L’incontro – Pt. 13

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[LAB 16] Infanzie Crepuscolari - Costruttori di Mondi


L’incontro – Pt. 13


La giornata, funestata dall’influenza che avevo contratto con l’infausto ritorno in moto sotto il diluvio, sembrava presentarsi grigia e pesante da trascorrere.
Svogliatamente cercavo di concentrarmi su un libro di testo, ma la testa correva altrove: il ricordo della giornata passata era ancora pressante.
Il desiderio per Patty non si attenuava nonostante il malessere fisico, anzi si colorava di frustrazione per la conclusione mancata e l’intoppo che mi impediva di rivederla subito e programmare il nostro convegno nella mia soffitta.
Verso le quattordici del pomeriggio squillò il telefono con la derivazione della linea che avevo in camera.
Pensai subito che a chiamare fosse Patty, preoccupata di non avermi visto in classe quella mattina.
Ma non era una telefonata di Patty.
La cornetta mi riportò la voce ansiosa di Tiziana, la sorella di Luisa, la Sampo.
- Ciao Tiziana, come stai? Qual buon vento?
- Ciao, ti chiamo perché dobbiamo parlare di una cosa. Ma non c’è buon vento, anzi è un tempo schifoso.
Era chiaro che non alludesse alla pioggia che ancora scendeva in città.
- Caspita! Cosa è successo?
- Ti chiamo per Luisa, ma lei non lo sa e quello che ci diciamo deve riestare tra noi.
Cazzo! Va bene. - sentire il solo nome di Sampo mi procurò un tuffo caldo al plesso solare, una verigine d'ansia che le fosse accaduto qualcosa di male mi investì con violenza.
- Ma dimmi che l'è successo? C'è stato un incidente? - Chiesi concotato.
- Sì, possiamo dire che ha avuto un incidente.
- Cristo! Non farmi stare in pena. Che incidente ha avuto?
- Il peggiore! Quello d’incontrarti. – Disse con tono grave.
Mi ammutolì. Ne seguì la cronaca del dramma annunciato.
Sampo, da quando ci eravamo lasciati, era caduta in una forte depressione.
Non mangiava, stava chiusa in camera, a letto tutto il giorno. N
Non voleva vedere nessuno, aveva continue crisi di pianto e nell’ultima settimana non era tornata al liceo.
Tutta la famiglia era preoccupata, non sapevano più a che santo votarsi per farla tornare in sé.
- Capisco che, se vi siete lasciati, - continuò - avrete avuto le vostre ragioni. Ma questa cosa la sta devastando.
Satavo in silenzio nonsapendo che dire.
Poi continuò: – Ora voglio sentire da te. Davvero questa cosa è seria e irrimediabile, oppure è solo una vostra ripicca dettata dall’orgoglio?
Continuavo a tacere in imbarazzo totale. Riprese a parlare.
- Ti chiedo col cuore in mano di confermare che vi siete lasciati per un motivo grave, tale da non consentirvi di fare un passo indietro. Almeno avrò la certezza d’aver tentato il possibile, anche se non sarà servito a nulla.
Allora mi decisi a parlare.
- No. Non è stata una ragione inesorabile. Anzi, a pensarci, mi rendo conto che tutto è nato da una stupidaggine. Ma devi capirmi: in quel momento avevo il sangue agli occhi e sono partito d’impulso. Ora mi rendo conto d’essere stato davvero uno stronzo. Mi dispiace veramente che Luisa stia così male.
Bene – disse. – Quel che è fatto è fatto. Inutile piangerci sopra. Ora dimmi che intenzioni hai? Vuoi continuare a fare lo stronzo o mettiamo fine a questo casino?
- Titti, ti giuro che sapere d’averla fatta stare così male mi strazia. Tu cosa mi consigli di fare?
- Cosa vuoi che ti consigli testone? Chiamala! Fate pace. Ma non dirle una parola della nostra telefonata.
- Va bene. La chiamo adesso, è lì a casa?
- Sta dormendo, chiamala tra due ore.
- D’accordo, farò così. Grazie di tutto, tesoro.
- Prego. Ma smettetela di fare i coglioni, siete giovani, vivetevi la vita, che a rovinarvela avrete tempo. E soprattutto non rompate i coglioni a tutta la famiglia. Ciao, chiamala.
- Certo, ciao, grazie ancora.
Quella telefonata era un treno in faccia preso in una galleria.
Ero scosso, non mi sarei mai aspettato di saperla in quelle condizioni.
Me l’ero immaginata a continuare la sua vita, incazzata e piena di rancore, intenta a mandarmi mentalmente a fare i culo, intenzionata a cancellarmi dalla memoria; fregandosene di me che non la meritavo.
Invece, troppo orgogliosa per farmi sapere che le mancavo, preferiva macerarsi in solitudine, stare da cani piuttosto che mostrarsi debole.
Mi tornavano in mente i nostri inizi: la sua tenerezza, la dolcezza e la pazienza che aveva avuto nello starmi vicina quando ne avevo avuto bisogno, divenendo giorno dopo giorno il mio motivo per ricominciare a vivere.
I nostri tanti giorni felici, il nostro fare l’amore con una passione che toccava l’estasi, tutto l’amore provato per lei.
Tutto ora mi aggradiva nuovamente, con un’ondata di dolorosa nostalgia.
Inutile fingere con me stesso: io Sampo l’amavo, era parte della mia stessa carne, era l’unica donna con la quale potevo immaginare di vivere il resto della vita.
L’unica che, per amore mio, stava gettando fra le lacrime i giorni della sua nel cesso.
Mi sentivo in colpa, mi sentivo una vera merda.
Le telefonai due ore dopo.

Eravamo nuovamente insieme, con la sensazione febbricitante di chi ha scampato una rave malattia e la felicità incredula d'averla superata.
La mattina dopo, forse per la scossa psicofisica subita o per la Tachipirina assunta, non avevo più il raffreddore.
Tagliammo entrambi la scuola e ci precipitammo in soffitta a fare l’amore per cinque ore di seguito.
Ci eravamo ritrovati ed era bellissimo, sringerla nuovamente tra le braccia era un soagno bellissimo.
Non mi volli pensare che al suo posto quella mattina avrebbe potuto esserci Patty: l’amore vero cancella la memoria delle infatuazioni.
Ora ne ero certo: per Patty provavo affetto e attrazione fisica, ma l’amore era altro.
Ora avrei dovuto dirglielo, non sapevo come e con quali parole.
Era un problema serio e mi ci ero ficcato da solo.
La mattina che tornai in classe, lei non era ancora presente, arrivò in ritardo mentre eravamo già tutti dentro.
Ci incrociammo con gli sguardi e ci salutammo con un cenno del capo, non eravamo seduti vicini.
Durante l’intervallo mi attese fuori dalla porta dell’aula; quando uscii, si accostò a baciarmi una guancia, poi, guardandomi, capì subito che qualcosa non andava.
- Che ti è successo in questi due giorni? - Mi chiese.
- Ho preso una mezza influenza per l’acquazzone beccato in moto la sera che sono tornato dalla festa.
- Più che l’influenza, sembra che ti abbia investito un TIR – disse semiseria.
- Beh, – risposi - più o meno è stata la stessa cosa
Ma non c'era ironia nel mio tonp.
- Ok. Allora non è stata solo influenza, giusto?
- No. Non è stata solo influenza.
- Hai sentito Luisa? - Disse con un sorriso.
Benedetta ragazza, era troppo intelligente, aveva capito tutto.
- Sì. - Risposi con un soffio. - Ci siamo anche visti.
- Dai! Che bello! Avete fatto pace? – sorrideva, ma non con gli occhi.
- Sì. Lei stava troppo male.
- Io te l’avevo detto, dovevi telefonarle ancora prima.
- Avevi ragione, sono stato stupido.
Ci fu un silenzio in cui guardammo entrambi le nostre scarpe e le piastrelle del corridoio.
- Senti, Patty – dissi piano.
- No, senti tu – replicò decisa. – Voi siete fatti l’uno per l’altra, non fate la cazzata di buttare quello che avete, siete ricchi e non ve ne rendete conto. Non sciupatelo questo amore.
- Hai ragione, ma vedi, ora io, noi…
- Non c’è nessun “noi”, ci siete tu e lei. Conta solo questo – disse seria.
- Sorrideva con le labbrai e le parole, ma il verde-azzurro degli occhi non splendeva, e mi sentivo in colpa.
- Lo so, Patty, ma con quello che ci è successo, ecco, ora mi dispiace un sacco.
Con la mano e il capo fece un allegro cenno di negazione per farmi tacere.
- Quello che è successo era scritto che accadesse, è stato bello, un momento felice che ci siamo regalati. È stato intenso e poetico. Non abbiamo fatto l’amore in maniera totale, ma quello non avrebbe aggiunto nulla di più alla perfezione di ciò che abbiamo avuto. Io sono felice che ci sia stato e mi basta. Fa’ che sia così anche per te, nessun rimorso e nessun rimpianto.
- Patty, io ti voglio bene e ti desidero perché sei bella, ma non posso fare l’amore con te amando lei.
- Lo so, e per me è lo stesso, non è il nostro tempo e forse non lo sarà mai – concluse.
Ci scambiammo un bacio a fior di labbra, un bacio casto, forse un addio, forse una promessa.
Corsi a chiudermi in bagno, tremavo dentro e avevo il viso rigato di lacrime.
Quanto cazzo era duro avere dei sentimenti e sentirsi in bilico tra l’uno e l’altro.
Avevo fatto la mia scelta definitiva e annegai le mie fisime sentimentali nello studio, per prepararmi al duplice esame di fine anno scolastico.
Cauterizzai la spina nel cuore che Patty mi aveva lasciato, crecando di dimenticare il peccato d'averla lasciata a lei.
Lasciai che il tempo mi scorresse addosso con gli impegni di studio e la prosecuzione del mio rapporto sempre più solido con Sampo.
Fino al termine dell’anno scolastico, con lei ci fu la tenerezza di un’amicizia che aveva sfiorato l’amore, come in due ex amanti che si sono voluti bene per un tempo troppo breve e detti addio, perché la vita li portava altrove.
Presentai i due anni in uno, passai la maturità e l’anno successivo mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti, alla sezione di Pittura, insieme a Sampo.
Fu da quel punto in avanti che con Patty ci perdemmo di vista, ognuno preso dalla propria vita.
Quel sogno incredibile, come sanno essere i sogni, mi aveva riacceso il ricordo e la nostalgia per ciò che avrebbe potuto essere e non era stato.
Pensai che, in fondo, di vita ne abbiamo una sola, e tutto ciò che lasciamo irrisolto o a metà non ci sarà dato di portare a termine nella prossima.
Né di portarci un consolatorio ricordo nel passaggio alla vita eterna.


Per questo decisi che dovevo ritrovare Patty e rincontrarla.


(Continua)

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