Un ultimo raggio di sole morente s’infiltrava nella caletta degli innamorati, cosiddetta per via di un’antica leggenda che Davide aveva sentito raccontare un giorno da un paio di pescatori e poi aveva subito rimosso. Di un colore ferroso con screziature aranciate, l’acqua penetrava dalla stretta apertura tra le rocce e arrivava a lambire la riva ghiaiosa; pareva disegnare un sentiero luminoso che dal mare aperto si protendeva fino ai piedi dei tre ragazzi. Ai lati di quella striscia di luce la sera aveva già preso il sopravvento e si faticavano a distinguere i contorni dei rari oggetti sparsi sulla spiaggetta: uno scarpone sfondato, una coppia di remi scrostati e qualche bottiglia di plastica abbandonata sulla battigia.
Lui e Sandro si erano rivestiti già da un po’; come sempre, Mario era stato l’ultimo a uscire dall’acqua. Davide lo osservò calarsi gli slip bagnati e asciugarsi alla meno peggio con un telo da bagno. Gli dava le spalle e lui non poté fare a meno di notare la peluria abbondante che ricopriva le natiche dell’amico; le sue erano lisce come quelle di un neonato.
«Allora, Dave» gli chiese Mario, «te la sei scopata la Franci?»
«Ma no, figurati...»
«L’hai già portata al cinema un paio di volte, no?» insistette l’altro mentre indossava un paio di calzoncini bianchi con una banda rossa.
«Tre» rispose lui d’istinto e subito si diede dell’idiota.
«E allora, cosa aspetti?» Mario adesso lo guardava negli occhi.
«Domenica pomeriggio l’ho baciata» rispose.
«Con la lingua, spero.»
«Ovvio» disse Davide e distolse lo sguardo. Un bacetto sulla guancia, in realtà, e solo lui sapeva quanto gli ci era voluto per trovare il coraggio. Perché agli altri viene tutto così semplice e a me no? si chiese.
«Io la prima volta che ho portato Lauretta al cinema, poi la sera abbiamo trombato subito. Vero, Einstein?»
«Sì, vero. Verissimo» rispose Sandro con un risolino ebete.
Dentoni radi tra cui si aprivano dei canyon, un accenno di labbro leporino e l’espressione vacua di certi bovini, Sandro era stato soprannominato in quel modo fin dalla prima elementare.
I tre risalirono in silenzio la corta gradinata che conduceva al lungomare; fuori da quell’antro buio la luce del giorno non si era ancora spenta del tutto e le casupole del piccolo villaggio di pescatori erano investite in pieno da bagliori rossastri.
«Figo!» esclamò Sandro.
Mario si girò verso di lui. «Che cosa?»
«Il sole, questa luce rossa...»
«Einstein ha scoperto il tramonto, ragazzi!» disse e scoppiò a ridere. «To’, è tornato il vecchio scemo» aggiunse poi, indicando con il mento un anziano seduto su una roccia piatta, qualche metro sotto il livello della strada.
«Perché dici che è scemo?» gli chiese Davide.
«Uno che da anni passa le giornate a guardare l’orizzonte, tu come lo chiami? Mia mamma dice che faceva già così quando lei era bambina.»
«Dove vive?»
«Nell’ultima casa del paese, quella mezzo diroccata. Sta con una ancora più vecchia di lui, credo sia la sorella. Ogni tanto se lo viene a riprendere e lo porta a casa; li vedo dalla terrazza della mia camera.»
«L’ho notato spesso anch’io» disse Davide, «seduto dov’è ora o accanto a un moscone decrepito, giù verso il porticciolo. Gli hai mai parlato?»
«Chi, io? Figurati se sto a perdere tempo con uno a cui manca qualche rotella.»
Mario si accinse ad attraversare la strada. «Ragazzi, io vado a cena. Mamma fa la pizza stasera e se tardo s’incazza come una iena. A domani.»
Dopo qualche passo anche Sandro prese congedo e si avviò verso le case del borgo. Rimasto solo, Davide si fermò a osservare il vecchio che continuava a fissare l’orizzonte, dove il sole stava ormai scomparendo del tutto. Non aveva fretta di rientrare, la nonna a quell’ora era di certo davanti alla tv come ogni sera e, presa dalle vicende della soap opera, non si sarebbe accorta che era in ritardo. In forno avrebbe trovato la cena pronta, molto probabilmente lo spezzatino avanzato dalla sera precedente.
Fu la decisione di un attimo, scavalcò il basso guard rail e scese il sentiero ripido che portava alla spiaggia. Il pietrisco gli si sfaldava sotto i piedi.
Insaccato dentro a una sahariana lurida, in testa un cappello di paglia che aveva conosciuto giorni migliori, il vecchio non si mosse. Se lo aveva sentito arrivare non se ne diede per inteso.
Mosso dalla curiosità, ma frenato dalla timidezza, Davide faceva due passi avanti e uno indietro. Quando arrivò ad affiancarlo era ormai sera; i lampioni sulla statale erano accesi e proiettavano coni di luce che non arrivano a sfiorarli.
«Posso?» chiese.
L’uomo non rispose e lui lo prese per un sì. Si lasciò cadere sulla pietra viscida e sentì l’umidità penetrare nei pantaloni di tela, che portava rimboccati alle caviglie. Ora Davide poteva scorgere il profilo del vecchio: il naso, adunco e imponente, dominava un volto segnato da rughe, vere e proprie grinze che gli solcavano la guancia. I sopraccigli cespugliosi erano candidi, come i baffetti appena accennati. Davide si sentì stranamente a suo agio. Passarono alcuni minuti prima che l’uomo aprisse la bocca.
«Sei venuto a controllare se sono matto o scemo?» gli chiese continuando a fissare l’orizzonte, dove cielo e mare non si distinguevano più.
La voce era legnosa, antica. Pronunciò quelle poche parole lentamente, scandendole con cura, come se ognuna contenesse una propria intensità che andava sottolineata.
«No» rispose lui, «sono venuto perché... a dire il vero non lo so. Sentivo che dovevo farlo, ecco. Ma se le do fastidio me ne vado.»
Le labbra dell’uomo si scollarono per un istante, poi tornarono a combaciare, ma non erano più chiuse a riccio. Per un attimo lui pensò che fosse una specie di sorriso. «Mi chiamo Davide» disse.
«Io sono Antonio» rispose il vecchio.
Passarono altri minuti. Si era alzata una brezza leggera che portava l’odore di salmastro fin dentro le narici; era una sensazione inebriante, come respirare direttamente il mare. Davide socchiuse gli occhi, da un pezzo non si sentiva così bene, in pace con se stesso.
«Vuoi sapere perché me ne sto qui a fissare il mare, vero?»
«Sì» rispose lui. «Forse è proprio per quello che sono venuto, ma ora non so più se è così importante.»
Il vecchio sorrise, questa volta Davide ne era sicuro. Poi iniziò a parlare; frasi brevi, cadenzate.
«La prima volta che mi sono seduto su questa pietra avevo otto anni. Ero venuto ad aspettare mio padre. Lui era un pescatore, come tutti qui in paese a quei tempi. Uscivano in quattro di notte, su un barchino. Tornarono soltanto in tre quella volta. C’era stata tormenta, la barca si era capovolta al largo. La corrente era forte, gli altri riuscirono ad aggrapparsi al piccolo natante. Papà no, lui scomparve tra le onde. Riaffiorò due giorni dopo, qualche chilometro a valle.»
«Mi dispiace» disse Davide.
«Era sempre tornato, io lo vedevo russare nella branda quando mi alzavo per fare colazione. Quella notte mi sentivo grande; mamma non voleva, ma io insistetti tanto. Desideravo vederlo tornare con i miei occhi, abbracciarlo, aiutarlo a scaricare il pesce. E proprio quella notte lui non è tornato, capisci?»
«Sì, ma non è mica colpa tua» disse Davide, senza nemmeno rendersi conto di essere passato al tu.
«Dici? Io credo di sì, invece: sono stato superbo e il Signore mi ha punito. Se fossi rimasto ad attenderlo lui sarebbe tornato come sempre.»
Detta così, la frase sembrava avere una sua logica. Davide appoggiò il mento sulle ginocchia puntute e si abbracciò le caviglie. «Quindi il Signore sarebbe vendicativo?» si azzardò a domandare, dopo averci riflettuto a lungo.
Antonio rise e lui poté notare che gli rimanevano ben pochi denti della chiostra superiore. «Oh, sì: ti auguro di non scoprire mai quanto può esserlo.»
«Perché hai continuato a venire in questo posto? Speravi forse che il mare ti riportasse tuo padre?»
«No, che stupidaggine: ti ho detto che il corpo riaffiorò dopo un paio di giorni, non sono mica scemo. Anche se la gente in paese lo pensa» aggiunse sputando nell’acqua.
«E allora perché torni?» chiese Davide. Si sentiva coraggioso, sfrontato addirittura. Era una sensazione del tutto nuova.
«È difficile da spiegare... Forse perché devo ancora fare pace con Dio. O forse perché aspetto che il mare mi dia qualcosa in cambio per ciò che mi ha portato via. Ma c’è un altro motivo, in realtà.»
«Quale?» gli chiese dopo un po’, quando intuì che l’altro non aveva intenzione di rivelarglielo.
Il silenzio si protrasse a lungo questa volta.
«Il mio tempo sta finendo» disse il vecchio, quando Davide ormai si era convinto che non gli avrebbe risposto. «In quel momento vorrei che la morte mi trovasse qui ad attenderla. Ho viaggiato molto e ho vissuto in luoghi dai nomi strani, esotici. Ascochinga, San Clemente del Tuyú, La Guaira e altri che non ricordo più nemmeno io. Tutte località di mare. Migliaia di chilometri lontano da qui, eppure anche là dovevo stare per forza in un posto da cui osservare il mare. Era come se un filo invisibile mi tenesse sempre legato a questa spiaggia. È qui che tornavo, ogni volta che potevo. Riesci a capirmi?»
Davide annuì. Sentì di avere le guance umide, di certo colpa degli schizzi dell’acqua contro le rocce. Il tempo sembrava essersi fermato; era scesa la notte, ormai, e nessuno dei due osava più aprire bocca.
«Tu che ci fai da queste parti?» chiese il vecchio all’improvviso. «Non vivi in paese.»
«Ci vengo per le vacanze, appena finita la scuola. I miei hanno da fare in città e mi mandano qui dalla nonna, per farle compagnia. Anche se lei non si accorge nemmeno se sono in casa o fuori, è sempre davanti alla tv. Le parla anche, ogni tanto.»
Toccò ad Antonio annuire.
«Noi vecchi a volte lo facciamo. Ci chiudiamo in noi stessi, persi nei ricordi. A volte nei rimpianti di ciò che poteva essere e non è stato. Non ci accorgiamo che il mondo attorno a noi va avanti. Oppure non ce ne frega nulla di dove va il mondo» concluse sputando ancora in acqua.
Davide si sentì rabbrividire; i pantaloni erano fradici ormai, ma non aveva il coraggio di alzarsi. Fu il vecchio a farlo.
Portava un paio di calzoni informi che gli cadevano addosso come una sorta di tunica e delle scarpe da ginnastica logore senza laccetti. Ed era alto, molto più di quanto Davide si aspettasse. Scattò in piedi anche lui; per la prima volta si guardavano negli occhi.
«Devo andare» disse Antonio, «altrimenti manderanno qualcuno a cercare il vecchio scemo.»
«È meglio che vada anch’io. Nonna potrebbe accorgersi che non sono tornato» disse lui, senza crederci più di tanto.
Si avviarono in silenzio.
Quando furono all’altezza delle ultime case del borgo, Davide si decise ad attraversare. Il vecchio proseguì lungo la statale.
«Ciao» gli disse.
Antonio sollevò una mano, senza voltarsi.
.Nei giorni che seguirono Davide ripassò più volte sul lungomare, ma la spiaggetta era sempre deserta. Non aveva raccontato a nessuno di quella strana serata passata a conversare con il vecchio e non poteva certo andare in giro a chiedere se qualcuno lo avesse visto. Fu solo la sera del sabato che ebbe sue notizie.
Nella piazzetta del borgo un complessino si esibiva suonando alcuni dei pezzi più in voga. Era la festa di fine estate e i giovani del paese ballavano, rossi in viso più per la birra che per le evoluzioni sull’acciottolato sconnesso. Davide scorse Francesca che si dimenava assieme al figlio del barista: di certo lui non avrebbe avuto problemi a baciarla come si deve.
«Mi sa che te la sei giocata, amico!» gli urlò Mario in un orecchio. Aveva un boccale enorme in mano e non doveva essere il primo, a giudicare dallo sguardo febbricitante. Davide si strinse nelle spalle. «Pazienza» rispose rassegnato.
«Di’» continuò l’altro, «hai sentito del vecchio?»
«No, cosa?»
«Sta schiattando, mi ha detto mia madre. Era dal fornaio l’altro giorno ed è caduto come una pera cotta in mezzo al negozio. Il dottore voleva farlo portare all’ospedale in città, ma lui non ha voluto.»
«E dov’è adesso?»
«A casa sua, dove vuoi che sia? Mamma dice che non ne ha per molto, a quanto le ha confidato oggi la parrucchiera.»
Davide si allontanò.
Non è giusto, si disse, quel poveraccio aveva un unico desiderio, morire davanti al suo mare, e nemmeno quello gli riesce di vedere esaudito.
I passi lo portarono sul lungomare. Si fermò a osservare l’enorme pozza scura che aveva davanti a sé; sulla statale non passava nessuno e poteva udire lo sciabordio della risacca. Non è giusto, continuava a ripetersi. Poi ebbe un’idea. Si avventurò giù per la gradinata che portava alla caletta degli innamorati. Per fortuna la luna era quasi piena e riusciva a vedere dove metteva i piedi. Incurante della sabbia e dei ciottoli che gli entravano nelle scarpe, raccolse una delle bottiglie di plastica abbandonate, andò a riva e la riempì fino all’orlo. Risaliti i gradini, si ritrovò sulla statale e prese a camminare veloce.
Come gli aveva detto Mario, la casa di Antonio era l’ultima del borgo ma non era “mezzo diroccata”, soltanto un po’ segnata dall’incuria. C’era una luce al primo piano.
Davide bussò. Fu solo al terzo tentativo che finalmente udì uno scatenacciare e la porta si socchiuse. Il volto di una donna anziana apparve nello spiraglio. Lo sguardo era tetro, esausto per la stanchezza.
«Sì?» disse soltanto.
«Mi chiamo Davide, sono... un amico di Antonio. Avrei bisogno di vederlo.»
«Figliolo, mio fratello sta per addormentarsi nella braccia del Signore. Don Quintino è passato a dargli l’Estrema Unzione prima di cena.»
«La prego, è molto importante che io lo veda.»
La donna lo fissò meglio e si accorse che stava piangendo. Si strinse nelle spalle e spalancò la porta.
«Vieni» disse e gli fece strada lungo un corridoio di mattoni color rosso pompeiano. Spinse la porta di una stanza e gli fece segno di accomodarsi.
L’unica fonte di luce era quella dell’abat-jour sul comodino. Antonio riposava su due cuscini, il suo volto aveva già il pallore terreo della morte. Davide stentò a riconoscerlo.
Inclinò la bottiglia che teneva in mano e qualche goccia gli cadde sulla mano. Passò le dita bagnate sulle labbra del moribondo. Antonio spalancò gli occhi.
«È quella del tuo mare, l’ho presa giù alla caletta» disse lui e gli passò le dita sulla pelle avvizzita delle guance.
Antonio sorrise e finalmente si lasciò andare.