Le ripetizioni, ossessione tutta nostra?

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Le ripetizioni, ossessione tutta nostra?

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Chiunque di noi sia passato tra le grinfie di un editor avrà dovuto fare i conti con una certa idiosincrasia per le ripetizioni (io stesso non faccio eccezione...). Eppure in molte altre lingue, a iniziare dall'inglese, le ripetizioni sono accettate senza problema. 
Da dove deriva la nostra avversione, ve lo siete mai chiesto?
Ora c'è una risposta: in un saggio di 248 pagine per i tipi de Il Mulino, "Tanto per cambiare. La coazione a variare nell'italiano", il linguista Massimo Palermo sviscera la questione a partire dalla retorica di Quintiliano e Cicerone fino all'intelligenza artificiale.
Se ne parla su Tuttolibri di ieri, sabato 22 febbraio.
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Re: Le ripetizioni, ossessione tutta nostra?

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@Marcello 
Ne parlava anche Milan Kundera, di questa coazione (non soltanto italiana, ma delle lingue romanze in genere), nel suo L'arte del Romanzo. 
Per Kundera, vado a memoria, le ripetizioni sono un modo per sottolineare un termine e quindi un'idea o un concetto. Se non ricordo male anzi se la prendeva con la continua variazione e ricerca di sinonimi che servivano, a suo dire, solo a mettere in risalto la padronanza della lingua dell'autore. 
Nel suo Confessioni di un romanziere, Umberto Eco si sofferma invece sulla necessità di costruire elenchi, che esprimano con parole sempre nuove il medesimo concetto. 
E quindi?

Re: Le ripetizioni, ossessione tutta nostra?

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Gaetano Intile wrote: E quindi?
Quindi, nulla: non intendevo proporre ricette   ;)

Al più, posso dirti la mia: io cerco di evitarle ogni volta che è possibile. Mi infastidisce leggere: John andò alla finestra, John disse, John fece... 
Credo tuttavia che debba essere il buonsenso a guidarci. Piuttosto che scrivere: accarezzai l'equino o il quadrupede, preferisco ripetere cavallo se non c'è altro modo di evitarlo. 
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Re: Le ripetizioni, ossessione tutta nostra?

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Ricordo a memoria qualcosa sulla trascendenza in filosofia.
Che centra? Di sicuro quasi niente ma qualcosa di trascendente, non essendo riconducibile a determinazioni dettate dall'esperienza, sussiste indipendentemente dalla realtà, per quanto ne sia il presupposto, al contrario dell'immanenza.
Detto in soldoni, io cerco di evitare le codificazioni  date per dogmi in letteratura, pur senza esagerazioni plateali naturalmente. La letteratura non è una formula matematica. Condivido che sia fastidiosa una continua ripetizione ad esempio del termine "disse",  per quanto questo verbo sia quasi invisibile, ma può risultare fastidioso reiterato e allora io metto i dialoghi fra due personaggi ognuno con la sua riga, facendo capire chi è che parla fra Tizio e Caio da quello che ognuno dice e solo ognuno di loro può dire o parlare in un determinato modo, riconoscibile e riconducibile a lui da informazioni date in precedenza al lettore. Si possono fare dieci cartelle di botta e risposta fra  due o anche più personaggi senza nemmeno dire disse, quando le argomentazioni sono chiare fin dall'inizio.
Forse un esegeta apprezzerebbe sostituire i vari disse con i sinonimi di word?
Li ho copiati. Sono: pronunciò, proferì, enunciò, dichiarò, ribadì, affermò, sostenne, ripetè...
Qualche volta qualche sinonimo ci sta benissimo, beninteso. Ma qualche volta. A metterli a ogni dialogo produrrebbero un vago effetto di comicità.
Ammiro la sintesi delle leggi scritte in cuneiforme su tavolette d'argilla del codice di Hammurabi che senza tante fisime descrivono un mondo. 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Le ripetizioni, ossessione tutta nostra?

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@Alberto Tosciri  Oh, ma i sinonimi sono molti di più. Aggiunse, fece, balbettò, mormorò, insinuò, sibilò, chiarì, proruppe, interruppe e tanti altri. 
Però guarda che disse è forse l'unico termine che non dà fastidio quando leggi. Perché neanche lo vedi, è un termine privo di valore informativo, quindi neutro, una sorta di tautologia. Tutti gli altri invece sì perché esprimono un valore aggiuntivo (affermare è un dire con forza, ribadire è un dire nuovamente, ecc.) e alla lunga la folla di questi extra significati può diventare fastidiosa, se non ridicola o controproducente.

Re: Le ripetizioni, ossessione tutta nostra?

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Gaetano Intile wrote: @Alberto Tosciri  Oh, ma i sinonimi sono molti di più. Aggiunse, fece, balbettò, mormorò, insinuò, sibilò, chiarì, proruppe, interruppe e tanti altri. 
Però guarda che disse è forse l'unico termine che non dà fastidio quando leggi. Perché neanche lo vedi, è un termine privo di valore informativo, quindi neutro, una sorta di tautologia. Tutti gli altri invece sì perché esprimono un valore aggiuntivo (affermare è un dire con forza, ribadire è un dire nuovamente, ecc.) e alla lunga la folla di questi extra significati può diventare fastidiosa, se non ridicola o controproducente.
I sinonimi di disse sono molti di più, lo so, lo so. So anche che "disse" è un termine neutro che non stanca. Esattissimo, infatti ho detto che è invisibile... E so anche che si possono usare ancora altri termini in vece di "disse" (guarda che se ne possono anche inventare di nuovi... per dire che uno urlò possiamo anche dire che gli esplose in faccia quello che pensava... eccetera...).
Ne ho accennato infatti. Noi sappiamo. Quindi siamo. Lo diciamo? O lo affermiamo?
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

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