[LMI171] Come farai?

1
terza traccia - La valigia

Il mio commento: viewtopic.php?p=37698#p37698



Pedalando affiancati lo vedono nello stesso istante. Colpa del sole radente del mattino.
È come un lampo a fior d’acqua in una delle pozze avanzate dal Po in secca.
In effetti quella cosa affiora nascosta dai rami sbiancati dal fiume con un colpo di luce abbagliante.
 
“Andiamo a vedere cos’è?”
“Ma no, Ardeo, cosa te ne frega a te. Sarà la solita immondizia trascinata da chissà dove.”
Seguendo la strada stanno per superare quel puntino abbacinante.
“Senti Delmo, ma non sei per niente curioso?”
“Per niente.”
“Ci mettiamo un attimo ad andare là, diamo un’occhiata e ce ne andiamo via.”
Delmo si ferma, e riprende fiato con la bici inclinata sulla coscia.
Strizza gli occhi per vedere meglio e ribatte.
“Siamo alle solite, Ardeo. Solo perché sei il più vecchio non è detto che si debba fare come vuoi tu. A me quella roba non m’interessa. Io voglio andare al casone a controllare il Po.”
“Ma guarda che il Po è anche questo e lo vedi anche da qui. Sei il solito cacasotto.”
“Sarò anche cacasotto, ma tu sei vecchio e decrepito. Ti pare che sia una cosa saggia andare nel mezzo del letto del fiume per vedere le schifezze piemontesi? E poi magari inciampi e ti spacchi una gamba e io cosa faccio?”
“Se tu non fossi così gandula, avresti imparato a usare il cellulare e chiamavi i soccorsi.”
Delmo sbuffa e fa per riprendere a pedalare.
“Ma dai, su. Ci vuole un po’ di avventura.”
È sempre stato cosí.
Ardeo era sempre curioso, voleva sapere le cose, Delmo invece era un appassionato del quieto vivere e dei piaceri. A lui il perché e il per come non era mai interessato e men che meno adesso che avevano superato i settanta.
“Ardeo, lascia perdere. Cosa vuoi che sia? Sará un pezzo di ferro che brilla.”
“Ma se invece fosse altro?”
“Si, guarda, il tesoro del pirata Barbanera famoso per aver navigato sul Po con i suoi tesori. Muoviti che dobbiamo aggiustare la passarella.”
“Delmo sei il solito guastafeste.”
 
Ardeo non riesce a dimenticare quel baluginio nel letto del fiume. Ci ha pensato tutto il giorno mentre piallava le assi e anche adesso che aspetta la cena, oggi tocca a Delmo cucinare, la curiosità lo divora.
“Delmo, allora domattina andiamo a guardare?”
“A guardare cosa?”
“Quella roba che brilla nel fiume.”
“Ma lascia perdere che c’abbiamo da fare.”
Davanti alla minestra continuano a battibeccare come facevano fin da ragazzini.
Per un momento Ardeo viene colto da una struggente nostalgia per sua moglie, Vivilda. Lei non lo voleva Delmo in casa. Diceva sempre che era un ubriacone scapestrato e da vecchio ancora più insopportabile. Secondo lei avrebbe dovuto farsi una famiglia invece di correre la cavallina per tutta l’Italia, e adesso che era anziano, solo e squattrinato dovevano farsene carico loro.
La verità la sapeva anche Ardeo. Pure Vivilda aveva ceduto al fascino di Delmo e non gli aveva mai perdonato di essere sparito dopo averla avuta sotto al gelso. Quante ore aveva passato a consolarla, settimane e mesi a farle compagnia, finché si era accorta che lui l’amava con tutto sé stesso e che lei poteva ricambiarlo. Si erano sposati e, pur senza figli, erano stati felici. Continuava ad amarla nonostante il fatto che lei una bella sera fosse scomparsa nella nebbia senza dire una parola di addio.
 
Di nuovo pedalano sull’argine verso il casone, Ardeo cerca quella cosa con gli occhi. Non la trova più.
“Delmo, hai visto che quella roba non c’è più?”
“Se la sarà presa qualcuno.”
“Si, ma chi? Ieri sera c’era ancora. Chi è che va di notte a prendere le robe nel fiume?”
“Un cacciatore o quelli che vanno a vedere gli uccelli.”
“Allora però doveva essere una cosa interessante altrimenti mica se la portavano.”
“Ardeo, piantala! Hai davvero rotto con questa storia!”
“Delmo sarai mica stato tu, vero?”
“Ma che dici?”
“Ti ho sentito stanotte che camminavi per la casa, magari sei uscito a prendere quella cosa là solo per farmi dispetto.”
“Come no. Si chiama prostata quella roba là e mi ha fatto andare fino al bagno un paio di volte. E poi figurati se ce l’avrei fatta da solo e di notte.”
“Perché secondo te era una cosa da prendere in due? Tanto grande? Come fai a saperlo?”
“Che barbastel! Ti pare che vada sul letto del fiume di notte senza di te. Mica sono scemo!”
In qualche modo Ardeo si è offeso, gli pare che Delmo non gli dica proprio tutto, che gli nasconda qualcosa; e poi di notte non aveva sentito lo sciacquone, solo passi leggeri e frettolosi. A dire il vero quella sensazione l’aveva da anni, ci conviveva senza accorgersi, ma quella storia del coso in mezzo al fiume, l’aveva fatta riemergere. Così è rimasto fuori dal casone a dare l’idrorepellente, pur di non stare con Delmo che dentro sistema le finestre.
È così infastidito che quando la vescica gonfia gli fa interrompere il lavoro, invece di entrare nel casone, appoggia il pennello sul barattolo e si avvia verso i cespugli per svuotarsi.
Ed ecco lì di nuovo: un bagliore. Questa volta vicino, subito dietro alla roccia. Appena può, si avvicina e la vede, la valigia avvolta da un giro di catene come fosse un pacco regalo, al posto del fiocco un bel lucchetto di acciaio inossidabile. Incastrate fra le maglie erbacce, la valigia stessa è di plastica rigida e screpolata, con i fermagli di metallo ben chiusi.
Certo doveva esserci qualcosa di valore per chiuderla così. Chissà com’era andata persa nel fiume?
Se la trascina verso il casone. Con qualche martellata sulla catena arrugginita e sui fermagli, sarebbe certamente riuscito ad aprirla.
Delmo non si merita di sapere niente della sua scoperta, soprattutto perché Ardeo sospetta che proprio il fratello l’abbia nascosta lì  per non lasciarla nel fiume. Senza proferire parola va a prendersi il martello, e si mette al riparo da sguardi indiscreti.
Un colpo ben assestato su una maglia arrugginita e la catena scivola dalla valigia. Due martellate ai fermagli e la valigia è pronta per essere aperta.
Ardeo potrebbe già infilare le dita nello spiraglio da cui cola una specie di fango grigiastro. Non aveva preso in considerazione in che stato potessero essere le cose lì dentro. Infine, prende coraggio e con la punta delle dita la scoperchia. La fodera è gonfia d’acqua, nelle due metà c’è una specie di melma sabbiosa. Chissà se erano documenti o vestiti, e per quanto tempo era rimasta nell’acqua?
Prende un bastone e come un bambino diffidente rimesta un po’ qui e là. Trova qualcosa di duro, che fa resistenza, sembrano dei rametti da come si mettono di traverso senza emergere. C’è anche un brandello di stoffa azzurra sbiadita. Affonda più deciso e il bastone si incastra. Tira forte e se lo ritrova in mano con l’estremità infilata nell’orbita di un teschio.
“Delmo!”
Gli sembra di aver sospirato il nome del fratello, invece questo accorre subito richiamato dall’urlo
“Ma cosa hai fatto? Te l’avevo detto di lasciare perdere! Ma tu niente, dovevi per forza andare a vedere. Smettila di frugare in quella valigia!”
“Ma Delmo, non vedi, è una persona. Non possiamo mica lasciarla così, chiusa qui.” Ad ogni parola tirava fuori un osso, magari un dito o una scapola.
“Smettila, ti ho detto! Rimettiamo tutto dentro e facciamola sparire!”
“Aspetta, chiamo la polizia. Loro c’hanno la scientifica, sapranno chi è la persona morta, la restituiranno alla famiglia e potranno fare un funerale come si deve.”
“Ti ho detto di finirla! Vieni dentro a berti un bicchiere d’acqua e poi decidiamo cosa fare. Ma adesso devi lasciare perdere.”
“Guarda, Delmo, è una donna.” Ardeo ha in mano un osso lungo e incrostato di fango da cui pende un bracciale sottile color dell’oro interrotto da una placchetta; la pulisce strofinandola fra indice e pollice e la studia da vicino.
Con lo sguardo spento legge “Vivilda”, aggiunge piatto “deve averlo perso quando se n’è andata e questa povera donna l’ha trovato. Chissà chi è?”
Il silenzio è spezzato dal ronzio dei primi mosconi attratti da quella fanghiglia.
“Perché non volevi che andassi a vedere quella cosa là? Avevi paura che la trovassi?”
Delmo si lascia cadere su un tronco, i gomiti sulle ginocchia e le mani allacciate, non risponde. Leggermente proteso in avanti sembra che stia aspettando qualcosa.
“Delmo, parlami! Tu sai qualcosa, bastardo! Parlami!”
“Siediti. È una storia lunga.”
Così sotto al sole cocente Delmo inizia a testa bassa.
“È stato un incidente. Quella sera eravamo all’osteria del mulo. Giocavamo a tresette e io avevo bevuto troppo come al solito. Avevo anche finito i soldi, ero arrabbiato e me ne volevo tornare a casa. Ma tu no, volevi giocare ancora col Bisso per andare in pari con le perdite. Allora, se ti ricordi, ti ho preso le chiavi della macchina e me ne sono andato. Ero arrabbiato, squattrinato e tu eri ancora là a divertirti. Ero veloce, mi pareva di avere tutto sotto controllo, ma lei era uscita nel cortile nebbioso. Era buio, ero ubriaco e l’ho vista un istante prima di investirla. Ci sono proprio passato sopra. Due sobbalzi ed ero sobrio. Non ho avuto il coraggio di scendere subito. Mi sono visto in galera, tu che mi odiavi mentre buttavano via la chiave. Quando sono andato a vedere lei respirava ancora, ma era già lì lì. Sei uno stronzo, mi ha detto, uno sciaguratissimo stronzo. Faceva fatica a parlare. Volevo chiamare un’ambulanza, cercare di salvarla, ma lei mi tratteneva. Mi manca poco. Ma tu fammi sparire, così Ardeo pensa che possa ritornare mentre gli fai compagnia. Così mi ha detto. Forse non ero proprio sobrio, perché mi era sembrata una buona idea. Io non sarei andato in galera, tu non saresti stato in lutto e noi due assieme ce l’avremmo fatta. Fallo e stai zitto per sempre. Un istante dopo non c’era più. L’ho messa in macchina, sono corso su a prendere una valigia e sono scappato verso il fiume. Mi ero dimenticato di metterci dei vestiti, ma avevo paura di tornare indietro. Metterci lei sembrava una buona idea. Mentre la facevo a pezzi avevo capito che non avevo un posto dove nascondere la valigia. Ma appena ho chiuso il lucchetto alla catena del paranco, mi sono visto buttarla in mezzo al Po. Col barchino sono andato nel punto più profondo e l’ho mollata; con quel peso nessuno mai l’avrebbe trovata e magari un pezzetto per volta sarebbe arrivata fino al mare. Quando sono montato in macchina albeggiava. Tu eri di sicuro a casa, forse stavi anche già cercando Vivilda. Io non me la sentivo di tornare, di guardarti negli occhi e forse era rimasto anche qualche segno sulla macchina. Allora ho accelerato e mi sono buttato nel fosso. Tanto prima o poi qualcuno mi avrebbe trovato e avrebbero dato la colpa all’alcol. Tutti ti avrebbero compatito e ti sarebbero stati vicini a causa del fratello alcolizzato e della moglie fuggita. Mi hanno trovato i carabinieri che cercavano Vivilda. Da quel giorno, ormai sono quattro anni, non ho più bevuto un goccio. L’ho fatto per te, lo capisci vero.”
Nel caldo impietoso, torturato dagli insetti, Ardeo siede come una statua, lo sguardo fisso sul fratello. Solo una lacrima spezza l’immobilità, seguita dalla mano che cerca il cellulare in tasca.
Delmo scatta in piedi.
“Ardeo, l’ho fatto per amore, per non farti soffrire. L’ho fatto per te!” Lo scuote sempre più forte mentre ripete queste parole. Lo scuote fin quando non gli sfugge di mano e batte la testa su una pietra rovente.
 “Anche questo lo hai fatto per me? Senza speranza non posso vivere?”
Un rivolo rosso cola lungo il sasso assassino.
“Ardeo, scusa, è stato un incidente, non l’ho fatto apposta. Lo sai che ti voglio bene.”
“Come farai Delmo questa volta, che il Po è in secca?”
Chiude gli occhi e lascia il fratello solo per sempre.
 
 
 
 
 
 
 

Re: [LMI171] Come farai?

2
Ciao @Almissima, il tuo racconto mi è piaciuto moltissimo.
Ho apprezzato particolarmente il rapporto con i due fratelli, il modo di esprimersi e di pensare di due anziani, la parlata un po' dialettale che da sola crea già l'atmosfera. 
Il fatto che la donna fosse la moglie scomparsa non me l'aspettavo, sei riuscita a non renderlo banale o scontato.
Proprio perché il tuo racconto mi è piaciuto molto, ti segnalo l'unico elemento che secondo me è migliorabile, che non ho trovato un po' stonato all'interno del racconto.
Almissima ha scritto:Ardeo ha in mano un osso lungo e incrostato di fango da cui pende un bracciale sottile color dell’oro interrotto da una placchetta; la pulisce strofinandola fra indice e pollice e la studia da vicino.
Con lo sguardo spento legge “Vivilda”
Il fatto che ci sia scritto il nome della moglie l'ho trovato artificioso, un po' una trovata da film. Se Vivilda fosse stata una sconosciuta per Ardeo sarebbe stata forse l'unica soluzione percorribile, ma trattandosi della moglie è presumibile che lui ricordi i gioielli che indossava abitualmente. Fra l'altro fino a qualche decennio fa la gioielleria era sempre artigianale, quindi è normale che una donna comune indossasse un gioiello particolare. Io inserirei una scena in cui nota la particolarità del gioiello, magari con un bel feedback su Vivilda.

Grazie ancora per il bellissimo racconto!  

Re: [LMI171] Come farai?

4
@Almissima 
Probabilmente sono condizionata dal tipo di gioielli che ho visto indossare dalle mie nonne; i gioielli che ho visto, e che ci hanno lasciato, erano artigianali e particolari, nonostante non fossero persone ricche, e non avevano gioielli con il nome inciso. Magari sono usanze più o meno locali [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif](io sono piemontese, e mezza montagnina)[/font]
E' anche vero che, come dici tu, probabilmente non li indossavano nella vita di tutti i giorni, credo li tirassero fuori solo in occasioni speciali.
Anche il tuo commento è giusto, la difficoltà nello scrivere quel racconto è stata proprio dare l'impressione che scrivesse un ragazzino, senza sembrare proprio un'illetterata... se in futuro lo revisionerò, farò attenzione alle ripetizioni!

Re: [LMI171] Come farai?

5
Ciao @Almissima un racconto molto noir e molto triste. Come non insospettirsi di Delmo che distoglie il fratello dalla curiosità di quella cosa luccicante?
Quando la moglie è sparita nella nebbia il collegamento è sorto spontaneo, ma quelle frasi in punto di morte mi hanno colto di sorpresa, pesanti come dei macigni. E il finale amarissimo. Se queste erano le sensazioni che volevi trasmettere sei riuscita benissimo.
Forse la prima parte è un po' troppo pilotata ma dopo viene fuori la forza della tua penna.
Letto con passione.
Alla prossima

Re: [LMI171] Come farai?

7
Ciao @Almissima forse ho usato il termine sbagliato. Volevo dire che i due sono attratti subito, all'improvviso da questo oggetto con molta insistenza da parte di Ardeo. Secondo me si intuisce, forse troppo chiaramente. che Delmo sa cosa si nasconde nel letto del fiume e che poi andrà a recuperare. E Ardeo si insospettisce subito sul fatto che l'abbia recuperata Delmo. 
Non so, mi verrebbe da dire che si poteva lasciare un pochino più in sospeso il lettore, magari distogliendolo con qualcosa d'altro e far incontrare la valigia in modo più casuale. O far avere a Delmo una reazione più imprevedibile e di paura. Sta per essere scoperto un fatto sconvolgente. Fila un po' tutto liscio. Mi sarebbe piaciuto scardinare qualcosa.
Ma solo per l'inizio. Poi, devo dire che ha uno sviluppo molto potente.
Non so se sono riuscito a spiegarmi. Magari ho in mente una sensazione ma poi faccio fatica a spiegarla.

Re: [LMI171] Come farai?

10
@Almissima ciao. Io vivo in Piemonte e il Po lo vedo spesso. Hai scelto dei nomi monto piemontesi e hai caratterizzato bene i due fratelli. Devo concordare con Kasimiro sui vari "agganci" alla trama che svelano il coinvolgimento dei due fratelli sul mistero della valigia. Il finale è a sorpresa,  ed è il momento migliore del racconto. Forse, a mio modesto parere, avresti dovuto bilanciare meglio e dare più spazio a quello che si scopre alla fine. Magari creando qualche diversivo in modo da sviare il lettore, ma anche lasciando degli spazi aperti che conducevano al finale.
Ma il racconto è tuo e l'hai gestito secondo la tua ottica. Va bene così! :P
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [LMI171] Come farai?

11
Ciao, aggiungo alcuni elementi al commento, sorry se non sono stata abbastanza esaustiva!
La trama l'ho trovata coerente, inevitabilmente semplice dato il limite creato dal numero di caratteri, ma interessante, chiara e ben sviluppata; bellissimo l'incipit, che ti porta subito lungo il Po. Quello che ho apprezzato di più è stata la caratterizzazione dei personaggi, ho adorato i due vecchietti che  parlano e si comportano in modo assolutamente realistico, mi ha riportato a momenti della mia infanzia, quando passavo l’estate dai nonni. Anche il rapporto tra i due fratelli è ben caratterizzato e realistico, spesso si crea tra fratelli maschi quel tipo di rapporto a mezzo tra amore e rivalità. Mi è piaciuta molto la storia, il modo in cui è costruita, il fatto che sia coerente e priva di forzature (a parte il discorso braccialetto, già trattato). Bellissimo il dialogo finale.
Ciò che ho più apprezzato, tuttavia, è lo stile. Estremamente scorrevole, facile da seguire, semplice da leggere. Non solo non annoia, ma non porta mai a dover tornare indietro a cercare il passaggio che non hai ben capito, elemento che secondo me distingue un racconto di qualità.
A presto!

Re: [LMI171] Come farai?

12
Ciao @Almissima 

Questo racconto ambientato tra le rive del Po, essedo stato cittadino torinese per la maggior parte della mia vita, non posso che sentirlo parte del mio vissuto, pertanto posso dire con le parole di Bruno Conti:
“Il lettore viene guidato in un itinerario sorprendente e suggestivo, alla scoperta delle storie e delle genti legate a queste acque. Perché il fiume  è stato per secoli (ed è ancora oggi) teatro di fatti e incontri straordinari. Del resto, come diceva Giovannino Guareschi: sul Po accadono cose che non accadono in nessun altro luogo.”
Nel racconto si respira quel clima agreste, che ancora alberga nelle generazioni più anziane, della gente che vive nei paesi bagnati dal corso del fiume all’interno del Piemonte e di altre regioni che percorre nel suo viaggio verso il mare.
I tuoi personaggi possiedono quella genuina primitività, fatta di una cultura rurale semplice e di un’esistenza di consumi frugali, di fatica quotidiana e risicati svaghi serali, consumati per lo più all’interno dell’osteria di paese, tra una partita a carte e qualche bicchiere di vino di troppo.
Il tono del racconto lascerebbe pensare a un’ambientazione tra il primo e il secondo decennio del dopoguerra, ma la secca tanto macroscopica del fiume lo attualizza ai giorni nostri.
Infatti è cronaca recente di ritrovamenti assai interessanti messi in luce dal ritiro delle acque: l’ultimo è una testa di megalocero, noto come megacero o cervo gigante che ha popolato un’area molto vasta che va dall’Europa all’Asia centrale: i più antichi ritrovamenti di questa specie sono databili anche a 400 mila anni fa.
L’attualità è del resto confermata anche dal cenno all’uso di un telefonino risultato così ostico a uno dei due fratelli.
Ecco se proprio dovessimo muovere qualche dubbio sulla credibilità del racconto, direi che il suo posizionamento nel tempo corrente, si scontra un po’ con la scomparsa non sufficientemente indagata della bella Vivilda.
Oggi (ma anche qualche decennio fa) non si dava per buono l’allontanamento volontario non motivato, vedi il caso Logli con la moglie Roberta Ragusa.
Ma comunque non è il caso di cercare lana caprina nel racconto che non vuole essere un giallo.
L’altra cosa che mi lascia perplesso è la definizione di “Gianduja” data al fratello che non usa il cellulare, francamente in tanti anni della mia vita piemontese, ho sentito numerosi epiteti, ma questo davvero mi manca. 
Infine un altro piccolo appunto:

Ed ecco lì di nuovo: un bagliore. Questa volta vicino, subito dietro alla roccia. Appena può, si avvicina e la vede, la valigia avvolta da un giro di catene come fosse un pacco regalo, al posto del fiocco un bel lucchetto di acciaio inossidabile. Incastrate fra le maglie erbacce, la valigia stessa è di plastica rigida e screpolata, con i fermagli di metallo ben chiusi.

Mi viene da chiedermi, se un oggetto di tale grave importanza, recuperato del fratello omicida, possa essere stato occultato in un luogo tanto prossimo alla loro casa e in maniera tanto superficiale da essere ritrovato al primo colpo d’occhio?.

Ciò detto, il racconto è ben scritto e gradevole, pur nella sua tragica conclusione.
Complimenti, ciao alla prossima.

Re: [LMI171] Come farai?

13
@@Nightafter 
Per prima cosa grazie.
Io il Piemonte non so cosa sia, ho visto una volta Torino e una pieve lì vicino per un servizio fotografico, e il Po lo attraverso regolarmente sula A 22. Per cui rendere riconoscibile un'atmosfera a me del tutto estranea é per me un grandissimo complimento.

Gianduia lo diceva mio nonno che era lombardo, ma francamente non ho idea se fosse una sua questione personale oppure se esista davvero come insulto. Forse gli pareva più raffinato che dare del cioccolataio.

E poi si, avrei una motivazione per tutte le scelte operate dai due fratelli compresa la valigia dietro alla roccia, ma la causa di tutto é la loro dabbenaggine che non sono riuscita ad esprimere a dovere nei soliti pochissimi caratteri.

Quindi grazie ancora del tuo commento.
Rispondi

Torna a “Racconti lunghi”