce sconvolte.
«Papà scusa, devo andare!» dico concitato «è successo qualcosa a uno dei miei amici!»
Lui mi fa cenno di no e mi guarda un’ultima volta, teneramente.
Mio padre è morto dieci anni fa.
Il finale si intuiva, "doveva andare così". La chiusa 'doveva' lasciare un segno e la trama si scioglie nell'ultima frase con un epilogo a sorpresa: il protagonista si trova nell'aldilà e "ci" racconta la sua esperienza dall'altra parte dell'universo. 

Lo stile si configura in modo semplice e diretto, molto dialogato, ritmato, e riflette la personalità del protagonista.
La lettura è scorrevole e il ritmo ti cattura dall'inizio alla fine. 

Nel complesso mi è sembrato un racconto molto godibile ed originale, non tanto nella tematica trattata quanto nello stile dell'elaborato (utilizzo della punteggiatura e del registro narrativo). 

Spero di rileggerti presto.

Antonio. 
 
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