1.
«Sembrava una montagna da scalare, eppure ci siamo: gli sforzi degli ultimi cinque anni stanno finalmente per concretizzarsi!»
Il dottor Stram gesticolava energicamente. Sulle labbra, stampato, un sorriso convinto.
«Giovedì verrà installato il nucleo del motore ad antimateria e verranno fatti i test di accensione. A quel punto, se tutto andrà come speriamo, saremo pronti. Potrebbero volerci ancora mesi per ripetere le verifiche sui sottosistemi di bordo ma, prima che finisca l’anno, l’Arca potrà salpare».
Il leader dell’Unione degli Stati Occidentali annuì.
«Presidente...» la voce di Stram adesso tradiva imbarazzo «Io e i ragazzi del team saremmo davvero onorati se lei riuscisse a presenziare alla prova di avvio del propulsore. Capisco che è chiederle molto, tra l’altro, come può immaginare, non ci sarà alcuna conferenza stampa, ma noi... ci terremmo davvero molto!»
Non era necessario puntualizzare che la stampa non sarebbe stata coinvolta: pensare di rendere pubblico il progetto sarebbe stata follia.
Anche dopo il vistoso calo demografico, il loro mondo ospitava ancora tre miliardi di disgraziati ma di questi solo una piccolissima parte avrebbe trovato posto sulle Arche. Tutti gli altri, semplicemente, sarebbero andati incontro all’inevitabile e, per quanto cinica potesse sembrare la constatazione, non c’era dubbio che lo avrebbero fatto più compostamente se non avessero saputo cosa li aspettava.
«Ci sarò. Senz’altro. E l’onore, mi creda, sarà mio».
I convenevoli furono interrotti dal trillo della proveniente dalla porta. Il Presidente premette un pulsante sulla scrivania sbloccando la serratura.
«I vostri caffè».
La giovane donna dai rigogliosi riccioli rossi rivolse un sorriso timido alle due personalità, poi depositò davanti a loro due piattini e altrettante tazzine.
«Quanto zucchero?»
«Lascia pure Alyssa; ci pensiamo noi» le rispose il Presidente.
La ragazza raccolse il vassoio e lasciò la stanza.
2.
Appena aveva cominciato a piovere le strade della capitale si erano svuotate.
La jet-car presidenziale sfilava lungo viali deserti e piazze enormi ma silenziose come cimiteri monumentali. La città era diventata un guscio privo di vita, triste presagio di quello che sarebbe diventata nel giro di pochi decenni da allora.
«Il centro meteorologico comunica che la pioggia cesserà in dieci minuti».
Il Presidente distolse lo sguardo dal suo flextab per rivolgere un cenno all'autista.
«Ottimo. Avremo il tempo di arrivare a destinazione con tutta calma e non incontreremo traffico».
L'uomo al volante rise fragorosamente.
«Lei riesce sempre a vedere l'aspetto positivo di ogni cosa; mi piace!» poi ricompostosi «Però un passaggio in carrozzeria, con relativo esborso, temo che non ce lo toglierà nessuno».
«Dovremmo farla ridipingere di color argento: almeno si noterebbero di meno gli effetti dell'acido» commentò il Presidente. Fece per riprendere il pannello pieghevole quando il suo sguardo fu attratto dalla sagoma scura della prima grande cupola.
Erano decenni che si ricorreva alle coltivazioni idroponiche all'interno di quella specie di serre immense: il terreno, contaminato ed insterilito dalle piogge acide non offriva più sufficienti garanzie.
Scrutò il paesaggio fin dove arrivava il suo sguardo. Non un albero, un arbusto verde, solo terra grigia.
Grigia come la pelle di un cadavere.
Con quella triste visione negli occhi, decise di tornare alle proprie attività.
Nella sala di controllo dello spazioporto tecnici ed ingegneri fissavano senza sosta gli strumenti delle loro postazioni, in attesa di ricevere i dati telemetrici dall’Arca.
Un enorme schermo sospeso sulle teste dei presenti riproduceva le immagini riprese dal vivo dagli innumerevoli droni-telecamere in azione presso il cantiere orbitale.
Seduto accanto al dottor Stram, responsabile di missione, l’attenzione del Presidente era rapita dalla bellezza delle immagini alle quali stava assistendo.
Come sospesa su quel sontuoso drappo azzurro venato di bianco che era l’atmosfera del pianeta, la gigantesca infrastruttura industriale, un’autentica fabbrica nello spazio, sembrava fragile come una cannicciata di giunchi abbandonata su un corso d’acqua impetuoso. Nella cavità interna, l’Arca, vanto dell’ingegneria umana, sonnecchiava in attesa di ricevere il suo cuore pulsante.
«Qui Caronte» gracchiarono i diffusori in sala «Sarò in posizione in sette, sei...»
Il maxischermo mostrò l'immagine di un piccolo transporter che si approssimava, sempre più lentamente, alla stiva aperta dell'Arca.
«... due, uno, motori fermi. Comandi in modalità guida remota».
Uno degli ingegneri del Comando Missione confermò che il computer dell'astroporto aveva assunto il controllo del velivolo.
Il transporter manovrò per allinearsi esattamente all'astronave, infine vi si agganciò solidalmente.
«Qui Arca: procediamo a recuperare il nucleo».
Il regista aveva zumato su un dispositivo che fuoriusciva lentamente dalla pancia del transporter, imbracato ad una slitta a propulsione. Un astronauta in tuta da operazioni extraveicolari ne guidava i movimenti con una specie di grosso telecomando.
«È tutto lì il nucleo del motore ad antimateria? Basterà per l'intero viaggio?» chiese il Presidente sporgendosi verso il dott. Stram.
«Secondo i nostri calcoli dovrebbe garantire energia per quasi venticinque anni; per raggiungere Teegarden b, dovrebbero bastare quindici anni di autonomia».
«E se dovessero esserci problemi? È una tecnologia mai sperimentata, giusto?»
Stram fece una smorfia. Nonostante avesse almeno vent'anni meno del Presidente e un viso gioviale, da eterno ragazzino, la sua espressione in quel frangente lo fece apparire il più adulto dei due.
«Se il nucleo malfunzionasse, probabilmente l'Arca si trasformerebbe in una palla di fuoco e tutti i suoi ospiti finirebbero la loro esistenza come polvere cosmica. Però, me lo lasci dire: quell'affare funzionerà! E la sa un'altra cosa? Quando tutto sarà pronto, io vorrò essere a bordo della nave a giocarmi le mie carte per la sopravvivenza, piuttosto che sul nostro pianeta ad attendere impotente la fine».
«Comando missione: il nucleo è in posizione e collegato».
«Forza ragazzi, è la prova del nove tanto attesa!» proclamò Stram ad alta voce.
Un tecnico premette alcuni pulsanti sulla propria consolle «Valvole di sicurezza sbloccate».
«Sistema di pre-iniezione attivato» gli fece eco un altro.
«Accumulatore per la compensazione di carico pronto. Tutti i sistemi attivi».
Stram si rivolse al Presidente. «A lei l'onore» gli disse, indicando il grande bottone rosso con la scritta START.
3.
Il libro aveva le pagine ingiallite e macchiate. Anche i colori delle illustrazioni avevano perso la loro brillantezza.
Alyssa lo sfogliava con cautela e rispetto, quasi timorosa che le sue mani apparissero profane al cospetto di quella specie di reliquia.
«Ah, sei ancora qui?»
La ragazza trasalì. Si affrettò a riporre il volume nello scaffale e si voltò. Il Presidente la stava fissando.
«Io... giuro che lo avrei rimesso al suo posto» si morse il labbro inferiore «Dico davvero».
«Non ho mai pensato qualcosa di diverso» la confortò lui. «Perciò ti piacciono i libri?»
Alyssa sorrise; due fossette si formarono sulle sue guance. «Mi incuriosiscono e mi affascinano. Sono un modo così inefficiente per trasmettere conoscenza eppure... Questi libri avranno cent'anni...»
«Qualcuno anche duecento» la corresse lui.
«Duecento... È incredibile pensare a quante persone li avranno letti. Per alcune di loro avranno avuto un significato particolare, magari in certi momenti della loro vita. E, magari, proprio per questo, li avranno prestati o regalati alle persone care: figli, parenti, amici...»
«Quanta poesia!» Un sorriso apparve sulle labbra del politico.
La ragazza arrossì. «Sì, e poi c'è il fattore collezionismo: i libri cartacei sono ormai introvabili; alcuni di questi volumi...» guardò in direzione della libreria che occupava l'intera parete «... varranno una fortuna».
Il Presidente aveva preso dallo scaffale il libro di Alyssa.
«Hanno tutti un certo valore sul mercato, ma quello su cui ti eri soffermata non è il più prezioso della collezione. Una conferma dell'opinione che tu non sia una ladra: una professionista del settore avrebbe avuto più fiuto per certe cose!»
La giovane rise imbarazzata. I suoi occhi verdi brillavano.
«La piccola fiammiferaia... Lo hai mai letto? Cosa significa questo libro per te?» la incalzò il Presidente.
Alyssa inspirò a fondo; un'ombra sembrò rabbuiarne lo sguardo.
«Questa storia ce la leggevano all'orfanotrofio. Ci dicevano che dovevamo considerarci fortunati: come la ragazzina della favola, non tutti i bambini senza un padre e una madre avevano un tetto sulla testa».
«Già...» con un plop il volume nelle mani del Presidente si chiuse. «Proprio fortunata».
Rimase immobile e silenzioso per un istante poi allungò il libro verso la ragazza. «È tuo!» Le sorrise «Sono certo che a leggerlo adesso avrà un sapore diverso» sembrò avesse finito poi aggiunse «Anche se nella vita avrai altri momenti bui, ricorda di non perdere mai la speranza».
4.
«Che hai detto?» la tazzina che Stram aveva sollevato restò a mezz'aria.
«Intendo cedere il mio posto sull'Arca ad Alyssa».
L'altro sembrò interdetto. Si chinò per posare il caffè sul tavolino che aveva di fronte poi tornò a scrutarlo.
«Stiamo parlando della ragazza dai capelli rossi che hai in casa, giusto? La domestica... Ma perché?» Lo scienziato si accorse si accorse di quanto indiscreta fosse la sua domanda un attimo dopo averla pronunciata. Scosse il capo «Scusami Jesse, è che non ero preparato a questa cosa».
«Non preoccuparti» lo rassicurò il Presidente. «Prima, però, che ti faccia idee strane vorrei che sapessi tutto».
«Tutto cosa?»
«La verità». Lo statista respirò a fondo infine disse: «Alyssa è mia figlia!»
Stram restò immobile, sembrava quasi che avesse smesso persino di respirare.
«È nata da una relazione extraconiugale. Venticinque anni fa avevo un'amante, una ragazza giovane e carina di cui... di cui non ricordo neppure il nome».
L'altro continuava a fissarlo, silenzioso.
«La nostra relazione non durò a lungo: quando lei mi disse che era rimasta incinta ebbi paura. Temetti che lo scandalo avrebbe potuto nuocere alla mia carriera politica e così l'allontanai non prima, però, di averla pagata per assicurarmi il suo silenzio. Seppi poi che non aveva abortito, come le avevo chiesto di fare: aveva dato alla luce una bambina senza però riconoscerla. Quando, anni dopo, il mio matrimonio naufragò definitivamente, ritrovare la bambina, mia figlia, diventò un imperativo per me. Mi misi alla sua ricerca, ma le tracce che portavano a lei sembravano perdersi in un groviglio inestricabile di orfanotrofi, case famiglia e affidamenti provvisori. Almeno, fino a quest’anno quando finalmente l’ho rintracciata. Alyssa, appunto».
«La ragazza lo sa?»
Il Presidente scosse il capo. «No. E adesso, a due settimane dalla partenza, non so neanche se avrebbe un senso dirglielo».
Restarono a lungo in silenzio, poi lo scienziato parlò e la sua voce tradiva imbarazzo.
«Senti Jesse, ma sarebbe così grave se aggiungessi anche il tuo nome su quella lista? Dopotutto, l’Arca partirà con trecento posti vuoti…»
L’uomo politico chiuse gli occhi e scosse il capo. «Quelli sono i posti riservati ai nati a bordo, non ai vecchi che pretendono di recuperare il rapporto con la propria figlia con un ritardo di venticinque anni». Dette una pacca sulla spalla all’amico «Jonas, davvero, non preoccuparti per me: sto facendo la cosa giusta. Piuttosto, e scusami la franchezza, non ti ho fatto venire qui solo per raccontarti quanto male mi comportavo in gioventù; in realtà, volevo chiederti un favore».
Stram annuì. «Certo, dimmi pure».
5.
Alyssa era frastornata. Il leggero tremolio che la cullava fin da quando erano partiti non era riuscito a placare il caos delle sue emozioni. Era triste, spaventata, furiosa, sollevata: in una parola, frastornata.
Al briefing di quella mattina, l'oratore era andato dritto al punto: la vita sul pianeta era destinata a spegnersi nel giro di due o tre decenni al massimo.
Delle dimostrazioni successive, circa la catena di eventi che avrebbero portato all'estinzione di massa, non aveva compreso proprio ogni passaggio, ma le era rimasta impressa la sentenza finale Non c'è che una speranza per il Genere Umano: trovare una nuova casa su un nuovo Mondo.
Ed ecco che entravano in gioco loro che erano stati selezionati, tra i miliardi di abitanti del pianeta, per essere i coloni che avrebbero mantenuto viva la fiamma della speranza per l'Uomo.
Alyssa non si sentiva davvero in grado di ricevere una simile responsabilità. Tra l'altro non aveva capito cosa si aspettassero esattamente da lei. Era accaduto tutto così in fretta...
Il vagito di un neonato la fece riemergere dai suoi pensieri. Osservò gli altri occupanti dell'ascensore spaziale. Vide famiglie con bambini, coppie giovani e più mature; tutti avevano un'espressione indecifrabile in volto, la stessa che doveva avere anche lei.
Con la differenza che lei era sola.
Avrebbe voluto telefonare al Presidente, lui di certo l'avrebbe saputa consigliare, ma allo spazioporto le avevano tolto il cellulare: questioni di sicurezza nazionale, avevano detto.
Aprì la grande sacca di tela che conteneva il bagaglio che aveva portato con sé e prese il libro che lui le aveva regalato. Lo strinse tra le braccia. La cosa la fece sentire meglio.
L'ascensore rallentò. Luce e ombra si alternarono mentre la cabina attraversava un'intricata selva di tralicci metallici uniti insieme a creare una struttura massiccia su più livelli.
Da quella prospettiva, Alyssa non riusciva a cogliere l'aspetto complessivo della stazione orbitale, ma non appena l'elevatore riemerse alla luce, ciò che vide la lasciò senza fiato. Rifulgente d'oro e d'argento, sotto i raggi del sole al tramonto, l'Arca, si manifestò in tutta la sua imponente presenza. Sulla carlinga, quattro lettere in azzurro formavano la parola Hope.
La prima Arca che l'Uomo avrebbe lanciato nello spazio profondo era stata battezzata "Speranza".
Era troppo per lei e si trovò a piangere le lacrime che fin qui aveva trattenuto.
Alyssa allungò il braccio verso lo scanner portatile brandito dall'agente di sicurezza. Bastò un attimo allo strumento per leggere il chip identificativo impiantatole sottopelle ed emettere un rassicurante beep di conferma.
«Segua il corridoio fino in fondo, poi a destra».
Raccolse da terra la sacca di tela, se la mise a tracolla e si avviò.
In fondo al corridoio il passaggio a destra si biforcava ulteriormente. Si chiese quale avrebbe dovuto percorrere, dato che non c'erano indicazioni di sorta e nessuno in giro a cui chiedere.
«Signorina Alyssa» si sentì chiamare.
«Dottor Stram!» Accennò una specie di inchino all'indirizzo dell'uomo che le veniva incontro con un sorriso caloroso stampato sulle labbra.
«Anche lei tra noi, vedo. Me ne compiaccio».
Alyssa annuì. «Eccomi qua. Sembra che debba ringraziare un... algoritmo che mi avrebbe scelta tra non so quante altre persone».
Stram rise di gusto. «Già, certi algoritmi funzionano meglio di altri». Tornato serio «Tutta sola?» chiese. «Che ne dice di unirsi a noi? Mia moglie e le mie figlie mi aspettano poco più avanti al bar».
Alyssa annuì e s'incamminò dietro lo scienziato.
«Dottore, sa se il Presidente è a bordo; vorrei ringraziarlo».
L'altro sorrise. «Lui aveva ancora qualcosa da sbrigare giù: è il Presidente, è sempre indaffarato. Partirà con una delle prossime Arche» fece una pausa. «Ah, eccole!» disse indicando delle donne che lo salutavano. «Venga».
Quando le raggiunsero, Stram mise un braccio intorno alle spalle della moglie.
«Ora possiamo andare».
«Sembrava una montagna da scalare, eppure ci siamo: gli sforzi degli ultimi cinque anni stanno finalmente per concretizzarsi!»
Il dottor Stram gesticolava energicamente. Sulle labbra, stampato, un sorriso convinto.
«Giovedì verrà installato il nucleo del motore ad antimateria e verranno fatti i test di accensione. A quel punto, se tutto andrà come speriamo, saremo pronti. Potrebbero volerci ancora mesi per ripetere le verifiche sui sottosistemi di bordo ma, prima che finisca l’anno, l’Arca potrà salpare».
Il leader dell’Unione degli Stati Occidentali annuì.
«Presidente...» la voce di Stram adesso tradiva imbarazzo «Io e i ragazzi del team saremmo davvero onorati se lei riuscisse a presenziare alla prova di avvio del propulsore. Capisco che è chiederle molto, tra l’altro, come può immaginare, non ci sarà alcuna conferenza stampa, ma noi... ci terremmo davvero molto!»
Non era necessario puntualizzare che la stampa non sarebbe stata coinvolta: pensare di rendere pubblico il progetto sarebbe stata follia.
Anche dopo il vistoso calo demografico, il loro mondo ospitava ancora tre miliardi di disgraziati ma di questi solo una piccolissima parte avrebbe trovato posto sulle Arche. Tutti gli altri, semplicemente, sarebbero andati incontro all’inevitabile e, per quanto cinica potesse sembrare la constatazione, non c’era dubbio che lo avrebbero fatto più compostamente se non avessero saputo cosa li aspettava.
«Ci sarò. Senz’altro. E l’onore, mi creda, sarà mio».
I convenevoli furono interrotti dal trillo della proveniente dalla porta. Il Presidente premette un pulsante sulla scrivania sbloccando la serratura.
«I vostri caffè».
La giovane donna dai rigogliosi riccioli rossi rivolse un sorriso timido alle due personalità, poi depositò davanti a loro due piattini e altrettante tazzine.
«Quanto zucchero?»
«Lascia pure Alyssa; ci pensiamo noi» le rispose il Presidente.
La ragazza raccolse il vassoio e lasciò la stanza.
2.
Appena aveva cominciato a piovere le strade della capitale si erano svuotate.
La jet-car presidenziale sfilava lungo viali deserti e piazze enormi ma silenziose come cimiteri monumentali. La città era diventata un guscio privo di vita, triste presagio di quello che sarebbe diventata nel giro di pochi decenni da allora.
«Il centro meteorologico comunica che la pioggia cesserà in dieci minuti».
Il Presidente distolse lo sguardo dal suo flextab per rivolgere un cenno all'autista.
«Ottimo. Avremo il tempo di arrivare a destinazione con tutta calma e non incontreremo traffico».
L'uomo al volante rise fragorosamente.
«Lei riesce sempre a vedere l'aspetto positivo di ogni cosa; mi piace!» poi ricompostosi «Però un passaggio in carrozzeria, con relativo esborso, temo che non ce lo toglierà nessuno».
«Dovremmo farla ridipingere di color argento: almeno si noterebbero di meno gli effetti dell'acido» commentò il Presidente. Fece per riprendere il pannello pieghevole quando il suo sguardo fu attratto dalla sagoma scura della prima grande cupola.
Erano decenni che si ricorreva alle coltivazioni idroponiche all'interno di quella specie di serre immense: il terreno, contaminato ed insterilito dalle piogge acide non offriva più sufficienti garanzie.
Scrutò il paesaggio fin dove arrivava il suo sguardo. Non un albero, un arbusto verde, solo terra grigia.
Grigia come la pelle di un cadavere.
Con quella triste visione negli occhi, decise di tornare alle proprie attività.
Nella sala di controllo dello spazioporto tecnici ed ingegneri fissavano senza sosta gli strumenti delle loro postazioni, in attesa di ricevere i dati telemetrici dall’Arca.
Un enorme schermo sospeso sulle teste dei presenti riproduceva le immagini riprese dal vivo dagli innumerevoli droni-telecamere in azione presso il cantiere orbitale.
Seduto accanto al dottor Stram, responsabile di missione, l’attenzione del Presidente era rapita dalla bellezza delle immagini alle quali stava assistendo.
Come sospesa su quel sontuoso drappo azzurro venato di bianco che era l’atmosfera del pianeta, la gigantesca infrastruttura industriale, un’autentica fabbrica nello spazio, sembrava fragile come una cannicciata di giunchi abbandonata su un corso d’acqua impetuoso. Nella cavità interna, l’Arca, vanto dell’ingegneria umana, sonnecchiava in attesa di ricevere il suo cuore pulsante.
«Qui Caronte» gracchiarono i diffusori in sala «Sarò in posizione in sette, sei...»
Il maxischermo mostrò l'immagine di un piccolo transporter che si approssimava, sempre più lentamente, alla stiva aperta dell'Arca.
«... due, uno, motori fermi. Comandi in modalità guida remota».
Uno degli ingegneri del Comando Missione confermò che il computer dell'astroporto aveva assunto il controllo del velivolo.
Il transporter manovrò per allinearsi esattamente all'astronave, infine vi si agganciò solidalmente.
«Qui Arca: procediamo a recuperare il nucleo».
Il regista aveva zumato su un dispositivo che fuoriusciva lentamente dalla pancia del transporter, imbracato ad una slitta a propulsione. Un astronauta in tuta da operazioni extraveicolari ne guidava i movimenti con una specie di grosso telecomando.
«È tutto lì il nucleo del motore ad antimateria? Basterà per l'intero viaggio?» chiese il Presidente sporgendosi verso il dott. Stram.
«Secondo i nostri calcoli dovrebbe garantire energia per quasi venticinque anni; per raggiungere Teegarden b, dovrebbero bastare quindici anni di autonomia».
«E se dovessero esserci problemi? È una tecnologia mai sperimentata, giusto?»
Stram fece una smorfia. Nonostante avesse almeno vent'anni meno del Presidente e un viso gioviale, da eterno ragazzino, la sua espressione in quel frangente lo fece apparire il più adulto dei due.
«Se il nucleo malfunzionasse, probabilmente l'Arca si trasformerebbe in una palla di fuoco e tutti i suoi ospiti finirebbero la loro esistenza come polvere cosmica. Però, me lo lasci dire: quell'affare funzionerà! E la sa un'altra cosa? Quando tutto sarà pronto, io vorrò essere a bordo della nave a giocarmi le mie carte per la sopravvivenza, piuttosto che sul nostro pianeta ad attendere impotente la fine».
«Comando missione: il nucleo è in posizione e collegato».
«Forza ragazzi, è la prova del nove tanto attesa!» proclamò Stram ad alta voce.
Un tecnico premette alcuni pulsanti sulla propria consolle «Valvole di sicurezza sbloccate».
«Sistema di pre-iniezione attivato» gli fece eco un altro.
«Accumulatore per la compensazione di carico pronto. Tutti i sistemi attivi».
Stram si rivolse al Presidente. «A lei l'onore» gli disse, indicando il grande bottone rosso con la scritta START.
3.
Il libro aveva le pagine ingiallite e macchiate. Anche i colori delle illustrazioni avevano perso la loro brillantezza.
Alyssa lo sfogliava con cautela e rispetto, quasi timorosa che le sue mani apparissero profane al cospetto di quella specie di reliquia.
«Ah, sei ancora qui?»
La ragazza trasalì. Si affrettò a riporre il volume nello scaffale e si voltò. Il Presidente la stava fissando.
«Io... giuro che lo avrei rimesso al suo posto» si morse il labbro inferiore «Dico davvero».
«Non ho mai pensato qualcosa di diverso» la confortò lui. «Perciò ti piacciono i libri?»
Alyssa sorrise; due fossette si formarono sulle sue guance. «Mi incuriosiscono e mi affascinano. Sono un modo così inefficiente per trasmettere conoscenza eppure... Questi libri avranno cent'anni...»
«Qualcuno anche duecento» la corresse lui.
«Duecento... È incredibile pensare a quante persone li avranno letti. Per alcune di loro avranno avuto un significato particolare, magari in certi momenti della loro vita. E, magari, proprio per questo, li avranno prestati o regalati alle persone care: figli, parenti, amici...»
«Quanta poesia!» Un sorriso apparve sulle labbra del politico.
La ragazza arrossì. «Sì, e poi c'è il fattore collezionismo: i libri cartacei sono ormai introvabili; alcuni di questi volumi...» guardò in direzione della libreria che occupava l'intera parete «... varranno una fortuna».
Il Presidente aveva preso dallo scaffale il libro di Alyssa.
«Hanno tutti un certo valore sul mercato, ma quello su cui ti eri soffermata non è il più prezioso della collezione. Una conferma dell'opinione che tu non sia una ladra: una professionista del settore avrebbe avuto più fiuto per certe cose!»
La giovane rise imbarazzata. I suoi occhi verdi brillavano.
«La piccola fiammiferaia... Lo hai mai letto? Cosa significa questo libro per te?» la incalzò il Presidente.
Alyssa inspirò a fondo; un'ombra sembrò rabbuiarne lo sguardo.
«Questa storia ce la leggevano all'orfanotrofio. Ci dicevano che dovevamo considerarci fortunati: come la ragazzina della favola, non tutti i bambini senza un padre e una madre avevano un tetto sulla testa».
«Già...» con un plop il volume nelle mani del Presidente si chiuse. «Proprio fortunata».
Rimase immobile e silenzioso per un istante poi allungò il libro verso la ragazza. «È tuo!» Le sorrise «Sono certo che a leggerlo adesso avrà un sapore diverso» sembrò avesse finito poi aggiunse «Anche se nella vita avrai altri momenti bui, ricorda di non perdere mai la speranza».
4.
«Che hai detto?» la tazzina che Stram aveva sollevato restò a mezz'aria.
«Intendo cedere il mio posto sull'Arca ad Alyssa».
L'altro sembrò interdetto. Si chinò per posare il caffè sul tavolino che aveva di fronte poi tornò a scrutarlo.
«Stiamo parlando della ragazza dai capelli rossi che hai in casa, giusto? La domestica... Ma perché?» Lo scienziato si accorse si accorse di quanto indiscreta fosse la sua domanda un attimo dopo averla pronunciata. Scosse il capo «Scusami Jesse, è che non ero preparato a questa cosa».
«Non preoccuparti» lo rassicurò il Presidente. «Prima, però, che ti faccia idee strane vorrei che sapessi tutto».
«Tutto cosa?»
«La verità». Lo statista respirò a fondo infine disse: «Alyssa è mia figlia!»
Stram restò immobile, sembrava quasi che avesse smesso persino di respirare.
«È nata da una relazione extraconiugale. Venticinque anni fa avevo un'amante, una ragazza giovane e carina di cui... di cui non ricordo neppure il nome».
L'altro continuava a fissarlo, silenzioso.
«La nostra relazione non durò a lungo: quando lei mi disse che era rimasta incinta ebbi paura. Temetti che lo scandalo avrebbe potuto nuocere alla mia carriera politica e così l'allontanai non prima, però, di averla pagata per assicurarmi il suo silenzio. Seppi poi che non aveva abortito, come le avevo chiesto di fare: aveva dato alla luce una bambina senza però riconoscerla. Quando, anni dopo, il mio matrimonio naufragò definitivamente, ritrovare la bambina, mia figlia, diventò un imperativo per me. Mi misi alla sua ricerca, ma le tracce che portavano a lei sembravano perdersi in un groviglio inestricabile di orfanotrofi, case famiglia e affidamenti provvisori. Almeno, fino a quest’anno quando finalmente l’ho rintracciata. Alyssa, appunto».
«La ragazza lo sa?»
Il Presidente scosse il capo. «No. E adesso, a due settimane dalla partenza, non so neanche se avrebbe un senso dirglielo».
Restarono a lungo in silenzio, poi lo scienziato parlò e la sua voce tradiva imbarazzo.
«Senti Jesse, ma sarebbe così grave se aggiungessi anche il tuo nome su quella lista? Dopotutto, l’Arca partirà con trecento posti vuoti…»
L’uomo politico chiuse gli occhi e scosse il capo. «Quelli sono i posti riservati ai nati a bordo, non ai vecchi che pretendono di recuperare il rapporto con la propria figlia con un ritardo di venticinque anni». Dette una pacca sulla spalla all’amico «Jonas, davvero, non preoccuparti per me: sto facendo la cosa giusta. Piuttosto, e scusami la franchezza, non ti ho fatto venire qui solo per raccontarti quanto male mi comportavo in gioventù; in realtà, volevo chiederti un favore».
Stram annuì. «Certo, dimmi pure».
5.
Alyssa era frastornata. Il leggero tremolio che la cullava fin da quando erano partiti non era riuscito a placare il caos delle sue emozioni. Era triste, spaventata, furiosa, sollevata: in una parola, frastornata.
Al briefing di quella mattina, l'oratore era andato dritto al punto: la vita sul pianeta era destinata a spegnersi nel giro di due o tre decenni al massimo.
Delle dimostrazioni successive, circa la catena di eventi che avrebbero portato all'estinzione di massa, non aveva compreso proprio ogni passaggio, ma le era rimasta impressa la sentenza finale Non c'è che una speranza per il Genere Umano: trovare una nuova casa su un nuovo Mondo.
Ed ecco che entravano in gioco loro che erano stati selezionati, tra i miliardi di abitanti del pianeta, per essere i coloni che avrebbero mantenuto viva la fiamma della speranza per l'Uomo.
Alyssa non si sentiva davvero in grado di ricevere una simile responsabilità. Tra l'altro non aveva capito cosa si aspettassero esattamente da lei. Era accaduto tutto così in fretta...
Il vagito di un neonato la fece riemergere dai suoi pensieri. Osservò gli altri occupanti dell'ascensore spaziale. Vide famiglie con bambini, coppie giovani e più mature; tutti avevano un'espressione indecifrabile in volto, la stessa che doveva avere anche lei.
Con la differenza che lei era sola.
Avrebbe voluto telefonare al Presidente, lui di certo l'avrebbe saputa consigliare, ma allo spazioporto le avevano tolto il cellulare: questioni di sicurezza nazionale, avevano detto.
Aprì la grande sacca di tela che conteneva il bagaglio che aveva portato con sé e prese il libro che lui le aveva regalato. Lo strinse tra le braccia. La cosa la fece sentire meglio.
L'ascensore rallentò. Luce e ombra si alternarono mentre la cabina attraversava un'intricata selva di tralicci metallici uniti insieme a creare una struttura massiccia su più livelli.
Da quella prospettiva, Alyssa non riusciva a cogliere l'aspetto complessivo della stazione orbitale, ma non appena l'elevatore riemerse alla luce, ciò che vide la lasciò senza fiato. Rifulgente d'oro e d'argento, sotto i raggi del sole al tramonto, l'Arca, si manifestò in tutta la sua imponente presenza. Sulla carlinga, quattro lettere in azzurro formavano la parola Hope.
La prima Arca che l'Uomo avrebbe lanciato nello spazio profondo era stata battezzata "Speranza".
Era troppo per lei e si trovò a piangere le lacrime che fin qui aveva trattenuto.
Alyssa allungò il braccio verso lo scanner portatile brandito dall'agente di sicurezza. Bastò un attimo allo strumento per leggere il chip identificativo impiantatole sottopelle ed emettere un rassicurante beep di conferma.
«Segua il corridoio fino in fondo, poi a destra».
Raccolse da terra la sacca di tela, se la mise a tracolla e si avviò.
In fondo al corridoio il passaggio a destra si biforcava ulteriormente. Si chiese quale avrebbe dovuto percorrere, dato che non c'erano indicazioni di sorta e nessuno in giro a cui chiedere.
«Signorina Alyssa» si sentì chiamare.
«Dottor Stram!» Accennò una specie di inchino all'indirizzo dell'uomo che le veniva incontro con un sorriso caloroso stampato sulle labbra.
«Anche lei tra noi, vedo. Me ne compiaccio».
Alyssa annuì. «Eccomi qua. Sembra che debba ringraziare un... algoritmo che mi avrebbe scelta tra non so quante altre persone».
Stram rise di gusto. «Già, certi algoritmi funzionano meglio di altri». Tornato serio «Tutta sola?» chiese. «Che ne dice di unirsi a noi? Mia moglie e le mie figlie mi aspettano poco più avanti al bar».
Alyssa annuì e s'incamminò dietro lo scienziato.
«Dottore, sa se il Presidente è a bordo; vorrei ringraziarlo».
L'altro sorrise. «Lui aveva ancora qualcosa da sbrigare giù: è il Presidente, è sempre indaffarato. Partirà con una delle prossime Arche» fece una pausa. «Ah, eccole!» disse indicando delle donne che lo salutavano. «Venga».
Quando le raggiunsero, Stram mise un braccio intorno alle spalle della moglie.
«Ora possiamo andare».