[Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Capitolo 5
 
Vennero i carabinieri. Il maresciallo Jaddanu  scese  calmo in spiaggia con alcuni dei suoi uomini, circondato da  vacanzieri che gli urlavano addosso.
― Faccia questo! Faccia quest’altro! Provveda! Arrestateli! Inaudito! Non  torniamo più in questo posto! Ma in che mondo siamo!
Gli abitanti di Bauflores si erano radunati e guardavano in silenzio.   
Stadera aveva tagliato l’anguria offrendone uno spicchio a Virginia.
Sirene che suonavano all’impazzata si fermarono con stridore di gomme al limitare della spiaggia.
― La polizia ci mancava ― disse sottovoce il maresciallo Jaddanu, mettendosi il berretto e ponendosi bene in mostra davanti alla capanna di Virginia con al fianco i suoi carabinieri. Un nugolo di poliziotti scese in spiaggia. Erano comandati da un ispettrice con la coda di cavallo bionda e svolazzante mentre correva con impeto, seguita dai suoi uomini. Jaddanu la conosceva di vista. Sapeva che era stata assegnata da poco al vicino commissariato.
― Cosa succede qui? ― domandò l’ispettrice a tutti e a nessuno.
― Quello che vedi. Folklore ― rispose pacato il maresciallo Jaddanu.
― Ci hanno detto che c’era casino in spiaggia. Cosa significa? Lei è il comandante qui ― disse l’ispettrice vedendo il distintivo di comandante di stazione sulla manica sinistra della divisa del maresciallo.
― Puoi anche darmi del tu. Siamo pari grado ― disse calmo Jaddanu.
L’ispettrice si innervosì. Fece per incamminarsi verso la capanna di frasche, dove Virginia, senza rendersi conto del clamore intorno a lei stava  gustando l’anguria fresca.
 ― Cosa vuoi fare? ― disse Jaddanu interponendosi gentile, con il sorriso che spiccava nella barba nera e corta da mediorientale a pochi centimetri dal viso dell’ispettrice, che inghiottì a fatica distogliendo lo sguardo.
― Devo dirti una cosa ispettrice. Posso?
Si appartarono e parlarono sottovoce. La poliziotta ascoltava attonita.  Ritornò  verso i suoi uomini, si girò verso il maresciallo ― Però non puoi chiamarlo folklore!
― Ho detto una parola che si capisce.
― Dovrebbero saperlo anche gli altri.
― Qualcuno glielo sta dicendo adesso.
 
Era calato un insolito silenzio sulla spiaggia, sempre invasa da urla e dalle musiche dei bar.  Si sentivano le onde del mare frangersi a riva.
I vecchi parlottavano con i turisti, che annuivano. Qualcuno sembrava commosso. Altri paesani si erano avvicinati e a loro volta parlavano con altri turisti,  aumentati a vista d’occhio. Ma nessuno protestava più. Un grande silenzio.
Venne Martino,  trafelato e ansante, dirigendosi verso la baracca di frasche e il carro del padre.
― No. No. Rovini tutto ― gli disse il maresciallo, bloccandolo con un gesto.
― Ma questa volta mio padre ha fatto davvero un disastro. E c’è pure mio figlio con lui… Ma ha fatto un macello! Cosa può succedere maresciallo?
Si avvicinarono alcuni uomini che stavano arrostendo gli spiedi di capra. Reggevano grandi taglieri di sughero, chiamati taggeri, con un tappeto di foglie di mirto sopra le quali avevano adagiato pezzi di carne di capra arrosto.
― Fateci passare! ― diceva uno di loro, il responsabile della sagra, rosso per il caldo. ― Io ho detto che Stadera era diventato matto e se non chiedo scusa non vivo più! Fateci passare!
In quel momento dalla folla di turisti adunata intorno partì un applauso isolato. Ne seguì un altro, e un altro ancora, poi un applauso scrosciante. I cani si dimenarono guardinghi abbaiando, ma senza essere minacciosi. L’applauso dilagò per tutta la spiaggia.
Virginia si vide arrivare intorno gli uomini con la carne.
― Da parte della santa, Virginia! Che tu possa vivere altri cento anni!
― Grazie alla santa! Oh! Ma che bello! Ditemi: la processione come è andata? C’erano altri carri? Io non sono potuta venire, sono un po’ malata. Ditelo al prete. Cantavo sempre nella processione, ma oggi non potevo. Ma mi confesserò! Ma erano tutti contenti anche se non c’ero, vero? ― Virginia era felice come una bambina, muovendo le gambe magre e bianche coperte dalla sabbia calda, prendendo con gioia qualche pezzo di carne, quella più tenera e succulenta.
Vennero altri uomini con taggeri  pieni di carne e ne offrirono ai turisti intorno.
― Offre la santa! ― dissero a qualcuno che chiedeva dove  si pagava.
 ― Offre la santa! In onore di zia Virginia! Però non bevete quella roba in lattina! Bevete questo vino fresco e leggero: offre la santa!
I turisti riaprirono gli ombrelloni intorno al gregge di pecore e si disposero per mangiare, con i paesani che passavano a distribuire la carne e altri il vino.
Qualcuno accese uno stereo a tutto volume. Un carabiniere si avvicinò senza dire una parola. Lo stereo fu spento. Si sentivano le onde del mare, il vociare della gente, le risate dei bambini, la campana della chiesa che suonava.
― Sai perché tutto questo e perché hanno applaudito? ― disse il maresciallo rivolto a Martino.
― No…
― Virginia ha quasi cento anni. Ma le resta poco da vivere. A cento non arriva. I suoi coetanei e quelli poco più giovani lo hanno saputo. E hanno deciso di farle vedere qualcosa della sua ultima festa dell’Assunta. Le hanno  ricostruito un pezzo di spiaggia come quando lei era giovane e veniva a farsi il bagno quando portava il bestiame al pascolo. Hanno dato a Virginia qualche attimo di gioia con tutti i riguardi. Non importa se hanno sporcato la spiaggia con le bestie,  se qualche ombrellone è caduto, se qualche turista ha urlato. A questo ci penserò io. Importa l’azione che è stata fatta.  L’applauso è per Virginia, per i suoi coetanei che hanno organizzato questo.
― Io non ne sapevo niente ― disse Martino.
― Lo so. Non ne sapeva niente quasi nessuno. I vecchi sanno mantenere un segreto, non lo hanno detto nemmeno alle loro mogli.
― Infatti mia madre e le sue amiche non ne sapevano niente.
― Da quello che so ai loro tempi e forse anche oggi gli uomini erano tutti… innamorati di Virginia. Doveva essere una bella donna.
― Non si è mai risposata.
― Trovale oggi persone così.
― Ho capito. Ma mi dica una cosa maresciallo: lei lo sapeva questo?
― Lo vorrei sapere anche io ― disse l’ispettrice, che piantonava il posto.
Il maresciallo si avvicinò a un taggeri e prese un pezzo di carne, facendo cenno ai suoi uomini di servirsi. Poi ne offrì a Martino,  all’ispettrice e ai poliziotti, che erano riluttanti.
― Nulla di male. Fidatevi  ―  disse il maresciallo, ma i poliziotti fecero educatamente cenno di no.
― Ci sono poche carni così al mondo.  Queste capre non hanno mai bevuto acqua in vita loro, solo la rugiada delle foglie al mattino.  E così continuerà a essere.
L’ispettrice chiese ― Te lo chiedo ancora collega: tu lo sapevi che sarebbe successo questo?
― Mi assumo ogni responsabilità… collega. Fai rapporto.  Non è questo il momento ma ti dico che per me le leggi, quelle scritte sulla carta e quelle scritte nel cuore sono sacre. Qui si tratta del cuore e io lo rispetto e lo proteggo.
Stadera si avvicinò con un vassoio di bicchieri di vino. Il maresciallo ne prese uno. ―  Qualcuno si fida di noi carabinieri come nei tempi che furono.
Bevve un sorso riponendo il bicchiere nel vassoio. ― Qui c’è un proverbio che dice: Si Deus cheret e sos Carabineris lu permittini. Se Dio vuole e i Carabinieri lo permettono. Se Dio vuole una cosa io sono la sua umile guardia. Non devo, non posso, non voglio oppormi. Per quanto a qualcuno sembri un “casino” .
― Ti hanno insegnato questo all’Accademia? ― disse con fare sostenuto la poliziotta.
In quel momento gli yacht azionarono a intermittenza le loro sirene. Erano stati informati di quanto stava accadendo e mandavano il loro saluto.
Virginia, felice, parlava e mangiava con altre vecchiette che erano venute a trovarla. Discutevano degli avvenimenti epocali della loro vita.
Il maresciallo si levò il berretto, salutò gli yacht che veleggiavano avanti e indietro,  voltò il viso sorridente verso l’ispettrice ― Non servono accademie per questo!
Strizzò l’occhio a Stadera e a Kaffettera, che ricambiarono.  
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Alberto Tosciri ha scritto: un ispettrice con la coda di cavallo
un'ispettrice
Alberto Tosciri ha scritto:
― Cosa succede qui? ― domandò l’ispettrice a tutti e a nessuno.
― Quello che vedi. Folklore ― rispose pacato il maresciallo Jaddanu.
Bella risposta!
Alberto Tosciri ha scritto:
― Puoi anche darmi del tu. Siamo pari grado ― disse calmo Jaddanu.
L’ispettrice si innervosì.
Stupisce che sia il loro primo incontro.
Alberto Tosciri ha scritto:
Si appartarono e parlarono sottovoce. La poliziotta ascoltava attonita.  Ritornò  verso i suoi uomini, si girò verso il maresciallo ― Però non puoi chiamarlo folklore!
― Ho detto una parola che si capisce.
― Dovrebbero saperlo anche gli altri.
― Qualcuno glielo sta dicendo adesso.
La sagace ironia dei vecchietti appartiene anche al maresciallo dell'Arma.
Alberto Tosciri ha scritto: ― Virginia ha quasi cento anni. Ma le resta poco da vivere. A cento non arriva. I suoi coetanei e quelli poco più giovani lo hanno saputo. E hanno deciso di farle vedere qualcosa della sua ultima festa dell’Assunta. Le hanno  ricostruito un pezzo di spiaggia come quando lei era giovane e veniva a farsi il bagno quando portava il bestiame al pascolo. Hanno dato a Virginia qualche attimo di gioia con tutti i riguardi. Non importa se hanno sporcato la spiaggia con le bestie,  se qualche ombrellone è caduto, se qualche turista ha urlato. A questo ci penserò io. Importa l’azione che è stata fatta.  L’applauso è per Virginia, per i suoi coetanei che hanno organizzato questo.
Alberto Tosciri ha scritto:
L’ispettrice chiese ― Te lo chiedo ancora collega: tu lo sapevi che sarebbe successo questo?
― Mi assumo ogni responsabilità… collega. Fai rapporto.  Non è questo il momento ma ti dico che per me le leggi, quelle scritte sulla carta e quelle scritte nel cuore sono sacre. Qui si tratta del cuore e io lo rispetto e lo proteggo.
Un racconto allo stile del "com'eravamo" che ripresenta la festa del paese con la sagra della capra a Ferragosto, come si festeggiava una volta, 
alla maniera tanto amata dagli arzilli anziani del paese che rievocano la loro gioventù, compreso un galante omaggio all'antica pastorella, la reginetta di bellezza dei loro tempi. Un modo di fare che, alla lunga, coinvolge anche i turisti e determina la riuscita della festa.

Una bella cosa leggerti anche in una storia serena e percorsa dalla tua sagace ironia intelligente e leggera.  :)
Grazie della lettura, @Alberto Tosciri  :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Poeta Zaza ha scritto: Stupisce che sia il loro primo incontro.
In un punto dico che il maresciallo sapeva che l'ispettrice era stata assegnata da poco al suo commissariato. Magari l'aveva vista durante qualche servizio, ma non ancora incontrata direttamente a tu per tu. Può essere plausibile, diciamo.
Come sempre mi fanno sempre piacere i tuoi commenti e correzioni @Poeta Zaza , ti ringrazio per aver letto  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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ciao @Alberto Tosciri

Il titolo del tuo racconto mi ricorda la canzone dei Tazenda - A sicut erat non torrat mai.  Non so se ti sei rifatto a questa canzone, che poi, è una poesia di Peppinu Mereu. Ma in questa poesia si parla delle disgrazie della guerra e dei bei tempi, quelli lontani dalla fame, che mai più torneranno.

Dopo aver letto i cinque capitoli, devo osservare che la tua è solo una rappresentazione scenica di come i tempi poco abbiano cambiato nella vita degli abitanti di Bauflores. Stadera e Kaffetttera sono usciti indenni dai mali della vita e vivono con serenità il cambiamento epocale, messo in evidenza dai "turisti" che affollano il paese per la festa della Assunta, per noi tutti, il ferragosto. Ci sono tutti gli elementi per una storia malinconica ma allegra allo stesso tempo. Una sorta di commedia su usi e costumi della gente di paese. I santi da festeggiare alle ricorrenze, gli abiti per i riti religiosi da tirare fuori.
Ma la sorpresa finale è questo regalo a Virginia di questo rinnovo della festa come ai vecchi tempi. Hai speso tanto per caratterizzare i tuoi personaggi, e mettere in evidenza la loro filosofia di vita nel confronto col "nuovo che avanza".  Non hai fatto a meno di infilarci anche il buon maresciallo Jaddanu per condire la trama. La sua figura ricorda quella del maresciallo Carotenuto, interpretato da Vittorio De Sica in Pane , amore e fantasia. Complice in varie tresche, pronto a farsi gli affari suoi, rispettoso della legge ma senza strafare. Insomma, una storia di altri tempi, ma vissuta ai giorni nostri.
Buon lavoro, come sempre. Ciao a presto.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Grazie @bestseller2020
Sono contento che il racconto ti sia piaciuto.
Avrei voluto scrivere di più, perchè c'è sempre tanto da dire, ma dobbiamo accontentarci.
La poesia di Peppino Mereu poi trasformata in canzone l'hanno cantata i Tazenda, ma preferisco la versione del coro di Nuoro. L'ho messa tante volte e ora non la metto per non passare da paranoico...  :)
Sì, i vecchi tempi com'erano prima non torneranno mai più e io ne avevo nostalgia fin da bambino di quei vecchi tempi, figurati... ma sarebbe bastato rimanere agli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso, al netto di tutte le scempiaggini italiane e mondiali che cominciavano a palesarsi già da allora e che oggi sono il modo di vivere.
Amo moltissimo il personaggio del maresciallo dei carabinieri interpretato da Vittorio De Sica, il suo modo di fare, per nulla un cieco esecutore di ordini, molto umano.
Il "mio" maresciallo è più giovane e moderno ma, come amo dire di certe persone, non si è lasciato "convincere" dalla modernità, pur rispettando e facendo rispettare le leggi. Quell'umanità che una volta era normale e che oggi farebbe notizia. Se ne dovessi scrivere ancora andrei oltre.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Ciao @Alberto Tosciri ho letto con passione il tuo racconto, commovente. Si sente l'amore per le tradizioni e una sorta di pessimismo per il nuovo che avanza, preso da tutt'altri interessi. Fai sentire l'importanza di una festa tradizionale, un momento atteso ,di valore  simbolico di fede al quale soprattutto gli anziani, radicati in quei luoghi possono comprenderne appieno. Si percepisce la nostalgia che provi nel raccontare queste vicende. che inevitabilmente vanno perdendosi, nello spirito e nella passione. Commovente il calore e l'affetto dei cari verso Virginia, che vogliono accompagnarla per l'ultimo viaggio facendole rivivere uno degli eventi più importanti della tradizione di quella terra. Un privilegio che solo chi vive in questi luoghi sperduti (ma non di turisti) con un forte senso della comunità può ancora vivere. Se pensiamo a quanti anziani se ne vanno via nella solitudine... terribile!
Molto apprezzato.
Alla prossima.

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Ciao @Alberto Tosciri e bentrovato al contest! È il mio primo commento, utile a validare la partecipazione del mio brano, e ho piacere ad iniziare dal tuo racconto.

Cos'abbiamo?
Nella ridente e turistica Bauflores, un gruppo di arzilli vecchietti, capitanati da Stadera e Kaffettera, mettono in scena una pittoresca ribellione contro la "colonizzazione turistica" della loro cittadina. Si scoprirà che l'iniziativa di far rivivere la tradizionale Festa dell'Assunta sarà il sentito omaggio dei nostri eroi, e dei loro gruppo di coetanei, all'amata (platonicamente) Virginia, ormai anziana e malata.

Storia.
Cominciamo col dire che la storia funziona. E sono diverse le ragioni che contribuiscono a farla funzionare. Intanto, riesce a riassumere in sé una lunga serie di emozioni e stati d'animo: nostalgia, senso di appartenenza ad un gruppo e ad una realtà locale, rispetto e perché no, amore.   
In secondo luogo, ci troviamo in presenza di personaggi "veri" (ne parleremo meglio fra poco), credibili. I vecchietti di Bauflores (che se Google non m'inganna è fittizia), somigliano tanto ai vecchietti della mia amata Sicilia e, sospetto, ai vecchietti di qualunque parte del mondo: attaccati al passato, restii al cambiamento, fieri propugnatori del "prima era meglio!" Insomma, quando pensiamo ad una persona anziana, è così che ce la figuriamo.  intendiamoci, sono del tutto persuaso che la Società stia prendendo una deriva pericolosa (basti pensare ai molteplici episodi portati alla luce quotidianamente dalla cronaca giornalistica, e non solo quella di "nera": lo sfascio della scuola pubblica, la perdita di ruolo dei genitori...), ma in questo racconto, più che davanti al biasimevole mutamento di rotta dei contemporanei, ci troviamo di fronte alla nostalgica (e un po' idealizzata) contemplazione di un passato, legato a doppio filo ai ricordi più dolci dei nostri amati vecchietti.
Ancora due ingredienti contribuiscono al successo di questa storia, una scrittura solida, "sapiente" direi (salvo forse qualche piccolo inciampo nelle primissime righe del testo), e una riuscita caratterizzazione dei personaggi.

Scrittura.
Trovo che sia un punto di forza della storia che proponi. Come diceva la vecchia pubblicità di un produttore tedesco di televisioni "noi siamo scienza, non fantascienza". Ed infatti, superate le prime righe, dove il tentativo di descrivere "visivamente" il paese e la variegata umanità che lo abita (turisti compresi), ha portato, a mio avviso, ad un effetto "affastellato", poco ordinato e persino, barocco, la narrazione si fa più asciutta, "salda" e fila via con sicurezza.
Insomma, è scritto bene il tuo racconto. Ed è così attentamente preparato (ed eseguito) che ogni sua parte risulta ben equilibrata; non si ha, insomma,  la sensazione che manchino caratteri in certe scene mentre si sia fatto spreco di essi in altre. Un'esecuzione, a mio avviso, sontuosa.

Personaggi.
Tutti quelli principali, Stadera, Kaffettera e il maresciallo Jaddanu, risultano ben caratterizzati, ovviamente nei limiti di una storia racchiusa in una ventina scarsa di paginette.
Stadera dalle battute taglienti e dalla feroce avversione per i medici, Kaffettera, la "spalla" che completa il personaggio dell'amico (Stadera non avrebbe l'impatto che ha se non vi fosse Kaffettera a fungere da contrappunto), Jaddanu misurato, conoscitore della realtà nella quale è calato, capace di applicare una sorta di norma di "equità" (non a caso definita come "la giustizia del singolo caso" in contrapposizione con la "dura lex", rigida e con i paraocchi) agli episodi ai quali partecipa.
Necessariamente abbozzati, ma non per questo fiacchi, i comprimari: Annedda e Chiaretta, il figlio Martino. Tra questi, una segnalazione di merito per l'ispettore (o ispettrice, o ispettora, ormai non si sa più...) di Polizia che, nel fungere da contraltare del sottufficiale della Benemerita, contribuisce a rappresentarne i contorni con maggiore definizione. Per il resto, la ragazza "si farà": borbotta un po' in spiaggia, è vero, ma sotto sotto ha già capito come comportarsi.

Concludendo.
Mi è piaciuto il tuo racconto @Alberto Tosciri: l'ho letto due volte e tutt'e due le volte ne ho tratto piacevoli sensazioni. Ok, magari il finale è un po' troppo alla "volemosi bene", ma ciononostante mi ha emozionato e, secondo me, non è affatto poco.
A rileggerci.

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Grazie @Kasimiro
Mi ha fatto molto piacere che tu abbia apprezzato il mio racconto. Amo le tradizioni popolari che pur se ancora stancamente portate avanti ai nostri giorni a mio parere hanno perso molto dello spirito originale. Almeno nella fantasia cerco di costruire, di fare in modo che qualcuno attui velate quanto innocue e folkloristiche proteste, pur con un po’ di malinconia.

Ciao @Pulsar
E grazie tante per il tuo approfondito intervento. Hai perfettamente ragione: Bauflores non esiste, non in questo mondo perlomeno. Quasi sempre invento i nomi di località e anche delle persone pur basandomi su radici, in questo caso sarde, originali. Bauflores vuol dire: “Guado dei fiori”.
Penso che i vecchi si assomiglino un po’ in tutte le parti e siano molto pochi quelli che, specie ai giorni nostri, siano assolutamente entusiasti di come sta andando il mondo.
Ti do ragione su alcune parti come l’inizio, dove ho messo troppe cose e considera che ho tagliato davvero molto. Mi piace tanto la denominazione che hai usato “effetto barocco” perché a ben pensarci può anche essere vista in questo modo, non mi dispiace affatto.
È poi un grande complimento che mi fai dicendo che tutto è attentamente preparato. Ci ho lavorato molto, riscrivendo e limando tantissime volte pur non rimanendo comunque mai soddisfatto e ho esitato prima di postare, perché anche in fase di spedizione cambiavo qualcosa. La perfezione oltre a non esistere è anche una bellissima chimera.
Concordo anche sul finale alla “volemose bene”, ma tieni presente che il tutto accade in un mondo parallelo, di fantasia, dove forse queste cose potrebbero però avvenire realmente. O sono soltanto i sogni a galoppare felici e ingenui verso un mondo perfetto.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Niente "guerre guerreggiate", mi rallegro! Battutaccia a parte, ho gradito questa  fantasia commovente sul bel tempo che fu.
Con melanconia e rassegnato pessimismo, omaggia la vecchiaia e la tradizione, e  riesce anche a riscattare  i turisti cafoni, che -cogliendone il fascino - alla fine, emendati, partecipano alla festa.
A voler essere ipercritici, si notano una certa sovrabbondanza  e  un po' di stereotipi, ma nell'insieme la vicenda scorre  e  i personaggi riescono efficaci. 
 Trovo la scrittura senz'altro migliorata dall'ultima mia lettura (l'anno scorso, credo): ricca ma non più pesante e a volte prolissa,  credo sia  "cifra" adatta al tuo genere di narrazione.
" ...con mano ferma ma lenta sollevò la celata. L'elmo era vuoto." (Calvino)
Pagina autrice fb: virginialess/21 Blog "Noi nonne": https.//virginialess.wordpress.com

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Grazie @sefora
Mi è piaciuto "niente guerre guerreggiate". Ho fatto come Alberto Sordi nel bellissimo e commovente film "Tutti a casa". Alla fine si lascia la vita che si è vissuta con convinzione (ma anche con tante domande e ricerche) fino a quel momento e si assume la propria vera natura.
A volte non riesco a scaricare la "sovrabbondanza"; in effetti amo una struttura barocca, come qualcuno mi ha fatto notare, pur cercando di apportarvi qualche visione personale che si discosta e travalica.
Ti ringrazio per aver trovato qualche miglioramento nella scrittura: è un grande complimento che mi hai fatto, pur essendo consapevole dei miei limiti.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Ciao Alberto,
tema a te notoriamente caro: tradizioni genuine, valori che sembrano (…sono?) superati e vengono sentiti, capiti e rispettati con difficoltà da chi non ne conosce e ne ha vissuto (o ereditato) le origini. E poi i “Buoni” e i “Cattivi” (banalizzo, eh! ma come non interpretare, nel tuo evidente schierarti, fuori e dentro la produzione narrativa, un vero e proprio intento morale quale fine da veicolare con le tue storie?)
Beninteso: al di là degli schieramenti, personalmente approvo, perché penso che uno dei fondamenti per scrivere dovrebbe essere quello di aver qualcosa da dire, e in questo senso a te i motivi non sembrano mancare mai.
Ecco, “i buoni” e “i cattivi”, dunque. Quello che talvolta noto, leggendoti, è che può scapparti di rendere delle macchiette poco credibili i personaggi a cui affidi il ruolo di rappresentanti della “modernità”. Credo che un narratore sia molto più godibile (e condivisibile) quando non estremizza, e, invece, si pone come se fosse, se non proprio dalla parte generalmente condivisa (quella della modernità, nel caso specifico), almeno equidistante. E allora della modernità può andare davvero bene a stanare i difetti, smascherandone le contraddizioni ed evidenziandone, al limite, anche le possibili mostruosità. Quando tu riesci a narrare così io ti trovo disarmante.
Questo racconto, però, mi sembrava partire molto male, in tal senso. Alcuni indizi (cito):
 
― Cosa non ti piace? ― chiese Kaffettera, pur sapendo da sempre cosa non piaceva al suo amico.
― Ma per esempio quella gente che sta salendo in chiesa.
Indicò un gruppo di uomini e donne dai capelli bagnati, in maglietta, pantaloncini corti e zoccoli di legno che battevano sugli scalini di pietra. Le donne in costume da bagno gocciolante, cappello messicano in testa e un pareo trasparente. Stadera si accese un mozzicone di sigaro e continuò ― Stanno andando in chiesa. Il prete non dovrebbe farli entrare conciati così.
(…)
Guardarono un paio di camper che transitavano in quel momento gocciolando liquame dalla puzza di pesce guasto che spandendosi sull’asfalto si fondeva con il l’odore del catrame in ebollizione sotto il sole.
(…)
Il ragazzino, biondo e bianco, ustionato dal sole, con due occhi così azzurri che sembrava un pesce, poggiò la confezione di carta musica sopra il muretto che delimitava il marciapiede in discesa che dava sul mare sottostante. Stadera lo guardava fisso come un cane da guardia. Non gli importava che quel moccioso bianco come formaggio di primo sale, profumato di olio solare gli passasse davanti,  temeva che si avverasse una cosa. Che si avverò.  Il ragazzino era convinto di avere scoperto la ruota, cominciò a far rotolare la confezione sopra il muretto, divertendosi un mondo e tenendola perché non cadesse a terra.
E, insomma: i turisti che fanno così sono chiaramente dei trogloditi, tutti i turisti fanno così, ergo: tutti i turisti sono dei trogloditi.
La seconda premessa del sillogismo è una mia forzata interpretazione del tuo primo capitolo, e sono sicuro che se io ti dovessi contestare che non ho mai visto donne credenti andare a una funzione religiosa in pareo trasparente, camperisti scaricare bellamente i loro liquami per strada e bambini “profanare” né cibo né simboli della tradizione per pura, ingenua, stupidità, come sembra passare dalla tua narrazione del breve episodio con il pane usato come ruota (stupidità ingenua e anche innocente dal punto di vista personale del bambino, che tu, dissimulando, fai somigliare a un pesce, ma a cui dai aspetto che mi è parso quasi angelico; profanato da genitori trogloditi che lo lasciano rosolare al sole, che non gli hanno insegnato il valore del cibo, della fatica per ottenerlo, e lo lasciano a sé stesso e alle sue azioni stupide, salvo venire in suo soccorso nel caso qualcuno osi “ledere” non il loro ragazzino, ma l’infallibilità della loro genitorialità), se io dovessi obiettare, dicevo, che non ho mai visto nulla di simile, che trovo esagerata e, appunto, tendente al macchiettistico la tua rappresentazione, sono sicuro che tu mi risponderesti che, invece, hai visto con i tuoi occhi situazioni simili e non hai fatto altro che raccontare partendo da casi reali.
Anche se dal punto di vista narrativo ho subito riconosciuto nei passaggi che ho citato sopra una certa efficacia ai fini della sintesi (questo è pur sempre un racconto, non un romanzo, e non avevi tutto lo spazio che volevi per mostrare in modo più verosimile ciò che indigna il tuo protagonista, né potevi farlo dire tutto nei dialoghi fra i vecchi del paese, ché di detto nei dialoghi ce n’è già a sufficienza), leggendo sono stato colto dalla sensazione che tutto il racconto fosse destinato a volgere in zuffa, quindi in poco efficace farsa.
Invece, per fortuna, mi sbagliavo completamente: questa volta per “i cattivi”, per gli schiavi della modernità, per “i trogloditi”, c’è il riscatto e il racconto si apre in una visione che oserei definire ottimistica. Riesce a rappresentare in chiave positiva il conflitto fra gli antagonisti principali, i turisti e i locali, laddove i turisti (per estensione tutti gli uomini moderni) non sono ciechi, sordi e privi di ogni sensibilità, mentre gli anziani del luogo (per estensione la minoranza che non si allinea al pensiero comune e dominante) non sono la perfezione scesa in terra, né le vittime sacrificali, innocenti eppur predestinate, del progresso. Si tratta bensì di esseri umani e fallibili come tutti, con pensieri e atteggiamenti che si può ammettere giusti (e giustificabili anche da chi non può, non deve e non vuole schierarsi), nonché pensieri e atteggiamenti discutibili. E tra le due “civiltà” avviene un incontro, non uno scontro. La tolleranza reciproca e la disponibilità devono sempre avere il giusto equilibrio, nel confronto fra le parti. Questo costituisce, io trovo, la vera morale del tuo racconto.  
Permettimi una battuta (che mi viene a posteriori, anche leggendo tra le tue risposte ai commentatori che mi hanno preceduto: «Sì, i vecchi tempi com'erano prima non torneranno mai più e io ne avevo nostalgia fin da bambino di quei vecchi tempi, figurati... ma sarebbe bastato rimanere agli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso, al netto di tutte le scempiaggini italiane e mondiali che cominciavano a palesarsi già da allora e che oggi sono il modo di vivere.» ): devi aver fatto violenza a te stesso per essere così ottimista e “tollerante”, in questo tuo racconto! :asd:
Va bene, lasciamo da parte le battute sciocche e proseguiamo: a condimento della storia troviamo anche la rappresentazione della Legge e, quale vicenda nella vicenda, come la Legge si debba porre nei confronti della tradizione, dei valori e dei comportamenti che non sono, né possono essere, sempre inquadrati nell’ottica dei Codici e nella fredda applicazione di questi. E qui si dipana, pur in secondo piano, un conflitto secondario: fra il dovere e l’intelletto, fra l’esercizio del potere (seppur per delega della Stato, al servizio e nell’interesse della collettività) e la saggia interpretazione delle regole. Fra un maresciallo e un’ispettrice (in definitiva, quasi proverbialmente, fra Carabinieri e Polizia :asd: ). Bello, non banale, verosimile. Insomma: proprio riuscito.
Complessivamente un buon racconto, secondo me.
Dopo aver letto i cinque capitoli, ho letto le schede dei tuoi personaggi: direi che sei riuscito a rappresentare bene ciò che era nelle tue intenzioni. In particolare, trovo perfettamente rispettato il profilo del maresciallo Jaddanu, tanto che se, senza leggere la tua, avessi dovuto compilare io una scheda del personaggio che ho trovato nel racconto, l’avrei immaginata pressappoco identica.
A rileggerti.

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 5 di 5)

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Ciao @queffe
Ti ringrazio tanto per il commento. Hai ragione circa la mia tendenza a dividere i “buoni” dai “cattivi” anche se spesso, pure in questo caso, la divisione non la intendo mai davvero come definitiva. Non sempre i buoni sono perfetti e non sempre stanno da una parte sola, come pure è vero il contrario. Per entrambi la loro definizione deriva dal livello di comprensione che hanno, innanzi tutto di loro stessi e poi del mondo che li circonda, il loro modo di rapportarsi con gli altri. Penso che molti problemi si potrebbero se non appianare del tutto perlomeno chiarire se tutte le parti in causa avessero coscienza ognuna dell’esistenza dell’altra non per prevaricare ma per incontrarsi, parlarsi, capirsi.
La torre di Babele mette in campo la difficoltà materiale della lingua per far capire la difficoltà di capire, quando non si hanno gli stessi parametri di misura.

Anche io non penso davvero che tutti i turisti siano “trogloditi” per antonomasia, ma vedo che il loro approccio è conseguente a seconda del luogo dove vanno. Se uno straniero va in USA avrà poco da lamentarsi circa il benessere, grado di civiltà e quant’altro ci trovi. Lo stesso dicasi se va a Londra, in Germania, in Svizzera, a parte i soliti compatrioti che piangeranno nel non trovare spaghetti e pizza decenti.
Diverso è se taluni turisti (non tutti per fortuna, ma molti sì) vanno in luoghi considerati più “poveri” se non del tutto inferiori ai parametri ai quali sono abituati e si sentono in diritto se non proprio di calpestare e irridere per lo meno di infischiarsene dei modi di vivere locali, senza stare ad analizzare i motivi, anche superficialmente. Non che siano costretti a farlo, ci mancherebbe.

Sì, mi è capitato di assistere ad alcuni episodi più che altro spiacevoli, tipici luoghi comuni, ma ho sempre lasciato perdere, salvo a far fare talvolta pessime figure a certi personaggi che non riuscendo a identificarmi come indigeno (…) si permettevano di fare certe osservazioni su certe cose che non avevano mai visto. (Nulla di tribale, emerite sciocchezze).

Mi è venuto da pensare alla tua seconda premessa del sillogismo, circa il fatto che non hai mai visto donne credenti entrare in chiesa con pareo trasparente. Nemmeno io, ma ne ho viste altre entrare, e anche uomini, che era meglio se non ci entravano a prescindere che credessero o no e a prescindere dagli abiti. E considera che io sono decenni che non entro in chiesa.

Certo, lì entra in funzione il mio giudizio che se è alquanto severo nei miei confronti lo è anche nei confronti degli altri. Atteggiamento forse non giusto e fuori luogo e tempo, lo riconosco fino a un certo punto, ma così è.

Per questo motivo quando devo mettere fatti  che riguardano usanze, persone da una parte e dall’altra, per non causare malumori, spero, mi invento i luoghi e i nomi delle persone. In fondo alla fine sono poi più tollerante di cosiddetti “liberali” di professione; infatti nel racconto alla fine tutto viene spiegato a chi non sa, tutti comprendono e tutti sono solidali.

Mi ha fatto piacere che hai trovato la scheda del maresciallo rispondente al personaggio. Penso sia quella riuscita meglio anche perché per definire alcune voci ho usato una tipica terminologia, un tempo in uso per la compilazione delle “note caratteristiche” dei militari e delle quali ero un esperto, essendo io addetto alla loro redazione. E non immagini la dovizia di particolari in queste note, che riguardano la persona davvero a tutto tondo, in tutte le sue caratteristiche e nel passare degli anni. Con in più note finali che le riassumono in forma discorsiva. Puoi ricreare la vita di interi reparti solo analizzando le schede dei loro militari.

Ancora grazie.

Ciao
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
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