Una rosa per Martina Pt. 6
Posted: Wed Jun 18, 2025 12:00 am
[CN24] Fiaba d'inverno - Costruttori di Mondi
Una rosa per Martina Pt. 6
Fu puntuale come un cronometro svizzero, non ebbe bisogno di suonare al mio citofono, ero già davanti al portone di casa ad attenderla.
La lussuosa BMW, grigio canna di fucile, della Signetti si arrestò sul marciapiede davanti a me.
Lei mi sorrise sporgendosi dal posto di guida, era in gran forma e mi fece un cenno di saluto, io aprii la portiera e presi posto al suo fianco.
L'abitacolo era refrigerato e questo era piacevole, il suo costoso profumo dalle note inconfondibili saturava l'ambiente.
Pigiò sull'acceleratore e partì con lo stridio dei pneumatici.
- Dove vuole che andiamo? Decido io o ha già deciso lei? - chiese gioviale.
- Ho pensato a Giudice, in collina, se le garba, che ne dice? - risposi.
- Ottima scelta Grimaldi, lo conosco, è un posto carino e con una cucina eccellente.
Guidò con sicurezza nel complesso traffico del venerdì sera, si produsse in una serie di gimcane tra le auto del corso Moncalieri e, giunti al piazzale Crimea, imboccò la salita in direzione della val Salice.
La nostra conversazione durante il percorso non fu brillante, entrambi evidentemente sentivamo un lieve imbarazzo per quell'incontro fuori dal perimetro aziendale.
Per quanto simulassimo indifferenza, non potevamo ignorare che, date le nostre posizioni nell'organigramma, ci stessimo muovendo al di là delle righe consuete.
Non eravamo una semplice coppia di amici che andava a cena insieme, ma un dirigente aziendale con un suo subordinato, per giunta di sessi opposti.
Non credo che se la cosa fosse giunta alle orecchie del presidente l'avrebbe approvata con piacere; da sempre l'azienda preferiva che non vi fossero atteggiamenti confidenziali tra la dirigenza e la forza lavoro.
Pertanto scambiammo qualche banalità sul caldo precoce che toglieva il fiato, sul traffico caotico di quell'ora, sui migranti stranieri che a ogni semaforo offrivano di lavarci i vetri della vettura.
Questi, in particolare, le erano invisi, poiché riteneva che si trattasse di una vera invasione, oltre a essere un disvalore per il decoro pubblico.
Evitai di commentare l'argomento, quello che pensavo in merito a quei disperati in cerca di pane e di futuro in un paese straniero non le sarebbe piaciuto.
Il discorso e la discussione che ne sarebbe seguita avrebbero sicuramente reso impraticabile il seguito della serata.
Giungemmo al ristorante, non trovammo problemi a essere accolti benché non avessimo prenotato.
Il locale era decisamente invitante: fiorito e immerso nel verde collinare, una brezzolina gli conferiva una carezzevole frescura che ben disponeva l'animo.
Ci accomodammo all'aperto, sulla veranda, immersi nella cornice di un tramonto dai bagliori dorati; da uno spazio nella siepe che circondava l'edificio, si poteva ammirare il panorama della città che si specchiava nelle acque del Po, infiammata dall'ultima luce che cedeva alla sera.
Mentre il crepuscolo scemava lentamente, si accendevano luminarie disposte su steli intorno ai tavoli e nel grande giardino, creando un ambiente tenue e carezzevole, donando la sensazione di essere immersi in una dimensione soffusa e intima.
Ci servirono come aperitivo un assai fresco "Aicha" a base di Calvados, amaretto e succo di pompelmo, accompagnato da un ricco vassoio di stuzzichini.
La cena propose il meglio della cucina del locale: steak tartare come antipasto, plin al sugo d'arrosto per primo e pancia di maialino con riduzione di Barolo e gamberi come secondo.
Accompagnammo i piatti con del Pinot Nero Chardonnay, concludemmo la cena con un sorbetto al limone come dessert e un ottimo caffè.
Durante la cena ci eravamo rilassati, la nostra conversazione divenne più scorrevole e distesa, anche grazie all'ottimo vino a cui avevamo fatto generosamente onore.
Con mia grande sorpresa ero divenuto meno orso del solito e insolitamente loquace.
Non eravamo ancora brilli, ma sicuramente quanto si era bevuto aveva abbassato le nostre barriere inibitorie, rendendoci più disponibili alla favella e alla confidenza.
- Lo sa Grimaldi, che vederla così rilassato, fuori dall'ufficio, le dona?
- In che senso Signetti? – chiesi, sorridendo alla stravaganza dell'affermazione.
- La trovo più disinvolto. - rispose - È meno trattenuto, meno formale e questo giova al suo fascino. - concluse con un sorriso indecifrabile.
Mi schermii: - Non sapevo di possedere del fascino. Questa mi giunge nuova.
Rise gettando all'indietro i capelli con aria scanzonata, era decisamente attraente e desiderabile, quando perdeva l'aplomb da stronza, credo ne fosse perfettamente cosciente.
- Non faccia il furbo Grimaldi, non vorrà darmi a bere che ignora di piacere alle donne?
Mi stava canzonando o mettendo in qualche modo alla prova, era un gioco e dovevo giocarlo.
- Non voglio darle da bere nulla di più del magnifico vino che abbiamo gustato, mi creda. È una questione che non mi sono mai posto. Forse perché sono sposato da molti anni e non cerco avventure femminili.
- Da quanto è sposato Grimaldi?
- Più di dieci anni, mi sono accasato molto giovane.
- E in tutto questo tempo è rimasto fedele a sua moglie?
Che domande mi faceva, 'sta sciroccata?
- Sì, certamente. Sono molto innamorato di mia moglie e ho una natura fedele.
- Ci credo Grimaldi. Ma mi lasci dubitare che un qualche tumulto interiore lo avrà sicuramente avuto, benché non lo abbia messo in atto. O mi sbaglio?
Bene! Ora faceva anche la consulente matrimoniale non richiesta; era evidente che alludesse a Martina.
Mi sorse il dubbio che sospettasse che l'uomo misterioso della rosa mensile fossi io.
- Amo solo mia moglie e stop! Signetti.
- Certo, sì. Le credo, un marito fedele e integerrimo. - seguì una sonora risata.
Quando faceva così avrei davvero voluto essere un Humphrey Bogart, come aveva detto lei davanti alla fotocopiatrice, e prenderla a ceffoni come faceva lui con Lauren Bacall nei loro film insieme.
Presi una sigaretta e ne offrii una anche a lei.
Nel farla accendere si sporse in avanti con la sigaretta fra le labbra. Avvicinando il viso alla fiamma, nel compiere il gesto trattenne la mia mano, sfiorandola con una lieve carezza.
Non potevo ignorare che fosse un sottile gesto di seduzione, l'aveva eseguito fissandomi con aria allusiva.
Inevitabilmente mi tornarono alla mente immagini di film hollywoodiani anni cinquanta, dove la stessa azione era compiuta dalla seduttrice del momento.
Che fosse una sensuale Rita Hayworth verso Glenn Ford in "Gilda" o la seducente Bacall con Humphrey Bogart in qualche loro pellicola, il gesto era quello.
Non sapevo se le fosse venuto spontaneo, ma il significato non mutava.
Provavo una duplice pulsione: da una parte un ovvio compiacimento che quella donna sicuramente seduttiva si interessasse a me, ma per lei avvertivo un sentimento torbido, fatto di rifiuto mentale e al contempo un turbamento di inconfessabile attrazione fisica.
Una donna che riusciva a farmi sentire come una mosca avviluppata nella tela di un ragno.
Sotto quell'aria artificiosamente controllata, dietro quegli occhi algidi, era facile intuire una sensualità a stento trattenuta.
Le si indovinava un temperamento ardente e volitivo, non avrei escluso anche qualche segreta perversione.
Guardavo con timore le pericolose implicazioni che quel rapporto, anche consumato fugacemente, avrebbe potuto comportare.
Vedevo una storia squallida, fatta di menzogne raccontate a mia moglie, incontri furtivi in qualche alberghetto collinare.
Sesso di rapina, consumato in fretta, che lasciava in bocca il gusto acido di una passione senza amore.
Se poi ne venissimo travolti e, ignorando ogni prudenza, avessimo cercato di appartarci fra le mura dell'azienda, incontrandoci nelle toilette o nei sotterranei, fra archivi polverosi, per consumare un sesso animalesco.
Che rischio da pazzi. Cristo! Che casino!
In ogni caso respingere Signetti equivaleva a giocare una mano di roulette russa, ma avendo cinque colpi nel caricatore e un unico colpo a vuoto in canna.
Era un suicidio certo.
Al contempo, un sì significava mettersi in mano a una "Latrodectus mactans", il nome scientifico della vedova nera che, dopo essersi accoppiata, divorava il maschio.
E poi io avevo in mente solo Martina e quell'idea mi era insopportabile.
Non sapevo davvero di che morte morire.
(Continua)
Una rosa per Martina Pt. 6
Fu puntuale come un cronometro svizzero, non ebbe bisogno di suonare al mio citofono, ero già davanti al portone di casa ad attenderla.
La lussuosa BMW, grigio canna di fucile, della Signetti si arrestò sul marciapiede davanti a me.
Lei mi sorrise sporgendosi dal posto di guida, era in gran forma e mi fece un cenno di saluto, io aprii la portiera e presi posto al suo fianco.
L'abitacolo era refrigerato e questo era piacevole, il suo costoso profumo dalle note inconfondibili saturava l'ambiente.
Pigiò sull'acceleratore e partì con lo stridio dei pneumatici.
- Dove vuole che andiamo? Decido io o ha già deciso lei? - chiese gioviale.
- Ho pensato a Giudice, in collina, se le garba, che ne dice? - risposi.
- Ottima scelta Grimaldi, lo conosco, è un posto carino e con una cucina eccellente.
Guidò con sicurezza nel complesso traffico del venerdì sera, si produsse in una serie di gimcane tra le auto del corso Moncalieri e, giunti al piazzale Crimea, imboccò la salita in direzione della val Salice.
La nostra conversazione durante il percorso non fu brillante, entrambi evidentemente sentivamo un lieve imbarazzo per quell'incontro fuori dal perimetro aziendale.
Per quanto simulassimo indifferenza, non potevamo ignorare che, date le nostre posizioni nell'organigramma, ci stessimo muovendo al di là delle righe consuete.
Non eravamo una semplice coppia di amici che andava a cena insieme, ma un dirigente aziendale con un suo subordinato, per giunta di sessi opposti.
Non credo che se la cosa fosse giunta alle orecchie del presidente l'avrebbe approvata con piacere; da sempre l'azienda preferiva che non vi fossero atteggiamenti confidenziali tra la dirigenza e la forza lavoro.
Pertanto scambiammo qualche banalità sul caldo precoce che toglieva il fiato, sul traffico caotico di quell'ora, sui migranti stranieri che a ogni semaforo offrivano di lavarci i vetri della vettura.
Questi, in particolare, le erano invisi, poiché riteneva che si trattasse di una vera invasione, oltre a essere un disvalore per il decoro pubblico.
Evitai di commentare l'argomento, quello che pensavo in merito a quei disperati in cerca di pane e di futuro in un paese straniero non le sarebbe piaciuto.
Il discorso e la discussione che ne sarebbe seguita avrebbero sicuramente reso impraticabile il seguito della serata.
Giungemmo al ristorante, non trovammo problemi a essere accolti benché non avessimo prenotato.
Il locale era decisamente invitante: fiorito e immerso nel verde collinare, una brezzolina gli conferiva una carezzevole frescura che ben disponeva l'animo.
Ci accomodammo all'aperto, sulla veranda, immersi nella cornice di un tramonto dai bagliori dorati; da uno spazio nella siepe che circondava l'edificio, si poteva ammirare il panorama della città che si specchiava nelle acque del Po, infiammata dall'ultima luce che cedeva alla sera.
Mentre il crepuscolo scemava lentamente, si accendevano luminarie disposte su steli intorno ai tavoli e nel grande giardino, creando un ambiente tenue e carezzevole, donando la sensazione di essere immersi in una dimensione soffusa e intima.
Ci servirono come aperitivo un assai fresco "Aicha" a base di Calvados, amaretto e succo di pompelmo, accompagnato da un ricco vassoio di stuzzichini.
La cena propose il meglio della cucina del locale: steak tartare come antipasto, plin al sugo d'arrosto per primo e pancia di maialino con riduzione di Barolo e gamberi come secondo.
Accompagnammo i piatti con del Pinot Nero Chardonnay, concludemmo la cena con un sorbetto al limone come dessert e un ottimo caffè.
Durante la cena ci eravamo rilassati, la nostra conversazione divenne più scorrevole e distesa, anche grazie all'ottimo vino a cui avevamo fatto generosamente onore.
Con mia grande sorpresa ero divenuto meno orso del solito e insolitamente loquace.
Non eravamo ancora brilli, ma sicuramente quanto si era bevuto aveva abbassato le nostre barriere inibitorie, rendendoci più disponibili alla favella e alla confidenza.
- Lo sa Grimaldi, che vederla così rilassato, fuori dall'ufficio, le dona?
- In che senso Signetti? – chiesi, sorridendo alla stravaganza dell'affermazione.
- La trovo più disinvolto. - rispose - È meno trattenuto, meno formale e questo giova al suo fascino. - concluse con un sorriso indecifrabile.
Mi schermii: - Non sapevo di possedere del fascino. Questa mi giunge nuova.
Rise gettando all'indietro i capelli con aria scanzonata, era decisamente attraente e desiderabile, quando perdeva l'aplomb da stronza, credo ne fosse perfettamente cosciente.
- Non faccia il furbo Grimaldi, non vorrà darmi a bere che ignora di piacere alle donne?
Mi stava canzonando o mettendo in qualche modo alla prova, era un gioco e dovevo giocarlo.
- Non voglio darle da bere nulla di più del magnifico vino che abbiamo gustato, mi creda. È una questione che non mi sono mai posto. Forse perché sono sposato da molti anni e non cerco avventure femminili.
- Da quanto è sposato Grimaldi?
- Più di dieci anni, mi sono accasato molto giovane.
- E in tutto questo tempo è rimasto fedele a sua moglie?
Che domande mi faceva, 'sta sciroccata?
- Sì, certamente. Sono molto innamorato di mia moglie e ho una natura fedele.
- Ci credo Grimaldi. Ma mi lasci dubitare che un qualche tumulto interiore lo avrà sicuramente avuto, benché non lo abbia messo in atto. O mi sbaglio?
Bene! Ora faceva anche la consulente matrimoniale non richiesta; era evidente che alludesse a Martina.
Mi sorse il dubbio che sospettasse che l'uomo misterioso della rosa mensile fossi io.
- Amo solo mia moglie e stop! Signetti.
- Certo, sì. Le credo, un marito fedele e integerrimo. - seguì una sonora risata.
Quando faceva così avrei davvero voluto essere un Humphrey Bogart, come aveva detto lei davanti alla fotocopiatrice, e prenderla a ceffoni come faceva lui con Lauren Bacall nei loro film insieme.
Presi una sigaretta e ne offrii una anche a lei.
Nel farla accendere si sporse in avanti con la sigaretta fra le labbra. Avvicinando il viso alla fiamma, nel compiere il gesto trattenne la mia mano, sfiorandola con una lieve carezza.
Non potevo ignorare che fosse un sottile gesto di seduzione, l'aveva eseguito fissandomi con aria allusiva.
Inevitabilmente mi tornarono alla mente immagini di film hollywoodiani anni cinquanta, dove la stessa azione era compiuta dalla seduttrice del momento.
Che fosse una sensuale Rita Hayworth verso Glenn Ford in "Gilda" o la seducente Bacall con Humphrey Bogart in qualche loro pellicola, il gesto era quello.
Non sapevo se le fosse venuto spontaneo, ma il significato non mutava.
Provavo una duplice pulsione: da una parte un ovvio compiacimento che quella donna sicuramente seduttiva si interessasse a me, ma per lei avvertivo un sentimento torbido, fatto di rifiuto mentale e al contempo un turbamento di inconfessabile attrazione fisica.
Una donna che riusciva a farmi sentire come una mosca avviluppata nella tela di un ragno.
Sotto quell'aria artificiosamente controllata, dietro quegli occhi algidi, era facile intuire una sensualità a stento trattenuta.
Le si indovinava un temperamento ardente e volitivo, non avrei escluso anche qualche segreta perversione.
Guardavo con timore le pericolose implicazioni che quel rapporto, anche consumato fugacemente, avrebbe potuto comportare.
Vedevo una storia squallida, fatta di menzogne raccontate a mia moglie, incontri furtivi in qualche alberghetto collinare.
Sesso di rapina, consumato in fretta, che lasciava in bocca il gusto acido di una passione senza amore.
Se poi ne venissimo travolti e, ignorando ogni prudenza, avessimo cercato di appartarci fra le mura dell'azienda, incontrandoci nelle toilette o nei sotterranei, fra archivi polverosi, per consumare un sesso animalesco.
Che rischio da pazzi. Cristo! Che casino!
In ogni caso respingere Signetti equivaleva a giocare una mano di roulette russa, ma avendo cinque colpi nel caricatore e un unico colpo a vuoto in canna.
Era un suicidio certo.
Al contempo, un sì significava mettersi in mano a una "Latrodectus mactans", il nome scientifico della vedova nera che, dopo essersi accoppiata, divorava il maschio.
E poi io avevo in mente solo Martina e quell'idea mi era insopportabile.
Non sapevo davvero di che morte morire.
(Continua)