[CC23] Le luci di Ukube - Malefica

Contest di Carnevale - Racconti in maschera

[CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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Traccia n. 4 - Luce/i
Boa: Deve comparire almeno una maschera
Titolo: Le luci di Ukube
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Puntu arrivò a Ukube una mattina; in file di tre, i bambini, completamente nudi, camminavano legati uno all'altro per le caviglie, ondeggiavano sotto il peso della cesta, del martello e lo scalpello che portavano sul capo.
Puntu, tra loro, era il più alto e snello; aveva la pelle scura e lucente, lo sguardo duro e la mascella tesa, come a ostentare una rabbia repressa.
L’Ombee diede l’ ordine di fermarsi, la voce arrivò sorda, smorzata dentro la maschera di legno che i guardiani portavano poggiata sulle spalle: una maschera pesante, con cerchi ossidiana al posto degli occhi, cosa che incuteva molto timore.
I ragazzi si arrestarono di colpo e alzarono le braccia per tenere ferme le ceste.
Puntu, fu assegnato al mio gruppo. Li osservai mentre distribuivo loro teli per coprirsi; tutti tenevamo gli occhi bassi, alcuni tremavano, erano sul punto di piangere. Puntu era diverso da ogni altro ragazzo che mi era stato assegnato fino a quel giorno.

Mi avvicinai a lui, il segnale era già risuonato e decine di ragazzini risalivano dai tunnel per fare spazio ai lavoratori del nuovo turno.
— Come ti chiami? — Cercai la traiettoria del suo sguardo; lui teneva gli occhi fissi in punto dietro di me.
—Guardami, devi imparare a riconoscere il tuo custode, quando saremo la sotto, io posso decidere se vivi o muori. Come ti chiami?
— Io sono Puntu. — Mi guardò senza perdere la sua fierezza.
— Come mai sei qui?
— Sono orfano, mio padre è morto.
— Vieni con me. Non spostarti mai dal mio fianco, metti il piede nella mia orma, stai attento al tuo martello e al tuo scalpello, non perderli mai di vista, se li perdi, assaggerai la frusta dell’Ombee.

Puntu era un ragazzo forte, strisciava nei cunicoli più stretti, scavava fino allo stremo senza mai lamentarsi. Da quella mattina mi seguì come un’ombra; Io gli insegnai a seguire il fiume di metallo e a capire la direzione da prendere quando, quello, spariva all’improvviso nella roccia, gli feci vedere come proteggersi le mani dai colpi accidentali, come curarsi le ferite e dove trovare erbe buone da masticare per non patire la fame.
Puntu obbediva ciecamente, non si mise nei guai una sola volta e io lo guardavo crescere con rimpianto: Nessuno lascia Ukube in vita.

Passò del tempo e Puntu, divenuto più alto di me, cominciò a fare domande, troppe domande.
Di giorno scavava in silenzio, gli avevo spiegato che parlare davanti agli altri era molto pericoloso, alcuni custodi amavano fare la spia, ma la sera, e a volte anche la notte, non mi lasciava riposare.
— Mkobu, Cosa sono quelle mura fuori dal campo? Tu lo sai vero?
— Quello è Ukube, noi siamo Ukube.
— Vuoi dire che tu non ti sei mai chiesto chi le ha messe lì?
Mi osservava con la sua aria di sfida, sapeva come costringermi a parlare e io sapevo come raccontare facendo in modo che non gli venisse mai la voglia di provare a fuggire.
— Ti racconterò la storia di Mdebe, — gli dissi.
Tanto tempo fa, Mdebe stava giocando vicino alla nonna che accudiva il fuoco. All’improvviso la donna sussultò, spalancò gli occhi cadde all'indietro, il tonfo sul terreno fece sobbalzare il bambino. La donna aveva un piccolo buco nel collo, tra la pelle rugosa brillarono alcune gocce di sangue: era morta. Mdebe non fece in tempo nemmeno a gridare il suo terrore che si senti sollevare alla schiena. Gli fu dato un martello uno scalpello e una cesta e, insieme ad altri bambini, li portarono qui. Gli adulti, anche loro scelti dagli dei, vivevano in un campo non molto lontano da qui. Mdebe era contento perché, ogni giorno, poteva scorgere la sagoma di suo padre nell'altra estremità della miniera.
Una sera, quando uscimmo sul sentiero, vedemmo l’Ukube che aveva cominciato a crescere e per questo, lui doveva cercare un punto sempre più in alto per continuare a vedere suo padre. In soli sei tramonti, il campo degli adulti sparì dietro alla grandezza di Ukube. Mdebe cercò di aggirare le mura, ma gli Ombee lo presero. Non lo rividi mai più.
Non osare sfidare gli dei, prega, Puntu, e chiedi pietà anche per i pensieri cattivi. Loro sanno tutto ciò che pensi, la tua vita è nelle mani degli dei, smetti di farti domande, se avessero voluto per te un altro destino oggi non saresti qui.

Quella sera sperai di aver impressionato il ragazzo e di aver soddisfatto la sua curiosità, ma la sera dopo…
— Mkobu, cosa c’è dentro le mura dell'Ukube? Perché non possiamo avvicinarci? Cosa ci fanno, gli dei, con il baur che rubiamo alla terra? Perché gli Ombee indossano quella maschera pesante? Che cosa sono quelle luci che brillano sulla montagna?…

— Ora basta, Puntu, Ukube è la casa del Baur, se la vedessi dall’interno potresti non credere a cosa stai guardando. Io un giorno ho posato i miei occhi sulla meraviglia degli dei, ho rischiato la vita. Io non volevo guardare, ma la benda, che L’Ombee mi aveva legata sul viso, scivolò un poco, avrei potuto morire, lo sai?
— Io un giorno andrò via da qui, Mkubu, e lo farò molto presto.
— Nessuno va via da qui, gli dei sanno sempre dove sei.
— Tu però,non sei stato punito per aver visto? Me lo sai spiegare questo?
Quella volta non seppi risponde, e il dubbio s’insinuo nella mia mente. Pensai: Ho fallito, gli dei hanno voluto mettermi alla prova, ora che ho raccontato al ragazzo che ho visto la loro meraviglia mi puniranno.
Quella notte pregai, chiesi perdono per aver rivelato il loro segreto. Poi pensai che anche Puntu rischiava la morte per aver ascoltato le mie parole e la cosa mi fece soffrire moltissimo.
Al mattino Puntu camminò sul sentiero, per la prima volta, davanti a me. Sulla cima della montagna, le luci degli dei sfumavano l’aurora, brillavano chiare come i fiori sulle rive dei ruscelli.
Puntu si girò, mi guardo ma non disse una parola, sapevo già di cosa avremmo parlato al nostro ritorno.
Dopo il turno, Puntu mi seguì alla sorgente, Mi gettavo acqua sul corpo quando sentii la sua voce.
— Devi dirmi cosa sono quei fuochi sulla montagna, Mboku.
— Non badarci Puntu, nessuno lo sa, nemmeno io.
— Mkubu, io devo andare lassù. Voglio vederle da vicino: Quale enorme fuoco può dare una simile luce?
— Tu sei pazzo! Quello è fuoco degli dei. Cosa vuoi sapere tu, nella mia vita ho visto scomparire le persone per aver deviato di qualche passo il sentiero. Devi smetterla con le tue domande o un giorno potresti non trovarmi più al tuo fianco.
Puntu non rispose, mi lasciò e se ne andò a riposare.
Al mattino prese di nuovo il suo posto dietro di me sul sentiero, mi risollevai pensando che avesse compreso il male che lo stava portando verso la morte, ma mi sbagliavo.
— Io non torno al campo.
— cosa vuoi fare?
— Non risalirò alla fine del turno, aspetterò il buio e mi metterò in cammino. Vado a vedere le luci.
— Ti troveranno, ti uccideranno.
— No, se tu non mi tradisci.
Non ci fu nulla che io potessi fare. Lo lasciai rannicchiato ad aspettare che la luce del giorno svanisse del tutto. Tornai al campo oppresso dai rimorsi.

Puntu sguscio fuori, il silenzio avvolgeva una notte senza luna, nessuna nuvola copriva la luce delle stelle.
Il ragazzo correva veloce sulla pianura, ma dentro la foresta prese un’ andatura più accorta: Suo padre era un cacciatore; gli aveva insegnato come orientarsi e a non farsi prendere di sorpresa da animali pericolosi. Camminò tutto il giorno e al tramonto, quando vide le luci bruciare la montagna in più punti, ebbe paura, si fermò. Le luci erano così forti che per guardarle doveva schermarsi gli occhi col palmo, alla fine, stanco, si addormentò. Quando si svegliò, le luci erano scomparse, ma era sicuro che al tramonto sarebbero tornate.
Guardò la pianura e la forma intera dell’Ukube. Dall’alto sembrava un enorme mucchio di escrementi, poco lontano c’era un piccolo punto scuro: il campo dei lavoratori, quello gli suggerì la grandezza dell’Ukube. Dalle mura partivano sentieri dove file di uomini trasportavano, quello che a lui e anche a me, che seguivo le sue mosse da lontano, sembrò moltissimo cibo e molti animali: greggi, asini e file interminabili di armenti. Puntu e io li osservammo sparire dietro uno sperone di roccia e là, potemmo vedere una costruzione ancora più grande dell’Ukube. Quella doveva contenere una ricchezza immensa e centinaia di dei, visto il cibo che arrivava.
Stordito da quella vista, non mi ero accorto che Puntu aveva ricominciato la marcia. Lo seguii di nuovo.
Arrivammo vicino a una delle luci che il sole stava tramontando, all’improvviso l’aria s’incendiò, la luce mi accecò, persi di vista il ragazzo, non riuscivo più a vedere nulla.  Poi il mio sguardo si abituò e lo vidi: era accovacciato vicino alla sorgente della luce, quella si spargeva verso l’alto da una insolita pietra levigata. Puntu la strinse con entrambe le braccia, capii che cercava di staccare la pietra luminosa dal terreno. Io, affascinato, mi prostrai, vidi il segno nel cielo scuro senza stelle: Le canne di luce si univano insieme, luminose come un unico sole. “Gli dei sono grandi,“ pensai.
Un rumore vibrante d’insetto mi fece girare lo sguardo, vidi un essere simile a un uomo, indossava sandali che emanavano luce: stava in piedi all’altezza di due uomini dal terreno a osservare Puntu che cercava di prendere la pietra. Oh dei! Esclamai, La paura mi gettò in ginocchio. Volevo avvertire Puntu, ma il ragazzo, sussultò e cadde all’indietro. Quell’essere si spostò sul corpo del mio amico, poi sparì volando verso le luci di Ukube. Corsi a cercare Puntu. Lo trovai a terra, aveva gli occhi spalancati, un piccolo foro sul collo e sulla pelle scorrevano poche gocce di sangue.
Avrei potuto tornare al campo, avrei sopportato le frustate, avrei detto che mi ero perso nei tunnel per cercare il ragazzo e tutto sarebbe tornato come prima. Avrei potuto, ma non senza Puntu, e non dopo aver compreso chi sono gli dei.
Ho camminato sulla terra, ho visto decine di razze, ho visto così tanta acqua da nascondere la terra. Ma in tutti i posti in cui sono stato, c’erano sempre gli dei e la gente che scavava ignara.

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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Ciao Malefica!

Mi perdonerai se inizio con il farti un po' le pulci facendoti notare alcuni refusi presenti nel testo:
Sira ha scritto: lun feb 27, 2023 12:19 amuna maschera pesante, con cerchi ossidiana al posto degli occhi, cosa che incuteva molto timore.
Cerchi Di ossidiana.
Sira ha scritto: lun feb 27, 2023 12:19 amtutti tenevamo gli occhi bassi,
Tenevano 
Sira ha scritto: lun feb 27, 2023 12:19 amquando saremo la sotto, io posso decidere se vivi
Sira ha scritto: lun feb 27, 2023 12:19 amGli fu dato un martello uno scalpello e una cesta e, insieme ad altri bambini, li portarono qui.
"Là sotto" e "lo portarono", oppure "fu portato" (il soggetto è Puntu)
Sira ha scritto: lun feb 27, 2023 12:19 amMkubu,
A volte scrivi Mkubu, altre volte invece Mboku. 
Sira ha scritto: lun feb 27, 2023 12:19 amPuntu sguscio fuori,
Manca l'accento

A parte queste piccole sviste, il tuo racconto è molto ben scritto. 
Soprattutto hai la capacità di fare visualizzare molto bene al lettore le scene. Io ho visto e immaginato molto nitidamente Puntu come piccolo schiavo dalla pelle scura, orgoglioso, fiero e testardo. Quindi per questo ti faccio i complimenti.
Quello però che mi lascia un po' perplessa è lo scenario in cui collocare questo racconto. 
Che parole sono Ombee, Ukube, Baur ecc?
A volte ne intuiamo il significato, ma non sempre. Ok, gli Ombee sono dei guardiani/schiavisti, lo abbiamo capito...ma il Baur che cos'è? Un minerale? un metallo? Sembrerebbe di sì dato che Puntu e gli altri sembrerebbero minatori. Ma che tipo di metallo o di minerale è, e perché è una risorsa così preziosa? 
Cos'è l'Ukube...un campo di prigionia? Un, Tempio? Una città sacra?
Non lo sappiamo. E non sappiamo chi siano i tanto temuti.e crudeli dei. Sono comuni schiavisti (bianchi?) Oppure sono davvero esseri soprannaturali? 
Insomma...io ho un grosso problema con i racconti distopici e  di fantascienza: mi lasciano sempre tantissime domande a cui non trovo risposta.
Forse un universo letterario così ricco e complesso meritava uno spazio più ampio di un racconto di max 10.000 battute. Allora, forse, molte di queste domande avrebbero trovato una risposta. Invece per motivi di spazio è rimasto, a mio parere, tutto troppo generico, senza descrizioni o spiegazioni chiarificatorie.

Peccato perché il potenziale era alto. 
Se devo azzardare il nome di un autore dico Almissima.

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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Bella l'ambientazione, insolita e per questo intrigante. Trovo ammaliante anche solo il suono dei nomi dei personaggi, del luogo, dei titoli.
Puntu è credibile e attrae: orgoglioso, si piega alla situazione finché non può fare altro, ma conserva dentro di sé tutto il suo acume e la sua volontà. Che, purtroppo, lo porterà alla morte, ma del resto un personaggio così non avrebbe potuto vivere una vita da schiavo.
Mi aggrego a @ScimmiaRossa per quel che riguarda il finale, lascia troppe domande aperte... che di per sé non mi dispiace nei racconti, ma qui lo fa in un modo che lascia frustrati. In particolare per questa frase:
Sira ha scritto: lun feb 27, 2023 12:19 amAvrei potuto, ma non senza Puntu, e non dopo aver compreso chi sono gli dei.
Perché lui lo capisce, ma noi no. Dà l'idea che il testo sembra prevederlo e rimane una certa frustrazione addosso per non esserci arrivati a nostra volta. Avrei preferito approfondire o piuttosto, paradossalmente, lasciare il finale più vago ancora, senza arrivare a questa frase

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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Un racconto molto bello e complesso da decifrare. Ottimamente resa l'atmosfera e la descrizione della psicologia dei personaggi, attraverso dialoghi e piccoli accenni. Molto coinvolgente anche se (limite mio) fatico a coinvolgermi nei racconti di questo genere: sono molto attenta ai dettagli, quindi se mi concentro molto sull'ambientazione mi perdo un po' il lato emotivo.
In ogni caso, il rapporto tra i due protagonisti, al centro della trama, avrebbe potuto essere inserito benissimo in qualunque ambito di sfruttamento (e purtroppo ne abbiamo molti esempi nella storia recente). L'elemento soprannaturale aggiunge un che di misterioso e inquietante, che non verrà svelato del tutto (e va bene così). Una lettura bella e originale.
Se dovessi provare a indovinare un nome, direi Alberto, perché, al di là dell'ambientazione fantastica, è proprio il suo genere di racconti.
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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Te lo dico autore (Mina o Ivalibri?) questa storia mi ha conquistata. Mi hai ricordato blood diamond. Il racconto mi ha trascinata dentro ai cunicoli in una realtà scomoda, forse solo in apparenza atemporale, ma plausibile anche qui, sul nostro pianeta ai giorni nostri.
Mi è piaciuta l’atmosfera, la tensione narrativa la costruzione. Anche il tema luci è affrontato in modo originale e ben centrato. Complimenti.

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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Racconto molto avvincente, trama e ritmo gestiti benissimo.
Ma la sensazione che mi é rimasta é di molto non detto. Mentre il rapporto fra i protagonisti é chiaro, cosí come anche lo svolgersi degli eventi, rimane confuso l'ambiente. A me i racconti distopici piacciono moltisimo e mi piace sapere cosa c'é intorno, dove si colloca esattamente una storia, chi sono gli esseri sconosciuti, che abitudini hanno.
Ero pronta a leggere di una villa di schiavisti costruita sul bordo della miniera. Una villa talmente lontana dalla realtá dei protagonisti da avere il sapore dell'ultraterreno, invece cosí mi dibatteró per sempre nell'ignoranza.
Per me sei Mina

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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ciao caro amico! Non mi è per niente strano che ti sia messo la maschera Malefica. L'hai fatto per tante ragioni, ma la principale, è quella per cui rifuggi
da questo mondo malefico. Hai una morale forte per la quale spesso ti dai alla battaglia. Questo racconto è l'ennesima dimostrazione su cosa  pensi dell'uomo e della sua necessità di trovare un "Dio", in quella che è la terribile visione della sofferenza umana. Certo, per chi non ti conosce o non ti ha riconosciuto, tutto appare contorto e indecifrabile. Per me sono indizi chiari, la schiavitù dell'uomo, la necessità della "Liberazione" e della "Elevazione spirituale". Forse, ti avrebbe aiutato usare dei nomi non di fantasia, non avrebbe sviato l'attenzione dal focus. Ma forse tu miravi proprio a non far capire:
una sorta di lettera apostolica, al limite della parabola cristiana: "Ascolterete ma non capirete"... 
Ti saluto lasciandoti nella tua incognita presenza.. ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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  ha scritto:bestseller2020una sorta di lettera apostolica, al limite della parabola cristiana: "Ascolterete ma non capirete"... 
Ti saluto lasciandoti nella tua incognita presenza.. ciao
Mi hai scambiato con @Alberto Tosciri, Vero? Sono lusingata, ma Alberto non avrebbe mai fatto errori brutti come i miei. Però, un po' c'hai preso con la trama. 
Io avrei detto  "Ascolterete e spero che capirete"... 
Tutto il racconto è una metafora, so che il messaggio che si può leggere nel mio testo è molto difficile da comprendere, ma tu ci sei andato molto vicino.
Grazie! 

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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Questo racconto ha un pregio: narra una storia (non sempre trovo questo requisito nei racconti, anche se so bene che non sempre l'intento dell'autore è propriamente quello di raccontare una storia).
Narra una storia, con tutto ciò che ne consegue, anche in termini di contenuti e di... "morale" (che io non disdegno mai, qualunque essa sia: almeno si può dire di scrivere per dire qualcosa, che non è cosa da poco).
Il problema, secondo me, è che questa storia non è narrata in modo adeguato.
Provo a spiegarmi: l'ambientazione è chiara (altro pregio: non tenti di farne una descrizione dettagliata, semplicemente la mostri attraverso gli occhi del protagonista e l'ambiente emerge abbastanza da sé): un mondo diviso in schiavi e padroni, con in mezzo una "classe" di privilegiati (si fa per dire) a fare da sorta di guardiani. Ma con schiavi e guardiani uguali fra loro: tenuti nell'ignoranza e nel timore dai padroni, che si presentano come dei e che sono, a tutti gli effetti, esseri superiori: per tecnologia, per cultura, forse anche per facoltà naturali. Non si capisce se sono alieni, ma non importa: non sento l'esigenza di identificarli meglio perché ciò che conta - e che passa dal racconto al lettore - è la loro "potenza" complessiva, che sovrasta inesorabilmente schiavi e guardiani.
Anche il mondo nella quale la storia si svolge ( "mondo" inteso come sguardo di Mboku che si amplia e gli consente di comprendere che ovunque gli dei dominano su genti ignare, e ovunque è Ukube) risulta chiaro e non lascia speranza di riscatto per il protagonista, anche se questi si "divincola" (o cerca di farlo).
Mboku, come appartenente alla classe degli esseri schiavizzati, può anche essere particolarmente intelligente - cosa credibilissima - , addirittura scaltro, ma è pur sempre limitato dalla completa ignoranza nella quale è tenuto. Questo è ciò che (efficacemente) passa.
Ecco, quindi, che il registro narrativo che usa (che gli fai usare), secondo me non è adeguato alla caratterizzazione del personaggio.
Ho pensato che il problema (ammesso che tu lo consideri un problema, visto che nessuno pare aver notato questa cosa) potrebbe risolversi con una narrazione in terza persona, anziché in prima.
Stessi tempi verbali, narrazione esterna in terza, focalizzazione su Mboku. Ecco che, a quel punto, non troverei fuori luogo lo stile narrativo che hai usato, e certe frasi, in particolare, che proprio mi hanno "guastato" la caratterizzazione del protagonista, per come stavo cercando di figurarmelo: "...scavava fino allo stremo..."; ...la donna sussultò..."; "... quello gli suggerì la grandezza dell'Ukube..."; "...persi di vista il ragazzo..." e così via... sono tutte locuzioni troppo stilisticamente "perfettine" in bocca a Mboku. Anche certi pensieri e atteggiamenti, come: "sapevo già di cosa avremmo parlato al nostro ritorno..." gli danno una consapevolezza troppo - come dire? - razionale, quasi una innata coscienza di classe, che fa sembrare che lui conosca già tutto,  ma adegui il proprio comportamento (già al tempo della storia) e gli insegnamenti a Puntu conformemente a tale coscienza.
Invece sono la paura e l'ignoranza che lo legano. E devono, necessariamente, legare anche il suo modo di raccontare (al tempo della storia, come al tempo della narrazione, dato che sono distinguibili i due livelli temporali). La paura, il timore di Mboku un po' mi sono arrivati (anche se potevano passare meglio), l'ignoranza proprio no.
Ho anche tentato di (ri)leggere il suo stile come traduzione "fedele" dei suoi pensieri, ma la cosa non mi ha convinto (se permetti, non devo essere io, lettore, a soforzarmi di dare una coerenza a ciò che non mi torna, bensì deve essere l'autore a sforzarsi di farmi trovare naturale la vicenda).
Allora, delle due, una:
o trovi un registro più coerente e, lasciando a Mboku la narrazione in prima persona, gli fai esprimere quegli stessi concetti (che vanno benissimo, eh!) con un linguaggio più elementare;
oppure fai leggere nei suoi pensieri dalla voce narrante, che poi traduce secondo uno stile che, mirando a rappresentare fedelmente solo il senso di concetti, sensazioni ed emozioni, può benissimo essere adeguato al tempo della lettura  e completamente slegato dalla cultura e dalle possibilità dei personaggi.
La seconda opzione è più semplice, secondo me consente di ottenere risultati con una pura "traduzione" (in terza).
La prima è sicuramente più difficile, ti impone quasi di inventare, se non proprio un linguaggio, un modo di esprimersi, ma (forse) potrebbe portare a risultati ancora migliori.
A te la sfida, se pensi che il mio parere sia utile e condivisibile.

Re: [CC23] Le luci di Ukube - Malefica

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queffe ha scritto: mer mar 08, 2023 2:28 pmA te la sfida, se pensi che il mio parere sia utile e condivisibile.
Sono tentata, devo dire che mentre lo rileggevo notavo le stesse tue impressioni. Leggendo il tuo commento è riaffiorata e si è manifestata chiaramente la stessa sensazione che mi hai descritto. 
Il fatto è che mi sono ritrovata, dopo otto giorni di febbre, con settecento caratteri da tagliare, il ventisette febbraio alle ventuno.
Quando mi sono resa conto che in realtà non avevo più tempo, io credevo che il limite di consegna fosse il quattro marzo, ho tagliato, corretto e pubblicato il testo in due ore e mezza.
Nella versione più lunga Mboku, è un po' diverso, lui è reso immortale dagli dei. Potrebbe essere in giro sulla terra ancora oggi. Il suo ruolo non è quello di semplice custode/maestro. 
Spiegavo in un altro commento che il racconto intero è una metafora. Ora credo che se manterrò i settecento e più caratteri, forse non dovrei cambiare nulla, ma d'altra parte, sistemare la versione che ho pubblicato lo sento come un dovere.
Ti ringrazio per il tuo tempo, è stato un vero piacere vedere la tua notifica sotto la campanella :grazie:
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