Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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@Ngannafoddi Non riesco a spiegarmelo. Come non mi spiego perché tanti autori, o neo-autori, italianissimi, insistano ad ambientare le loro storie, specie se di genere poliziesco, in paesi esteri, più che altro USA. Tanto più che da noi, quanto a criminalità organizzata, forze dell'ordine infedeli e giudici corrotti, c'è solo da scegliere. Mah!  
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Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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@Ngannafoddi 
Argomento interessante sul quale con le mie modeste forze ero intervenuto spesso e inutilmente nel forum precedente, come mi permetto anche adesso, certo inutilmente.
 
Ricordo che  mi accanivo, non tanto per l'uso di titoli  e ambientazioni anglosassoni, americani diciamo, sui quali non ho nulla da ridire; l’inglese è una bellissima lingua a parte la lapalissiana constatazione che l'inglese non ha mai fatto parte della storia italiana, se togliamo gli ultimi settantasei anni. Che non sono la storia universale del mondo né tantomeno della civiltà italiana, per rimanere a casa nostra.
C'è stato un mondo, una letteratura italiana anche prima.
 
La parentela linguistica e culturale italiana è arcinota; propendiamo, penso sia inutile approfondirne le motivazioni, verso le lingue neolatine che spesso riusciamo a capire per sommi capi anche senza averle studiate come lo spagnolo, il portoghese, il francese… ci metterei anche il rumeno.
 
Ma la questione è perché uno scrittore italiano sia propenso a mettere titoli inglesi ai suoi romanzi, ambientandoli non tanto in Inghilterra, che fa sempre parte del continente europeo, ma ambientando negli USA. Beninteso che se uno parla e scrive perfettamente l’inglese, ha vissuto e studiato in America a mio parere può benissimo ambientare in USA e titolare in inglese, perché quello che scriverà sarà credibile
 
Ha ragione @Cheguevara  nel dire che la nostra storia italiana è abbastanza ricca di ogni nefandezza da bastare per milioni di ambientazioni avvincenti.
Io direi anche di più. Siamo rimasti incantati fin da bambini (io si) dai film americani sull’epopea western, io per primo e ho anche letto romanzi ambientati sul mito della frontiera che mi hanno affascinato, ma erano scritti da uomini nati e vissuti in quei luoghi. 
 
Hemingway era eccessivo quando affermava che uno scrittore doveva scrivere solo di ciò che aveva vissuto. Lui scrisse romanzi ambientati in Italia, Spagna e Africa, ci aveva vissuto per anni, scrisse delle guerre mondiali e della guerra di Spagna, che aveva combattuto, scrisse di safari e corride, che aveva frequentato. Lui si, pur non essendo europeo poteva scrivere, e bene, di ambienti e di lingue che non erano le sue.
 
Parlando di ambientazioni moderne americane che facciamo? Per esempio mettiamo le solite indagini del solito detective che beve, che è stato sospeso dal servizio, che è stato lasciato dalla moglie, inviso ai superiori e quant’altro che risolve un caso di importanza epocale, tra il suo distretto e la 45^ Strada? Ne abbiamo visto a migliaia in tutte le salse. Vogliamo aggiungere anche noi un altro detective di New York a risolvere un caso, magari tra Little Italy e il quartiere ispanico o cinese? È necessario? Va bene, siamo liberissimi di farlo, facciamolo subito se ne abbiamo le competenze e le capacità che ci vogliono, giusto per non far morire dal ridere un lettore americano che leggesse e che inevitabilmente ci troverebbe delle assurdità. Mettiamoci anche uno pseudonimo inglese così gli italiani o gli altri europei, se pubblichiamo in Europa, crederanno si tratti di un romanzo americano e lo compreranno.
Mettiamoci nei panni di un americano che ambienta un giallo a Roma o a Firenze. Se non conosce bene tutto, ma proprio tutto, un italiano ci troverà parecchi luoghi comuni e inesattezze. E riderà. O no?
  
La questione non è solo mentale, di simpatia, propensione, pigrizia, abitudine verso una lingua non nostra, inculcata e ormai usuale.
Se avessimo scritto sulle nostre epopee italiane, se avessimo fatto film sulla nostra storia avremmo stupito il mondo e avremmo avuto molti più scrittori e lettori in Italia.
A me piace e interessa vedere la conquista del Far West da parte dei coloni inglesi e le guerre indiane, in particolare se non sono venate dalla solita superiorità dei conquistatori ma viste nella loro complessità e verità umana. A me piace vedere o leggere le varie indagini su delitti e lotte fra gang americane, o gialli irrisolvibili, ma piacerebbe ancora di più poter leggere, parlando di epopee, di romanzi ad esempio sull’Unità d’Italia, le lotte al brigantaggio conseguente. Quello fu il nostro sanguinosissimo Far West con migliaia di morti, villaggi incendiati, drappelli di bersaglieri e carabinieri che dilagavano nel meridione, gli agguati, le retate, i villaggi incendiati, le adunate di sbandati borbonici che si costituivano in bande… stragi, stupri, ecatombi… non se ne sa un beato fico secco.
Ho letto qualcosa di Francesco Jovine, come Signora Ava, Verga e altri, ma poca roba, pochissima.
 
Ma venendo al presente, sempre come ha detto @Cheguevara in Italia c’è l’imbarazzo della scelta e sarebbe molto più interessante. Tra l’altro per me è più facile descrivere la carriera di un carabiniere che fa le indagini, il suo passato, il suo arruolamento, piuttosto che descrivere la carriera di un ragazzone laureato americano che gioca nella squadra della sua università e si arruola in polizia… (che ne so della sua scuola, del suo addestramento, della sua vita? Del suo slang? O forse non è importante? Ma il romanzo si compone anche di tasselli di vita dei protagonisti, dobbiamo conoscere il loro ambiente, la contestualizzazione… O no? Se non abbiamo problemi vuol dire che sappiamo tutto, allora ambientiamo americano, benissimo.
 
In Italia si sono comunque scritti romanzi di mala, i romanzi di Giorgio Scerbanenco, tra l'altro un ucraino trapiantato a Milano, romanzi ambientati nella mala milanese  che sarebbero da antologia, ma non li conosce nessuno, come nessuno conosce Franco Enna che ha scritto dei gialli italiani ambientati anche nel meridione. Per non parlare di Sciascia e de Il giorno della civetta, che non ha niente da invidiare ai gialli  d’oltre Atlantico.
Ne cito pochi ma ce ne sono per quanto non noti e quindi è come se non esistessero.
  
Per quanto mi riguarda non sono mai riuscito a mettere titoli inglesi o ambientare storie in USA.
Ma parlo solo per me, lungi da me il voler affermare che non bisogna scrivere di ambientazioni americane. Anche ritornando indietro ormai la letteratura italiana è già al tracollo, a parte i fasti di certi saloni letterari, recenti e non, che però non celebrano la letteratura ma la politica.
 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Non si può farne un discorso generale: dipende tutto dal contesto, dalla tipologia di opera, dal target (per usare un inglesismo) a cui si rivolge. Se scrivo un romanzo ambientato in Sicilia, è chiaro che un titolo anglofono non ci “azzecca” nulla. Se invece scrivo un romanzo ambientato a Londra, o magari ispirato a un certo tipo di letteratura estera, un titolo straniero potrebbe essere molto appropriato. Io ho dato un titolo anglofono a una mia opera ambientata nel mondo del rock and roll, perché ho ritenuto che un titolo italiano sarebbe risultato "provinciale". In ogni caso, piaccia o meno, viviamo in una società globale, e sempre più espressioni anglofone rientrano nel linguaggio ordinario dell’italiano medio. Un titolo straniero, se scelto in modo appropriato, può essere più realistico, oltre a conferire all’opera una veste più moderna e una vocazione più internazionale.
Poi, chiaramente, l’abito non fa il monaco, e il titolo non fa l’opera…

@Alberto Tosciri 

Non sono molto d'accordo con te. 

Innanzitutto, non è del tutto vero che l'inglese "non ha mai fatto parte della storia italiana". Moltissime espressioni inglesi (più di quanto non si creda) derivano dal latino medievale e alcune di esse, addirittura, sono persino più vicine al latino rispetto alle corrispondenti nell'italiano moderno. 

Per quanto riguarda invece il discorso del legame tra l'ambientazione di un'opera e il fatto che l'autore conosca bene quel luogo... la storia della dell'arte e della letteratura dimostrano tutto il contrario. In gran parte dei casi, lo spunto di un'opera non è affatto dato dal conoscere bene un luogo, ma dall'esatto contrario, ovvero da quella che Baudelaire chiamava "nostalgia per un paese mai visto". Gran parte dell'ambientazione di un romanzo ha nulla a che vedere con un luogo fisico, bensì è un luogo mentale, per certi versi archetipico. Anche quando si racconta di un luogo reale - e molto spesso non lo è - è sempre trasfigurato dalla fantasia letteraria, che trasforma la realtà in qualcosa che non è più realtà... ma arte. La differenza tra la realtà e la fiction (tra la biografia e la mitologia, tra la fiaba e la cronaca, tra un documentario e un film) è proprio questa. Questo è anche il motivo per cui moltissimi film americani - anche quelli stessi di cui parli tu - sono ambientati in città non meglio definite, girati in luoghi simbolici, fictionali, o in ambientazioni fittizie, ricostruite a centinaia di chilometri di distanza da quelle che si suppongono essere le originarie. E a volte sono stati concepiti da registi che non erano nemmeno americani (che dire di Sergio Leone?). Lo stesso vale per la letteratura, e gli esempi sarebbero innumerevoli. I romanzi di Salgari erano ambientati in luoghi che egli non aveva mai visitato. E che dire di tutta la letteratura del romanticismo tedesco ambientata in Grecia, da parte di grandi autori (come Hölderlin) che non avevano mai fatto un viaggio in Grecia? 

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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@Wanderer Gli autori da te menzionati risalgono a un periodo in cui un certo tipo di mondo, proprio perché non  globalizzato, poteva essere facilmente raggiunto dal lettore solo con la fantasia. E' noto che Emilio Salgari non si sia mai mosso, ambientando le sue storie in paesi che non aveva mai visitato, ma su cui si era documentato leggendo e studiando, ma erano libri - che io credo di aver letto proprio tutti, da ragazzino - il cui obiettivo era trasportare il lettore in mondi lontani nel tempo e nello spazio, niente a che vedere con un thriller ambientato nell'America dei nostri giorni solo perché l'autore ritiene che un detective della Polizia di New York o Los Angeles possa interessare il lettore più di un poliziotto di Roma, Milano o Canicattì. I Western di Sergio Leone, proprio perché Western, non potevano essere ambientati se non nel selvaggio West, e comunque i film sono un'altra cosa, e comunque Sergio Leone, anche in "C'era una volta in America", che non è un Western, si riferiva a una diversa epoca e a un Paese che aveva comunque visitato a lungo.
E' chiaro che chiunque può scrivere ciò che vuole e ambientare i suoi scritti dove ritiene opportuno: si discuteva solo sul perché un autore italiano preferisca descrivere, non in un romanzo storico, ma essenzialmente del genere poliziesco, usi e costumi che conosce solo per sentito dire, o per aver letto qualcosa, o per aver visto dei film, rischiando magari brutte figure se a leggerlo è qualcuno veramente e direttamente edotto sull'argomento. Se, invece, si tratta di luoghi in cui ha effettivamente dimorato e vissuto, è tutto un altro discorso.
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Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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@Cheguevara 

Non sono un grande esperto del genere poliziesco, ma mi sembra che si stia parlando anche e soprattutto in generale, in particolare in riferimento al quesito iniziale. Concordo comunque con alcune cose che dici, ma è un discorso complesso. 

Mi sembra chiaro che, per ottenere alcuni effetti di “realismo” – ovvero per rendere più credibile e verosimile la stessa fiction – bisogna calarsi il più possibile nel tempo e nel luogo del racconto, che si tratti di un romanzo o di un film. Ma ciò può avvenire in molti modi, sia ai tempi di Salgari che ai nostri giorni. Del resto, non è affatto detto che qualcuno che conosce benissimo un tempo o un luogo sia altrettanto bravo a metterli in scena in un’opera letteraria. Colui che definisci “edotto dell’argomento” può essere un buon saggista, uno storico, un biografo, o può essere un lettore erudito, come nel tuo esempio; ma per essere un buon romanziere occorre anche altro, che non deriva tanto o soltanto da un'esperienza di vita vissuta ma, semmai, dalla lettura di altri romanzi. In qualche modo, per un romanziere è più importante conoscere come altri romanzieri hanno immaginato un certo luogo, piuttosto che aver vissuto fisicamente in quel luogo.

In generale, resto dell’idea che lo scrittore, oggi come millenni fa, sia soprattutto qualcuno che riesce a vedere il mondo dall’interno – ovvero come riflesso del proprio stesso mondo interiore, quale che sia – e non dall’esterno.

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Secondo me molti autori, specie in alcuni generi come il romance, pensano che un titolo inglese sia più attraente (e magari hanno anche uno pseudonimo inglese, spesso ridicolo). Può anche darsi che abbiano ragione (titoli come "Love me baby" in italiano diventerebbero un ancor più banale "Amami piccolo/a"), e che ci siano lettori più attratti da titoli stranieri. Se si scrivono romanzi ambientati negli Stati Uniti o Inghilterra può ancora avere un senso, ma non c'è una vera necessità. Io ho ambientato libri in Polonia e in Germania, e di certo nessun editore mi avrebbe accettato un titolo in tedesco o in polacco. Si dà un po' per scontato che l'inglese lo conoscano quasi tutti, e che il territorio d'elezione di certi generi (romance, fantasy, thriller) sia anglofono. Forse si pensa che un titolo inglese si mimetizzi meglio (il che è una sciocchezza, perché la maggioranza dei best-seller stranieri hanno titoli tradotti).
A me l'inglese piace, perché è forse la lingua più semplice da imparare, ma non vedo nessun motivo valido per dare un titolo in una lingua diversa dall'italiano, per un libro pubblicato in Italia. L'italiano non è provinciale, ci sono dei titoli bellissimi nella nostra lingua. Tutto sta nella capacità dell'autore di sceglierli bene, anziché ripiegare in modo pigro sull'inglese, che fa più effetto perché esotico, qualunque stupidaggine si scriva (vedi esempio sopra).

Ambientare le storie all'estero è un discorso diverso. A seconda del tipo di storia, può darsi che sia necessario. Se è un romanzo ambientato un secolo fa o più, non fa troppa differenza dove sia ambientato, perché è un mondo diverso, da scoprire da capo. In ogni caso dovrebbero essere luoghi che si conoscono o che si sono studiati molto bene, per evitare di scrivere cose basate solo su cliché.
C'è poi, al contrario, anche chi ambienta romanzi gialli in Italia e poi fa svolgere le indagini come in un telefilm americano (perché evidentemente non ha fatto ricerche serie, basandosi su quel che aveva appreso dai polizieschi in tv).
L'autore è libero di dare il titolo che più gli piace, ma ci sarebbe da chiedersi seriamente perché abbiamo romanzi italiani con titoli inglesi ma non spagnoli, tedeschi, francesi, russi, ecc. Quanti capolavori letterari sono giunti dagli Stati Uniti rispetto a tanti altri paesi a noi più vicini?
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
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Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Silverwillow ha scritto: A me l'inglese piace, perché è forse la lingua più semplice da imparare, ma non vedo nessun motivo valido per dare un titolo in una lingua diversa dall'italiano, per un libro pubblicato in Italia.

[...]

Quanti capolavori letterari sono giunti dagli Stati Uniti rispetto a tanti altri paesi a noi più vicini?
Proviamo ad applicare il discorso al campo della musica pop (un campo che è in contatto con la letteratura, in quanto i testi delle canzoni sono anche dei testi letterari). Quanti album musicali di altri paesi - che non siano Stati Uniti e Regno Unito - hanno fatto la storia della musica pop? Pochissimi. E quanti album musicali di artisti italiani, pur essendo in lingua italiana, fanno uso di titoli o termini anglofoni? Diversi. Francamente non vedo il problema. Il dibattito sulla difesa della lingua italiana dal presunto imbarbarimento culturale mi sembra una roba dei tempi di Alessandro Manzoni... Nella realtà dei fatti, oggi né la letteratura né la lingua sono più quelle, e l'influenza anglofona è un fenomeno crescente da quasi un secolo, e che nemmeno il fascismo riuscì ad invertire di rotta. Non c'è alcun dubbio che nell'era moderna l'inglese stia assumendo sempre più alcune funzioni che furono del latino nell'era antica. Infatti, non si tratta più soltanto di una lingua estera - come lo sono il tedesco o il portoghese - ma di una meta-lingua che sta sempre più entrando nella nostra. Non entro nel merito se ciò sia un bene o un male, ma oggi anche la letteratura italiana è diventata "pop", e qualunque opera letteraria che sia ambientata ai nostri giorni è piena non soltanto di termini inglesi che appartengono al linguaggio ordinario - e senza i quali i dialoghi di un romanzo contemporaneo non potrebbero più risultare realistici - ma anche di elementi della vita moderna e sfumature culturali che non hanno alcuna connotazione "italiana". Quindi, non vedo cosa ci sia di strano se, in alcuni casi, anche il titolo dell'opera fa uso di termini anglofoni, specie se ben noti al grande pubblico ed entrati a far parte del linguaggio comune. 

Mi sembra comunque un po' paradossale che, nel sostenere la tua posizione contro i titoli in inglese, fai uso di un nickname in inglese... 

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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@Cheguevara
Cheguevara ha scritto: @Alberto Tosciri Sottoscrivo al 100%.  Forse qualcuno pensa che l'ambientazione all'Estero di un testo lo nobiliti. Mah! 
E rivolto a me?
Perché non capisco davvero l'ossessione di molti autori Italiani, di ambientare per forza tutti in Italia, invece di ampliare la propria mente( cercando, studiando, e imparando sempre cose nuove), e ambientarlo a Tokio, oppure in Norvegia.
Molte storie diventano impossibili se devo ambientarle in Italia.
"Se non hai tempo per leggere, non hai il tempo o gli strumenti per scrivere."
(On writing - S.King)

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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@Creepshow Non era rivolto a te, ma a chiunque. E' soltanto un'opinione, valida come un'altra di segno opposto. Il mondo - è il caso di dirlo, visto l'argomento - è bello perché è vario (avariato, dice qualche partenopeo parafrasando).
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Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Wanderer ha scritto: E quanti album musicali di artisti italiani, pur essendo in lingua italiana, fanno uso di titoli o termini anglofoni?
Beh, io a essere sincera non capisco nemmeno quelli... :bandiera: Va bene, l'inglese è diventato lingua universale, e mi sta bene per l'informatica e il commercio (dove una lingua comune ci vuole e tanto vale prendere la più diffusa) ma non nel campo letterario. Se un libro ha la fortuna di venire tradotto, assumerà il titolo in quella lingua, ma pubblicarlo già col titolo in un'altra lingua per me non ha senso.
Wanderer ha scritto: Il dibattito sulla difesa della lingua italiana dal presunto imbarbarimento culturale mi sembra una roba dei tempi di Alessandro Manzoni...
Io non ho alcun attaccamento nazionalistico alla lingua. Semplicemente sono nata qui e parlo italiano. E scrivo libri e titoli in quella lingua, non perché la reputo migliore di altre, ma solo perché è la mia, è quella che conosco fin dalla nascita.
Quanti inglesi danno titoli italiani ai loro romanzi? Non ho fatto ricerche ma scommetto nessuno. Perché mai dovremmo farlo noi? Non è questione di evitare l'imbarbarimento ma solo di coerenza e semplicità. Alcuni termini inglesi e francesi sono entrati nella nostra lingua e l'hanno anche arricchita, ma se scrivo un libro in italiano gli do un titolo italiano, non mi passa neanche per la testa di fare altrimenti.
Detto ciò, il genere fantasy (Tolkien) e il genere giallo (Poe) sono nati in lingua inglese, quindi posso anche capire perché si sia portati a imitarli. Ma non c'è una reale ragione (al di là delle mode o del marketing, che per me non sono ragioni).

Quanto allo pseudonimo inglese mi pare che non sia proprio la stessa cosa metterlo in un romanzo o come nick su un forum. Silverwillow è lo pseudonimo che avevo scelto 15 anni fa per scrivere poesie (una cosa wiccan, che all'epoca mi piaceva e su cui avevo letto alcuni autori, tutti inglesi ovviamente, perché la corrente è nata lì) e siccome ci ero affezionata al momento di usare un nick ho ripreso quello. Non l'ho cambiato solo per evitare di creare confusione agli altri utenti che ormai mi conoscevano con quello. Non vedo una contraddizione, perché non lo uso per pubblicare
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Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Io ultimamente noto che la maggior parte delle case editrici (almeno quelle che mi piacciono e seguo più da vicino) richiedono esplicitamente un'ambientazione italiana. Non sarebbe un buon biglietto da visita presentare un manoscritto con il titolo in inglese  :pat: .
Il pianeta dei Bipedi - Sabir Editore
Il genio raccomandato - Sága Edizioni
Pizze indemoniate e come mangiarle - Nero Press Edizioni

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Ngannafoddi ha scritto: Non sarebbe un buon biglietto da visita presentare un manoscritto con il titolo in inglese  :pat: .
Dipende, se scrivi romance puoi tranquillamente mandare manoscritti intitolati "Endless/beautiful/forbidden (e infiniti altri, a scelta) love" e passarla liscia :asd:
Io finora che richiedono un'ambientazione italiana ne ho trovate solo due (specializzate in gialli). Per il resto a mio parere non è importante l'ambientazione (né tantomeno il titolo, anche se uno efficace è molto utile) quanto che il romanzo si adatti alla linea editoriale, sia originale nell'idea di base e scritto bene (più è da correggere, più costa alla CE)
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Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Ngannafoddi ha scritto: Io penso che siamo italiani e scriviamo in italiano. Perché allora un titolo in inglese? Perché? Perchééééé?  :testamuro2:
sono come i transessuali non operati: né carne né pesce.

Fuor di battuta, vanno compatiti: nessuno che conoscesse davvero lingue straniere ed italiana le mischierebbe così a casaccio.

Così facendo mostrano di non sapere né l'una né le altre

È gente apolide in fatto di lingua 
https://mobile.twitter.com/ioscrivoperte/

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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In inglese ero un cane, ma avevo una professoressa tanto bella e cara. Nonostante la sua dedizione e la sua pazienza, potrei giusto proporre la versione inglese del mio prossimo romanzo, intitolato "Il gatto è sopra al tavolo".

...ma faccio notare, che ho detto potrei.
L. COME APOCALISSE - G. Domenico Lupo

CANTITU APPURATE - G. Domenico Lupo

I MIEI ANIMALI - G. Domenico Lupo

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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JD WOLF ha scritto: lun ott 18, 2021 12:56 pmIn inglese ero un cane, ma avevo una professoressa tanto bella e cara. Nonostante la sua dedizione e la sua pazienza, potrei giusto proporre la versione inglese del mio prossimo romanzo, intitolato "Il gatto è sopra al tavolo".
Questo però è proprio uno di quei casi in cui il titolo in inglese andrebbe benissimo, perché "The cat is on the table" sarebbe una presa in giro dell'inglese scolastico e magari più in generale dell'anglomania.

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Silverwillow ha scritto: Se un libro ha la fortuna di venire tradotto, assumerà il titolo in quella lingua, ma pubblicarlo già col titolo in un'altra lingua per me non ha senso.
Ma se il libro è già ambientato in terra straniera, perché non dovrebbe avere senso? Se un titolo anglofono "ha senso" per la maggior parte dei lettori italiani, in quanto magari le parole sono abbastanza note, o addirittura entrate a far parte della stessa lingua italiana, allora ha senso. Perché generalizzare? 
Silverwillow ha scritto:Io non ho alcun attaccamento nazionalistico alla lingua. Semplicemente sono nata qui e parlo italiano. E scrivo libri e titoli in quella lingua, non perché la reputo migliore di altre, ma solo perché è la mia, è quella che conosco fin dalla nascita.
Non nazionalismo, ma ci vedo un po' di campanilismo... Comunque non esiste una lingua italiana che sia stabile e "impermeabile". Se oggi apri un qualunque "Dizionario della lingua italiana" ci sono centinaia di parole inglesi, che sono entrate a far parte della lingua italiana. In passato già tanti francesismi sono entrati nella nostra lingua, e oggi non vengono più nemmeno riconosciuti come tali e appaiono come parole puramente "italiane". Sta succedendo oggi anche con alcuni inglesismi, come ad esempio l'uso linguistico del verbo "realizzare" (da "realize") nel senso di "capire", che ormai è tanto di uso comune che è stato ammesso come legittimo. Quindi? 
Silverwillow ha scritto: Quanti inglesi danno titoli italiani ai loro romanzi? Non ho fatto ricerche ma scommetto nessuno. Perché mai dovremmo farlo noi?
Mi sembra di aver risposto a questa domanda... piaccia o meno, l'inglese è parlato dalla maggior parte dei popoli, come lo era il latino nell'antichità, mentre l'italiano no. Nel dizionario della lingua italiana ci sono centinaia di parole inglesi, mentre nel dizionario della lingua inglese relativamente poche parole italiane. Poi possiamo discutere del perché e del per come, ma questo è un dato di fatto, quindi secondo me il tuo paragone non regge... In ogni caso, ci saranno anche dei casi plausibili in cui un autore anglofono potrebbe dare un titolo italiano a un romanzo. Se uno scrittore americano ambienta un suo romanzo in Italia, e vuole dare una forte connotazione di italianità, potrebbe benissimo intitolarlo "Viva la mamma", in particolare se si rivolge a un certo target di lettori italo-americani... 

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Wanderer ha scritto: Comunque non esiste una lingua italiana che sia stabile e "impermeabile". Se oggi apri un qualunque "Dizionario della lingua italiana" ci sono centinaia di parole inglesi, che sono entrate a far parte della lingua italiana. In passato già tanti francesismi sono entrati nella nostra lingua, e oggi non vengono più nemmeno riconosciuti come tali e appaiono come parole puramente "italiane".
Del tutto d'accordo, infatti ho detto:
Silverwillow ha scritto: Alcuni termini inglesi e francesi sono entrati nella nostra lingua e l'hanno anche arricchita
La mia comunque è solo un'opinione. A me i titoli stranieri, da lettrice e da scrittrice, non piacciono. Non li trovo necessari, né migliori.

La domanda di @Ngannafoddi  era sul motivo per cui si danno, e io nel mio piccolo, da autrice con un piede nella porta del mondo editoriale, ho provato a rispondere. Ad alcuni invece piacciono, li usano o li comprano, è un paese libero (per fortuna).
Wanderer ha scritto: Se uno scrittore americano ambienta un suo romanzo in Italia, e vuole dare una forte connotazione di italianità, potrebbe benissimo intitolarlo "Viva la mamma", in particolare se si rivolge a un certo target di lettori italo-americani... 
Come diceva anche qualcuno sopra, se il titolo è usato in senso ironico (The cat is on the table) o ha comunque un significato particolare legato a quella lingua, ci può stare. Io sono contraria solo all'uso di una lingua straniera perché suona più figa, o perché va di moda. Non è nemmeno campanilismo. Se un domani imparassi meglio l'inglese, potrei scrivere un libro per il mercato estero, e in quel caso di certo gli darei un titolo adeguato. Non è la lingua scelta il problema, ma il motivo che spinge a usarla. Se il motivo è superficiale e sciocco, per me lo diventa anche il libro
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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@Silverwillow 

Io non sono affatto esterofilo per partito preso, dipende caso per caso, come avevo scritto nel mio primo intervento. Quello che può essere appropriato per una certa tipologia di opera (e per un certo target) non lo è per un'altra, e viceversa. Tuttavia, a prescindere dai rispettivi punti di vista emersi in questa discussione, vale la pena ricordare che nella maggior parte dei casi il titolo lo sceglie l'editore, non l'autore. Deve essere l'editore a valutare se un certo titolo italiano o inglese può essere appropriato e spendibile sul mercato... l'autore può avanzare la sua proposta e avere le sue idee in merito, ma alla fine è una questione più commerciale che artistica, quindi è una scelta che compete soprattutto a chi acquisisce i diritti di sfruttamento economico dell'opera. 

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Nel WD avevamo uno che ambientava tutte le sue storie negli USA senza mai averci messo piede e poi riempiva il forum di domande pratiche su usi e costumi a stelle e strisce. Spesso riusciva a essere involontariamente comico...
Purtroppo non si possono recuperare dal vecchio forum, ma ne ricordo una che diceva più o meno: «Scusate, se in un paesino degli USA va a fuoco un cinema alle dieci di sera, chi arriva per primo: la polizia o i vigili del fuoco?».
Dopo una serie infinita di domande del genere mi arrischiai a dirgli che non potevamo scrivere noi il suo libro e ovviamente s'indispettì.
Ma casi limite a parte, mi capitano di frequente da editare romanzi, thriller e noir soprattutto, ambientati negli USA  e che potrebbero essere ambientati allo stesso modo in Italia, Norvegia o Mongolia: non cambierebbe assolutamente nulla nella trama e quanto all'ambientazione basterebbe sostituire le autostrade americane a ventotto corsie con le nostre a due o tre e i grattacieli con palazzi di quattro piani. Perché le ambientazioni sono tutte identiche, quasi fotocopie: l'auto che percorre un'autostrada o una via di città con grattacieli alti trentacinque piani. Poi la gente scende dall'auto e tutte le scene avvengono al chiuso e che sia l'attico al trentesimo piano o il bilocale al secondo piano di fronte a casa mia non cambia assolutamente nulla. 
Solo che poi c'è il morto e iniziano i problemi: arriva il coroner, lo sceriffo, il marshall, il detective? O magari l'FBI... 
E allora perché ambientare una storia in un luogo dove non sei mai stato, di cui non conosci usi e costumi, colori, suoni, sapori, orari, competenze, norme di legge, codici di comportamento, arredamento, marche di sigari... Se non conosci la differenza tra un whisky e un bourbon, se non sai che il puntino dopo Mr ci vuole in americano, ma non in inglese...
Perché tutto questo, che nel 90% dei casi produce romanzi piatti e tutti uguali tra loro, quando non zeppi di strafalcioni?
Allora meglio ambientare il romanzo a Piumazzo, perché, come dice il buon Francesco, "gli americani ci fregano con la lingua".
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Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Marcello ha scritto: Ma casi limite a parte, mi capitano di frequente da editare romanzi, thriller e noir soprattutto, ambientati negli USA  e che potrebbero essere ambientati allo stesso modo in Italia, Norvegia o Mongolia: non cambierebbe assolutamente nulla nella trama e quanto all'ambientazione basterebbe sostituire le autostrade americane a ventotto corsie con le nostre a due o tre e i grattacieli con palazzi di quattro piani. 
Questa non è detto sia (soltanto) una cosa negativa. Le componenti invariabili delle storie (le azioni) sono le più importanti, sono quelle su cui si fonda la trama, l'ossatura stessa dell'opera, e su cui si basa la sinossi. Le altre invece (nomi dei personaggi, luoghi) sono componenti più variabili, più accessorie, tali per cui effettivamente una medesima storia potrebbe essere ambientata in qualunque luogo, con gli opportuni accorgimenti. Sono le prime ad avere la potenzialità di rendere una storia quanto più universale, a prescindere dal luogo in cui sia ambientata. 

Per quanto riguarda il discorso dell'ambientazione estera... più che essere "fedele", l'ambientazione dovrebbe essere verosimile, credibile, e dovrebbe essere immediata, come in un film, non fondata sull'erudizione dell'autore e/o del lettore. Ma ciò dipende sensibilmente dal pubblico a cui ci si rivolge. Se un autore italiano ambienta un suo romanzo negli USA, ma si rivolge a un pubblico italiano, la marca dei sigari diventa un elemento superfluo, che non contribuisce a formare l'ambientazione, e non ha un valore aggiunto in termini di "credibilità", in quanto il lettore medio italiano non ha familiarità con questo elemento. Diverso è se si descrive un vecchio bar di provincia, con un poster di James Dean e un calendario della Coca Cola con il solito Babbo Natale ammiccante. Per tornare al discorso di cui sopra, effettivamente una simile ambientazione si potrebbe ritrovare in quasi qualunque vecchio bar di provincia del mondo occidentale, ma io credo che - per l'appunto - l'autore quando può scegliere dovrebbe privilegiare ambientazioni più universali possibili, in modo da risultare immediate, e da fare sentire il lettore familiare con l'ambiente che viene descritto. 
Ultima modifica di Wanderer il mer ott 20, 2021 11:43 am, modificato 3 volte in totale.

Re: Cosa pensi degli autori italiani che mettono titoli in inglese ai loro romanzi e ai loro racconti?

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Wanderer ha scritto: Questa non è detto sia soltanto una cosa negativa.
Opinione tua, che rispetto ma non condivido per nulla.
Per me l'ambientazione gioca una parte fondamentale in un romanzo e permette al lettore di immedesimarsi nella storia, di camminare fianco a fianco al protagonista, di vivere le sue emozioni.
Quando leggo: "James salì in macchina e guidò fino a casa ; parcheggiò di fronte al cancello, scese ed entrò" a me cascano le ho l'istinto di prendere il manoscritto e lanciarlo dalla finestra (è per questo che preferisco il cartaceo, non posso ogni volta gettare il pc dalla finestra). 
Come faccio a seguire James se non so quanta strada percorre, cosa vede durante il tragitto, se corre lungo un viale a quattro corsie o guida nervosamente tra le stradine di un borgo storico, costretto a scalare di continuo le marce, se c'è il sole o diluvia...? 
Ma soprattutto, cos'è "casa"? Una stamberga fatiscente, un appartamento ammobiliato in un dignitoso condominio di periferia, un attico al trentesimo piano di un grattacielo con piscina...? Io così non riesco a condividere nulla di ciò che fa James, non riesco a vederlo, a sentirlo, non so cosa pensa, che emozioni prova... Nulla.  James è una figurina bidimensionale che fa cose... 
Buona lettura.
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