L'incontro – Pt.4
Posted: Sat May 24, 2025 4:52 pm
L'arcobaleno in una stanza - Costruttori di Mondi
L'incontro – Pt.4
Elton John, abbigliato con un frac verde lucido e basette chiazzate di verde, cantava e suonava in piedi sul pianoforte Crocodile Rock. Noi, strafatti, tutti in piedi, ci agitavamo come forsennati a tempo di musica.
Poi erano arrivate le melodie più pacate, quasi romantiche, di Rocket Man, accompagnate dalla straordinaria chitarra di Davey Johnstone.
Nuovamente accovacciati sul pavimento, stavo mano nella mano con Patty, mentre una corrente di tensione emozionale scorreva in quel contatto caldo.
Sentivo che, in quel clima di estraniazione dato dal fumo, anche lei avvertisse quel legame mentale e fisico che ci univa, isolandoci dal resto della massa umana intorno a noi.
Eravamo soli, come un unico atomo in quel buio affollato, trascinati e persi nella musica assordante delle gigantesche casse che vibravano a pochi metri da noi.
Se chiudevo gli occhi, avevo la sensazione di librarmi nel vuoto con lei, stretta nella mia mano.
Lento e carezzevole, era partito il brano di Tiny Dancer, uno dei pezzi che amavo di più del nostro idolo.
Una delle canzoni più note scritte da lui, con testo di Bernie Taupin, dedicata a Maxine Feibelman, la prima moglie di Taupin.
Aveva una melodia dolce, con complesse architetture armoniche del pianoforte, arricchita da superbe percussioni unite alla chitarra pedal steel: il pezzo era intenso e commovente, donava un apice di emozione assoluto.
Avevo riaperto gli occhi cercando quelli di lei; la sua mano era ancora nella mia.
Ma la sorpresa mi fulminò di stupore: la sua bocca era incollata, in un bacio appassionato, a quella di un ragazzo sconosciuto, comparso accanto a noi, che la baciava con trasporto impetuoso.
Con inevitabile sconcerto, nella luce che spioveva dal palco, lo avevo osservato: era belloccio e di certo non gli mancava l’intraprendenza.
Non mancava neppure di coraggio, poiché stava tranquillamente limonando con una che, all’apparenza, poteva essere la mia ragazza, rischiando che quel gesto potesse fargli guadagnare una testata in piena faccia, rendendo la serata indimenticabile.
Era comunque fortunato, perché, non essendo Patty la mia ragazza, non avevo motivo di spaccargli il muso; né, del resto, potevo strapazzarlo per aver impunemente fatto lingua in bocca con una che tenevo per mano, dato che lei sembrava gradire parecchio quell’approccio.
Le avevo lasciato la mano, visto che al momento aveva occasioni più utili per impegnarla.
Il resto dell’esibizione della rockstar britannica l’avevo vissuta sottotono.
Benché razionalmente non avrebbe dovuto toccarmi, in realtà, quanto era accaduto mi aveva lasciato la sgradevole sensazione di aver subito una sorta di offesa.
“Cazzate!” mi dicevo. Mica potevo baciarla io, anche se lo desideravo.
Amavo Sampo e con Patty non doveva accadere nulla del genere. Continuavo a ripetermelo, per convincermene.
L’unica senza impegni sentimentali era lei, e giustamente poteva baciare chi voleva. Che fosse o meno un fricchettone biondo e belloccio, con lunghi capelli legati in una coda e una inossidabile faccia da culo. Rimuginavo questi pensieri, per convincermi che non fosse accaduto nulla, che la cosa non dovesse sfiorarmi.
Patty e il tipo avevano avuto il buongusto di spostarsi qualche posizione più indietro, almeno non avevo le loro calorose effusioni sotto il naso.
Per loro il concerto volava alto, mentre a me scendeva l’effetto del fumo ed entravo in quel senso di vuoto, vagamente deprimente, che talvolta seguiva agli sballi più strepitosi.
All’uscita dal Palasport ci eravamo ritrovati tutti e quattro, commentando entusiasti i vari momenti dell’evento vissuto. Procedevamo a passo di lumaca, immersi nella fiumana che si riversava verso l’esterno, al Parco Ruffini.
Alfio, appassionato di percussioni, che suonava egregiamente, era gasato dal batterista che seguiva la sezione ritmica della tournée di Elton John.
Il nostro amico, per questa sua passione, era stato arruolato come percussionista del nostro terzetto, quando con Giulio suonavamo insieme.
Tra una chiacchiera e l’altra, avevo notato una luce lievemente canzonatoria nei suoi occhi quando incrociavano il mio sguardo.
Aveva certamente assistito alla scena tra me e Patty, non avevo dubbi che stesse pensando: “Cu havi cugnintura e un si niservi, non trova cunfissuri ca l’assolvi”.
Ovvero: “Chi ha l’occasione e non se ne serve, non trova confessore che l’assolva”. Uno dei proverbi nel suo dialetto d’origine, di cui ogni tanto ci illuminava.
Non potevo certo biasimarlo, avevo fatto una figura da coglione.
Ma, del resto, nonostante lo schiaffo al mio amor proprio, avevo tenuto fede ai miei seri motivi etici.
Patty appariva allegra, quasi raggiante, e mi aveva preso calorosamente sottobraccio. Domandarsi il motivo di quell’aria soddisfatta sarebbe stato pleonastico.
– Ma l’hai visto il tipo? – mi aveva chiesto con tono complice.
– Sì. Credo che l’abbiamo visto tutti e due – avevo ribattuto con un sottinteso.
Aveva riso divertita, e io avevo riso con lei, ma con minore entusiasmo.
– Lo conoscevi già? – le avevo chiesto.
– No! Assolutamente, mai visto prima.
– Be’, non avete avuto problemi di conoscenza, a quanto ho visto.
Aveva riso di nuovo, gettando indietro la testa.
– Come l’hai trovato? Era carino, no? – aveva ribadito, curiosa di sapere che ne pensassi.
– Sì, diciamo passabile. L’importante è che piacesse a te – avevo risposto in tono neutro.
– Sai, sono venuta in maniera fantastica. Mi ha fatto un ditalino pazzesco – mi aveva sussurrato piano.
Era felice, forse era finalmente guarita dalla crisi per l’abbandono del “merda”.
– Brava! Sono contento per te – avevo aggiunto, chiudendo l’argomento.
(Continua)
L'incontro – Pt.4
Elton John, abbigliato con un frac verde lucido e basette chiazzate di verde, cantava e suonava in piedi sul pianoforte Crocodile Rock. Noi, strafatti, tutti in piedi, ci agitavamo come forsennati a tempo di musica.
Poi erano arrivate le melodie più pacate, quasi romantiche, di Rocket Man, accompagnate dalla straordinaria chitarra di Davey Johnstone.
Nuovamente accovacciati sul pavimento, stavo mano nella mano con Patty, mentre una corrente di tensione emozionale scorreva in quel contatto caldo.
Sentivo che, in quel clima di estraniazione dato dal fumo, anche lei avvertisse quel legame mentale e fisico che ci univa, isolandoci dal resto della massa umana intorno a noi.
Eravamo soli, come un unico atomo in quel buio affollato, trascinati e persi nella musica assordante delle gigantesche casse che vibravano a pochi metri da noi.
Se chiudevo gli occhi, avevo la sensazione di librarmi nel vuoto con lei, stretta nella mia mano.
Lento e carezzevole, era partito il brano di Tiny Dancer, uno dei pezzi che amavo di più del nostro idolo.
Una delle canzoni più note scritte da lui, con testo di Bernie Taupin, dedicata a Maxine Feibelman, la prima moglie di Taupin.
Aveva una melodia dolce, con complesse architetture armoniche del pianoforte, arricchita da superbe percussioni unite alla chitarra pedal steel: il pezzo era intenso e commovente, donava un apice di emozione assoluto.
Avevo riaperto gli occhi cercando quelli di lei; la sua mano era ancora nella mia.
Ma la sorpresa mi fulminò di stupore: la sua bocca era incollata, in un bacio appassionato, a quella di un ragazzo sconosciuto, comparso accanto a noi, che la baciava con trasporto impetuoso.
Con inevitabile sconcerto, nella luce che spioveva dal palco, lo avevo osservato: era belloccio e di certo non gli mancava l’intraprendenza.
Non mancava neppure di coraggio, poiché stava tranquillamente limonando con una che, all’apparenza, poteva essere la mia ragazza, rischiando che quel gesto potesse fargli guadagnare una testata in piena faccia, rendendo la serata indimenticabile.
Era comunque fortunato, perché, non essendo Patty la mia ragazza, non avevo motivo di spaccargli il muso; né, del resto, potevo strapazzarlo per aver impunemente fatto lingua in bocca con una che tenevo per mano, dato che lei sembrava gradire parecchio quell’approccio.
Le avevo lasciato la mano, visto che al momento aveva occasioni più utili per impegnarla.
Il resto dell’esibizione della rockstar britannica l’avevo vissuta sottotono.
Benché razionalmente non avrebbe dovuto toccarmi, in realtà, quanto era accaduto mi aveva lasciato la sgradevole sensazione di aver subito una sorta di offesa.
“Cazzate!” mi dicevo. Mica potevo baciarla io, anche se lo desideravo.
Amavo Sampo e con Patty non doveva accadere nulla del genere. Continuavo a ripetermelo, per convincermene.
L’unica senza impegni sentimentali era lei, e giustamente poteva baciare chi voleva. Che fosse o meno un fricchettone biondo e belloccio, con lunghi capelli legati in una coda e una inossidabile faccia da culo. Rimuginavo questi pensieri, per convincermi che non fosse accaduto nulla, che la cosa non dovesse sfiorarmi.
Patty e il tipo avevano avuto il buongusto di spostarsi qualche posizione più indietro, almeno non avevo le loro calorose effusioni sotto il naso.
Per loro il concerto volava alto, mentre a me scendeva l’effetto del fumo ed entravo in quel senso di vuoto, vagamente deprimente, che talvolta seguiva agli sballi più strepitosi.
All’uscita dal Palasport ci eravamo ritrovati tutti e quattro, commentando entusiasti i vari momenti dell’evento vissuto. Procedevamo a passo di lumaca, immersi nella fiumana che si riversava verso l’esterno, al Parco Ruffini.
Alfio, appassionato di percussioni, che suonava egregiamente, era gasato dal batterista che seguiva la sezione ritmica della tournée di Elton John.
Il nostro amico, per questa sua passione, era stato arruolato come percussionista del nostro terzetto, quando con Giulio suonavamo insieme.
Tra una chiacchiera e l’altra, avevo notato una luce lievemente canzonatoria nei suoi occhi quando incrociavano il mio sguardo.
Aveva certamente assistito alla scena tra me e Patty, non avevo dubbi che stesse pensando: “Cu havi cugnintura e un si niservi, non trova cunfissuri ca l’assolvi”.
Ovvero: “Chi ha l’occasione e non se ne serve, non trova confessore che l’assolva”. Uno dei proverbi nel suo dialetto d’origine, di cui ogni tanto ci illuminava.
Non potevo certo biasimarlo, avevo fatto una figura da coglione.
Ma, del resto, nonostante lo schiaffo al mio amor proprio, avevo tenuto fede ai miei seri motivi etici.
Patty appariva allegra, quasi raggiante, e mi aveva preso calorosamente sottobraccio. Domandarsi il motivo di quell’aria soddisfatta sarebbe stato pleonastico.
– Ma l’hai visto il tipo? – mi aveva chiesto con tono complice.
– Sì. Credo che l’abbiamo visto tutti e due – avevo ribattuto con un sottinteso.
Aveva riso divertita, e io avevo riso con lei, ma con minore entusiasmo.
– Lo conoscevi già? – le avevo chiesto.
– No! Assolutamente, mai visto prima.
– Be’, non avete avuto problemi di conoscenza, a quanto ho visto.
Aveva riso di nuovo, gettando indietro la testa.
– Come l’hai trovato? Era carino, no? – aveva ribadito, curiosa di sapere che ne pensassi.
– Sì, diciamo passabile. L’importante è che piacesse a te – avevo risposto in tono neutro.
– Sai, sono venuta in maniera fantastica. Mi ha fatto un ditalino pazzesco – mi aveva sussurrato piano.
Era felice, forse era finalmente guarita dalla crisi per l’abbandono del “merda”.
– Brava! Sono contento per te – avevo aggiunto, chiudendo l’argomento.
(Continua)