Commento
Commento
Questa storia la dedico al vecchio Pasquale Grent, nato nel 1924 e morto nel 2004 a ottant’ anni sulle coste della marina di Brindisi, dove ogni giorno si recava a guardare il mare e annotava tutto sul suo diario. Ho tradotto dal dialetto all’ italiano gli episodi più importanti.
Povero Grent: è sepolto al cimitero, nessuno lo va a trovare e in città mi dicono di non provare pietà per uno come lui.
Estate 1936
Era un’ altra estate da balilla al porto di Brindisi, il Duce lo aveva di recente ristrutturato, o almeno così diceva e così ribadiva mio padre e guai a contraddirlo.
Avevo caldo sotto la divisa, il sudore rigava la faccia sudicia e a momenti stingeva il nero dei capelli. Guardai il mare accanto a me, brillava come fosse una pietra bianca al sole. Strinsi le pupille, da lontano scorsi una figura scura, quasi un’ ombra che si stagliava tra le onde. Aveva i capelli chiari, i seni in vista, e accanto a lei si ergeva la grande coda biforcuta di un pesce. Svanì nello scintillio del mare.
Chiamai l’ amico mio Antonio.
“Antò, guardà là, ci sta una sirena”
Antonio si voltò, guardò il mare, un ghigno gli apparve sul volto.
“Ma si scem?” disse e rise, chiamando gli altri. “Pasquale ha visto una sirena!” chiamò, e tutti si voltarono verso il mare, scatenando l’ ira dell’ istruttore. E quando non la videro, risero di me. Da quel giorno divenni Pasquale La Sirena.
Non sapevo del soprannome "La Sirena", l’ ho scoperto leggendo il suo diario.
La prima volta che ho visto il vecchio Grent mio padre mi coprí gli occhi e mi disse di alzare il passo. Pasquale Grent, sulle soglie dei sessant'anni, si era ubriacato in un bar vicino alla marina pieno di fumo e di giochi d'azzardo Voleva fare a botte con il cameriere, alzava i pugni per aria, imprecante e sudato, l'occhio sinistro strabico.
«Ti ammazzo!» urlava, rosso in viso. Poi iniziò a tossire, e gli altri ubriachi risero di lui. Diede un calcio alla sedia e se ne andò via, dal lato della strada opposto al nostro, in direzione della spiaggia.
«Cos’ha quel signore, papà?»
«Lascialo perdere, Ninì. È il matto del paese.»
«Che vuol dire matto del paese?»
«Che l'aria di mare l'ha fatto impazzire.»
Primavera del 1941
La campagna di Grecia sembrava non portare a un bel niente. Io e Antonio e altri del reggimento passavamo le giornate a raderci, fumare le sigarette a disposizione, ogni tanto ammazzavamo un asino e ce lo mangiavamo. Io ero l'adetto al telegrafo, quindi per me da fare, in Grecia, ce n’ era ancora meno.
Lo ricordo bene quel giorno, eravamo vicino a una spiaggia rocciosa. Stavo seduto su uno scoglio a rimirare il mare. Antonio mi mise una mano sulla spalla, mi offrì una sigaretta e si allontanò. Avevamo fatto l’ addestramento insieme, eravamo stati balilla, eravamo entrambi di Brindisi. Nonostante lui fosse spigliato e io taciturno, potevamo definirci amici.
Mentre fumavo, il mare scintillava come tanti vetri andati in frantumi, ondeggiava, calmo, all'improvviso vidi un guizzo, qualcosa che sembrava un pesce che saltava sulla superficie dell'acqua.
Ispirai ancora, poi espirai. Un guizzo di capelli biondo-rossi, sorprendentemente crespi, apparve dall'acqua e poi ne venne risucchiato, insieme agli spruzzi di una coda argentata di un pesce.
È lei! pensai. Mi guardai intorno: i miei compagni in lontananza conversavano coi fucili in spalla.
«È lei!» digrignai tra i denti.
Un altro guizzo, mi tolsi gli scarponi «Adesso ti prendo» dichiarai ad alta voce, la vidi voltarsi verso di me, di sfuggita, mi sorrise, prima di immergesi in acqua lasciando intravedere solo la coda di pesce. «Ma tu guarda, vuoi essere inseguita?» risi. Mi tuffai, divertito, ma appena in tempo per sentire un altro sibilo, poi un altro. Riemersi e i miei compagni urlavano, sanguinanti. Mi arrampicai sugli scogli, senza scarpe, un proiettile colpì di striscio la guancia sinistra, sanguinai e il sangue si mischiò all’ acqua di mare. Mi guardai intorno: la mia sirena doveva essere fuggita via.
Ricordo solo che Antonio morì così, e io rimasi mezzo cieco a un occhio, lì, durante la campagna di Grecia.
Una volta in terza elementare facemmo un incontro con i veterani della seconda guerra mondiale. Un paio di vecchietti callosi arrivarono in classe, tra questi vi era anche Pasquale.
Si sedettero alla meglio sulle sedie sgangherate, in attesa delle nostre domande.
Alcuni iniziarono a parlare con degli alunni, a caso, li trattenevano spiegando come avessero sparato a un nazista, altri di come avessero disertato si fossero uniti ai partigiani.
Io guardavo Pasquale, i capelli bianchi, gonfio e rosso in viso e il jeans macchiato sulla coscia, stringevo al petto il mio quaderno rosa. Rubai la penna colorata della mia compagna di banco in un suo momento di distrazione, nel chiacchiericcio generale. Mi avvicinai, emanava un odore forte di umido e sporcizia, forse per questo nessuno parlava con lui.
«Signor Grent?»
Lui mi sorrise e si chinò verso di me.
«L’ hai rubata quella penna, piccolina?» disse.
Feci di no con la testa. Poi mi guardai intorno. -Non lo dica a papà-
Papà si arrabbiava sempre quando si accorgeva che rubavo.
«Non lo dico a nessuno» sorrise.
«Come si è fatto quell’ occhio storto, signore?»
Sorrise divertito.
«Questo?» disse, indicando il bulbo oculare opaco «Me lo sono fatto in Grecia, mi hanno sparato.»
«Non gli credere, ragazzina» intervenne un altro vecchietto, seduto accanto a lui «stavo pure io, là con ‘sto cordardo, in Grecia, non facemmo niente tutto il tempo, e per una volta che ci spararano, lui si buttò in acqua!!!»
Vidi il vecchio Grent diventare sempre più rosso e ribollire come una teiera. Afferò il vecchietto per il collo.
«Ti ammazzo, maiale, tu invece stavi appartato tra le montagne a scoparti gli asini!»
Arrivarono due poliziotti a separarli.
Luglio 1952
Il cielo su Brindisi sembrava inneggiare alla ritrovata libertá. Non ero stato partigiano, ma Mussolini e il Re non mi erano mai piaciuti, e adesso, a ventotto anni, mi godevo di riflesso la democrazia. Era l’ alba, stavo tornando da una sessione di pesca non troppo fortunata. Il fumo della sigaretta si mescolava all’ odore del mare e del pesce.
Guardavo le onde placide e il rosa tenue del cielo, e mentre la barca ondeggiava sentii un leggero movimento alle mie spalle, qualcosa che tirava verso il basso. Mi voltai, il busto giovane e liscio di una ragazza emergeva dal mare, le sue mani esili e delicate da sedicenne erano aggrappate al bordo. Mi sorrise, lieve, lasciando intravedere una serie di piccoli canini bianchi. La pelle le brillava di tante minuscole gocce d’ acqua, che le ricadevano sul petto, sui fianchi, sul viso infantile e gli occhi verdi luminosi. I suoi capelli, di un biondo come la sabbia, rimanevano sorprendetemente asciutti e crespi, arruffati. Feci per aiutarla a salire, ma lei, con una forza inaspettata, si issò e con un tonfo saltò sulla barca.
Rimase lì a guardarmi, da sotto l’ inguine il suo corpo era quello di un pesce, e la sua coda biforcuta si dibatteva lieve tra spruzzi d’ acqua. Mi accarezzò il viso ispido, e mi chinai su di lei per baciarla. Le sue labbre erano morbide, piccole, e la lingua fremeva a contatto con i suoi denti leggermente affilati. Avevo baciato altre ragazze, ma mai mi ero sentito così.
«Sei solo una persona di merda!»
Facevo castelli di sabbia con mamma e papà sulla spiaggia di Brindisi. Quella domenica al mare c’erano tutti, a quanto pare anche il vecchio Grent. A quell’ urlo nascosi sotto la sabbia un braccialetto che avevo trovato incustodito su un telo da mare. Alzai lo sguardo, una ragazza bionda, giovane, con un vestito a fiori urlava a squarciagola contro il vecchio Grent, gli lanciò la borsa addosso, mentre lui sedeva impassibile in costume da bagno, braccia incrociate dietro la testa, la guardava e sghignazzava.
«Hai finito di renderti ridicola?» le rispose, e la ragazza riprese la sua borsa e se ne andò.
«Brava!-urlò- sparisci, cretina!»
«Chi è quella donna, papà? La moglie?»
«No tesoro, molto peggio… è la figlia.»
«Torna da quella stronza di tua madre!» udimmo che urlava, livido, mentre i bagnanti, in silenzio, spostavano i loro teli da mare lontano da lui.
Autunno 1982
Ho sposato una ragazza di un altra città, siamo stati insieme vent’ anni, abbiamo avuto una figlia. Adesso lei mi odia, mia figlia Anna anche.
Se ne sono andate per via. Hanno detto che mi comporto come un pazzo, che so solo odiare, che perdo il controllo e non ho sentimenti per nessuno. Hanno fatto bene. Se potessi, me ne andrei anche io da me stesso.
L’ unico ricordo che mi dà serenità, è quando mi sedetti in riva al mare al tramonto, c’ era l’ alta marea e le onde sbuffavano verso la spiaggia, poi si ritraevano. Vidi un guizzo lontano, luminoso.
Un´onda si riversó mite sulla spiaggia, portando la mia sirena con sè. Mi stesi sulla riva, l’ acqua si dissolse e sprofondó nella sabbia, lei mi lambí le braccia, la schiena, avvolgendomi in un abbraccio di spuma.
Lo trovammo cosí, riverso sulla spiaggia cittadina con le braccia aperte e i vestiti inzuppati di acqua di mare. Il vecchio Grent era morto d’ infarto una sera, e si era accasciato sulla sabbia. In mano aveva il suo diario, inzuppato e ingiallito. Io mi trovavo lì per caso, tornavamo da una cena coi parenti. Rubai il diario, infilandolo nella tasca della giacca.
Al suo funerale vennero in pochi, io saltai scuola e rimasi in disparte, mi parve di scorgere la figlia, ma nulla di più.
Lessi a mio padre un passaggio, quello dell’ estate del 1952, per spiegarli che anche il vecchio Grent forse aveva un’ anima.
Mio padre sorrise, scettico, da una mensola prese un libro.
«Queste parole non sono sue, Ninì, ma copiate da un racconto.» Aprì di fronte ai miei occhi "Lighea" di Tomasi di Lampedusa.
«Forse si è ispirato al racconto per trovare le parole giuste?» dissi, ma papà mi accarezzò, senza rispondere.
Sono passati molti anni dalla sua morte e ogni tanto torno sulla spiaggia, leggo il suo diario. Anche oggi, dopo il lavoro, sono andata sul lungomare a farmi una passeggiata, mi sono fermata a guardare l’ orizzonte, fino a quando un guizzo è apparso di fronte a me, lontano. Ho messo a fuoco, ho scorto una chioma arruffata e la brillante coda di un pesce. Posso giurare, che quella figura mi abbia sorriso.