L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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(Da una discussione di Swetty in Lingua & affini, WD, del 27/09/2011)

In un suo articolo, l'Accademia della Crusca trae spunto dalla contrapposizione redigere/redarre per analizzare l'atteggiamento di grammatiche e dizionari nei confronti della lingua:
https://accademiadellacrusca.it/it/cons ... ionali/328

Ne vien fuori che (troppo) spesso l'atteggiamento è normativo, ossia tendente a imporre una regola, e non descrittivo, ossia tendente a registrare l'uso effettivo della lingua. Con un pizzico di malizia, si può dire che una grammatica in questo caso riporta l'idea che l'autore ha di come dovrebbe essere la lingua italiana, invece che la descrizione di come sia davvero.
Quest'atteggiamento si sposa con quello scolastico (che è però corretto che sia normativo). Il risultato è che (troppo) spesso si fa appello a regole che in realtà (e qui partì il flame) risiedono solo nei libri di grammatica, ma non hanno alcuna giustificazione reale.
Per esempio, su affatto scrive Nencioni sempre sul sito dell'Accademia:

«Purtroppo le espressioni formulari divengono gettoni non più analizzati dal parlante: penso, per esempio, all’avverbio affatto, probabilmente risalente a una locuzione del latino parlato (ad factum) e significante “interamente, del tutto”, come anche oggi nell’espressione colta: “L’onestissimo Giovanni è affatto privo di doppiezza”. Però questo avverbio, usato spesso come rafforzativo in frasi negative (“non la penso affatto come te”, “non ho affatto voglia di impegnarmi”), ha preso, nell’uso corrente, il significato contrario di “per nulla”, specie nelle risposte a domande che chiedono un sì o un no: “Hai freddo?” “Affatto”; il quale affatto evidentemente sottintende un niente (niente affatto) e assume su di sé il senso della parola sottintesa.»
(https://accademiadellacrusca.it/it/cons ... gativo/265)

Ma anche su uscire fuori:
https://accademiadellacrusca.it/it/cons ... eonasmi/13

Qui si assiste a un curioso fenomeno, quello di un'Accademia della lingua dedita a contrastare purismo e rigorismo diffusi.
Ora questo non è un invito a non rispettare le regole, e non è neanche questione di «le regole si possono violare dopo che le si conosce». È un invito a vedere che le regole non esistono a priori, ma dovrebbero aiutare a rispecchiare la lingua. E anche che non esiste una sola lingua immutabile e vera, ma ne esistono molte e ognuna di queste è in evoluzione: diversi registri linguistici, linguaggi settoriali, regionalismi, ecc.
Certo, un bambino che si affaccia per la prima volta alla lingua italiana è giusto che venga guidato da regole normative. Ma quando si parla di scrittori, gente che in teoria dovrebbe fare della lingua italiana il pane quotidiano, non è possibile fermarsi alla grammatica normativa. Anzi, è doveroso rifarsi a una grammatica descrittiva, e a uno studio più serio e profondo della lingua. Ed è parimenti necessario essere elastici e pronti a recepire e riconoscere i fenomeni linguistici reali, anche a scapito di quelle regole del liceo che ci hanno fatto soffrire così tanto a suo tempo. Imparare quindi a non censurare aprioristicamente i fenomeni "scorretti", ma ad analizzarli e valutarli per quello che sono, cioè fatti linguistici, e a chiedersi quale sia quel meccanismo per cui esistono nonostante la norma non li preveda (e che, vale ripeterlo, da un punto di vista scientifico significa che è la norma a essere sbagliata).
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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Ciao @Bef, sono d'accordo, in linea di massima, con la tua analisi del problema. Però..., c'è un però. Ogni lingua ha le sue regole grammaticali, sintattiche, lessicali. Regole che bisogna conoscere, quando si pensa di diventare scrittori. Se è vero che, per esempio nei dialoghi, è bene tenersi il più vicini possibile al linguaggio realmente usato dalla gente (nelle mie poche, mediocri opere mi sforzo di seguire questa linea), è altrettanto vero che uno scrittore non può e non deve infischiarsene dei congiuntivi, della consecutio temporum, della punteggiatura, e via dicendo. Per aggirare le regole - cosa che a volte serve per rendere un'idea o per affermare uno stile "di rottura" - bisogna sapere con cosa si ha a che fare e disporre del necessario talento, orecchio, senso del ritmo, eccetera. D'annunzio, ad esempio, ha creato innumerevoli neologismi, ma disponeva di un retroterra culturale comune a pochi. Chi deroga le regole senza conoscerle, non è uno che innova, semplicemente è uno che ignora.
Mario Izzi
Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni (trilogia)
Dea
Non solo racconti
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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Bef ha scritto: da un punto di vista scientifico significa che è la norma a essere sbagliata
Io la penso esattamente così. :)
Per me, l'italiano avrebbe bisogno di una bella riforma ortografica. Sono state fatte in molti angoli del mondo e mi pare che non sia morto nessuno. La lingua non è quella che si scrive, ma quella che si parla. La scrittura corretta è una convenzione tra i parlanti: ci riuniamo in una stanza e decidiamo come mettere su carta ciò che ci esce dalla bocca. Per esempio, in Italia abbiamo deciso di esprimere il suono /ke/ con "che", mentre in Spagna con "que". /ki/ con "chi" e /tʃi/ con "ci". Che poi dovrebbero spiegarmi perché la C un po' è /tʃ/ e un po' è /[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]k/, ma è la convenzione vigente e ci adeguiamo. Se però qualcuno mi venisse a parlare dell'introduzione della cappa (K) io non mi straccerei le vesti. Scriverei "penso ke" invece di "penso che" oppure "l'uomo ke vedo" invece di "l'uomo che vedo". Mi adeguerei anche in questo caso alla convenzione. Tra l'altro, il sardo lo fa già. C'è "kentu" invece di "centu", "kelu" al posto di "celu". In siciliano si scrive "penzu" al posto di "pensu", "celu" in luogo di "cielu": solo convenzioni, soggette oltretutto a cambiamenti nel tempo. Per esempio, anticamente l'ortografia siciliana prevedeva la X per il suono /ʃ/, che tuttavia sopravvive nei cognomi e nei toponimi. Così (visto che siamo su CdM :) [/font]) "Sciascia" si scriveva "Xiaxia" (o addirittura "Xaxa"). Poi qualcuno ha deciso che si doveva usare "sc(i)". Okay, sia! Il cognome "Craxi" si pronuncia "Crasci" (anzi, "Crascì", se uno vuole omaggiare l'origine francese). In Sicilia, c'è un paese in provincia di Giurgenti (Agrigento, in italiano) che si chiama Sant'Angelo Muxaro, che in siciliano si pronuncia tuttora "Musciaru". C'è anche "Jòppolo Giancaxio" (Jòppulu Giancasciu, in siciliano) sempre nell'agrigentino, e altri. Convenzioni che vanno e vengono.
In Somalia, negli anni '30 del Novecento, sono addirittura passati dall'alfabeto arabo a quello latino.


Un'altra cosa che si potrebbe cambiare è la I in parole come scienza (e derivati) e sufficiente (e derivati), e quindi scriverei "scenziato" (senza che venga la maestrina a metterci la riga blu sotto ;) ) e "sufficenza". Tanto la I non viene pronunciata: "scenziato" e "scienziato" hanno la stessa dizione. No, per dire! Giusto per avere la coscenza a posto.

Tempo fa qualcuno rilevò che sul vecchio WD molti, errando, scrivevano "narratore onniscente" invece di "onnisciente". Potrei adottare due punti di vista a proposito.
Uno, POV da Crusca. "Gli Italiani sono ignoranti e non sanno scrivere!". Punto e basta.

Due, POV da Dyskolos. "Ma… ehm… mi scusino, LorSignori! Non può essere che la convenzione della I è stupida, sbagliata? E quindi gli Italiani sanno scrivere e non sono ignoranti!".

Nei test INVALSI si nota che i ragazzi italiani hanno scarse prestazioni in italiano: la loro lingua madre. Anche qui potrei adottare due punti di vista.
Uno, POV da Crusca. "Gli Italiani sono ignoranti e non conoscono la propria lingua madre, oltre a non sapere scrivere!". Punto e basta.
Due, POV da Dyskolos."Non può essere che l'italiano non è la lingua madre di tutti gli italiani?". Mi piacerebbe fare quei test in veneto (per i ragazzi veneti, ovviamente). Vuoi vedere che le prestazioni aumentano come per magia rispetto all'italiàn? La mia è solo un'ipotesi, ma così rimarrà perché nessuno mai mi lascerà fare quella prova :)
Facciamo sta riforma ortografica, ava'! Così vedremo che gli Italiani sanno scrivere, ma non riescono a tenere dietro a convenzioni stupide. Non sono mica gli Italiani a essere stupidi, eh!
Il Sommo Misantropo

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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dyskolos ha scritto: Tempo fa qualcuno rilevò che sul vecchio WD molti, errando, scrivevano "narratore onniscente" invece di "onnisciente". Potrei adottare due punti di vista a proposito.
Uno, POV da Crusca. "Gli Italiani sono ignoranti e non sanno scrivere!". Punto e basta.

Due, POV da Dyskolos. "Ma… ehm… mi scusino, LorSignori! Non può essere che la convenzione della I è stupida, sbagliata? E quindi gli Italiani sanno scrivere e non sono ignoranti!".
Ero io quel qualcuno, @dyskolos e rivendico la paternità dell'affermazione: uno che vuol fare lo scrittore deve sapere che si scrive onnisciente con la "i", e possibilmente dovrebbe conoscerne anche il motivo. Se non lo sa è uno (scrittore) ignorante. Punto e basta.
Altrimenti avremmo anche la scenza e quant'altro
E quando nevica per sciare io preferisco andare in montagna piuttosto che al mare; se a te invece piace sciare sull'Adriatico... buon divertimento.
Oh, scusa, ho rimasto le vecchie abitudini (come diciamo noi romagnoli zoticoni): dovevo scrivere piuttosto ke. :tze: 
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Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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@dyskolos 
sei decisamente ottimista rispetto a dialetti e lingue parlate nel nostro paese. Tutti li conoscono ma pochissimi sanno scrivere nell'idioma locale, il test Invalsi sarebbe una strage degli innocenti.
La scuola, ahinoi, è molto cambiata e scrivere correttamente in italiano non è più una priorità. Quarant'anni fa alle medie facevi un tema a settimana come minimo. Ora i testi richiesti sono molti di meno, più brevi e superficiali e le ricerche sono svolte in rete con un banale copia e incolla. Ne deriva una incapacità cronica di creare testi corretti e scorrevoli. Anche la poca lettura, naturalmente, contribuisce.

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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D'accordo sul fatto che la lingua parlata sia un animale in continua evoluzione (quasi mai in meglio, perché si tende ad asciugare troppo i concetti con conseguente impoverimento del vocabolario di ognuno), ma la lingua scritta dovrebbe essere composta rispettando le regole che l'hanno creata. Sempre.
Con questo non voglio dire di tornare a parlare come Dante, ma santo cielo nemmeno con la freschezza di una persona che ha appena messo giù il piede dal letto (sto generalizzando).
Altri prima di me hanno scritto giustamente che prima di iniziare a stravolgere per gioco la lingua bisogna conoscerla più che bene, e questo concetto viene impietosamente alla luce in tutte le altre arti: il cinema, la musica, la pittura e via discorrendo, dove non si fanno sconti. Credo che debba essere così anche per la scrittura.

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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Marcello ha scritto: uno che vuol fare lo scrittore deve sapere che si scrive onnisciente con la "i", e possibilmente dovrebbe conoscerne anche il motivo. Se non lo sa è uno (scrittore) ignorante. Punto e basta.
Certo! Infatti anche io sono d'accordo. Proponevo una riforma ortografica. Senza riforma hai ragione tu (e io), ma dopo (te lo dico in scenza e coscenza) non avresti ragione. Il piuttosto che e il quant'altro li detesto anch'io, ma ciò vale fino a quado sono vivo. E fino a quando sono vivo, dirò sempre che non vanno bene. Poi, quando non sarò più su questa Terra, faranno come credono: dall'Aldilà non posso intervenire, credo :) 

Comunque sul "ke" sono convinto che si debba fare qualcosa. Diciamolo anche a Che Guevara (@Cheguevara), che leggiamo /[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]t[/font][font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif][highlight defaultattr=]ʃe.geva'ra/, mentre, secondo le nostre convenzioni, dovremmo leggerlo /ke.gweva'ra/. Quando mi sarà consentito di scrivere "penso ke" ne sarò felice. Chi insegna l'italiano agli stranieri sa di cosa parlo. Con "ka, ke, ki, ko, ku" non avrebbe problemi. Con "ca, cia, che, ce, cie, chi, ci, co, cio, cu, ciu" sì. Così dico la stessa cosa per uno "che non ci vede" e per un "abitante della Repubblica Ceca". Abbiamo due grafie per la stessa emissione vocale. Se li chiamassimo "ceco" entrambi, invece di "cieco" e "ceco", non mi scandalizzerei.[/font][/highlight]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Tra l'altro le riforme ortografiche le fanno in tutto il mondo, eppure mi pare che non sia morto nessuno. È semplicemente un accordo su come tradurre in scrittura ciò che ci esce dalla bocca. Poi uno con la lingua vera, quella parlata, continuerà a seguire le proprie abitudini, ma, quando scrive, scriverà "ke". D'altronde, la scrittura nasce sempre dopo la parlata ed è una convenzione. Per dire, anche "penso che" è una convenzione. Se fosse "penso ke" da sempre, oggi criticheremmo quelli che scrivono "penso che".[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Gli Inglesi scrivono con una grafia distantissima dal parlato, ma tutti scrivono la stessa cosa. Scrivono tutti "beat", ma a Londra lo dicono in un modo, a New Delhi in un altro modo, a New York in un altro modo ancora, a Melbourne in un altro modo. Anche i Francesi adottano una grafia distante dal parlato, e ci sono variazioni diatopiche e diacroniche pure in Francia, ma tutti scrivono "eau". Poi ognuno lo dice a modo suo :)[/font]
 
Brutus ha scritto: sei decisamente ottimista rispetto a dialetti e lingue parlate nel nostro paese. Tutti li conoscono ma pochissimi sanno scrivere nell'idioma locale, il test Invalsi sarebbe una strage degli innocenti.
Può essere. :) 
Comunque meriti dieci e lode perché hai detto che in Italia si parlano altre lingue oltre all'italiano, mentre la vulgata comune consiste nel denominare tutti gli idiomi come "dialetti", in  senso spregiativissimo. Nel nostro Belpaese, si usa chiamare "dialetto", spregiativamente, tutto ciò che si parla ma non è italiano. Fino a ieri sera mi è toccato sentire in TV "oh, come parlate bene in dialetto veneto!", detto da una giornalista a due Veneti che si parlavano nella loro lingua. Certo, dire che il veneto è un dial… niente, non mi esce anche sforzandomi. Ci riprovo, il veneto è un di… niè, non ci riesco :)  
L'educazione linguistica italiana è di scarsissima qualità. :(



Volevo dire una cosa a @nanoFatato, ma non riesco a taggarlo :( Ha detto: "[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]la lingua scritta dovrebbe essere composta rispettando le regole che l'hanno creata. Sempre.[/font]"

Esatto! Giusto! La mia proposta di rivedere la forma infatti riguarda solo lo scritto, non l'orale. Uno scrive rispettando certe regole "universali" e poi continua a parlare come vuole :)
Nell'orale, per dire, non c'è differenza tra "penso che" (come è ora) e "penso ke" (come piacerebbe a me) :)
Il Sommo Misantropo

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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dyskolos ha scritto: Chi insegna l'italiano agli stranieri sa di cosa parlo. Con "ka, ke, ki, ko, ku" non avrebbe problemi. Con "ca, cia, che, ce, cie, chi, ci, co, cio, cu, ciu" sì
Non ho capito: per insegnare l'italiano agli stranieri dobbiamo modificare la nostra lingua? Ma guarda tu...

Se vai a Londra, chiedi un'informazione e li preghi di parlare lentamente, te la danno con un sorrisino a fior di labbra come se stessero parlando a un parente; se chiedi di ripetere, loro ripetono senza nemmeno provare a parlare più lentamente. Non capisci? C...i tuoi, nessuno ti ha chiesto di andare là.
Se uno straniero mi chiede un'informazione e non capisce, io sillabo, gesticolo, gli faccio un disegno su un foglio di carta e se il posto non è troppo lontano glielo accompagno pure... Ma che adesso debba anche riformare la lingua di Dante affinché lui mi capisca, questo mi sembra un tantino esagerato, eh!
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Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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Concordo con i sostenitori di una Riforma radicale: noleggiamo un pullman e andiamo ad affiggere 95 Tesi sul portale della cattedrale della Crusca.

La mia è questa: abolizione della Q, lettera assolutamente inutile: cuadro si pronuncia esattamente come quadro; accua esattamente come acqua; soqquadro è la parola più assurda dell'intero dizionario.
Mettiamo finalmente a soccuadro cuesto alfabeto anticuato, liberiamo tasti utili per altri simboli ben più pregnanti (ad esempio la cuaglia o il fagiano, che io propongo da anni come alternative a cuella melensa chiocciola).

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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Marcello ha scritto: Non ho capito: per insegnare l'italiano agli stranieri dobbiamo modificare la nostra lingua? Ma guarda tu...
Categoricamente no! Io sono il primo a dire che noi Italiani siamo abituati a pensare che all'estero facciano meglio, ma pensiamo male. Ho letto su FB che noi dobbiamo fare come i Russi. Gli ho risposto "male": si adeguino loro a noi, capperi. Con me sfondi una porta aperta su questo punto. Per me su alcune cose è la Germania a dovere agire all'italiana e non viceversa. Mica noi siamo inferiori ai Tedeschi! Eppure si fa passare questo messaggio.

Voglio dire soltanto che se la convenzione oggi fosse sul "penso ke", staremmo qui a criticare quelli che scrivono "penso che".  :)
In sardo si scrive "kelu" per "cielo" e nessuno si lamenta.
Anch'io faccio come te con gli stranieri che chiedono informazioni. Quando posso, li accompagno sul luogo. Noi Italiani siamo un popolo ospitale. Forse gli Svedesi dovrebbero imparare da noi, e non noi da loro :)
Dante scriveva saltando molte doppie ("mezo"). Si nota consultando i manoscritti più antichi.
Il Sommo Misantropo

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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massimopud ha scritto: Concordo con i sostenitori di una Riforma radicale: noleggiamo un pullman e andiamo ad affiggere 95 Tesi sul portale della cattedrale della Crusca.

La mia è questa: abolizione della Q, lettera assolutamente inutile: cuadro si pronuncia esattamente come quadro; accua esattamente come acqua; soqquadro è la parola più assurda dell'intero dizionario.
Mettiamo finalmente a soccuadro cuesto alfabeto anticuato, liberiamo tasti utili per altri simboli ben più pregnanti (ad esempio la cuaglia o il fagiano, che io propongo da anni come alternative a cuella melensa chiocciola).
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif][/font]
:D

Capisco che la cosa susciti risate, lazzi e frizzi, ma la lingua, come m'insegni, è la parte principale della cultura di un popolo. Al secondo posto c'è la religione, ma qui non ce ne occupiamo. Già il solo parlar di lingua ł'è una roba pesante. :)

Una riforma ortografica c'è già stata in Italia durante il Ventennio. Un'altra (ma forse dovrei dire "la stessa") ha colpito la Sicilia e, come al solito, non se n'è accorto nessuno oltre la Sila. Ne ho accennato qualcosa sopra. Poiché bisognava evitare cose straniere, a noi Siciliani ci hanno proibito di usare la X. La usavamo per indicare il suono "sc" di "scena". Per capirci, il cognome del Maestro Leonardo Sciascia lo scrivevamo "Xiaxia". Poi ci hanno detto: "Ah regà, mo basta co 'sta X! Dovete scrivere 'sc' come tutti gli Italiani". E lo abbiamo fatto senza problemi. Oggi nessun siciliano scrive "Xiaxia" in italiano. Nemmeno io, che scrivo "Sciascia" in italiano, ma mi riservo il lusso di pronunciarlo "alla siciliana" come ultima forma di resistenza passiva non-violenta, solo linguistica, alle dittature; le quali, quando si issano lassù, la prima cosa che fanno è incidere sulla lingua (vedi Birmania/Myanmar). A ulteriore conferma che la lingua è una roba pesante. La X però sopravvive nei toponimi e nei cognomi. Sopra ho messo l'esempio di Sant'Angelo Muxaro (che pronunciamo musharu) e di Craxi, che in italiano si pronuncia Kraksi, mentre in siciliano Crasci. Ora mi viene in mente anche Calascibetta (EN), che in origine era Xibetta, e tuttora gli abitanti si chiamano Xibetani.
In finlandese hanno importato dall'inglese la parola "sexy", ma la scrivono secondo la loro grafia ("Seksi"). Guarda qua, se ti va: https://www.youtube.com/watch?v=Wlk4ulVs-2M

 
Io non propongo una riforma radicale, ma solo qualche limitato aggiustamento qua e là. :)


Per esempio, propongo di affiancare "penso ke" a "penso che", così posso andare d'amore e d'accordo a braccetto con Marcello senza tema (nessuno dei due!) di essere preso per 'gnurant. Parleremo e non sentirò differenza quando diciamo "penso che/ke". Sui suoi libri troverò "penso che" (mentre sui miei ci sarà scritto "penso ke") e ti garantisco che non gli telefonerò per dirgli che non lo capisco. :)

Ora, noi ci siamo adeguati a "sc" invece di X. Ma davvero gli Italiani in genere non possono adeguarsi alla doppia forma "penso che/ke"?

Le riforme ortografiche si fanno tranquillamente in tutto il mondo e mi pare che nessuno sia morto per questo. Negli anni '30 del Novecento, in Somalia per legge sono addirittura passati dall'alfabeto arabo a quello latino. Il risultato fu che le generazioni più avanti con gli anni continuavano a usare l'alfabeto arabo (e nessuno gli diceva niente), mentre i giovani scrivevano A B C D ecc… :) 

Comunque una riforma ortografica è di fatto già in atto. Basta vedere come il Treccani online, il DOP e altri trattano le Z (/ts/ o /dz/). Guarda qua: https://www.treccani.it/vocabolario/lazzo2 .
Il Sommo Misantropo

Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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@dyskolos perdonami, ma "penso ke" mi fa venire in mente soltanto un tredicenne che scrive al telefono o su Facebook "tvb" "cmq" "ki kazzo 6?" e simili...
Non lo userò mai e poi mai, ma proprio mai.
Tvb <3 
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Re: L’atteggiamento verso la lingua: normativi versus descrittivi

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Marcello ha scritto: Non lo userò mai e poi mai, ma proprio mai.
C'ero arrivato :)
Infatti io propongo un affiancamento delle due forme, così che ognuno si senta libero di usare quella che più gli aggrada. Poi io non sono il re del mondo, non comando nemmeno a casa mia, figurati ;)
Io mi limito ad avanzare una proposta, poi, se non viene accolta, continuerò tranquillamente, come ho sempre fatto, a scrivere "penso che". Non mi cambia niente.
TVB  :P
Il Sommo Misantropo
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