[MI178 fuori concorso] Che cosa attende? Parte 1 di 6 – Prologo

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MI178 – Fuori concorso
Traccia 1 – L’attesa (ma anche traccia 3 – Non è così che doveva andare)

Che cosa attende?
Parte 1 – Prologo

Liam e Petra si lasciarono alle spalle le luci del centro abitato per dirigersi verso l’oceano, la neve che scricchiolava sotto gli stivali. Infagottati in giubbotti e berretti colorati, nella notte i due bambini sembravano piccoli elfi. Camminavano mano nella mano, canticchiando una canzone che avevano sentito in radio: «Letting the days go by, let the water hold me down...»
La Luna calante guidò i loro passi fino al rifugio del vecchio Isak, che dava direttamente sulla spiaggia. Le onde respiravano sulla sabbia nera della battigia, lunghissime, e a largo facevano danzare blocchi di ghiaccio. I bambini smisero di cantare: tutto ciò che si udiva erano la risacca, le grida dei fulmari alti in cielo e il vento che soffiava gelido sui loro volti e faceva pizzicare le narici.
Già prevedevano la scena prima ancora di arrivare in spiaggia: il vecchio Isak seduto su una roccia, lo sguardo instancabile rivolto all’orizzonte tra cielo e oceano, le spalle girate al resto del mondo. Il calore della stufetta da campo, le tazze fumanti di cioccolata. E quella presenza che da qualche giorno si era insinuata nella vita del vecchio: lo scrittore venuto da lontano, che tremava e si strofinava le mani nei guanti, fastidioso ma in qualche modo divertente.
Quel giorno, invece, in spiaggia non c’era nessuno. Liam e Petra si guardarono l’un l’altro e i loro sorrisi si spensero. Un oggetto stropicciato rifletteva la luce della Luna, non troppo lontano dal rifugio. Si avvicinarono, circospetti. In una busta di plastica, riconobbero il registratore con cui andava sempre in giro lo scrittore.

Susan e George seguono l’infermiera lungo il corridoio dell’ospedale psichiatrico. Il tremore tradisce il nervosismo di George, e Susan gli posa una mano sulla spalla per tranquillizzarlo. Nel loro lavoro, sono le persone la più grande fonte di inquietudine e incognita. In che condizioni si trova il signor Ødegaard? Quali cambiamenti ha subito in seguito a ciò che ha udito in quel registratore?
Un altro infermiere li attende di fronte alla sala ricevimenti. Taglia corto su convenevoli e raccomandazioni già sentite e, finalmente, apre la porta e li segue dentro. La stanza è ampia e spartana. Seduto all’altro capo di un tavolo bianco, Magnus Ødegaard alza lo sguardo sui visitatori. Gli occhi di ghiaccio sono stanchi e spenti: non era quello che George si sarebbe aspettato da un uomo rinchiuso là dentro, che si dice abbia vissuto qualcosa di inconcepibile; i racconti altrui forniscono un quadro ben diverso. Questo lo rende solo più nervoso, ma cerca di non darlo a vedere.
Prima di sedersi di fronte a lui, Susan fa un piccolo sorriso di circostanza: «Sceriffo. Siamo gli agenti Susan e George Anson, lieti di fare la sua conoscenza.»
«Ex sceriffo, in realtà. Quando ho saputo che avrei avuto visite, non nego che la cosa mi abbia infastidito.» La padronanza del linguaggio e la leggera ironia li lasciano interdetti. «Ho già detto tutto quello che so agli altri agenti, nonché ai giornalisti e ai colleghi di quel Arthur Carter.»
«Il signor Carter era uno scrittore e giornalista rispettato. È solo naturale che le circostanze della sua scomparsa siano investigate in ogni particolare, non le pare?»
Magnus abbassa lo sguardo a osservare le proprie mani che si torcono sul tavolo. «Certamente.»
«Non può fare molto da qui, ma non vorrebbe alleggerire almeno un po’ il lavoro del nuovo sceriffo?» Susan legge il nome su un foglietto. «La signorina Ylva Korhonen, se non erro; perdoni la pronuncia. Avrà un bel da fare, ora che investigatori e giornalisti stanno andando sulla vostra preziosa isola sulle tracce del signor Carter.»
«Dovete impedirlo. Non potete capire.»
«Signor Ødegaard, sono stati i suoi familiari che hanno insistito affinché venisse ricoverato qui sulla terraferma, è corretto? Ci chiedevamo: cosa ha portato uno sceriffo sull’orlo di un abisso di follia tale da giustificare questo fatto? Ci ripeta cos’è successo, vogliamo sentirlo da lei. Lo faccia per lo sceriffo Korhonen. Non si sa ancora nulla sulla scomparsa di Arthur Carter e Isak Johansen, e lei è l’unico ad aver ascoltato quegli audio. Ci dica: che cosa ha udito in quel registratore?»
Magnus detesta essere costretto a rivivere di continuo quei momenti. Ormai la sua vita si è ridotta a questo, e interessa agli altri esclusivamente in funzione di quegli attimi. Una sola domanda lo tiene sveglio la notte: perché? Perché Dio deve essere così crudele con lui?

Era un giorno come tutti gli altri, per Magnus. Non che la cosa gli dispiacesse: il tasso di criminalità era pressoché nullo, in quella sperduta cittadina in riva all’oceano, e lo sceriffo trascorreva le giornate a compilare scartoffie e fare pattuglie, per poi passare la sera a bere birra con Ylva e colleghi.
Ma non era uno sfaticato, o almeno gli piaceva pensare di non esserlo, e quando in centrale si presentarono i due marmocchi, ascoltò con attenzione cos’avevano da dire. I piccoli Liam e Petra erano sempre assieme, ed erano gli unici ad apprezzare ancora la compagnia di Isak, quel vecchio pazzo. Assieme a loro c’era Elsa, la madre del bambino, e teneva in mano un oggetto in una busta di plastica.
«Volete raccontare allo sceriffo cos’avete trovato?» La donna posò le mani sulle spalle del figlio.
Ylva si affiancò a Magnus per ascoltare.
Liam raccontò del ritrovamento del registratore in spiaggia e, quando ebbe finito, Elsa porse la busta allo sceriffo, e aggiunse: «Né al rifugio né alla casa del vecchio Isak c’è nessuno, e il giornalista non torna all’albergo da due giorni.»
Magnus portò una mano a grattarsi la barba. La ricerca di persone scomparse era la parte più attiva del suo lavoro, ma era anche quella che meno gli piaceva, perché il più delle volte si concludeva col ritrovamento di un corpo assiderato, affogato o sbranato da un orso. Persone che per lo più conosceva. E durante la notte polare era solo peggio. Attivò immediatamente la squadra di ricerca.
Poi collegò il registratore del giornalista al computer e avviò la copia dei file audio. Arthur Carter. Era venuto dalla terraferma per ficcanasare nella vita del vecchio Isak e trarne chissà cosa. Magnus non la riteneva una storia degna di essere raccontata, ma si disse che forse era troppo pragmatico per capire: ragionava da sceriffo, non da scrittore. Al vecchio Isak restava qualche settimana da vivere, forse qualche giorno, e a Magnus non andava giù che un estraneo importunasse i suoi ultimi momenti.
Il vecchio era diventato una sorta d’istituzione per la cittadina, seduto lì in spiaggia da anni, lo sguardo all’orizzonte. Magnus vedeva un’ossessione religiosa in quel comportamento e detestava ciò che fosse legato alla religione o sconnesso dalla realtà quotidiana. Non capiva, né gli importava: a cosa serviva restarsene tutto il tempo là a fare nulla? Qual era l’utilità? Che cosa attendeva? Starsene semplicemente lì, senza neanche una canna da pesca o un libro...
Il trasferimento dei file ci stava impiegando più di quanto avesse sperato, quindi lasciò il computer acceso, indossò la giacca, prese il fucile e si unì alle ricerche. Fu un giorno estenuante; quando rientrarono in centrale non avevano fatto uno straccio di progresso e avevano le idee più confuse di prima.
L’attacco di un orso era da escludere. Primo, era fuori stagione. Secondo, Isak sapeva benissimo come difendersi, e portava sempre il fucile con sé. Terzo, gli orsi non si avvicinavano tanto al centro abitato. Quarto, in spiaggia non c’erano tracce. Ma allora cosa? Cosa rappresentava quel singolo registratore laggiù, abbandonato vicino al rifugio? Era come se, qualunque cosa fosse accaduta a quei due, lo avessero lasciato intenzionalmente per farlo ritrovare.
Il registratore. Magnus si avvicinò al computer per controllare i file, ma c’era stato un errore e il trasferimento non era andato a buon termine. Staccò con rabbia il cavo e spense il computer.

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Re: [MI178 fuori concorso] Che cosa attende? Parte 1 di 6 – Prologo

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Mina ha scritto: Le onde respiravano sulla sabbia nera della battigia, lunghissime, e a al largo facevano danzare blocchi di ghiaccio. I bambini smisero di cantare: 
Mina ha scritto: E quella presenza che da qualche giorno si era insinuata nella vita del vecchio: lo scrittore venuto da lontano, che tremava e si strofinava le mani nei guanti, fastidioso ma in qualche modo divertente.
Quel giorno, invece, in spiaggia non c’era nessuno. Liam e Petra si guardarono l’un l’altro e i loro sorrisi si spensero. Un oggetto stropicciato rifletteva la luce della Luna, non troppo lontano dal rifugio. Si avvicinarono, circospetti. In una busta di plastica, riconobbero il registratore con cui andava sempre in giro lo scrittore.
Perché soltanto "nella vita del vecchio"? Forse meglio: nella vita del paese, visto il seguito.
Mina ha scritto: lun ott 02, 2023 11:11 pmGli agenti Susan e George seguono l’infermiera lungo il corridoio dell’ospedale psichiatrico. Il tremore tradisce il nervosismo di George, e Susan gli posa una mano sulla spalla per tranquillizzarlo. Nel loro lavoro, sono le persone la più grande fonte di inquietudine e incognita. In che condizioni si trova il signor Ødegaard? Quali cambiamenti ha subito in seguito a 
Meglio rivelare da subito il loro ruolo nella vicenda, anche per far capire subito le frasi che li introducono. O l'hai fatto scientemente?  ;)

Caro @Mina , il racconto "prende". Che suoni produrrà il registratore? Parole inquietanti, rumori sinistri?  :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI178 fuori concorso] Che cosa attende? Parte 1 di 6 – Prologo

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Salve, ottimo inizio! Prende molto l’attenzione del lettore e crea molta aspettativa per leggere i pezzi seguenti 

Non ho nulla da dire sulla forma, mi limito a giusto un paio di considerazioni più personali che a effettivi “problemi” del testo:
Tra i paragrafi al presente e quelli al passato, io personalmente ti consiglierei di inserire un qualche stacco che segnali subito che si sta parlando di due tempi narrativi presenti, magari anche una singola notazione in corsivo che indichi l’anno o quanto tempo prima del paragrafo al presente si sta raccontando, così da ridurre al minimo la possibile confusione nel lettore

I dialoghi dei poliziotti venuti a parlare con lo sceriffo in alcuni punti mi hanno sorpreso, per alcune scelte lessicali; come prima, non sono errori, ma personalmente mi stonano un poco:
Mina ha scritto: cosa ha portato uno sceriffo sull’orlo di un abisso di follia tale da giustificare questo fatto?
Mi suona un po’ troppo artefatto, ben oltre la normale cortesia che ci si aspetta da un poliziotto; in particolare “orlo di un abisso di follia” mi sa di troppo poetico e altisonante per essere in un interrogatorio 
Mina ha scritto: che cosa ha udito in quel registratore
Come prima, capisco voler variare “sentire” della frase prima, ma “udito” lo cambierei con un più semplice “cosa c’era in quel registratore”

Torno a dire, queste sono semplice osservazioni puramente personali, bellissimo testo e vedo di leggere il seguito appena possibile 
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