Traccia: Percorso del mistero
La gorga nera
Anno 1335
Nell’aia, a Castagno, si batte il grano, si batte e si bestemmia. Poco raccolto, e troppo lavoro.
Il malcontento serpeggia tra gli abitanti del paese, si vuol finir presto, prima che piova.
Brontola un tuono sommesso che risale i fianchi della montagna, risucchia l’aria dalla valle, fa tremare la terra.
— È qualcosa che scivola
— No, è qualcosa che rotola
— Precipita, guardate! Viene giù la montagna!
La terra si apre, il Falterona si spacca e inonda la valle, s’inghiotte il villaggio, di ogni anima si perde la traccia.
La terra ha cambiato la forma, restano soltanto alberi spezzati, massi, rami aggrovigliati e la bocca schifosa che tutto ha allagato: L’acqua scura, malefica, si spande nel bosco, nulla sarà mai più come prima. Ora c’è solo la gorga nera!
La frana ha aperto la porta!
È libera la bestia immonda.
La sua casa è nella Gorga nera.
E si vuol misurarla, quanto è profonda,
con la corda e il peso della stadera
ma non v’è fine e non basta la sonda.
Riemerge leggera la fune dall’acquanera
il peso è scomparso nella melma nauseabonda.
È senza fondo la gorganera e
nessuno sa ancora che segreto nasconda.
Anno 2023 3 novembre
Sui ciottoli bassi era facile, ma saltare su quelli più grossi era un’altra storia. La luna frastagliata illuminava la faggeta, ombre, luci e grosse nubi di vapore mi hanno disorientato.
Con fatica ho attraversato il torrente. Poi, finalmente, il legno sotto le dita: il corrimano dello staccato, qualcosa di familiare, conosco quel posto; la protezione di legno ti porta al ponticello sulla Gorga nera… Pochi chilometri da casa mia.
Non doveva andare così, la giornata era iniziata fin troppo bene… Dovevo soltanto prendere un po’ di legna fina, avevo lasciato la carriola vicino alla sbarra, poi ho trovato dei funghi….Forse mia nipote mi stava già aspettando a casa e io, come un novellino, ho perso la strada.
E per di più la Gorga tuonava, si sentiva un tremito profondo, una vibrazione che mi trapassava il corpo. Mai sentita una sensazione simile. Tremavo dal freddo ma almeno sapevo dov’ero. Ho camminato alla cieca, a ridosso dell’acquitrino, ho seguito il corrimano fino a che non ho avvertito le assi del ponte; il legno vecchio scricchiola sotto gli scarponi. Tra poco sarò a casa, da qui è tutta discesa, ho pensato. Rincuorato mi sono fermato alcuni secondi a riprendere fiato, poi tutto è accaduto in pochi attimi.
C’è stato un tonfo, un scrocchio di rami spezzati, se non sono morto stecchito dalla paura è stato un miracolo. All ’improvviso ho sentito le rane, centinaia di rane, facevano un fracasso mai udito, il gracidare di tutte era un solo urlo continuo,
Mi sono nascosto dietro un tronco li vicino, attraverso le volute di vapore malsano che saliva dalla Gorga ho visto un’ombra scura, procedeva verso di me sul ponticello ho pensato che qualcuno fosse venuto a cercarmi allora ho gridato.
— Chi c’è chi va là? Sono io, Michele! Ma il rumore che stavano facendo le rane era davvero tanto, non ho sentito nessuna risposta, sono rimasto immobile dietro all’albero ad aspettare.
— Papà, vado dal nonno. Devo Fare i compiti di matematica. Mi sta aspettando.
— Va bene, ma torna prima del tramonto. Lo sai, una ragazzina in giro da sola…
— Papà, per favore ho quindici anni! Sono solo due passi, neanche dieci minuti da qui.
— Ma La senti?
— Cosa?
— La Gorga che tuona. Badalischio va a fare una passeggiata stasera.
— ancora questa storia! Cheppizza, papà!
— Se il badalischio esce dalla Gorga, ti mangia tuuuttainteraaa.
— Papa smettila, non mi impressionate più come quando ero piccola.
— Lo so, lo so, scherzavo, vai, ma stai attenta.
— Ok, starò attenta, chissà a che cosa poi? Prendo lo zaino e vado, è un pomeriggio così bello, peccato sprecarlo a fare i compiti.
— Cammina va! Vai a studiare.
Sul sentiero, leggermente in salita, ammiro la vallata, la campagna si sta colorando d’autunno, che spettacolo! Il sole brilla, la cima del Falterona, è così bella e l’aria così limpida che mi sembra di poterla toccare.
La Gorga tuona di nuovo ma non ho paura di quelle vecchie storie.
Adoro la casetta del nonno, è sempre profumata di torta e di caffellatte. Accarezzo i gigli gialli sui bordi del sentiero come faccio sempre, alzo lo sguardo, da qui si vede il tetto rosso e il comignolo; senza fumo. Che strano, che nonno si sia dimenticato di me? Il camino è sempre acceso, doveva cucinarmi la castagne, me l’ha promesso. Corro verso il piazzale davanti alla casa.
— Nonno, nonno ci sei?
Faccio il giro intorno alle mura del casaletto: silenzio, non è in casa.
Mi guardo intorno. Mi schermo gli occhi col palmo, scruto la campagna verso la foresta, mi sembra di vedere qualcosa di strano. Lascio lo zaino sul portone e mi incammino giù per una scarpata che porta alla sbarra all’ingresso della faggeta, dietro al palo che regge i cartelli che indicano i sentieri per gli escursionisti, c’è la carriola del nonno. Ecco dov’è andato! Gli vado incontro, sarà li a far due bracciate di legna piccola, sarà meglio che vada ad aiutarlo.
Le bandierine bianche e rosse mi indicano il cammino, dipinte sui massi o sui tronchi ti accompagnano sempre, non è possibile perdersi, così diceva il professore durante la gita a fonte Borbotto. Non perdete mai di vista i segni!
Resto incantata dai giochi di luce, raggi obliqui illuminano piccole radure. Gli alberi si stanno spogliando e lasciano entrare il sole.
— Nonno! Dove sei?
Una nebbiolina sale dal terreno, piccole volute di vapore danzano al mio passaggio; sembra un mondo magico, non mi stupirei se incontrassi qualche fatina, tanto è bello questo posto.
— Nonno! La mia voce si perde nell’aria e ritorna distorta alle mie orecchie, un tuono rotola lontano, la luce del sole scompare all’improvviso, alzo gli occhi, si sta annuvolando.
Forse è meglio che torni indietro, mi volto, la nebbiolina adesso è una cortina spessa che mi arriva alle ginocchia, non riesco più a vedere nessun segnalino.
Non so quale direzione prendere, mi sono persa!
La gorga tuona e la faggeta cade nella penombra.
— Nonno! Aiuto! Nonno mi senti?
Ancora un tuono sommesso che pare scendere dalla montagna, sembra che rotoli, come qualcosa che scivola a valle, sapessi almeno se devo andare verso la salita o la discesa, non mi ricordo più quante volte il dislivello mi ha portato fino a qui. Credo di dover andare a sud, guardo la corteccia degli alberi, evito la direzione verso nord, comincio a camminare fiduciosa.
Cosa è stato? Un rumore, un soffio di foglie spostate, eppure non c’è vento, — c’è qualcuno? — È molto vicino a me ma non vedo nulla, saranno nemmeno le sedici eppure sembra già buio — Nonno, sei tu? — È come un fruscio che sparisce non appena smetto di camminare, adesso ho davvero paura, il fiato mi si spezza in gola. Ho l’impressione di essere seguita, non appena faccio un passo sento zampettare di mille animaletti dietro di me, forse è solo suggestione, la direzione è quella giusta, presto ritroverò il sentiero. Fruscii, versi piccoli rumori, non mi lasciano. Mentre cammino canticchio, cerco di farmi coraggio, incrocio le braccia strette al petto, il cuore sta battendo troppo forte devo calmarmi. Ci provo, ma mi sbarrano la strada tronchi caduti, enormi sassi, non può essere questa la strada. Mi fermo un momento a pensare, non posso essere troppo lontana dal margine della foresta ma intanto devo aver passato un’ora buona a girare in tondo.
Ho freddo, la temperatura si è abbassata di colpo, devo continuare a camminare se non altro per non morire congelata. Di nuovo quel fruscio, chiunque sia ora si sta avvicinando.Troppo!
Mi volto di scatto, mio Dio! A soli tre metri da me decine di rane mi fissano, immobili. Il terrore mi ha paralizzato, non riesco a muovermi, non sono decine ma centinaia di animaletti uniti in un arabesco di colori cangianti, sono dappertutto.Tra le foglie del sottobosco, sui tronchi, sui rami, sopra i sassi e vengono da tutte le direzioni. Si avvicinano piano mentre le sento gracidare sempre più forte, devo scappare! Mi scuoto e comincio a correre nella direzione opposta. Inciampo, sento il bruciore, devo essermi ferita un ginocchio, nonostante continuo a correre.
Adesso è notte, in cielo tra le chiome si vedono la stelle Non so più da quanto tempo sto correndo, il cuore mi scoppia, devo fermarmi.
Forse le ho seminate, non sento più nessun rumore.
Mi viene da piangere, se ripenso alle raccomandazioni di papà… Ma come ho potuto essere così sciocca, mettermi nei guai in questo modo.
La gorga tuona ancora, stavolta sembra di sentire il terreno tremare, ma forse sono io, ho brividi di freddo e di paura, alzo lo sguardo, la luna sbiadita fa capolino tra le nuvole rade, osservo intorno a me e, finalmente, nella poca luce vedo la mia salvezza. Uno dei segnali bianchi e rossi è stampato su un grosso tronco, devo cercare, deve essercene un altro, ma in quale direzione? Comincio a cercare senza perdere di vista il segnale sul tronco. Sto girando intorno all’albero ma non riesco a vedere dove metto i piedi, cado, sbatto la fronte e la manica della giacca si lacera impigliata a un ramo, resto distesa, maledizione! Stringo le palpebre per non piangere, non sono così disperata. Riapro gli occhi e il mio sguardo incrocia quello di decine di occhietti. Ancora! Basta vi prego, mi tormentano i timpani, non riesco a pensare. Mi alzo, le vedo muoversi, scendono dai fianchi dalle scarpate, sono centinaia, mi sono quasi addosso, mi stanno circondando. Urlo, il gracidio sovrasta la mia voce.
Ricomincio a correre. Devo correre sull’unica via che loro lasciano libera, cado, mi rialzo e corro.
Corro senza poter riprendere fiato, sono sfinita, ferita, graffiata, i vestiti strappati. Poi vedo lo steccato e comprendo, sono loro che mi hanno portato fin qui. Rallento il passo, Il legno del corrimano sotto le dita, il ricordo della gita a fonte Borbotto e poi qui alla Gorga nera, quello che scricchiola sotto i miei piedi è il ponticello sullo stagno.Le rane si sono zittite, perfino l’aria è ferma in un totale assoluto silenzio. Gli anfibi si ammassano ai miei piedi, a grossi mucchi che mi arrivano alle ginocchia, non riesco più a muovermi. La Gorga rimbomba, L’acqua nera si solleva sopra un corpo sinuoso e possente; s’innalza davanti a me il badalischio. Il serpente ha l’orbite aperte, due fornaci infuocate e io non posso che perdermi, il suo alito m’investe e paralizza i miei nervi. Avverto i piccoli corpi che saltano su di me, mi pisciano sulle mani, sui capelli, sulle spalle, i loro liquidi si mischiano alle mie lacrime. Raccolgo tutte le forze, spalanco la mascella in un urlo muto, soffocato da una rana che entra nella mia bocca.
Le sento frugare sotto i vestiti, rimanere impigliate nelle ciocche umide dei mie capelli, mi chiudono anche il naso, non ho più respiro da sottrarre al poco spazio lasciato sul mio viso e la mente vacilla nell’illusione di un frullo di ali possenti, nel vago ricordo di un sogno; il grido di un’aquila in un valico di montagna innevata.
All’improvviso ci fu un silenzio terribile. Quella calma improvvisa mi ha costretto a guardare. Appoggiato al tronco, ho cercato di mettere a fuoco l’immagine assurda davanti a me: sul ponticello c’era una sagoma scura, informe, che si muoveva come fosse di gelatina. Nella Gorga, il badalischio era ritto sul corpo massiccio da rettile, gigantesco Ho avuto un sobbalzo quando il serpente è scattato indietro e ha spalancato le fauci, Era pronto a buttarsi sulla sua preda ma poi, non so cosa sia accaduto, la poca luce della luna si è oscurata per pochi attimi, un frullo di possenti ali ha interrotto il silenzio, quale grosso volatile sia stato non lo so. Ha sorvolato la preda che il badalischio stava assalendo, ha frenato il volo, allungato le zampe e ha affondato gli artigli sul cranio della bestia.
Deve avergli cavato gli occhi, la bestia è sparita sott’acqua mentre si contorceva dal dolore. Ho distolto lo sguardo e poi ho visto mia nipote cadere sulle assi del ponte, era circondata dalle rane, ferita, graffiata, con i vestiti tutti stappati ma viva.
— Michele, speri davvero che noi crediamo a questa storia?
— La bestia esiste! Vi dico che io l’ho vista! Il cuore mi è quasi scoppiato dallo spavento.
Mia nipote può confermare tutto.
— La ragazza ha ripreso conoscenza, lei non ricorda come è arrivata alla Gorga. Sei stato tu? Perché l’hai portata lassù?
— Io? Sono suo nonno! Non le farei mai del male. Vi ripeto che lei era là, circondata dalle rane, non so come ci sia arrivata, il badalischio esiste, vi giuro, io l’ho visto!
— Lascia stare, Michele! Forse sei caduto, hai preso una botta in testa?
— Vi dico che l’ho visto! È la verità.
— Voglio parlare di nuovo con la ragazza, Forse domani gli tornerà la memoria. E allora faremo i conti con te, Michele, ti faremo passare la voglia di mettere in giro certe sciocchezze.