[LAB 1] Le rose di Ophelia
Posted: Fri May 13, 2022 5:32 pm
Le rose di Ophelia
Jacob Bennett era di cattivo umore quella mattina.
Nelle preparare le uova al tegamino della colazione il bacon si era carbonizzato: si era distratto per cacciare dalla cucina quel sacco di pulci di Duke che cercava di ficcare il muso nella sua tazza di latte e cereali.
Quel piccolo bastardo era la sola cosa che gli restava da quando Ophelia non c’era più: era il cane di lei, una vera sciagura quell'eredità.
Stava seduto nel patio a fumare la prima pipa della giornata e rimuginare i pensieri lugubri delle sue ore mattutine.
Il cielo di settembre era ingombro di nuvole: pensò che sarebbe venuto a piovere.
Osservò distratto la piccola montagnola al centro del giardino, il roseto di Ophelia era un cespuglio fitto e inestricabile di rami rinsecchiti.
La siccità degli ultimi mesi non aveva giovato a nuove fioriture, un po’ d’acqua avrebbe fatto bene a quei fiori.
Il pulmino postale guidato da Oliver Brooks spuntò sul viottolo polveroso che portava alla casa.
La figura segaligna e allampanata del portalettere scese dal mezzo reggendo alcune buste in mano.
« Salve Jac, come ti butta? Ho qui due lettere per te »
« Non c’è malaccio Olli. Saranno le solite fatture, nessuno oltre ai fornitori e la banca mi scrive mai. E tu, come te la passi? »
Sorridendo, Jacob fece cenno al postino di sedersi sulla panca accanto.
« Fermati un momento che ci facciamo una birra insieme. Lo sai che mi fa piacere di vedere almeno la tua brutta faccia ogni tanto. »
« Ahahah! Jac, sei un vecchio orso, si sa che non ti va di avere gente tra i piedi. »
« È vero, sopporto solo te che da anni mi porti, la posta con cose da pagare. »
« Jac, solo io riesco a mandare giù la birra che offri e dopo posso ancora a guidare il furgone, lo sai. »
« Perché sei più alcolizzato di me Olli. »
Risero di gusto.
Jacob prese dalla valigetta refrigerata due lattine nere di Oskar Blues Ten con le iscrizioni in oro.
Birra da dieci gradi e mezzo, roba spessa: l’unica che gli permettesse a di digerire le pesanti colazioni di prima mattina.
Stapparono le birre e iniziarono a bere lentamente.
Dopo il momento ludico restarono entrambi in silenzio, seri e pensosi come se gli umori si fossero adeguati al tono plumbeo del cielo sul giardino della casa.
Jacob, dette nuovamente fuoco alla pipa e tirò una profonda boccata.
« Che c’è Jac? Ti vedo cupo, hai qualche problema? » Chiese Oliver.
L’altro fece un sorriso stretto e tolse la pipa di bocca.
« C’è che ogni tanto mi manca Ophelia e ci penso. »
« Ti manca molto? »
« Sì, mi manca. Certe volte guardo il roseto e la rivedo nella mente: curva, con la cesoia in mano, a potare i rami secchi delle rose »
Oliver, scosse la testa e tirò fuori dal tascone della giubba la sacchetta del tabacco e le cartine.
« Le piacevano molto le rose vero? »
« Sì era una vera passione. Aveva il pollice verde la mia Ophelia. »
Annuì Jacob, poi aggiunse: « Il roseto quando lei era ancora qui, stava sul retro della casa. Da che sono rimasto solo, ho creato quella collinetta e piantate le rose dove stanno ora. Mi piace guardarle mentre sto seduto qui nel patio. »
Oliver guardò l’intrico di rami spogli con un’espressione incerta.
« Da quando se n’è andata, non ne sono più spuntate di belle come le sue. » Disse Jacob, un’ombra di amarezza gli passò negli occhi.
« La ricordo la tua Ophelia, era davvero una bella donna. »
« Puoi dirlo forte, era bella da perderci il senno. » Assentì Jacob.
Il cane era tornato e scavava terra con le zampe sulla montagnola delle rose.
« Duke! Maledetto sacco di pulci, fila via! »
Jacob gli lanciò la lattina vuota della birra per farlo allontanare.
« È una piattola quel botolo. Ha la mania di scavare su quella terra e di pisciarci sopra. » Brontolò tra i denti Jacob.
« Sono bestie Jac, hanno le loro manie »
« Sì, le bestie hanno le loro fissazioni, come gli uomini del resto. »
Jac svuotò la cenere della pipa battendola sulla balaustra del patio.
« E tu che problemi hai Olli? »
Olli scosse il capo espirando una boccata di fumo della sigaretta che aveva confezionato.
« Sempre lo stesso: Ruby mi provoca la gastrite. »
« È una bella puledra la tua Ruby, sei un uomo fortunato. »
« Sì, è una gran bella topa. Ma io ho quasi cinquant’anni e lei venti di meno. Questo è il vero problema.
Oliver sputtò sull’assito un briciolo di tabacco rimasto fra le labbra.
« Più o meno la differenza di anni tra me e Ophelia. » Considerò Jac.
« Ma da quando, per un uomo di cinquant’anni, è un problema una donna di trenta? »
« Jac, mio padre diceva che le donne molto belle vanno bene per divertirsi, ma non per sposarle. »
« Ahahaha! Olli, tuo padre la sapeva lunga sulle donnne. »
« Cazzo che sì! Era un gran puttaniere. La buonanima di mia madre era sempre incazzata per il rossetto che trovava sulle sue mutande, quando faceva il bucato. Ahaha! »
Oliver lanciò il mozzicone della cicca sulla polvere del viottolo, poi riprese: « Mi fa impazzire di gelosia. Lavora nel locale dell’irlandese, lo conosci? »
« E chi non conosce la bettola di quel grassone dal pelo rosso. » Annuì Jacob.
« Bèh! Vedi: lei in quel posto serve i clienti ai tavoli. Veste sempre quelle cose corte e scollate, che col fisico che si ritrova...puoi capirlo, ha sempre un’aria provocante. È più forte di lei, le piace esibire quello che la natura glia fornito. »
« Eh... ha tanta roba la tua Ruby. Grazie a Dio. Perché dovrebbe avere vergogna di lasciarsi ammirare? »
« Sì, lo so, ma non c’è verso di fargli capire che questo fa venire delle idee strane ai maschi. Le dico: amore, copriti, per favore! Ne discutiamo fino a litigare. Ma lei se ne sbatte. »
Jacon prese altre due birre e ne passò una a Oliver.
« Ai camionisti che vanno a mangiare in quel buco, non gli sembra vero di allungare le mani su culo e tette, ogni volta che passa tra i tavoli. »
« Vabbè, è adulta e vaccinata. Saprà dirgli di tenere le mani a posto. »
« Macché. Non ci pensa nemmeno. Invece di mollargli una sventola, squittisce e si limita a dei sorrisini di rimprovero. Dice che non può trattarli male perché l’irlandese non vuole che i clienti si lamentino, inoltre, non vuole perdere le mance. »
Oliver accompagnò le parole con un rutto rumoroso, causato dalla birra ingerita.
« Capisco. » Disse Jac. « E questa cosa ti fa incazzare. Giusto? »
« Puoi dirlo, Jac. Ci sclero di brutto. Mi tengo dall’andare là a prendere a calci qualcuno di quei maiali, solo per non farle perdere il lavoro. »
Jacob, pensoso, osservava le nuvole che si erano infittite.
« Ma, dimmi una cosa Olli, hai idea che ti tradisca? » Chiese al portalettere, dopo un momento di silenzio.
« No. Questo no. Ci metto la mano sul fuoco. Quando potrebbe del resto? Se non è al lavoro stiamo insieme. Potrebbe farsi solo una sveltina nel cesso del locale. Cosa che però non è possibile. »
Jaocob assentì: « Hai ragione! Il grassone se ne accorgerebbe subito: è lui che tiene la chiave della latrina, nessuno usa quel cesso senza che ne venga a conoscenza. »
« Esatto! Ma nonostante questo, il fatto che la tocchino e che lei li lasci fare, mi toglie il sonno la notte. »
« Ti capisco Olli. Anche io ho avuto un periodo nel quale ero gelosissimo della mia Ophelia. »
« Davvero jac? Non lo avrei mai detto. non mi sembri il tipo. »
Jacob tirò un lungo sospiro, come se gli tornassero in mente le ubbie di quel passato.
« Sì, invece. C’erano momenti in cui, se qualcuno la guardava, mi saliva il sangue agli occhi e vedevo rosso. Poi, mi sono dato una calmata. »
« Ti è passata la gelosia? »
« No, Olli. Ho scoperto il modo di farmela passare. »
Oliver lo guadò scettico.
« Cioè, dici che esiste una maniera? E quale sarebbe? »
Jac prese un sorso di birra e iniziò a raccontare.
« Vedi: ho analizzato bene la cosa. Ne ho dedotto che in realtà è lo stesso problema di quando da bambino perdevi i denti. L’idea del dente che doveva cadere ti faceva temere un dolore insopportabile. Ma quando accadeva, il dente veniva via con uno strappo: il male in realtà era minimo. Nulla di simile alla paura subita nell’attesa. »
« Ok, Jac. Ma questa cosa non è come per un dente da bambino. »
« È lo stesso meccanismo Olli, credimi, basta provare. »
Ispirato, riprese a raccontare con tono profondo e filosofico.
« La gelosia per una donna è una paura creata dalla nostra mente. È simile a uno di quei grossi ascessi gonfi e purulenti che, se non si eliminano per tempo, s’ingigantiscono e finiscono con avvelenare il sangue, creando setticemia e spargendo cancrena in tutto il corpo. La cura è drastica! Il bubbone va inciso in profondità e poi spremuto senza temere il dolore benché sia violento. Bisogna continuare a spremere per far uscire tutta la materia infetta al suo interno. Solo quando comparirà del sangue vivido e pulito si potrà medicare la ferita. Non vi è altra strada che questo percorso, amico mio. »
« Diavolo! Ma tu come hai fatto? »
« Bisogna avere del coraggio Olli. Bisogna costringersi a guardare nel buco nero della nostra paura. Affacciarsi sull’orlo oscuro dell’abisso della nostra anima e guardare, senza distogliere gli occhi. »
« Allora spiegami come si fa, perché da solo non ci arrivo proprio. »
« Bada: non è facile, è anche assai doloroso. »
« Ok! Ma, alla fine sei guarito dalla gelosia? »
« Certo. Ma, occorre il proposito ferreo di guarire. »
« Dai! Non tenermi sulle spine. Sputa il rospo! »
« Dunque: per due mesi, mezzora al giorno, immaginai la mia Ophelia, bella e desiderabile com’era, discinta e piena di lussuria. Insomma dissoluta come mai l’avevo vista. »
Oliver attento alle sue parole, iniziò rapido a rollarsi una nuova sigaretta.
« Ok! La immaginavi infoiata. Ma non vedo come questo possa averti risolto il problema? »
« Al tempo Olli. La immaginavo così, ma non con me, bensì tra le braccia di un altro. »
« Oh! Cazzo! Un altro che te la scopasse? E chi?. »
« Non uno di preciso. Ogni volta pensavo a uno diverso. Mi figuravo le facce di quelli che sapevo desiderassero di portarsela a letto. Quelli che avvertivo come possibili antagonisti, in grado di poter piacere a lei. »
« Cristo! Che fantasia malata Jac. Ma questa cosa non ti faceva sbarellare di testa? »
« Per Dio! Puoi dirlo forte. Mi sembrava d'impazzire di gelosia. Mi venivano le vertigini e i sudori freddi. Alle volte mi accadeva anche di vomitare la colazione. Quando terminavo ero esausto, svuotato, uno straccio umano. »
Oliver fumava con accanimento, un lieve tremito alla mano segnava il nervosismo, ogni volta che portava alle labbra la sigaretta.
« Deve essere stata una cosa bestiale. »
« Sì, lo era. E ogni volta che facevo l’esercizio, alzavo l’asticella della fantasia. Mettevo negli atti degli eccessi di dissolutezza che mi stupivo di poter immaginare. Cose che, per pudore, non le avrei mai chiesto di fare con me. »
« Che follia! Lo credo bene. Pensare di vedere la mia Ruby impegnata in porcate con altri, mi fa venire la pelle d’oca solo a parlarne. »
« Infatti, come ho detto, è una pratica stravolgente, mette a dura prova la tua capacità di guardare nel buio della tua mente. »
« E questo, ti avrebbe guarito dalla gelosia? »
« Non lo crederai, ma è così. Dopo quel periodo è venuto il giorno in cui quelle immagini mi apparivano indifferenti, come se avessi fatto un poderoso vaccino contro il virus della malattia. »
« Veramente non provavi più fastidio o dolore? »
« Nulla! Come se gli interpreti di quelle fantasie fossero degli sconosciuti, anonimi attori di un film a luci rosse. »
« Per bacco! Eri guarito. »
« Sì! Ti dirò di più: per essere certo della guarigione permisi a Ophelia di uscire, da sola, a prendere un caffè con Tom Burns. »
« Diavolo! Tom Burns, lo ricordo bene! Quel bellimbusto, sciupafemmine, che correva dietro a tutte le gonnelle del circondario. Quello che poi è sparito. Dicevano che se la fosse data a gambe perché qualche marito incazzato lo cercava per ridargli il battesimo. »
« Esatto! Quel Tom Burns. »
Oliver si levò e stiracchiò lentamente le membra.
« Accidenti Jac, che storia! Mi hai incuriosito. Non prometto nulla, ma uno di questi giorni magari provo la cura. Del resto se funziona guarisco da questo inferno. Se non funziona, peggio di ora non può andare. »
Risero insieme con gran gusto.
« Prova Olli, poi mi racconti. »
« Certo. Sempre che non mi vada ad ammazzare oggi col furgone. Le due birre che mi hai fatto bere, tagliano le gambe una cosa che va bene. »
« Lo credo, vecchio ubriacone, hanno una gradazione alcolica che la misura dopo è lo scotch d’annata. »
Tornarono a ridere, dandosi affettuose pacche sulle spalle nel congedarsi
Il furgone di Oliver si allontanava sollevando nuvole di polvere, le prime gocce del temporale iniziavano a cadere sullo spiazzo della casa.
Jacob era contento di aver rivelato a Oliver la sua tecnica per vincere la gelosia.
Si domandava se il postino avrebbe avuto la forza di carattere per mettere in pratica il suo insegnamento.
Sapeva bene che quella cosa richiedeva uno sforzo disumano, paragonabile solo al fastidio che si prova quando il dentista tocca col trapano il nervo vivo, nel curarti una carie.
Caricò la pipa per una nuova fumata, guardò soddisfatto la pioggia iniziare a dissetare la terra arsa e brulla.
Le Rose di Ophelia avrebbero finalmente trovato nuova linfa su cui germogliare.
Anche lei e Tom, sotto i due metri di terra della montagnola, nellal quale dormivano da anni, ne sarebbero stati felici.
Ophelia amava troppo quei fiori.
Jacob Bennett era di cattivo umore quella mattina.
Nelle preparare le uova al tegamino della colazione il bacon si era carbonizzato: si era distratto per cacciare dalla cucina quel sacco di pulci di Duke che cercava di ficcare il muso nella sua tazza di latte e cereali.
Quel piccolo bastardo era la sola cosa che gli restava da quando Ophelia non c’era più: era il cane di lei, una vera sciagura quell'eredità.
Stava seduto nel patio a fumare la prima pipa della giornata e rimuginare i pensieri lugubri delle sue ore mattutine.
Il cielo di settembre era ingombro di nuvole: pensò che sarebbe venuto a piovere.
Osservò distratto la piccola montagnola al centro del giardino, il roseto di Ophelia era un cespuglio fitto e inestricabile di rami rinsecchiti.
La siccità degli ultimi mesi non aveva giovato a nuove fioriture, un po’ d’acqua avrebbe fatto bene a quei fiori.
Il pulmino postale guidato da Oliver Brooks spuntò sul viottolo polveroso che portava alla casa.
La figura segaligna e allampanata del portalettere scese dal mezzo reggendo alcune buste in mano.
« Salve Jac, come ti butta? Ho qui due lettere per te »
« Non c’è malaccio Olli. Saranno le solite fatture, nessuno oltre ai fornitori e la banca mi scrive mai. E tu, come te la passi? »
Sorridendo, Jacob fece cenno al postino di sedersi sulla panca accanto.
« Fermati un momento che ci facciamo una birra insieme. Lo sai che mi fa piacere di vedere almeno la tua brutta faccia ogni tanto. »
« Ahahah! Jac, sei un vecchio orso, si sa che non ti va di avere gente tra i piedi. »
« È vero, sopporto solo te che da anni mi porti, la posta con cose da pagare. »
« Jac, solo io riesco a mandare giù la birra che offri e dopo posso ancora a guidare il furgone, lo sai. »
« Perché sei più alcolizzato di me Olli. »
Risero di gusto.
Jacob prese dalla valigetta refrigerata due lattine nere di Oskar Blues Ten con le iscrizioni in oro.
Birra da dieci gradi e mezzo, roba spessa: l’unica che gli permettesse a di digerire le pesanti colazioni di prima mattina.
Stapparono le birre e iniziarono a bere lentamente.
Dopo il momento ludico restarono entrambi in silenzio, seri e pensosi come se gli umori si fossero adeguati al tono plumbeo del cielo sul giardino della casa.
Jacob, dette nuovamente fuoco alla pipa e tirò una profonda boccata.
« Che c’è Jac? Ti vedo cupo, hai qualche problema? » Chiese Oliver.
L’altro fece un sorriso stretto e tolse la pipa di bocca.
« C’è che ogni tanto mi manca Ophelia e ci penso. »
« Ti manca molto? »
« Sì, mi manca. Certe volte guardo il roseto e la rivedo nella mente: curva, con la cesoia in mano, a potare i rami secchi delle rose »
Oliver, scosse la testa e tirò fuori dal tascone della giubba la sacchetta del tabacco e le cartine.
« Le piacevano molto le rose vero? »
« Sì era una vera passione. Aveva il pollice verde la mia Ophelia. »
Annuì Jacob, poi aggiunse: « Il roseto quando lei era ancora qui, stava sul retro della casa. Da che sono rimasto solo, ho creato quella collinetta e piantate le rose dove stanno ora. Mi piace guardarle mentre sto seduto qui nel patio. »
Oliver guardò l’intrico di rami spogli con un’espressione incerta.
« Da quando se n’è andata, non ne sono più spuntate di belle come le sue. » Disse Jacob, un’ombra di amarezza gli passò negli occhi.
« La ricordo la tua Ophelia, era davvero una bella donna. »
« Puoi dirlo forte, era bella da perderci il senno. » Assentì Jacob.
Il cane era tornato e scavava terra con le zampe sulla montagnola delle rose.
« Duke! Maledetto sacco di pulci, fila via! »
Jacob gli lanciò la lattina vuota della birra per farlo allontanare.
« È una piattola quel botolo. Ha la mania di scavare su quella terra e di pisciarci sopra. » Brontolò tra i denti Jacob.
« Sono bestie Jac, hanno le loro manie »
« Sì, le bestie hanno le loro fissazioni, come gli uomini del resto. »
Jac svuotò la cenere della pipa battendola sulla balaustra del patio.
« E tu che problemi hai Olli? »
Olli scosse il capo espirando una boccata di fumo della sigaretta che aveva confezionato.
« Sempre lo stesso: Ruby mi provoca la gastrite. »
« È una bella puledra la tua Ruby, sei un uomo fortunato. »
« Sì, è una gran bella topa. Ma io ho quasi cinquant’anni e lei venti di meno. Questo è il vero problema.
Oliver sputtò sull’assito un briciolo di tabacco rimasto fra le labbra.
« Più o meno la differenza di anni tra me e Ophelia. » Considerò Jac.
« Ma da quando, per un uomo di cinquant’anni, è un problema una donna di trenta? »
« Jac, mio padre diceva che le donne molto belle vanno bene per divertirsi, ma non per sposarle. »
« Ahahaha! Olli, tuo padre la sapeva lunga sulle donnne. »
« Cazzo che sì! Era un gran puttaniere. La buonanima di mia madre era sempre incazzata per il rossetto che trovava sulle sue mutande, quando faceva il bucato. Ahaha! »
Oliver lanciò il mozzicone della cicca sulla polvere del viottolo, poi riprese: « Mi fa impazzire di gelosia. Lavora nel locale dell’irlandese, lo conosci? »
« E chi non conosce la bettola di quel grassone dal pelo rosso. » Annuì Jacob.
« Bèh! Vedi: lei in quel posto serve i clienti ai tavoli. Veste sempre quelle cose corte e scollate, che col fisico che si ritrova...puoi capirlo, ha sempre un’aria provocante. È più forte di lei, le piace esibire quello che la natura glia fornito. »
« Eh... ha tanta roba la tua Ruby. Grazie a Dio. Perché dovrebbe avere vergogna di lasciarsi ammirare? »
« Sì, lo so, ma non c’è verso di fargli capire che questo fa venire delle idee strane ai maschi. Le dico: amore, copriti, per favore! Ne discutiamo fino a litigare. Ma lei se ne sbatte. »
Jacon prese altre due birre e ne passò una a Oliver.
« Ai camionisti che vanno a mangiare in quel buco, non gli sembra vero di allungare le mani su culo e tette, ogni volta che passa tra i tavoli. »
« Vabbè, è adulta e vaccinata. Saprà dirgli di tenere le mani a posto. »
« Macché. Non ci pensa nemmeno. Invece di mollargli una sventola, squittisce e si limita a dei sorrisini di rimprovero. Dice che non può trattarli male perché l’irlandese non vuole che i clienti si lamentino, inoltre, non vuole perdere le mance. »
Oliver accompagnò le parole con un rutto rumoroso, causato dalla birra ingerita.
« Capisco. » Disse Jac. « E questa cosa ti fa incazzare. Giusto? »
« Puoi dirlo, Jac. Ci sclero di brutto. Mi tengo dall’andare là a prendere a calci qualcuno di quei maiali, solo per non farle perdere il lavoro. »
Jacob, pensoso, osservava le nuvole che si erano infittite.
« Ma, dimmi una cosa Olli, hai idea che ti tradisca? » Chiese al portalettere, dopo un momento di silenzio.
« No. Questo no. Ci metto la mano sul fuoco. Quando potrebbe del resto? Se non è al lavoro stiamo insieme. Potrebbe farsi solo una sveltina nel cesso del locale. Cosa che però non è possibile. »
Jaocob assentì: « Hai ragione! Il grassone se ne accorgerebbe subito: è lui che tiene la chiave della latrina, nessuno usa quel cesso senza che ne venga a conoscenza. »
« Esatto! Ma nonostante questo, il fatto che la tocchino e che lei li lasci fare, mi toglie il sonno la notte. »
« Ti capisco Olli. Anche io ho avuto un periodo nel quale ero gelosissimo della mia Ophelia. »
« Davvero jac? Non lo avrei mai detto. non mi sembri il tipo. »
Jacob tirò un lungo sospiro, come se gli tornassero in mente le ubbie di quel passato.
« Sì, invece. C’erano momenti in cui, se qualcuno la guardava, mi saliva il sangue agli occhi e vedevo rosso. Poi, mi sono dato una calmata. »
« Ti è passata la gelosia? »
« No, Olli. Ho scoperto il modo di farmela passare. »
Oliver lo guadò scettico.
« Cioè, dici che esiste una maniera? E quale sarebbe? »
Jac prese un sorso di birra e iniziò a raccontare.
« Vedi: ho analizzato bene la cosa. Ne ho dedotto che in realtà è lo stesso problema di quando da bambino perdevi i denti. L’idea del dente che doveva cadere ti faceva temere un dolore insopportabile. Ma quando accadeva, il dente veniva via con uno strappo: il male in realtà era minimo. Nulla di simile alla paura subita nell’attesa. »
« Ok, Jac. Ma questa cosa non è come per un dente da bambino. »
« È lo stesso meccanismo Olli, credimi, basta provare. »
Ispirato, riprese a raccontare con tono profondo e filosofico.
« La gelosia per una donna è una paura creata dalla nostra mente. È simile a uno di quei grossi ascessi gonfi e purulenti che, se non si eliminano per tempo, s’ingigantiscono e finiscono con avvelenare il sangue, creando setticemia e spargendo cancrena in tutto il corpo. La cura è drastica! Il bubbone va inciso in profondità e poi spremuto senza temere il dolore benché sia violento. Bisogna continuare a spremere per far uscire tutta la materia infetta al suo interno. Solo quando comparirà del sangue vivido e pulito si potrà medicare la ferita. Non vi è altra strada che questo percorso, amico mio. »
« Diavolo! Ma tu come hai fatto? »
« Bisogna avere del coraggio Olli. Bisogna costringersi a guardare nel buco nero della nostra paura. Affacciarsi sull’orlo oscuro dell’abisso della nostra anima e guardare, senza distogliere gli occhi. »
« Allora spiegami come si fa, perché da solo non ci arrivo proprio. »
« Bada: non è facile, è anche assai doloroso. »
« Ok! Ma, alla fine sei guarito dalla gelosia? »
« Certo. Ma, occorre il proposito ferreo di guarire. »
« Dai! Non tenermi sulle spine. Sputa il rospo! »
« Dunque: per due mesi, mezzora al giorno, immaginai la mia Ophelia, bella e desiderabile com’era, discinta e piena di lussuria. Insomma dissoluta come mai l’avevo vista. »
Oliver attento alle sue parole, iniziò rapido a rollarsi una nuova sigaretta.
« Ok! La immaginavi infoiata. Ma non vedo come questo possa averti risolto il problema? »
« Al tempo Olli. La immaginavo così, ma non con me, bensì tra le braccia di un altro. »
« Oh! Cazzo! Un altro che te la scopasse? E chi?. »
« Non uno di preciso. Ogni volta pensavo a uno diverso. Mi figuravo le facce di quelli che sapevo desiderassero di portarsela a letto. Quelli che avvertivo come possibili antagonisti, in grado di poter piacere a lei. »
« Cristo! Che fantasia malata Jac. Ma questa cosa non ti faceva sbarellare di testa? »
« Per Dio! Puoi dirlo forte. Mi sembrava d'impazzire di gelosia. Mi venivano le vertigini e i sudori freddi. Alle volte mi accadeva anche di vomitare la colazione. Quando terminavo ero esausto, svuotato, uno straccio umano. »
Oliver fumava con accanimento, un lieve tremito alla mano segnava il nervosismo, ogni volta che portava alle labbra la sigaretta.
« Deve essere stata una cosa bestiale. »
« Sì, lo era. E ogni volta che facevo l’esercizio, alzavo l’asticella della fantasia. Mettevo negli atti degli eccessi di dissolutezza che mi stupivo di poter immaginare. Cose che, per pudore, non le avrei mai chiesto di fare con me. »
« Che follia! Lo credo bene. Pensare di vedere la mia Ruby impegnata in porcate con altri, mi fa venire la pelle d’oca solo a parlarne. »
« Infatti, come ho detto, è una pratica stravolgente, mette a dura prova la tua capacità di guardare nel buio della tua mente. »
« E questo, ti avrebbe guarito dalla gelosia? »
« Non lo crederai, ma è così. Dopo quel periodo è venuto il giorno in cui quelle immagini mi apparivano indifferenti, come se avessi fatto un poderoso vaccino contro il virus della malattia. »
« Veramente non provavi più fastidio o dolore? »
« Nulla! Come se gli interpreti di quelle fantasie fossero degli sconosciuti, anonimi attori di un film a luci rosse. »
« Per bacco! Eri guarito. »
« Sì! Ti dirò di più: per essere certo della guarigione permisi a Ophelia di uscire, da sola, a prendere un caffè con Tom Burns. »
« Diavolo! Tom Burns, lo ricordo bene! Quel bellimbusto, sciupafemmine, che correva dietro a tutte le gonnelle del circondario. Quello che poi è sparito. Dicevano che se la fosse data a gambe perché qualche marito incazzato lo cercava per ridargli il battesimo. »
« Esatto! Quel Tom Burns. »
Oliver si levò e stiracchiò lentamente le membra.
« Accidenti Jac, che storia! Mi hai incuriosito. Non prometto nulla, ma uno di questi giorni magari provo la cura. Del resto se funziona guarisco da questo inferno. Se non funziona, peggio di ora non può andare. »
Risero insieme con gran gusto.
« Prova Olli, poi mi racconti. »
« Certo. Sempre che non mi vada ad ammazzare oggi col furgone. Le due birre che mi hai fatto bere, tagliano le gambe una cosa che va bene. »
« Lo credo, vecchio ubriacone, hanno una gradazione alcolica che la misura dopo è lo scotch d’annata. »
Tornarono a ridere, dandosi affettuose pacche sulle spalle nel congedarsi
Il furgone di Oliver si allontanava sollevando nuvole di polvere, le prime gocce del temporale iniziavano a cadere sullo spiazzo della casa.
Jacob era contento di aver rivelato a Oliver la sua tecnica per vincere la gelosia.
Si domandava se il postino avrebbe avuto la forza di carattere per mettere in pratica il suo insegnamento.
Sapeva bene che quella cosa richiedeva uno sforzo disumano, paragonabile solo al fastidio che si prova quando il dentista tocca col trapano il nervo vivo, nel curarti una carie.
Caricò la pipa per una nuova fumata, guardò soddisfatto la pioggia iniziare a dissetare la terra arsa e brulla.
Le Rose di Ophelia avrebbero finalmente trovato nuova linfa su cui germogliare.
Anche lei e Tom, sotto i due metri di terra della montagnola, nellal quale dormivano da anni, ne sarebbero stati felici.
Ophelia amava troppo quei fiori.