[CC23] - Mio padre Thomas Edison - Catwoman

Contest di carnevale - Racconti in maschera

[CC23] - Mio padre Thomas Edison - Catwoman

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Traccia n. 4 - Luce/i
Boa: deve comparire almeno una maschera
Titolo: Mio padre Thomas Edison
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Vi è tanto freddo nella cantina interrata di Henry; presso l’ultima villetta a schiera nel villaggio di Lisspik. La piccola Dolly, di cinque anni, scende lentamente i gradini della scala in legno, con le mani attaccate saldamente al corrimano. Il padre si è accorto della sua presenza e l’avverte di stare attenta. “Mi spieghi cosa ci fai qui? Non dovresti essere a giocare con la mamma?” Le dice rimproverandola dolcemente. “Voglio vedere cosa stai facendo qui!” ribatte lei. Henry prende in braccio la figlia che gli si è lanciata addosso. “Papi sta cercando dentro le scatole una cosa che ti farà felice; ma non ti posso dire: non sarebbe una sorpresa se ti dicessi cosa è”.
“Posso cercare Marybell?” Insiste lei ricordandosi della sua bambola custodita in una delle scatole accatastate.
“Marybell? Sai bene che la mamma l’ha conservata perché è delicata e tu sei piccola per poterci giocare”. La piccola Dolly non pare essere d’accordo col padre e insiste: “Io sono grande! Sono alta più di Marybell e la zia Beth ha detto che avrei potuto giocarci quando sarei riuscita a tenerla in braccio!”.
“Hai ragione! Però oggi devo fare altro e non ho tempo per cercarla. Al massimo lo facciamo insieme domani, va bene?” risponde lui mentre prende a risalire le scale e raggiunto il piano sopra, riaffida alle cure della madre la piccola Dolly. Ma nello scantinato qualcosa sembra accadere…

“Dolly! Dolly! Dove sei padroncina mia?”. Sembrerebbe una voce che arriva da una scatola, dove dall’interno, qualcuno cerca di venirne fuori, spingendo il traballante coperchio.
La scatola oscilla pericolosamente e alla fine si capovolge, facendo ruzzolare fuori il contenuto: una bambola dai capelli rossi. “Ogni volta devo sporcarmi il mio vestitino di pizzo per uscire da questa scatola”, borbotta togliendosi di dosso la polvere raccolta dal pavimento durante il capitombolo. “Spero che le mie batterie abbiano ancora un po’ di energia per fare una passeggiata per sgranchirmi le gambe, dopo giorni rinchiusa in quella angusta scatola. Presto finirò nelle mani di chi mi coccolerà per tutta la vita: non vedo l’ora!”
La bambola ha preso a curiosare per la cantina e, data la poca luce, ha acceso i piccoli led che ha inseriti nei suoi occhi. La flebile luce rischiara il freddo ambiente, mitigando la penombra e mostrando i contorni degli oggetti custoditi sopra gli scaffali, da uno dei quali, pare arrivino dei lamenti.
“Aiuto! Aiuto! C’è qualcuno che può aiutarmi?”
“Non ti vedo! Dove sei?” Ribatte Marybell.
“Sono qui, dentro il cestino sopra il primo ripiano”.
“Ma io non arrivo a dove sei tu” risponde guardandosi poi attorno nella ricerca di un modo per arrivare al ripiano. Con due scatole, messe una sopra l’altra, riesce a sollevarsi il tanto giusto. “Sono qui dentro! Proprio sotto i tuoi occhi!” vocifera il misterioso oggetto.
“Ma sei una lampadina!” esclama sorpresa Maribell.
“Finalmente ti accorgi di me! Non so quante volte ho implorato aiuto e tu non mi hai mai sentito”.
“Forse sarà perché non hai mai strillato forte! Non è che ho l’udito così acuto, cara mia bella lampadina. E poi, cosa avresti tanto da lamentarti e chiedere aiuto?”
“Sono infelice. Sono cinquant’anni che sono qui al buio e al freddo, abbandonata da tutti”.

“Sei solo una cianfrusaglia inutile, di cosa ti lamenti? Allora io? Che sono una bambola bellissima dai capelli rosso rame, vestita di pizzo, che persino cammina e si illuminano gli occhi, potendo anche parlare e dire mamma! Cosa dovrei dire?”
“Si! Ma tu non stai qui al freddo quanto me! Tra poco la tua solitudine finirà. Ho sentito che fra poco andrai tra le braccia della tua padroncina, ed io invece, dovrò stare ancora sola”.
“Questa è proprio bella! Cosa vorresti fare? Andare a passeggio con gli umani? Magari andare al mare o al centro commerciale?”
La lampadina prende a singhiozzare: “Vorrei solo brillare come facevo quando dondolavo felice dal mio filo e l’energia mi percorreva il corpo accendendo il mio cuore: anch’io ho un cuore come il tuo, cosa credi!”.
“Secondo me sei stata messa da parte perché sei vecchia e non fai una bella luce come quelle di oggi. Sei stata sorpassata dalle più giovani. Gli umani lo fanno spesso. Cercano le cose nuove e buttano le vecchie: assieme alle donne tu sei tra quelle. Sarà meglio che te ne fai una ragione”.
“Povera me! Devo morire di freddo qui dentro, senza potermi scaldare, aspettando che un giorno o l’altro finisca dentro al bidone della spazzatura”.
“Dai, non piangere così! Le cose vecchie hanno sempre una loro storia fantastica da raccontare”
“Sì! Dici bene. Come ero felice quando la gente mi guardava con tanto amore e ammirazione. Mio padre si chiamava Thomas. Odiava il buio e l’odore acre del petrolio che bruciava all’interno delle lampade impestando l’aria delle strade e delle case. Per questo gli venne la geniale idea di portare la luce nel mondo e far sparire quel lezzo odioso. Mi raccontò un giorno, mentre mi stringeva tra le mani tutto soddisfatto, che quando venni alla luce…”
“Bella questa! Tu sei venuta alla luce! Che ridere!”
“Ridi, ridi. Proprio così! Quando nacqui io, tutto il mondo rimase a bocca aperta dalla luce che emanai! Dissero che era miracoloso. Certo, fummo in tante a nascere in famiglia. Tutte noi assieme illuminammo i saloni delle grandi feste, le piazze delle città, le case con le loro stanze, le cucine, le camere da letto; quanti amori abbiamo visto nascere e consumarsi sotto alla nostra calda luce”.
“Come ti capisco! Sei triste perché non brilli più per nessuno”.
Il dialogo tra i due viene interrotto dall’aprirsi della porta della cantina: Henry prende a riscendere la scala di legno. Ha per le mani una grossa zucca dal bellissimo color arancio.
Marybell ha tra le mani la lampadina e si è nascosta dietro le scatole a osservare cosa si è messo a fare l’uomo. Henry ha adagiato la zucca sul tavolo dopo averlo pulito con uno straccio. Con un coltello prende con pazienza a svuotarla dalla polpa. Rimasta solo la buccia, con un pennarello traccia i contorni di quelli che sembrano degli occhi, di un naso, una bocca dai denti aguzzi.
L’uomo, finito di intagliare anche i lineamenti del viso, osserva la zucca tutto contento.
“Adesso vediamo di illuminarla all’interno! Ma cosa ci metto? Una candela non va bene! Dovrei metterci una lampadina. Però allora ci vuole anche il filo col portalampada. Penso di averlo da qualche parte”. Henry si mette a cercare tra gli scaffali e recupera quanto gli serve.
Dopo avere realizzato la sede circolare con un abile taglio ci avvita il portalampada con tanto di filo munito di spina. “Ecco qui! Tutto è andato alla perfezione. Quando la metterò fuori nel giardino in questa notte di Halloween, la mia piccola Dolly sarà felicissima! L’anno scorso si era dispiaciuta che noi, a differenza degli altri, non l’avevamo fatto, e il giardino era rimasto senza la sua zucca nella notte di festa”.
L’uomo, già immaginando la felicità della sua bimba, si accorge che però dovrebbe provare se tutto funziona: per questo, ha bisogno di una lampadina. Cerca tra le scatole e ne trova qualcuna. Le prova: sono tutte fulminate. “Miseria! Adesso che faccio? Non ho voglia di fare chilometri per comprarne una, proprio adesso che inizia la festa a sorpresa. E non è che posso prenderla da qualche parte dentro casa. Sono tutte con diverso passo da questo vecchio portalampada. Ci vorrebbe una vecchia lampadina passo Edison; chissà se trovo quella vecchia lampadina che stava dentro quel cesto di vecchie cose lasciate lì da nonno Donald”.
L’uomo cerca nello scaffale dove pensa fosse custodita. Spera che almeno questa funzioni. Non la trova, però. “Dove diavolo è finita! Eppure era qui!”
Continua a cercare muovendo le scatole disseminate ed ecco che, muovendo quella dietro in cui si è nascosta Marybell, sorprende la bambola immobile che, tra le mani sue mani, ha quello che cerca. “Cosa ci fa Marybell fuori dalla scatola e tra le mani questa vecchia lampadina? Qui c’è lo zampino di Dolly e di sua madre! Quelle due non me la raccontano giusta. Va bene! Già avevo deciso di dargliela domani, ma mi sa che gliela darò in anticipo, questa notte di Halloween, mentre siamo in giardino a festeggiare”.
Henry sfila la lampadina dalle braccine della bambola: “Non ti arrabbierai, bella bambola, se questa la prendo io?” sorride intenerito. La lampadina è proprio quella adatta: l’avvita con delicatezza. La mano è sull’interruttore: lo schiaccia. L’energia attraversa il filamento, raggiunge il cuore della triste lampadina, che si arroventa e scalda, si accende dopo decenni di sofferenza.

Qualche ora dopo, la famiglia si ritrova in giardino a festeggiare. Henry si è travestito da Skeletron, con tanto di maschera, la moglie da fatina, e la piccola Dolly da principessa. I tre si intrattengono di fronte alla zucca di Re Jack che sprigiona una luce calda e magica dall’interno della sua cavità. Mille sfumature e giochi di ombre che giocano sul quel viso di zucca sorridente e accattivante. La piccola e felice Dolly stringe a sé la bambola Marybell, la quale si strugge commossa per la sua piccola amica, al pensiero della sua felicità ritrovata; almeno sino a quando la festa non finirà e con il sorgere del sole.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CC23] - Mio padre Thomas Edison - Catwoman

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Ciao Zaza!

Scherzo, in realtà non lo so sei tu. 
Potresti, ma potresti avere scritto anche Luci, il racconto di Pulcinella. 🤔
Vedremo alla fine...

Veniamo al racconto: carino, carina soprattutto l'idea di dare vita agli oggetti e farli parlare. Non è facile e tu sei riuscita/o a gestire la difficoltà abbastanza bene, secondo me.
Trovo solo due problemi in questo testo:
1-i personaggi un po' stereotipati e dalla.psicolgia poco approfondita. Lo si vede da frasi come queste:
Sira ha scritto: dom feb 26, 2023 8:40 pmriaffida alle cure della madre la piccola Dolly.
A parte l'espressione "le cure della madre" che non mi piace molto; ma poi in tre volte che hai nominato Dolly dall'inizio del racconto l'hai definita "la piccola Dolly". 

Insomma Dolly non è altro che piccola. Piccola e dolce. Di più non ci è dato sapere su di lei.

Sira ha scritto: dom feb 26, 2023 8:40 pm“Dolly! Dolly! Dove sei padroncina mia
Anche questo tipo di dialoghi risulta un po' legnoso, poco genuino.
Sira ha scritto: dom feb 26, 2023 8:40 pmQuando la metterò fuori nel giardino in questa notte di Halloween, la mia piccola Dolly sarà felicissima! L’anno scorso si era dispiaciuta che noi, a differenza degli altri, non l’avevamo fatto, e il giardino era rimasto senza la sua zucca nella notte di festa”.
Pure qui: il padre parla ad alta voce? Sì però difficilmente nella realtà una persona parlerebbe e penserebbe in questo modo della figlia definendola "la mia piccola Dolly".
Sira ha scritto: dom feb 26, 2023 8:40 pmCi vorrebbe una vecchia lampadina passo Edison; chissà se trovo quella vecchia lampadina che stava dentro quel cesto di vecchie cose lasciate lì da nonno Donald”.
E questa secondo me è la seconda cosa che non funziona tanto bene. Una lampadina passo Edison, a quanto mi risulta, non è un oggetto di antiquariato o fuori uso. Se non erro sono le comunissime lampadine E14 ed E27 (E sta appunto per Edison) che ancora abbiamo tutti quanti in casa, mi pare. 
Per cui è un po' strano che il padre la consideri un oggetto così introvabile e appartenente al passato. Vero è che le primissime lampadine avevano questo tipo di attacco filettato, ma ancora si usano al giorno d'oggi.
Sira ha scritto: dom feb 26, 2023 8:40 pmLa piccola e felice Dolly stringe a sé la bambola Marybell, la quale si strugge commossa per la sua piccola amica, al pensiero della sua felicità ritrovata;
E anche questa chiusura purtroppo risulta molto poco genuina. Forse invece di raccontarci che la bambola "si strugge commossa per la sua piccola amica" avresti potuto mostrarcelo. 

Anche se mi rendo conto che non è affatto facile. 

A parte queste due cose, la trama è interessante e anche piuttosto originale. Il tema delle luci è molto centrato.
Grazie, a rileggerci!

Re: [CC23] - Mio padre Thomas Edison - Catwoman

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Per me dietro la maschera ci sei tu Bestseller e così mi sono già giocata il jolly, ma potresti anche essere Kasimiro…

Leggendo mi hai ricordato la storia del soldatino di stagno. Il racconto è scritto molto bene, ricco di fantasia, la storia è proprio carina con gli oggetti umanizzati e tanta delicatezza nella penna. Un tratteggio lieve lieve dei protagonisti e una narrazione che ha il gusto di una fiaba.
Ben presente il tema delle luci trattato con originalità. Complimenti chiunque tu sia.

Re: [CC23] - Mio padre Thomas Edison - Catwoman

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  ha scritto:Vi è tanto freddo nella cantina interrata di Henry; presso l’ultima villetta a schiera nel villaggio di Lisspik.
Un'incipit che mi lascia perplesso. Prima di tutto l'avverbio "Vi" proprio non mi suona bene. Io, come pronome, lo uso per non ripetere un sostantivo appena usato (es: giunse alla cantina e vi entrò). Inoltre lo uso esclusivamente in un registro abbastanza formale. Qui mi pare che un semplice "C'è" poteva funzionare meglio.
Oppure, se posso consigliare:
Il freddo è intenso nella cantina interrata di Henry...
Inoltre, persino io che faccio uso smodato ( :asd: ) di due punti e punti e virgola, non avrei mai diviso il periodo come hai fatto qui tu. Ma questo è un dettaglio da pignoli (qual è il sottoscritto: prendi, pertanto, il commento con pazienza ;) ).

Buffo che tu abbia usato il nome "Bambola" per la bambina e un nome da bambina per la bambola: mi sono chiesto se sia un caso o se tu volessi dire qualcosa, con questa scelta: forse umanizzare gli oggetti, che alla fine sono i veri protagonisti del racconto? Non so, ma ha contribuito a darmi un'impressione complessiva che ti dirò più avanti...
  ha scritto:“Ogni volta devo sporcarmi il mio vestitino
Via uno dei due possessivi.
  ha scritto:Allora io? Che sono una bambola bellissima dai capelli rosso rame, vestita di pizzo, che persino cammina e si illuminano gli occhi, potendo anche parlare e dire mamma!
Consiglierei:
che cammina e gli occhi le si illuminano, che sa persino parlare e dire Mamma
 
Il persino lo terrei, cioè, per la fine, aggiungendo il pronome "le", per rafforzare il soggetto della frase senza ripetizioni (come da nota relativa all'incipit).
  ha scritto:Mille sfumature e giochi di ombre che giocano sul quel viso di zucca sorridente e accattivante.
Cercherei di evitare l'uso di giochi e giocano così ravvicinati.

L'immagine finale della zucca non mi pare particolarmente azzeccata: immagino giochi d'ombre che scaturiscano dalla luce che si dirama da una zucca all'interno della quale ci sia una candela o un lume a fuoco. Con una lampadina le ombre saranno ferme e le sfumature abbastanza... come dire? statiche e poco varie. Infine, la zucca mi pare più coerente con Halloween che con il carnevale, ma non so dove sia Lisspik (probabilmente hai ambientato la tua storia negli Stati Uniti), quindi, da lettore, va bene: accetto la zucca. Però mi resta la sensazione di una forzatura narrativa.
  ha scritto:almeno sino a quando la festa non finirà e con il sorgere del sole.
La "e" ti è scappata? (immagino sia un refuso).

Veniamo al mio parere complessivo: che è di favola, carina ma un po' troppo ingenua. Trovo che calchi un po' troppo la mano sulla tristezza dei personaggi (ne avrebbero ben d'onde eh! dopo essere stati dimenticati per anni in una fredda cantina). Ma così ti escono quasi delle macchiette dai personaggi della bambola e della lampadina. Anche una bambina che si chiama Bambola (come ti dicevo sopra) alla fine mi dà la sensazione di un tuo preciso riferimento macchiettistico. Ma ciò non è possibile: il tuo non è un racconto umoristico (poteva essere un risvolto possibile, ma è chiaro che non è proprio questo il tuo intento).

Quello che proprio mi manca è un po' di tensione (la classica spannung), che poi un finale come il tuo possa (anche qui: molto... "classicamente", ma perché no?) sciogliere.
La ricerca della lampadina funzionante da parte di Henry non può dare questa tensione: da lettore, pur con tutto il bene che posso desiderare per la bambina, non ho trepidato in questa ricerca... Ed ecco, allora, ancor più rafforzata, la mia sensazione di ingenuità della storia.

Credo che, caratterizzando in modo diverso bambola e lampadina, facendone davvero dei protagonisti a tutto tondo, ripulendoli un po' da quell'aura di triste autocommiserazione (almeno, io così la percepisco, e il registro narrativo che hai usato asseconda la mia percezione), potresti risolvere il problema.
Magari creando un più marcato conflitto fra la bambola, che immagino saputella, vanitosa e francamente anche un po' antipatica, ma ligia alle regole e fedele al suo ruolo di "servitrice" dalla bambina, e lampadina, che cova risentimento nei confronti degli uomini per essere stata dimenticata per decenni, e, offesa e meno ligia al proprio dovere di servitrice, intende non più collaborare, smettendo di funzionare proprio quando verrà richiamata in servizio. E annuncia questo suo intento di vendetta alla bambola. Che, a quel punto, vede minacciate sorpresa e felicità della sua "padroncina" e cerca di richiamare al proprio dovere la lampadina. In un botta e risposta, anche relativamente breve, fra i due personaggi potresti delineare meglio i loro caratteri e fare emergere il conflitto necessario a dare forza alla vicenda, creando una vera attesa nel lettore. Ovviamente sta a te creare la giusta empatia nei confronti della bambina, in modo tale da far schierare il lettore nella disputa fra i personaggi. E non è detto che la lampadina non abbia le sue sacrosante ragioni, e il suo sentimento di rivalsa non possa essere condiviso dal lettore, creando un antagonista (un "cattivo", si fa per dire) per cui fare il tifo. E non è detto (nemmeno) che tu non possa pensare il tutto come metafora di qualcosa di reale, di un'ingiustizia da riparare nei confronti di qualcuno realmente dimenticato, sottovalutato o bistrattato. Perché a me - tra le altre cose - piace molto quando l'autore ha qualcosa di concreto da dire, e lo "nasconde" (o, meglio, lo "rappresenta") nelle proprie storie.

Questo il mio parere.

A rileggerti.
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