«Ma cos’è uno scherzo? Anna, vieni qui, dai un’occhiata».
«No direttore, credo nessuno si permetta nulla del genere. Forse dovremmo controllare…»
«Certo che dobbiamo controllare! Fallo subito! Fuseaux rosa e assicuratore al capolinea, scopri qualsiasi cosa su di loro. Veloce!»
Davide era da anni il criticato direttore de Il veritiro, una rivista proto europeista, fatta principalmente per gli italiani all’estero, insofferenti ai vari Panorama, L’Espresso... I caratteri psichedelici, le dimensioni esagerate, il colore, le immagini sgranate che Davide pubblicava tutte le settimane caratterizzavano quelle pagine e, a chi lo accusava di dirigere una rivista kitsch, lui rispondeva che la sua era la rivista più pulp che ci fosse in giro, un cult per passivi divoratori di dettagli. Davide era stato un giovane ambizioso, colmo di pietà e di talento, era andato in giro a cercare le notizie, poi, grazie ad alcuni begli articoli e amici ben collocati, aveva fatto carriera e ora se ne stava seduto a leggere dispacci di agenzia, seguiva conferenze stampa e si affidava alla gente, ai loro racconti che infarciva di dettagli per abbellire il male, appagando così noia e morbosità. Lui si definiva il più grande sciamano in circolazione. Batteva il tamburo e la gente accorreva per sentire la sua parola. Era sempre circondato da gente, donne belle che uscivano volentieri con lui e aveva una amica preziosa, Daria. Erano amici fin dai tempi dell’università e non aveva mai trovato in nessuna Luna, Monica, Caterina, Ilenia, Paola, la sua discrezione e intelligenza per cui, quando c’era un problema, il nome di Daria si materializzava a caratteri cubitali nel suo cervello. Fu così anche quel giorno:
«Ciao Daria, possiamo vederci a pranzo o a cena?»
«Che succede? Cos’è questa urgenza?»
«Ti spiego dopo. Pranzo o cena?»
«Cena».
«Passo a prenderti alle 20:30. Offro io».
«Va bene, a dopo».
Davide alle 20:25 arrivò e Daria era già pronta sul portone. Salì in macchina e diede un bacio sulla guancia dell’amico.
Andarono “Da Poldo”, un’osteria fuori mano dove si trovava ancora del buon vino della casa, tovaglie a quadretti rossi e bianchi e sapori antichi.
Lei, sorridente come sempre, aveva già infilato il suo nasone nel menù, mentre Davide, concitato, raccontava della mail ricevuta.
«Hai controllato di che si tratta? Fuseaux, ragioniere, esistono? Sono casi accaduti davvero?», chiese Daria.
«Sì, ne abbiamo anche scritto, ma non è emerso nulla, apparentemente due casi separati in due anni diversi. Nessuno gli ha dato peso perché due anni fa c’era il cadavere del babbo natale al centro commerciale e l’anno scorso la bambina di Via Margutta, ti ricordi? Quei casi hanno rubato la scena».
«Chiaro. Ma quelli di fuseaux e del ragioniere sono luoghi che frequenti?»
«No».
«Neanche il capolinea della linea cinque? Mai?»
«No. Sì! Una volta sì, ora sono mille anni che non bazzico più da quelle parti».
«Ok, e fuseaux rosa dove è stata trovata?»
«Sulla metro, a Numidio Quadrato, sulla Tuscolana».
«Hai agganci là?».
«No, non mi pare».
«Ok, com’è la tua pasta?»
«Molto buona, assaggia».
La serata trascorse leggera, veloce e piacevole come sempre quando erano insieme.
Riaccompagnandola a casa Davide chiese perché non si fossero ancora sposati e lei gli ricordò che: A, non glielo aveva mai chiesto seriamente; B, pesava tra i 100 e i 200 chili in più rispetto alle “bambine” con cui usciva di solito. Magari fra dieci anni… dopo una dieta feroce… se lei si fosse annoiata troppo... un attimo prima di morire magari… chissà!
Davide l’adorava.
«Allora, tornando a noi: un ragioniere fa subito pensare a soldi, contabilità truccata, magheggi, dare e avere, ma la ragazza con i fuseaux rosa?»
«No, lei è una romantica, una che ama ballare. Chi li porta al giorno d’oggi dei fuseaux rosa?»
«Una hippy!»
«Macché una hippy, piuttosto una esaurita. Tu!»
Risero insieme. Lei scese e si salutarono.
Davide si avviò verso casa. Parcheggiò e salì in ascensore. Un intenso profumo lo avvolse: avrebbe riconosciuto quel profumo tra mille altri e un’erezione improvvisa lo sorprese. Arrossì.
Telefonò a Daria.
«Dormi?»
«No, che vuoi?»
«In ascensore ho sentito un profumo».
«Rose, gigli e gelsomini? Tranquillo, era Padre Pio che era venuto a parlarti».
«Scema. Era “Terroni” di Orto Parisi».
«Avrei preferito Padre Pio. Chi è Terroni Parisi?»
«Lascia stare, il punto è: chi portava quel profumo lì?»
«Eh, chi lo portava?»
«Solo lui: Nicola Storti».
«Nico? Lo strabiliante Nico, intendi? Mr. Holiday? Ma dai, chissà dov’è quello. Non essere ridicolo e vai a dormire. Ciao, chiudo. Non disturbarmi più per oggi».
Davide si mise a letto, ma quel profumo aveva riportato alla mente vecchi ricordi.
Nicola era un uomo stravagante, eccentrico, egocentrico e matto. Anzi no! Mattissimo. Lo aveva conosciuto per caso in un bar. Nico aveva scordato un libro sul tavolo, Davide se ne era accorto, lo aveva rincorso per restituirglielo e avevano parlato per il resto della serata di Bukowski, Fante, Calleri (uno emergente), così era nata la loro amicizia. Da quel giorno avevano trascorso insieme le più assurde serate alcoliche, tossiche e pericolose che Davide ricordasse. Si divertivano moltissimo, stessi gusti, stesse voglie. La vita scorreva veloce, confusa e vivace. Nico aveva molto successo con le donne e Davide era talmente affascinato dai suoi modi che in quei giorni provava lui stesso sensazioni di onnipotenza e tutto sembrava possibile.
Una sera, dopo che avevano esagerato con tutto, Nico ci provò con Davide.
Anche Davide aveva voglia, ma quando si ritrovò la mano esploratrice là sotto si ritrasse.
«Che cazzo fai?», urlò. «Frocio di merda!», aggiunse.
Davide era sconvolto. Non tanto per il gesto di Nico, quanto perché aveva avuto un’erezione imbarazzante. Si fece più di 15 chilometri a piedi quella notte.
L’indomani Davide chiamò la sua ex ragazza e la convinse a rimettersi insieme. Aveva bisogno di stare con una donna, di dimostrare a sé stesso che si era trattato solo di una “strana” serata.
Nico lo cercò ancora, lui si negò. Si rividero una sera in un locale. Davide era in compagnia e Nico si sedette da solo al tavolo di fronte. Fu imbarazzante. Alla fine, Nico se ne andò senza concludere la cena, lasciò un libro sul tavolo, ma questa volta Davide non lo raccolse, il libro restò lì e di Nico si persero le tracce.
Davide sì svegliò perché il telefono squillava.
«Senti, a distanza di 25 anni tu ricordi ancora il profumo di Nico? Sono sempre stata gelosa di lui e ora lo sono ancora di più. Nico aveva un cuore di fiamme, ombre e bellezza. Me ne ero innamorata, sapevi? Peccato per lui esistessi solo tu. Tu e i Montgomery cocktail, fiumi di vodka e signorine tacchi alti e tette. Aveva nei tuoi confronti un attaccamento morboso, l’ho sempre considerato uno strano, anche se mi piaceva da morire e, ovviamente, ci ho fatto cose anch’io».
«Ci hai fatto cose? E perché io non l’ho mai saputo?».
«Boh, non ho ritenuto necessario informarti sugli andamenti della mia vita sessuale. Comunque, ora devo andare. Buona giornata, olfattologo».
A Davide balenò un ricordo e un brivido lo percorse: Piazza dei Gerani, capolinea del 5, dove era stato rinvenuto il ragioniere, era il posto dove avevano parcheggiato l’auto la sera in cui Nico ci aveva provato con lui e da Trinacria, un ristorante sulla Tuscolana a pochi passi dall’uscita della metro dove era stata ritrovata la… signorina, era il posto dove si erano incontrati per caso a cena.
Rilesse la mail e l’indizio:
Da terra puoi ancora sollevarti,
ma quando vedi il firmamento
sai che da lì dovrai allontanarti
però fa' attenzione al movimento
altrimenti sarai tu
il prossimo regalo
ma quando vedi il firmamento
sai che da lì dovrai allontanarti
però fa' attenzione al movimento
altrimenti sarai tu
il prossimo regalo
“Ci sono!”, pensò Davide e si ricordò che spesso andavano a bere il bicchiere della staffa lassù, da Rooftop, in quel club privato. Ci si arrivava arrampicandosi per un milione di scale però ne valeva la pena. Da lassù si vedevano i tetti di Roma e un sacco di stelle. Controllò su internet se quel bar ci fosse ancora. Chiuso!
Davide chiamò Daria:
«Tutto chiaro. L’appuntamento è su un tetto e se mi sbaglio Nico mi ucciderà, devi venire a guardarmi le spalle».
«Oh, hai fumato? Perché dovrebbe ucciderti? Non eravate amici?»
«É stato lui, ti dico».
«Come fai a saperlo?»
«Fiuto giornalistico».
«Si, va beh».
E dopo un’estenuante telefonata la convinse ad accompagnarlo, l’indomani sera, su quel lastrico solare. Siccome era la Vigilia di Natale però e Daria doveva passare dalla sorella, si dettero appuntamento alle 23:40 sul posto.
Da lì in poi Davide bighellonò per tutto il giorno, sfogliò riviste, guardò la tv, dormì poco e male. L’indomani, dopo aver girato a vuoto, si vestì elegante e uscì. Andò al ex Rooftop, salì i gradini fino in cima, si accertò che fosse ancora possibile raggiungere il terrazzo (era possibile), ridiscese, andò in un centro commerciale fingendo di cercare gli ultimi regali, perse tempo. Spiluccò la cena, visto che lo stomaco gli si contorceva per l’agitazione e finalmente venne l’ora di recarsi al suo “probabile” appuntamento. Arrivò in anticipo, nervoso e inquieto. Erano anni che non si sentiva così.
“E se avesse preso un grosso abbaglio? Se il suo fiuto fosse arrugginito? Se si fosse trattato di pure coincidenze?”. Per tutto il giorno si era tormentato con queste domande e perché Nico avrebbe dovuto volere la sua morte? Erano stati molto vicini un tempo, si capivano con uno sguardo, ma proprio per questo invece, la sua ipotesi, seppur assurda, non sembrava impossibile, anzi. Sapeva Nico capace di qualsiasi cosa. E Daria? Perché non arrivava? Non era da lei. La chiamò al cellulare, non rispose.
L’aspettò ancora dieci minuti. Niente. Un pensiero l’attraversò: “se fosse Daria ad essere in pericolo?”. Fece le scale volando e sugli ultimi gradini “il profumo” riempì le narici, stordendolo.
Centro!
Lui era lì.
La musica si diffondeva da un vecchio mangianastri…
(e tu lettore, ascolta!)
«Ciao, Nico, o preferisci ti chiami mr. Holiday? Ti piace mr. Holiday?»
«Abbastanza. Sei stato bravo a trovarmi».
«Diciamo che mi hai dato una grande mano, ma...»
«Ssssst, ascolta questa canzone, Davide. É bello quassù, vero?».
«Sì, bello. Davvero sei stato tu, Nico? La ragazza con i fuseaux rosa...»
«Temo di sì».
«Come hai potuto?»
«Ci sono arrivato per piccoli passaggi. Soffro della sindrome di Maudit, la conosci? No? Nessuno la conosce. Devo continuamente superare il mio limite. Lo inseguo, lo supero e passo al successivo, così all’infinito, senza fermarmi. Il punto è che quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarda dentro di te e l’asticella si alza sempre di più. Uccidere non è la cosa peggiore. Hai mai ammazzato un maiale, tu?»
«No».
«É la stessa cosa, maiale o cristiano fa lo stesso. Prima hai tra le braccia un corpo che si muove e quella è vita e un attimo dopo un ammasso di carne che non si muove più. É eccitante, senti l’odore della paura, soprattutto se la vittima sa che non ti fermerai, una sensazione potente. Ci saremmo divertiti insieme, ti avrei fatto esplorare l’animo umano da vicino, da dentro, mostrato in tutti i suoi meandri, le forme, anche quelle oscure, quelle indicibili, quelle che tu ami tanto. Siamo uguali io e te, solo che tu hai una ingordigia di particolari sensata e io sono matto. Per questo sono qui. É inutile che fai il direttorino del cazzo della tua rivistina del cazzo, non ti appagherà mai. Saresti dovuto venire via con me, forse ora non saremmo qui, miss fuseaux vivrebbe ancora e il ragioniere… no, quello no! Mi aveva anche sbagliato il 730!»
«Senti, o tu hai qualcosa di importante da dirmi o io devo andare a cercare Daria».
«Tu non vai da nessuna parte. Adesso stai qui».
E intanto Nico era salito sul cornicione.
«Oh, ma che fai? Scendi da lì! Così ti ammazzerai».
«Non sono io quello che deve morire, è la “nostra” amichetta che si sacrificherà», disse indicando la terrazza accanto.
Solo in quel momento Davide sentì mugolii arrivare da quella parte. Intanto l’occhio si era abituato all’oscurità e ora vedeva distintamente Daria legata e imbavagliata sulla sedia, forse sotto choc.
«Io qui ci vengo a fare parkour», disse Nico.
Davide era attanagliato.
«Cosa vuoi da me, mr. Holiday?»
«La tua attenzione. Salvami! Libera Daria».
«E come?»
«Salta!»
«Sei fuori, sarà più di un metro e mezzo tra qui e là».
«Adrenalina. Anche tu hai bisogno di questo. Salta e lei vivrà, ti sto regalando l’infinito, l’ho già fatto con te una volta, posso farlo ancora. Salta!»
«Tu sei scemo».
«Matto, non scemo e lei ha un ordigno addosso, se non salti tu tra tre minuti salta lei».
Senza pensarci Davide si tolse giaccone, giacca, camicia, si immaginò di avere 15 anni, quando saltare un fosso era cosa normale. Certo, in mezzo scorreva un fiumiciattolo, non una strada e l’altezza era livello terreno e non dieci piani d’altezza, ma doveva farlo.
“Nemmeno lo spazio per una rincorsa”, pensò.
Tremava, freddo e paura mischiati ma si sentiva vivo.
«Ti piace, eh? Conosco quella sensazione. Se chiudi gli occhi sentirai l’adrenalina scorrere, l’eccitazione salire», disse Nico ridendo.
«Sta zitto, coglione!»
Davide chiuse gli occhi e si lanciò.
Nel buio rumore di botte e ossa. Davide riuscì ad arrivare dall’altra parte aggrappandosi. Si sollevò e poi si lasciò cadere sul terrazzo dolorante e tramortito.
Di là Nico applaudiva. Davide liberò l’amica singhiozzante che, appena ebbe libera la bocca urlò:
«Non c’è nessun ordigno!»
Davide si girò, vide l’amico sorridergli e lo sentì dire:
«Vedrete qualcosa di indimenticabile, il superamento del mio ultimo limite. Buon Natale», e si lanciò di sotto.