@Ngannafoddi
Argomento interessante sul quale con le mie modeste forze ero intervenuto spesso e inutilmente nel forum precedente, come mi permetto anche adesso, certo inutilmente.
Ricordo che mi accanivo, non tanto per l'uso di titoli e ambientazioni anglosassoni, americani diciamo, sui quali non ho nulla da ridire; l’inglese è una bellissima lingua a parte la lapalissiana constatazione che l'inglese non ha mai fatto parte della storia italiana, se togliamo gli ultimi settantasei anni. Che non sono la storia universale del mondo né tantomeno della civiltà italiana, per rimanere a casa nostra.
C'è stato un mondo, una letteratura italiana anche prima.
La parentela linguistica e culturale italiana è arcinota; propendiamo, penso sia inutile approfondirne le motivazioni, verso le lingue neolatine che spesso riusciamo a capire per sommi capi anche senza averle studiate come lo spagnolo, il portoghese, il francese… ci metterei anche il rumeno.
Ma la questione è perché uno scrittore italiano sia propenso a mettere titoli inglesi ai suoi romanzi, ambientandoli non tanto in Inghilterra, che fa sempre parte del continente europeo, ma ambientando negli USA. Beninteso che se uno parla e scrive perfettamente l’inglese, ha vissuto e studiato in America a mio parere può benissimo ambientare in USA e titolare in inglese, perché quello che scriverà sarà credibile
Ha ragione @Cheguevara nel dire che la nostra storia italiana è abbastanza ricca di ogni nefandezza da bastare per milioni di ambientazioni avvincenti.
Io direi anche di più. Siamo rimasti incantati fin da bambini (io si) dai film americani sull’epopea western, io per primo e ho anche letto romanzi ambientati sul mito della frontiera che mi hanno affascinato, ma erano scritti da uomini nati e vissuti in quei luoghi.
Hemingway era eccessivo quando affermava che uno scrittore doveva scrivere solo di ciò che aveva vissuto. Lui scrisse romanzi ambientati in Italia, Spagna e Africa, ci aveva vissuto per anni, scrisse delle guerre mondiali e della guerra di Spagna, che aveva combattuto, scrisse di safari e corride, che aveva frequentato. Lui si, pur non essendo europeo poteva scrivere, e bene, di ambienti e di lingue che non erano le sue.
Parlando di ambientazioni moderne americane che facciamo? Per esempio mettiamo le solite indagini del solito detective che beve, che è stato sospeso dal servizio, che è stato lasciato dalla moglie, inviso ai superiori e quant’altro che risolve un caso di importanza epocale, tra il suo distretto e la 45^ Strada? Ne abbiamo visto a migliaia in tutte le salse. Vogliamo aggiungere anche noi un altro detective di New York a risolvere un caso, magari tra Little Italy e il quartiere ispanico o cinese? È necessario? Va bene, siamo liberissimi di farlo, facciamolo subito se ne abbiamo le competenze e le capacità che ci vogliono, giusto per non far morire dal ridere un lettore americano che leggesse e che inevitabilmente ci troverebbe delle assurdità. Mettiamoci anche uno pseudonimo inglese così gli italiani o gli altri europei, se pubblichiamo in Europa, crederanno si tratti di un romanzo americano e lo compreranno.
Mettiamoci nei panni di un americano che ambienta un giallo a Roma o a Firenze. Se non conosce bene tutto, ma proprio tutto, un italiano ci troverà parecchi luoghi comuni e inesattezze. E riderà. O no?
La questione non è solo mentale, di simpatia, propensione, pigrizia, abitudine verso una lingua non nostra, inculcata e ormai usuale.
Se avessimo scritto sulle nostre epopee italiane, se avessimo fatto film sulla nostra storia avremmo stupito il mondo e avremmo avuto molti più scrittori e lettori in Italia.
A me piace e interessa vedere la conquista del Far West da parte dei coloni inglesi e le guerre indiane, in particolare se non sono venate dalla solita superiorità dei conquistatori ma viste nella loro complessità e verità umana. A me piace vedere o leggere le varie indagini su delitti e lotte fra gang americane, o gialli irrisolvibili, ma piacerebbe ancora di più poter leggere, parlando di epopee, di romanzi ad esempio sull’Unità d’Italia, le lotte al brigantaggio conseguente. Quello fu il nostro sanguinosissimo Far West con migliaia di morti, villaggi incendiati, drappelli di bersaglieri e carabinieri che dilagavano nel meridione, gli agguati, le retate, i villaggi incendiati, le adunate di sbandati borbonici che si costituivano in bande… stragi, stupri, ecatombi… non se ne sa un beato fico secco.
Ho letto qualcosa di Francesco Jovine, come Signora Ava, Verga e altri, ma poca roba, pochissima.
Ma venendo al presente, sempre come ha detto @Cheguevara in Italia c’è l’imbarazzo della scelta e sarebbe molto più interessante. Tra l’altro per me è più facile descrivere la carriera di un carabiniere che fa le indagini, il suo passato, il suo arruolamento, piuttosto che descrivere la carriera di un ragazzone laureato americano che gioca nella squadra della sua università e si arruola in polizia… (che ne so della sua scuola, del suo addestramento, della sua vita? Del suo slang? O forse non è importante? Ma il romanzo si compone anche di tasselli di vita dei protagonisti, dobbiamo conoscere il loro ambiente, la contestualizzazione… O no? Se non abbiamo problemi vuol dire che sappiamo tutto, allora ambientiamo americano, benissimo.
In Italia si sono comunque scritti romanzi di mala, i romanzi di Giorgio Scerbanenco, tra l'altro un ucraino trapiantato a Milano, romanzi ambientati nella mala milanese che sarebbero da antologia, ma non li conosce nessuno, come nessuno conosce Franco Enna che ha scritto dei gialli italiani ambientati anche nel meridione. Per non parlare di Sciascia e de Il giorno della civetta, che non ha niente da invidiare ai gialli d’oltre Atlantico.
Ne cito pochi ma ce ne sono per quanto non noti e quindi è come se non esistessero.
Per quanto mi riguarda non sono mai riuscito a mettere titoli inglesi o ambientare storie in USA.
Ma parlo solo per me, lungi da me il voler affermare che non bisogna scrivere di ambientazioni americane. Anche ritornando indietro ormai la letteratura italiana è già al tracollo, a parte i fasti di certi saloni letterari, recenti e non, che però non celebrano la letteratura ma la politica.