[Lab.9] Il fiuto di Camilla (cap.1 di 3)

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Capitolo I

«Arrivo, un momento solo, prendo le chiavi e possiamo andare.»
Michele s'infila il giubbotto e apre la porta di casa. Camilla lo precede sul pianerottolo e rimane in attesa che lui sia pronto a muoversi. Scendono le scale, girano intorno all'aiola più grande tenendosi sul vialetto inghiaiato e, varcato il cancello condominiale delle Incis, eccoli in strada.
Nella prima settimana la sua guida ha continuato a puntare a destra, sul percorso abituale: scuola elementare di piazza Dante, dalle cui finestre gli arrivavano a tratti le voci dei bambini, e poi viale Giulio Cesare, verso il liceo. Di buon passo, perché a lui piaceva arrivare un po' prima dell'orario d'ingresso.
Lo accompagnava nella sala dei prof, poi fino all’aula della prima lezione e tra un’ora e l’altra  attendeva paziente in compagnia dei bidelli, ricambiando con misurata cortesia le affettuosità di colleghi e studenti di passaggio, senza mai dare segni di fastidio o di eccitazione.
Michele ha spiegato che da settembre è in pensione e al liceo non deve più andarci; lei ha capito e ora gira a sinistra, per attraversare sulle strisce. Fanno una sosta nel piccolo parco maltenuto, dove lui siede sulla solita panchina e ascolta i messaggi del cellulare, mentre Camilla fa un giretto nella zona di sua pertinenza.
Abita nel quartiere da una vita, Michele, e nella stessa piazzetta: si è limitato a cambiare lato quando ha preso moglie. Troverebbe la strada anche da solo, ma Camilla ci resterebbe male. E' una labrador di sei anni, gentile e sollecita quanto determinata su ciò che le compete. Gli si mette accanto e aspetta che lui riprenda la maniglia, poi di nuovo attraversano e camminando con calma sul marciapiede si dirigono verso i portici.
Michele li ha amati sempre i suoi cani; personalità definite, tutti ben addestrati, ma ognuno con la sua maniera peculiare di assisterlo e manifestargli affetto. E ogni tanto rilegge i quaderni che ne serbano accurata memoria e scandiscono anche la sua vicenda esistenziale. In viaggio di nozze lui e Silvana sono andati con Alì, un pastore meticcio intelligentissimo e un po' burlone. Le guide che si sono succedute nel tempo hanno partecipato  anche  a molte delle loro vacanze estive e invernali, in Italia e all’estero, mostrandosi contente di passeggiare in montagna, nuotare e persino aggirarsi nelle città d’arte. Deluse, al contrario, se rimanevano in albergo o con la dog sitter. Ricorda ancora i mugolii afflitti di Betta, convinta di poter salire in mongolfiera con loro.

Dal mercato coperto provengono i richiami e i rumori consueti. Quando Michele era giovane gli odori di frutta e verdura avrebbero potuto sostituire il calendario, ma ora si vende di tutto in ogni stagione e i messaggi sono diventati confusi.
Un passaggio conduce a piazza del Popolo, avendo ai lati i palazzi gemelli dell'Intendenza di finanza e del Genio civile. Puro stile ventennio, travertino e mattoni, alte finestre dalle bordure sagomate. Michele li ricorda ancora bene. Latina littoria: fisionomia problematica, nostalgia ostentata di fastosi fasci; e poi ipertrofia di sgraziati palazzi anni '60 e di torri postmoderne in odor di camorra, che non ha potuto vedere.
Sospira ripensando allo sforzo spesso inconsapevole dei suoi primi studenti per approdare a un'identità propria dal “multiregionalismo” spaesato dei genitori, che parlavano un italiano basico dal forte accento friulano, veneto, romagnolo o ciociaro. Loro, i ragazzi, si esprimevano in un idioma che gli veniva di definire, in omaggio ad Augè, una non lingua adeguata a un non luogo.  Altri tempi, mormora, alzando le spalle; Camilla scodinzola piano, comprensiva.
E intanto avvertono l'inconfondibile lezzo di 'Ntonio, il barbone stanziale. 
A quell'ora, se c'è, dorme ubriaco sopra o sotto una delle panchine dei portici, invece gli si accosta. Michele lo saluta chiamandolo per nome e chiede come sta. Lo fa sempre, anche se quello quasi mai risponde, oppure inizia una delle sue sequele sconclusionate contro inimmaginabili nemici; questa volta invece borbotta una frase indistinta, si china ad accarezzare Camilla e parte di fretta verso il mercato.
In verità Michele si è distratto avvertendo un altro intenso puzzo: di bruciato, proveniente dalla piazza del Comune, animata da molte voci. Ascolta, poi segue per un tratto il porticato, a destra, scende gli scalini e, attraversato corso Matteotti con la vigile guida della cagna, risale e fa per entrare nel circolo cittadino.
Subito lo intercetta Biagio Baroni, Bibà per gli amici, e si affretta a informarlo dell'accaduto. Durante la notte è andato a fuoco il negozio di antichità e si sospetta il dolo. Non è il primo esercizio cui tocca, ma da un paio d'anni pareva ci fosse una tregua.
«Vedi – commenta subito Michele – come va a finire quando ci si rassegna alla sconfitta dell'etica e anche del diritto! Lo so che pagate il pizzo tutti quanti. E se uno non ce la fa più, ecco il risultato.»
«Beato te che puoi permetterti di filosofeggiare! – sospira l'altro, proprietario di un supermercato - Ma quale pizzo vuoi che pagasse Santoro! Il negozio lo teneva aperto tanto per passare la giornata in mezzo alle sue cianfrusaglie. Tutte carbonizzate, adesso... Si disperava, poveraccio.»
Entrano insieme e vanno a sedersi in una delle salette destinate al bridge; Camilla si accuccia sotto il tavolino. Di lì a poco li raggiungono Giusti e Russo che stavano prendendo il caffè al bar, bancario in pensione l'uno, architetto l'altro, e riprendono l’argomento.
«Ha quasi novant'anni, Santoro, - dice Russo – dovrebbe essere a casa da un pezzo.»
«Davvero? Dritto, energico, lucido: nemmeno ottanta gliene davo» osserva Baroni.
«Mi piaceva entrare da lui e chiacchierarci, ogni tanto» prosegue Russo.
«In negozio teneva solo cianfrusaglie, come dice Bibà?» chiede Michele.
«Ma no, lui predilige vetro e metallo, lo sappiamo. C'erano alcuni mobili Ottocento, porcellane, argenteria. Poca roba in effetti.»
«E parecchi quadri» aggiunge Giusti.
«Buoni?»
Russo fa una smorfia e chiarisce, rivolto a Michele: «Croste, in gran parte. Ma aveva anche delle belle copie art decò. Dipinte da lui in gioventù, quando s'era appassionato al genere. Bravo davvero.»
Continuano a parlare dell'incendio. Se la camorra non c'entra, potrebbe trattarsi di un imbroglio assicurativo, ma i Santoro non sembrano i tipi adatti, oppure di un malavitoso acquirente. Il locale si trova nella costruzione storica che chiude la piazza del Comune sul lato ovest, davanti alle Poste, e ha un valore cospicuo. A questo punto l'avvilito proprietario accetterà forse di disfarsene a basso prezzo.
Baroni invita Michele a “dare un'occhiata”. Escono e, passando davanti all'ingresso del municipio, dove l'orologio della torretta suona in quel momento le undici, si avvicinano al luogo del fattaccio. La folla si è diradata, ma – riferisce Bibà - da vedere non c'è altro che la saracinesca malamente abbassata e il muro annerito. L'intervento dei pompieri è stato efficace e gli altri negozi non hanno subito danni. Il praticello antistante, con il suo vialetto di ciottoli, è tornato acquitrino (“olim palus”, il motto di Latina, non manca di citare il sentenzioso Baroni); Michele sfiora con la mano la bordura di bosso, mezza divelta, che fa proprio pena.
Considerato il tutto, i due vanno a sedersi su una panchina nel giardinetto al centro della piazza, dove, sotto la fontana con la palla di pietra, sarebbe sepolto il mitico camion 18BL, occultato alla svelta di notte perché Mussolini sarebbe arrivato in visita il giorno seguente.
Baroni gli legge un paio di articoli del giornale prima di accomiatarsi: ha un appuntamento in ufficio. Michele lo tranquillizza, ne ascolterà altri più tardi da Silvana, sua moglie, e si avvia per la consueta passeggiata lunga con Cami, tutto intorno al parco pubblico, già intitolato, con suo fastidio, al fratello del duce e ora, più onorevolmente, a Falcone e Borsellino.


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" ...con mano ferma ma lenta sollevò la celata. L'elmo era vuoto." (Calvino)
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Re: [Lab.9] Il fiuto di Camilla (cap.1 di 3)

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sefora ha scritto: cancello condominiale delle Incis, eccoli in strada.
Il lettore comune ignora questo acronimo (Istituto nazionale per le case degli impiegati statali). Credo sia superfluo ed eliminabile.
sefora ha scritto: Michele le ha spiegato che da settembre è in pensione e al liceo non deve più andarci; lei ha capito
sefora ha scritto: Entrano insieme nel Circolo e vanno a sedersi in una delle salette destinate al bridge; Camilla si accuccia sotto il tavolino. Di lì a poco li raggiungono Giusti e Russo che stavano prendendo il caffè al bancone bar,
Mi piace l'incipit del tuo racconto, @sefora  :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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