Gioire

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Bello il verbo gioire, e pure antico.
Sembra facile: gioire per qualcosa.
Chi parla è una contadina del XIII secolo. Ecco la frase che ha insinuato il dubbio:
"Abbiamo gioito che qualcuno abbia fatto giustizia al posto nostro, e che il figlio di Caino e il suo compare adesso brucino all'inferno."
Corretta? Almeno parrebbe, ma temo che il congiuntivo tragga in inganno. E poi, una contadina "antica" con il congiuntivo?
Nel rileggere, sono incespicato. 
Riprovo:
"Abbiamo gioito ché qualcuno ha fatto giustizia al posto nostro, e ché il figlio di Caino e il suo compare adesso bruciano all'inferno."
Mi sa che così funziona. 

Re: Gioire

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La seconda opzione funziona, anche se l'uso del doppio "ché" mi suona forzato. Ma è un problema mio.

Anche la prima opzione dovrebbe essere accettabile, perché "che qualcuno abbia fatto giustizia" è una subordinata causale, e gioire dovrebbe richiedere il "che" (esattamente come "essere contento che", ecc.).

Detto questo:
Fraudolente ha scritto: E poi, una contadina "antica" con il congiuntivo?
Se è per questo, è impossibile che una contadina antica parli in italiano. :) 
Già solo a leggere il "manoscritto dell'Anonimo" nell'introduzione de I Promessi Sposi, che dovrebbe riprodurre un "italiano" del '600, si capisce ben poco. Figuriamoci un "italiano" di quattrocento anni più antico.

Quindi è un non-problema.

Tutti i romanzi storici che conosco modernizzano il parlato della gente dell'epoca, e di fatto stanno facendo una traduzione.
Per questo motivo un contadino che usa l'italiano corrente (e quindi il congiuntivo) può andare bene.
Le altre opzioni sono di fargli parlare un italiano sgrammaticato, un dialetto moderno italianizzato o direttamente un dialetto moderno. Dipende dal tipo di voce che vuoi dare a quel personaggio.
Il primo capitolo di Baudolino di U. Eco è un buon esempio di come rendere un personaggio "ignorante" di quell'epoca (è del XII secolo, ma non credo che faccia molta differenza). Ma non è l'unico modo: anche farli parlare in italiano corrente è totalmente accettabile.

Re: Gioire

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Mid ha scritto: La seconda opzione funziona, anche se l'uso del doppio "ché" mi suona forzato.
Giusto. Se elimini il secondo ché è molto meglio.
Mid ha scritto: Dipende dal tipo di voce che vuoi dare a quel personaggio.
Il primo capitolo di Baudolino di U. Eco è un buon esempio di come rendere un personaggio "ignorante" di quell'epoca (è del XII secolo, ma non credo che faccia molta differenza). 
Sono alla perenne ricerca di fonti in volgare. Baudolino è molto interessante, e sono andato a ripescarlo. Eco è un noto esperto di "semiotica".
Mid ha scritto: Ma non è l'unico modo: anche farli parlare in italiano corrente è totalmente accettabile.
Non condivido: leggere un testo dove il modo di parlare di un servo della gleba sia analogo a quello di un re (o di un religioso a quello di un soldato) risulterebbe piatto e "anacronistico".  Ho un prete che si arrabbia e impreca in latino, un castellano con la zeppola, un fabbro sgrammaticato che... bestemmia (ma lo dico soltanto che bestemmia...) , eccetera eccetera. Ho studiato i penitenziali medievali, coevi e della zona, che, oltre a essere utilissimi per le confessioni, sono pieni di parole ed espressioni in volgare. Anche le "testimonianze" in volgare servono alla bisogna.  Insomma, se studi puoi avere un'idea, anche se un po' approssimativa, del gergo dell'epoca e del luogo. E puoi cercare di trasmetterla al lettore, ma senza esagerare, per non trasformare il tuo romanzo in un mattone. In effetti, il primo capitolo di Baudolino è un bel mattone, che rischia di essere indigeribile per un lettore medio. O per chi apprezza, tanto per non fare nomi,  i vari Mauro Corona & compagnia bella.

Ecco un esempio di confessione con citazioni dai penitenziali, tanto per rendere edotto il buon magister @Marcello del guaio che lo aspetta.

Julia lo raggiunse caracollando sugli zoccoli. Appoggiò il primo ginocchio sul pavimento e, nel farlo con il secondo, per poco non cadde. Si aggrappò al bracciolo della scranna del parroco per recuperare l’equilibrio.
«Ripeti, figlia mia: «Io mi confesso a Dio in tucto el mio cuore et nel consiglio degli giusti come si nota nella Sacra Iscrictura».
Julia borbottò un’eco sommessa e poco chiara. Si era dimenticata la formula. D’altronde, da quanto non si confessava?
Barduccio glielo chiese, come consuetudine anche con le parrocchiane più avvezze a battersi sul petto: «Quanto ha che non ti confessasti?»
«Domine, perdono, non ricordo.»
«Tu ai fatta la penitentia che te impuse el sacerdoto quando ti confessaste
Julia fece di no col capo.
«Quanta peccati ai fatti poi che ti confessaste
«Domine, non saprei quanti, ma per certo tanti, e taluni gravissimi, e che il Signore mi perdoni.»
«Se sei davvero pentita, il Signore perdonerà. Ma, dimmi, figlia mia, quale sarebbe la colpa che ti affligge? Hai facto o facto fare incanti in herbe o in altre cose colte
«Sì, domine, nell’esercizio della mia arte lo feci più volte, in pozioni per impedire il concepimento o la nascita dei bambini.»

Re: Gioire

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Fraudolente ha scritto: Non condivido: leggere un testo dove il modo di parlare di un servo della gleba sia analogo a quello di un re (o di un religioso a quello di un soldato) risulterebbe piatto e "anacronistico".  Ho un prete che si arrabbia e impreca in latino, un castellano con la zeppola, un fabbro sgrammaticato che... bestemmia (ma lo dico soltanto che bestemmia...) , eccetera eccetera
Come detto: questione di scelte. Ricorda che, a meno che tu sia un esperto di quel volgare e che tu faccia parlare i tuoi personaggi esattamente in quel volgare, stai comunque inventando. Renzo e Lucia non parlavano certo nella lingua che gli ha messo in bocca il Manzoni. Non per questo sono meno autentici.

Nessuno dice che un servo della gleba debba parlare come un re, ma l'italiano corrente ha diversi registri che possono tranquillamente essere usati per rendere voci diverse: un avvocato in tribunale parla in un italiano ben diverso da quello del vecchietto montanaro che dà indicazioni a un forestiero. Eppure è sempre italiano corrente.

Ogni scelta ha i suoi pro e i suoi contro.

In ogni caso, questo è parecchio off topic. :D

E PS, da appassionato di romanzi storici: gran bel frammento. :si:

Re: Gioire

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Poeta Zaza ha scritto: @Mid  @Fraudolente

Secondo me, mi aspetto di leggere i dialoghi di ogni romanzo, ambientati in qualsiasi epoca storica, e pronunciati da personaggi di qualsiasi posizione sociale, nella mia lingua madre di questo secolo. Come se l'autore gli mettesse i sottotitoli per tradurli tutti da lingue a noi sconosciute.
 Come detto sopra, è una scelta. Ne Il nome della rosa, Eco fa parlare i suoi personaggi in latino. Certe volte i personaggi di Tolkien parlano in elfico, o nanesco, o nella lingua di Mordor.

Non esiste una scelta migliore delle altre, dipende tutto da qual è il target dell'opera e cosa l'autore vuole trasmettere.

Re: Gioire

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Poeta Zaza ha scritto: @Mid  @Fraudolente  :)

Secondo me, mi aspetto di leggere i dialoghi di ogni romanzo, ambientati in qualsiasi epoca storica, e pronunciati da personaggi di ogni estrazione  sociale, nella mia lingua madre di questo secolo. Come se l'autore gli mettesse i sottotitoli per tradurli tutti da lingue a noi sconosciute.
Ma no, non è detto che debba essere così. Se hai fonti attendibili, puoi affidarti a loro. Di recente ho visto un film ambientato nella Seconda Guerra Mondiale dove i tedeschi parlavano la loro lingua ed erano tradotti nei sottotitoli. Vero è, d'altronde, che noi siamo il paese con i migliori doppiatori al mondo. Il volgare antico, che si tratti di parole o frasi non importa, quasi mai necessita di traduzione, come la maggior parte del latino, se usato con parsimonia. Qualcuno mi ha insegnato che una notula a piè di pagina può aiutare chi non conosce la lingua o ha dei dubbi, ma non disturba il lettore che non ne ha bisogno.

Re: Gioire

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@Fraudolente  @Marcello   

Quantomeno, mi facilita la lettura, che scorre senza intoppi ed è meglio, per me, capire tutto quello che viene detto senza 
complicarmi la vita con un passaggio in più per leggere la storia.
L'immersione nel contesto me la danno le azioni dei personaggi e le descrizioni e riflessioni dell'autore e dei protagonisti.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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