Lili (8di13)

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commento


Di tutto ciò che è uscito dalla sordida gola degli anziani, dai vecchi libri ammuffiti, non ho salvato una parola. Ho sognato che camminavo con mio nonno sulla riva di un lago scuro ed i discorsi del vecchio erano pieni di incertezza. Ho visto come tutto ciò che è finto si stacca dai morti. Parlavamo con facilità ed io ero umilmente onorato di camminargli accanto nel cuore di un mondo in cui lui era un uomo come tutti gli altri. All’imboccatura stretta di un corridoio fra i boschi autunnali mi ha guardato allontanarmi verso il mondo dei desti.

Suttree,
Cormac McCarthy
 





Prima di entrare in paese e raggiungere il ristorante, si fermano davanti alla casa in cui Graziano è cresciuto, nella stradina senza uscita che vista da lì, stretta tra due fronti di edifici a due piani più sottotetto, simili l’uno all’altro, sembra un normale scorcio di centro urbano che dimostra gli anni che ha, mentre sul retro del lato sinistro, come dietro le quinte di una scenografia teatrale, si apre un altro mondo di terra nuda e cielo che ridefinisce il primo entro i suoi limiti e nella povera estetica anni settanta fatta di doppi infissi in alluminio e inutili rivestimenti in pietra posati a opus incertum. Per il momento, questa è ancora la frangia più periferica della cittadina. Il prezzo dei terreni prima, e la crisi economica poi, hanno fatto sì che tutto rimanesse com’era (24) nel momento in cui lui se ne è andato per trasferirsi nel ravennate.
«È quella la casa in cui sei nato?»
«Metaforicamente parlando sì, poi non è che fossimo così antichi da mettere l’acqua a bollire sulla stufa e chiamare la levatrice giù in paese. In realtà sono nato all’ospedale di Ferrara.»
«Stupido. Non intendevo in senso letterale, ovviamente.»
«Lo so, scherzavo.»
Graziano pensa sia indicativo del tipo di relazione fin lì condivisa con Lili, il fatto che soltanto ora, dopo tre anni di convivenza e lo spettro della separazione in essere, lei presti attenzione alle sue origini. È strano rendersene conto soltanto ora, e forse anche questo è indicativo di quanto fossero perfetti l’uno per l’altra, fino a che è durata.
«Qui sono cresciuto, e qui i miei genitori sono morti, rispettivamente dieci e undici anni fa. Mio madre di tumore al seno, mio padre di crepacuore, incapace di sopravvivere in questa vita senza la donna autoritaria e bigotta a cui faceva riferimento, pur lamentandosene in continuazione.»
«Ah, è per questo.»
«Per questo cosa?»
«È per questo che stai sempre sulla difensiva, che hai sempre paura di metterti in discussione. Tua madre era una con le palle. Scommetto che la odiavi.»
«Non voglio mettermi in discussione, è diverso.»
«Non vedo questa gran differenza.»
«Non vedi un sacco di cose.»
«Per esempio?»
«Per esempio che forse dovresti portare rispetto a prescindere, invece di cercare sempre e comunque una conferma a quello che è il tuo modo di vedere le cose.»
«Non con chi vado a letto tutte le sere. In quel caso credo sia doveroso discutere e trovare una linea comune. Cambiare un poco ciascuno per venirsi incontro.»
Graziano si volta a guardare la casa, e non si preoccupa di nascondere il sospiro che sottende quanto ne abbia pieni i coglioni di quel tipo di discussioni, quando si arriva al punto morto del compromesso in cui a Lili piace credere, mentre in realtà lui sa quanto il suo concetto di linea comune sia un eufemismo (25). Come diceva sua madre: ci sono tanti modi di pensare alla stessa cosa, ma credo che il mio sia quello migliore, e lui in fondo le è debitore perché quando ha capito che con lei non c’era verso di spuntarla a parole - in quanto possedeva un’abilità tutta personale di dosare verità, incoerenza e bugie per confondere l’interlocutore -, ha imparato a sottrarsi alle discussioni. E può testimoniare di come nulla al mondo la facesse più uscire dai gangheri. Forse ha ragione Liliana, probabilmente la odiava e magari i parallelismi che crea tra lei e il ricordo di sua madre sono del tutto fuori luogo. 
Al piano terra ci abitava la nonna paterna. Tolto il garage e il piano superiore, occupato dalla loro famiglia, all’anziana rimaneva a disposizione più o meno la stessa metratura della Tana. Pur non vivendo a diretto contatto con la nuora, ne subiva la forte personalità, esattamente come tutti loro. Graziano non aveva nessuna voglia di far visita a nonna Clara, un po’ perché lei teneva sempre le finestre chiuse e il lezzo dell’umidità di risalita si mescolava a quello dei suoi miseri pasti quotidiani, del bagno cieco e della vecchiaia, e un po’ perché l’isolamento interiore in cui viveva aveva scavato un fossato intorno a lei dal quale ti guardava a bocca aperta come un pesce anemico, con una fame di interazione sociale che toglieva il respiro. In occasione di quelle visite sempre più rade, Graziano sbrigava in fretta i tristi convenevoli di rito che gli venivano imposti, e che pesavano nello stomaco come i piatti di cappelletti al ragù con cui, quando scendevano la domenica per il pranzo, nonna Clara aveva contribuito a fare di lui l’adolescente obeso che avrebbe sudato anni per riportare il proprio corpo al peso ottimale. La madre di Graziano non perdeva occasione di ricordargli i suoi doveri familiari, ma per Graziano uscire da quelle stanze, era qualcosa di analogo a una fuga. Quando nonna Clara era morta, quasi novantenne, si era già trasferito. Suo padre e sua madre non c’erano più e per svariati motivi aveva tagliato i ponti con il resto della famiglia, per cui non sentiva nessun obbligo di presenziare al funerale e di certo nessuna voglia. E così lo aveva disertato. Lo reputava un’inutile cerimonia ad uso e consumo dei vivi. Dal cugino, in seguito, era stato informato del ritrovamento in un cassetto della camera da letto di decine di quaderni che lei aveva riempito con la sua scrittura sgrammaticata e poco elegante. A nessuno è venuto in mente di leggerli, gli ha detto, non ai figli e tantomeno ai nipoti. Graziano aveva annuito, mentre assimilava l’informazione. Nemmeno lui li avrebbe letti. I diari erano stati buttati insieme alle tazzine di porcellana e alle lenzuola mai usate.
Il fatto è, pensa ora guardando la casa in silenzio, che gli anziani di quella generazione sono rimasti spiazzati dalla repentina disgregazione del tessuto sociale che li ha visti crescere. Non hanno avuto il tempo di realizzare come in questo mondo, oggi, quando se ne vuole far parte, la propria vita vada imposta. E quanto sia vano pretendere, in una società così intensamente commercializzata, che ci venga riconosciuto un valore senza reclamarlo. A meno che quel valore non lo si porti già impresso dentro, di proprio (26). Allora, e soltanto in quel caso, ci si può anche permettere di guardare il mondo da fuori, come fa lui, con quella diffidenza che Liliana gli rimprovera e quel malcelato senso di superiorità che, di quando in quando, si rimprovera a sua volta, se non altro per ricordare a sé stesso quanto sia stupido e arrogante pretendere di essere migliore di qualcun altro.

(continua)
       
(24) Quei terreni edificabili invenduti sui quali nessuno, dopo la crisi economica, si sarebbe arrischiato a costruire, sono l’unica cosa ad essere rimasta com’era. Tutto il resto, nell’ambito dell’edilizia ma non solo, è cambiato e continua a farlo, sempre più velocemente.
 
(25) Domanda: pensate all’origine del rapporto in essere col vostro partner. In che modo avete raggiunto un equilibrio, se poi lo avete fatto davvero, fra i vostri presumo diversi stili di vita iniziali?
a) Il vostro partner ha preso in pugno la situazione fin dal principio assoggettandovi alle proprie necessità.
b) Viceversa, siete stati voi a far sì che il partner si adattasse alle vostre esigenze.
c) Avete fatto entrambi un passo indietro, rassegnandovi a vivere in nome dell’amore (ops, avevo promesso di non usare la parola, lo so, ma lo sto facendo in senso ironico) un’esistenza mediocre e impersonale basata su quanto di più banale proponga la società in cui vivete in termini di convivenza civile.
Lo so, tutte e tre le opzioni mettono addosso una gran tristezza. Ritenetevi liberi di trovare una risposta alternativa.
 
(26) L’autostima non è mai stata una passeggiata, malgrado venga posta in genere come la cosa più naturale di questo mondo. Non lo è mai stata perché la cosa più naturale di questo mondo, purtroppo, è invece il frequente tentativo da parte altrui di sminuirla - in modi più o meno suadenti, più o meno coercitivi -, per accrescere la propria. Per questo motivo il percorso necessario al suo raggiungimento è sempre stato, prima ancora che una questione di lavoro su sé stessi, una questione di conflitto. Varrebbe la pena, forse, di prendere in considerazione l’idea di preparare culturalmente i ragazzini in questo senso, cioè ad una rispettosa autodifesa del proprio spazio, invece di inzupparli nel diritto/dovere alla felicità e all’amore (ops, di nuovo) universale, ma è più probabile, me ne rendo conto, che i ragazzini continuino a imparare sulla propria pelle, come hanno sempre fatto.
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