La scelta Pt.6

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[MI 184] Come un abete rosso nella taiga - Costruttori di Mondi


 
La scelta Pt.6


Mentre viaggiavo verso casa, ripassavo nella mente i discorsi delle nostre due ore insieme.
Mi pungolava ancora la storia sui profilattici e il sesso non protetto.
Lei, che aveva capito intorno a cosa girasse il mio timore, m’aveva rifilato uno sguardo compassionevole, come se avessi detto una penosa stupidaggine, quasi offesa da quel mio pensiero. Potevo capirlo: non era molto nobile aver dubitato delle sue consuetudini igieniche in fatto di sesso.
Di me ero certo: la mia vita sessuale, monogama da secoli, non costituiva un rischio per nessuno, ma di lei che potevo dire?
Che diavolo ne sapevo di quelli con cui andava a letto?
Non è che facessi dell’allarmismo gratuito, ma certe cose non c’era da prenderle alla leggera.
I giornali e la TV erano pieni di gente che ci stava lasciando le penne per l’AIDS, la “nuova peste” del secolo; inoltre, molti dei contagiati si contavano tra gli eterosessuali.
In ogni caso, anche senza pensare all’HIV, restavano le classiche infezioni sessualmente trasmissibili che da sempre castigavano gli incauti.
Un sesso senza precauzioni non rappresentava un rischio solo per me, ma ancor di più per mia moglie che, ignara di tutto, faceva sesso non protetto con me.
Ci sarebbe mancato solo che, oltre a tradirla, le portassi a casa pure un tale regalino.

A scanso di rischi, l’indomani sarei corso a farmi gli esami del caso, auspicando d’averla passata liscia. Gli esami confermarono che tutto era andato per il meglio: questo, oltre a rasserenarmi, ampliava la mia fiducia verso di lei.
Mi vergognai anche un po’ d’aver pensato che avesse angoli d’ombra diversi da quelli che già mi erano noti.
Da quel momento, la nostra storia uscì dal tortuoso sentiero nel quale ci eravamo addentrati, nutrendo dubbi e diffidenze, per immettersi in un’ampia autostrada libera da preconcetti e titubanze.
A quel primo episodio di sesso ne seguirono altri: la nostra divenne una relazione clandestina a tutti gli effetti e durò a lungo.
Ormai ero entrato nello spirito dell’adultero consapevole, avevo scoperto d’avere una coscienza decisamente elastica e indulgente; infatti, una volta preso l’abbrivio della cosa, iniziai a viverla priva d’ansia e rimorsi.
Verificavo che, al lato pratico, avere una storia extraconiugale non cambiava più di tanto la mia vita: i rapporti con mia moglie continuavano a procedere nel migliore dei modi.
Non sentivo d’amarla di meno, né sentivo il bisogno di mutare qualcosa nella nostra relazione matrimoniale; anzi, forse poiché nel diversivo trovavo benessere, ero divenuto più affettuoso e pieno d’attenzioni.
Con Roberta non tornammo più a far l’amore nel suo ufficio dopo l’orario di lavoro: la cosa non era sicura, se scoperti avrebbe certo perso l’occupazione.
Le prime volte avevo chiesto a un mio amico scapolo di prestarmi per qualche ora la sua abitazione, cosa che fece con piacere, ma ovviamente non poteva essere una soluzione continuativa.
Fu lei a trovare un’alternativa a un luogo che ci ospitasse.

Sua madre, a quanto scoprì, si occupava al mattino presto di fare le pulizie alle scale di un condominio poco distante da casa sua.
L’edificio era dotato di una minuscola guardiola, un bugigattolo al pianterreno usato per il rimessaggio dell’attrezzatura necessaria alla sua mansione, che conteneva un vecchio divano e un piccolo tavolo.
Roberta si era fatta una copia delle chiavi, pertanto potevamo imbucarci lì senza timore d’essere scoperti e senza limiti d’orario.
Il posto era usato anche come magazzino improvvisato per le varie cianfrusaglie degli inquilini dello stabile; infatti, lo spazio calpestabile era ridotto al minimo, stavamo immersi tra pile di scatoloni e varie cianfrusaglie, la polvere e l’odore di stantio regnavano sovrani.
Come alcova non appariva particolarmente attraente, ma facemmo di necessità virtù; pertanto, ricoperto con un plaid il vetusto divano, consumavamo con soddisfazione i nostri amplessi su quel dissestato giaciglio.
Ci spogliavamo del minimo indispensabile, sia per l’insanità del posto, sia per il non poter oggettivamente farci una doccia al termine delle effusioni.
C’era un piccolo lavandino che serviva per il rifornimento dell’acqua per il lavaggio delle scale, ma al più consentiva un sommario bidet.

In ogni caso, avevo adottato la consuetudine di infilarmi in bagno ogni volta che arrivavo a casa e quindi di far opportunamente sparire ogni traccia sospetta dal mio corpo e dall’abbigliamento intimo. Ma non fummo fortunati a lungo: infatti, sua madre, dopo qualche mese, abbandonò quell’attività poiché aveva trovato un lavoro più qualificato e meglio retribuito.
Quindi fummo costretti ad adottare una diversa soluzione.
Di solito andavo a prendere la mia giovane amante all’uscita dal lavoro.
Si raggiungeva in auto un luogo appartato e ci si intratteneva fino alle venti, poi la accompagnavo a casa e rientravo alla mia per l’ora di cena.
Questo avveniva a giorni alterni, talvolta anche in giorni consecutivi, se ne sentivamo il bisogno.
Eravamo assidui: raramente, per i miei impegni di lavoro o se lei aveva le sue cose, non ci si vedeva per un’intera settimana.
Per mesi i nostri incontri si tennero nella mia auto: non era il massimo della comodità, ma le difficoltà sono d’incentivo agli amanti.
Inoltre, vi era tutta la poesia dell’amore giovanile fatto in macchina, cosa che mancava alla mia esperienza, dato che mi ero sposato ed ero divenuto padre molto giovane, quando ancora non possedevo un’auto e neppure la patente per guidarla. Ero divenuto esperto nello scovare angoli nascosti in città e sulla collina, dove abbandonarci in maniera discreta alle nostre effusioni.

Per essere un novello fedifrago, devo dire che andavo alla grande: ci stavo prendendo gusto, mi stavo specializzando.
D’inverno le cose andavano decisamente bene: alle diciassette calava il buio, che diveniva un complice fidato e amniotico.
La cosa diveniva più problematica nella bella stagione, poiché la sera calava tardi e si trovava molta gente a spasso.
Perdigiorno e scocciatori che non si decidevano mai ad andare a cena.
Poi magari mangiavano a un’ora improbabile e si giravano nel letto tutta la notte, perché avevano una digestione difficile; poi, la mattina, sembravano degli zombi in ufficio.
In città ci appartavamo negli anfratti della periferia.
Se ne trovavano al fondo della via Artom o su strada del Castello di Mirafiori: stradine che s’inoltravano fra campi contornati d’alte siepi, o nei piazzali di parcheggio davanti alla FIAT Mirafiori, deserti prima del turno notturno.
Qualche volta avevamo usato anche il parcheggio sotterraneo aperto di fronte a “La Rinascente”, ma era problematico: eri costretto a stare in allerta, perché sul più bello non arrivasse il proprietario della macchina posteggiata a fianco per portarsela via. La collina offriva molteplici opportunità, con angoli suggestivi immersi nel verde; c’era anche aria buona.
Ero diventato un vero esperto del territorio, lo avevo setacciato palmo a palmo, individuandone i più intimi anfratti: mi arrampicavo col mezzo su stradine sterrate che ricordavano certi sentieri del Camel Trophy, ma perfetti alla bisogna, essendo totalmente occultati dalla rigogliosa vegetazione autoctona.
Bisognava comunque restare guardinghi: infatti, non mancavano i voyeur che battevano la zona collinare per sbirciare le effusioni delle coppiette in auto.


Una sera ci fermammo su una stradina deserta nei pressi del vecchio cimitero di Cavoretto: era autunno avanzato, buio e nebbia coprivano il paesaggio di una coltre fredda e silenziosa, il luogo era assai suggestivo.
Una condizione climatica e ambientale perfetta: nessuno in giro, i vetri appannati dell’auto ne rendevano impenetrabile l’interno agli occhi di qualsiasi curioso presente a quell’ora e con quel tempo da cani.
Per fare le nostre cose in auto, ovviamente, non ci si denudava mai totalmente.
Una consuetudine d’ordine pratico che, in caso di problemi, ci consentiva di ricoprirci a tempo di record ed eclissarci in pochi secondi.
Fermi da una mezz’ora in questo angolo accogliente, immersi nelle nostre tenerezze, stavo sul corpo di lei nella classica “posizione del missionario”, con i sedili ribassati e lo sguardo rivolto al lunotto dell’auto.
A un certo punto, in quel lunotto appannato vidi apparire una forte luce di fari che inondò l’abitacolo.
Immediatamente mi sollevai, tornando al mio sedile; alla luce si aggiunse anche il classico lampeggiante blu d’una pantera della polizia.
Fulmineamente tirai su i calzoni, chiudendo la zip; lei, che aveva un impermeabile, lo chiuse fino al collo, sotto ovviamente era seminuda. Gli agenti bussarono garbatamente al finestrino: abbassai il vetro con una certa apprensione.
Mentalmente mi domandavo cosa comportasse la violazione dell’art. 527 del Codice Penale, ovvero di atti osceni in luogo pubblico, e soprattutto come avrei giustificato a mia moglie la notifica di convocazione giudiziaria che sarebbe a breve giunta a casa.
Le pulsazioni cardiache salivano in maniera esponenziale, il cervello mi era andato in pappa, me la stavo facendo addosso.
Gli uomini della pattuglia furono in realtà assai cortesi, chiesero i nostri documenti con l’usuale patente e libretto.
Con una torcia elettrica scandagliarono l’interno del nostro mezzo: la luce si soffermò per qualche secondo sulle mutandine che erano rimaste sul cassettino tra i sedili anteriori, ma non commentarono la cosa.
Alla fine ci consigliarono di non appartarci con quel buio in zone deserte come quella, poiché rischiavamo sicuramente di fare brutti incontri; quindi, ci salutarono militarmente e se ne andarono.

Ci lessi una certa ironia in quel consiglio, ma avevo ancora sudori freddi e non riuscii ad apprezzarne la vena umoristica. Insomma, l’auto era comoda poiché permetteva di scovare luoghi dove scambiarci attimi d’affettuosa passione, ma era inevitabile che quegli istanti di piacere rubati alla nostra quotidianità fossero turbati dall’apprensione d’essere scoperti. Urgeva trovare una modalità più sicura per consumare i nostri incontri.
Avevo sentito di confortevoli e discreti alberghetti della collina; in verità, non ne conoscevo nessuno, poiché non avevo fino a quel momento avuto necessità di servirmene.
Non avendo tempo per indagare personalmente sulla loro esistenza, ritenni opportuno rivolgermi a un esperto del settore.
Avevo un amico di vecchia data, col quale avevamo condiviso gli studi artistici e successivamente anche un periodo di comune impiego nell’azienda in cui lavoravo.
Lui era uno dei più scafati donnaioli della città e zone limitrofe; prosaicamente, amava definirsi come un valente “tombeur de femmes”, che era la versione raffinata del più prosaico “incallito puttaniere”.
Fu molto sollecito e preciso nell’indicarmi l’alberghetto collinare più confacente alle mie necessità: piccolo, ma molto pulito e decoroso, ben organizzato e decisamente economico, posto sulla salita per Cavoretto.
Lui, che ne era un assiduo cliente, volle presentarmi personalmente al titolare, facendomi così ottenere un’ulteriore tariffa di favore. Così iniziammo finalmente a far l’amore in un luogo sicuro, con lenzuola fresche e un confortevole materasso a molle insacchettate, dove si poteva avere un caffè in camera e, inoltre, non si richiedevano documenti alla consegna della camera.
Tutto questo era assai idilliaco, ma per quanto il costo della camera fosse agevole, le mie disponibilità economiche “occulte” non erano in grado di sostenere quella spesa, fatta di oltre una quindicina d’incontri intimi mensili.
Va detto che su un fatto ero molto rigido e preciso: nemmeno un centesimo di ciò che spendevo per le mie distrazioni doveva intaccare il patrimonio di famiglia.
In altre parole, attingevo le sostanze impiegate nelle attività extraconiugali unicamente da lavori remunerati in nero da miei clienti privati, all’oscuro della contabilità familiare.

In sostanza, mi resi conto che, come recitava il buonsenso popolare, avere un’amante era un lusso da benestanti.
Era purtroppo necessario proseguire con i nostri incontri in un mix tra auto e albergo. Fortunatamente, lei era una ragazza alla mano, si adattava e non avanzava pretese.


Le premeva solo che continuassimo a vederci.


(Continua)

Re: La scelta Pt.6

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Ciao @Nightafter. Ho letto con piacere questo spezzone della serie "Donne e motori" :D
E chi non le ha avute queste problematiche! Sembra quasi il manuale del fedifrago, le confessioni di quello che si può solo raccontare a sottovoce.
Il protagonista mi pare uno molto pratico, che si destreggia molto bene nella doppia vita. Aspetto le altre puntate.. Ciao 
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

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