Transito di Aixa De la Cruz
Recensione di Adelaide J. Pellitteri
Titolo: Transito
Autore: Aixa De la Cruz (Traduzione di Matteo Lefèvre)
ISBN-10: 886004569X
ISBN-13: 978-8860045690
Editore: Giulio Perrone Editore (15 aprile dicembre 2021)
Lingua: Italiano
Prezzo cartaceo: € 14,25
Lunghezza stampa: 127 pagine
Trama: Aixa va a trovare Zuriñe, un’amica finita in ospedale a causa di un grave incidente. Osservando quel corpo martoriato dalle ferite Aixa comincia a ripercorrere il suo passato. Un vissuto non semplice, dove il dolore, o meglio il disagio per una condizione – quella femminile – difficile da accettare, l’ha portata a continui cambiamenti, se non a vere e proprie metamorfosi. Il suo vivere è divenuto, nel tempo, un transitare continuo da una personalità a un’altra, non per schizofrenia, bensì per una ricerca di identità sempre più difficile da definire.
In apparenza il libro sembra non avere una trama da seguire, il lettore si trova piuttosto ad ascoltare le diverse esperienze, rivivere le tappe di ogni “mutazione”. Solo dopo la prima metà del libro si individuerà il bandolo della matassa, il punto di inizio dal quale si è dipanato il flusso di riflessioni. Un senso di colpa irrisolvibile che ha fatto naufragare il rapporto tra lei e sua madre, tra lei e gli uomini, tra lei e il suo corpo di donna.
Recensione:. L’argomento condizione femminile di per sé sarebbe trito e ritrito, a riguardo potremmo dire di avere letto di tutto e in tutte le salse, eppure il libro di Aixa ha una forza e una capacità di approfondimento tale da sorprendere fino a destabilizzare il lettore.
Gli argomenti, in realtà, sono tanti, l’autrice parla di dolore fisico osservando le ferite dell’amica, di stupri ascoltando i notiziari, degli spettatori giudicanti leggendo i messaggi sui social. Ci racconta del suo matrimonio cui ha fatto seguito il divorzio, per arrivare alle sue esperienze lesbiche, all’assunzione di droghe, dicendoci di Abu Zubaydah, “primo detenuto in relazione all’undici settembre” e dei soldati americani che…
Quello dell’autrice è un peregrinare per domicili diversi e culture differenti, tra le ripetute perdite della sua carta d’identità (metafora calzante).
In sole 127 pagine ci fa sprofondare nel suo mondo (che a ben vedere è anche il nostro) e riesce – cito Kafka: a rompere la lastra di ghiaccio dell’indifferenza. Nessun lettore, infatti, può rimanere impassibile davanti a tanta verità.
La scrittura, decisamente moderna, è scorrevole e colta allo stesso, i ragionamenti filosofici sono così bene inseriti da risultare fruibili anche dal lettore più semplice, mentre non mancano le descrizioni crude opportunamente contestualizzate.
Aixa chiama ogni cosa con il proprio nome senza provare a smussare le spigolature né a enfatizzare alla maniera giornalistica.
Un’autobiografia talmente onesta e priva di filtri che può essere definita con una sola parola: coraggiosa.
I suoi sembrano solo cenni, un accumulo di notizie che fornisce frase dopo frase che, però, a fine lettura avranno dato al lettore occhi nuovi per guardare il mondo.
Transito (tradotto da Matteo Lefèvre, titolo originale Cambiar de idea), ricchissimo di frasi incisive e determinanti, non è un semplice romanzo ma un libro di letteratura che andrebbe letto e riletto per l’importanza e la molteplicità dei temi che affronta. Seppure toccati a volte con una sola frase scatenano nel lettore una lunga scia di riflessioni.
Non è la solita narrazione di abusi subiti dalle donne ma la storia di Aixa: una testimone inerme che, vittima del suo senso di colpa, si trova in conflitto con la sua identità e condizione di donna.
Personalmente, a fine lettura ho capito che: La parità non è un diritto delle donne ma un dovere degli uomini.
A questo punto non posso fare a meno di riportare alcune frasi, per meglio mostrarvi la scrittura della De la Cruz e farvi apprezzare le sue descrizioni.
Estratti
“…con Carla, l’unica sua ragazza che abbiamo conosciuto. Era una ex modella venezuelana con protesi impeccabili al seno e di una bellezza che non si può descrivere senza cadere nei luoghi comuni più volgari, perciò cercherò di illustrare piuttosto l’effetto che provocava: ogni volta che vedo il frigo dei miei genitori, la ricordo lì accanto e mi dico: Carla ha toccato quella maniglia. Su un piano di tre quarti, dalla cintola in su, era tollerabile starle di fronte, ma ogni volta che si alzava per prendere del ghiaccio tornavano le aritmie. Una volta lasciò che la vedessi nuda e le toccassi le tette, ma quell’immagine non esiste più. Mi rimane la sua posa accanto al frigo arancione, come fosse in una pubblicità di elettrodomestici.”
“Mi allontano dall’ospedale pensando che, se il corpo di Zuriñe è il racconto del suo incidente, hanno bisogno di scrivere memorie soltanto coloro a cui resta un corpo illeso.”
“…non c’erano facciate rosa di edifici né chioschi di chicharrones: i venditori ambulanti che si avventuravano nel traffico a sei corsie non erano uomini ma bambini. Quello spaccato era così stereotipato, così terzo mondo, così aspettative sull’America latina di un europeo, che arrivai a rifiutarlo, però oggi lo ricordo bene. Vidi i volti potenziali degli assassini: emigranti della periferia che si avvicinavano alla grande città per esserne ricacciati e che avrebbero incarnato il gradino più basso della grande piramide, se non fosse che ancora più in basso, da che mondo è mondo, ci siamo noi donne.”
“Una sera cenammo sulla terrazza di un hotel del Zócalo di fronte alla basilica di Guadalupe, ogni anno più affossata tra le sue fondamenta di fango, con vista sulla città immensa che si estendeva di luce in luce fino alle alture dei monti, e io ero come in estasi, nell’epicentro delle cose che si muovono…”
“…la fobia sociale che finirono per diagnosticarmi…”
“Il dolore e la festa, le insegne della patria.”
“Scoprire di colpo, a ventitré anni, che la gente ti desidera è come intossicarsi con una droga che il tuo organismo non filtra, che ti rimane nel sangue e ti modifica le strutture cognitive, il modo di parlare e di muoverti, e ti imbeve di un potere terribile e irresponsabile, come se avessi un milione di banconote di una valuta che serve solo per comprare dolciumi, e ne facessi indigestione.”
“La vidi per l’ultima volta dalla porta, un’adolescente abbracciata al suo cuscinone, che piange con la veemenza con cui non piangiamo neanche per i colpi più duri, e pensai che io avevo superato quella fase, e che meno male, che sollievo, quanto ero contenta di non essere lei.”
“Mi baciava con un’intensità snervante, da amore in tempo di guerra.”
“La cosa più incredibile è che tanto l’accusa quanto la difesa hanno presentato i video come prova. Dove gli uni vedono un’adolescente in stato di shock, gli altri vedono sesso consenziente, perché lei non fa resistenza, né piange, né dice, né fa niente. Ha gli occhi chiusi e si comporta come se non fosse lì, dissociandosi."
"... sono tutti coloro che mi hanno contaminato; sono fatta di prestiti e di furti…”
“…rappresentano un valore e il suo contrario, come la parola greca pharmakon, veleno e antidoto; come le anfetamine Adderall e speed, o come l’homo sacer, sacro ed esecrabile, né vivo né morto. Se potessi prendere le distanze da tutto questo, se riuscissi a riflettere prescindendo dai sentimenti a cui mi trasportano i miei rosari di punti all’uncinetto, forse ricorderei se fu Derrida o Agamben a definire questi significanti dalla polisemia contraddittoria come marcatori d’instabilità sistemica, le crepe in cui si frantumano le civiltà.”
“Sono tutta incredulità e conati di vomito; non voglio continuare a leggere, ma non posso smettere di leggere. Sono l’europeo standard davanti al televisore l’11 settembre, una spettatrice professionista che confonde l’orrore con i film dell’orrore, e nei film dell’orrore la paura fa parte dello spettacolo.”
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